Cass. Sez. III n. 13225 del 28 marzo 2008 (Cc 5 feb. 2008)
Pres. Lupo Est. Sensini Ric. PM in proc. Spera
Aria. D.Lv. 152-06 e dpr 203-1988

Il vigente dettato normativo non distingue più tra impianti preesistenti e successivi all\'entrata in vigore del D.L.vo n. 152/2006 (con la relativa differenza tra l\'art. 24 e 25 D.P.R. n. 2031988) e, soprattutto, non ripete più il dettato del vecchio art. 25 comma l, che aveva dato luogo a quell\'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la semplice presentazione della domanda di autorizzazione era idonea a determinare la cessazione della permanenza del reato, in quanto, da quel momento, la P.A. era messa in grado di esercitare la sua funzione di controllo, così soddisfacendo l\'interesse penalmente tutelato. La formulazione dell\'art. 279 D.L.vo n. 152/2006 prevede distinte fattispecie di reato, che possono essere integrate dal fatto di " installare" o " esercitare" un impianto in assenza della prescritta autorizzazione, dal continuare l\'esercizio dell\' impianto o dell\'attività con autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa, revocata, ovvero dal sottoporre un impianto a modifica sostanziale senza l\'autorizzazione prevista dall\'art. 269, comma 8. A sua volta, l\'art. 269, in tema di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, appunto al comma ottavo, prevede un ulteriore distinguo tra modifica "sostanziale" (quella che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse) e "non sostanziale", ricollegando al verificarsi dell\'una o dell\'altra ipotesi effetti e sanzioni diverse sul piano penale.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1 - Spera Giovanni è indagato del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. c.p., 279 comma 1 in relazione all’art. 269 D.L.vo n. 152/2006 perché, in qualità di legale rappresentante della “S.M.A. s.r.l.”, poneva in esercizio un nuovo impianto di autocarrozzeria, producente polveri di lavorazione, in assenza dell’autorizzazione regionale prevista dall’art. 269, nonché continuava l’esercizio dell’impianto di verniciatura, mediante utilizzo della cabina di verniciatura modello “Pami”, in presenza di autorizzazione regionale scaduta e non rinnovata.
Accertato in Marigliano, l’18 gennaio 2007.
2 - In data 18 gennaio 2007 la Polizia Provinciale - Distretto di Nolano - procedeva al sequestro preventivo della ridetta cabina di verniciatura ed essiccazione, installata ed in uso presso l’autocarrozzeria dello Spera Giovanni, in quanto rilevava che l’autorizzazione necessaria per le attività a ridotto inquinamento atmosferico era scaduta e l’altra autorizzazione - richiesta ex novo anche in relazione ad una seconda cabina costruita nel 2003 - non era stata ancora rilasciata. Il sequestro veniva convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Nola.
In fatto emergeva che l’istante, nel 1988, era subentrato con la società di cui era legale rappresentante (“Autocarozzeria S.M.A. s.r.l.”) ad altra impresa, avente il medesimo oggetto sociale (“S.M.A. s.a.s. di Spera Giuseppe & C”), operante fin dal 1986. In occasione del mutamento della forma giuridica dell’impresa, il legale rappresentante aveva provveduto ad apportare modifiche all’impianto in oggetto, pur in difetto di titolo abilitativo.
3 - Con ordinanza in data 12 marzo 2007 il G.I.P. rigettava l’istanza di dissequestro della citata cabina di verniciatura ed avverso tale provvedimento l’indagato proponeva appello. Il provvedimento di rigetto dei G.I.P. si fondava sulla circostanza che lo Spera aveva apportato modifiche all’impianto di autocarrozzeria in assenza della prescritta autorizzazione: tale comportamento aveva integrato gli estremi di cui all’art. 25 comma 6 D.P.R. n. 203/1988, come sostituito dall’art. 279, comma 1, D.L.vo n. 152/2006.
Trattandosi di reato permanente, la permanenza - e, dunque, anche le esigenze cautelari - venivano meno al momento del rilascio della prescritta autorizzazione.
4 - Il Tribunale del Riesame di Napoli, per contro, accoglieva l’appello e disponeva la restituzione all’indagato della cabina in oggetto.
Argomentava il Collegio che lo Spera aveva chiesto ed ottenuto la prescritta autorizzazione in data 20 marzo 1997. Tale autorizzazione era poi scaduta ed egli ne aveva chiesta una nuova, insieme a quella richiesta per l’altra cabina che, nel frattempo, aveva acquistato. Pertanto, la richiesta stessa dell’autorizzazione interrompeva la permanenza del reato in quanto, da quei momento, la Pubblica Amministrazione era stata posta in grado di esercitare la sua funzione di controllo.
5 - Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Napoli, deducendo, con un unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 279 in relazione all’art. 269 D.L.vo n. 152/2006. Erroneamente il Tribunale del Riesame, nell’annullare l’ordinanza del G.I.P. di Nola, aveva applicato la previgente normativa di cui all’art. 25 D.P.R. n. 203/1988, pur trattandosi di fatti commessi in epoca successiva all’abrogazione del citato D.P.R. Ora, il vigente dettato normativo non opera più alcuna distinzione tra impianti preesistenti e successivi all’entrata in vigore del suddetto Decreto e, soprattutto, non ripete la formulazione del vecchio art. 25 comma 1 D.P.R. n. 203/1988.
Pertanto, la mera presentazione della domanda da parte dell’interessato non interrompe la permanenza del reato e non fa venir meno le esigenze cautelari.
Chiedeva farsi luogo all’annullamento del provvedimento
6 - Il ricorso è fondato e va accolto.
Invero, il Collegio del Riesame, pur in presenza di una contestazione che richiama inequivocabilmente il vigente dettato normativo (trattandosi di reato con permanenza in corso alla data del 18 gennaio 2007, data in cui venne effettuato il sequestro preventivo della cabina di verniciatura ed essiccazione), ha inspiegabilmente fatto riferimento alla abrogata normativa, sul presupposto che lo Spera aveva chiesto ed ottenuto la prescritta autorizzazione in data 20 marzo 1997 (autorizzazione poi scaduta) e che tale richiesta aveva interrotto la permanenza del reato, facendo venir meno le esigenze cautelari.
L’assunto del Tribunale è, tuttavia, giuridicamente non corretto solo che si consideri che, nel caso in cui una successiva disposizione normativa preveda un fatto come reato permanente (nel vigore della disciplina attuale, la permanenza del reato di emissione non autorizzata viene meno solo con il cessare della condotta dell’agente ovvero con il rilascio della prescritta autorizzazione) e la condotta antigiuridica si protragga nel vigore della nuova legge, è quest’ultima che deve essere applicata per il principio della unitarietà del reato e per essersi la sua consumazione esaurita sotto l’impero della legge attualmente in vigore (cfr. Cass. Sez. 3, 3 novembre 1993 n. 11043).
Posto, dunque, che si appalesa del tutto errato il richiamo alla abrogata disciplina in tema di inquinamento atmosferico, due considerazioni si impongono:
1) il vigente dettato normativo non distingue più tra impianti preesistenti e successivi all’entrata in vigore del D.L.vo n. 152/2006 (con la relativa differenza tra l’art. 24 e 25 D.P.R. n. 203/1 988) e, soprattutto, non ripete più il dettato del vecchio art. 25 comma 1, che aveva dato luogo a quell’indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. Sez. 3, 12 novembre 2004 n. 4429, P.M. in proc. Casciana), che il Tribunale del Riesame ha fatto proprio, secondo cui la semplice presentazione della domanda di autorizzazione era idonea a determinare la cessazione della permanenza del reato, in quanto, da quel momento, la P.A. era messa in grado di esercitare la sua funzione di controllo, così soddisfacendo l’interesse penalmente tutelato.
2) La formulazione dell’art. 279 D.L.vo n. 152/2006 prevede distinte fattispecie di reato, che possono essere integrate dal fatto di “installare” o “esercitare” un impianto in assenza della prescritta autorizzazione, dal continuare l’esercizio dell’impianto o dell’attività con autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa, revocata, ovvero dal sottoporre un impianto a modifica sostanziale senza l’autorizzazione prevista dall’art. 269, comma 8.
A sua volta, l’art. 269, in tema di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, appunto al comma ottavo, prevede un ulteriore distinguo tra modifica “sostanziale” (quella che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse) e “non sostanziale”, ricollegando al verificarsi dell’una o dell’altra ipotesi effetti e sanzioni diverse sul piano penale.
In particolare, l’art. 269 comma 8 prevede che il gestore che intende sottoporre un impianto ad una modifica, che comporti una variazione di quanto indicato nel progetto, o nella relazione tecnica ovvero nell’autorizzazione, deve darne comunicazione alla autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presentare una domanda di aggiornamento. Se la modifica per cui è stata data comunicazione ò sostanziale. l’autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di aggiornamento dell’autorizzazione. Se, invece, la modifica non è sostanziale, l’autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l’autorizzazione in atto. Tuttavia, se la suddetta autorità non si esprime entro sessanta giorni, il gestore, in virtù del maturato silenzio-assenso, può procedere alla esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, salvo il potere dell’organo competente di provvedere anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla ricezione della denuncia.
Ciò premesso, l’ordinanza impugnata, pur in presenza di un capo di imputazione in cui è contestato il reato p. e p. dall’art. 279 comma 1 D. L.vo n. 152/2006 e richiamato (sia pur genericamente) l’art. 269, non ha minimamente chiarito, facendo erroneamente riferimento alla previgente disciplina di cui al D.P.R. n. 203/1988, quale, tra le fattispecie sopra evidenziate, possa configurarsi nel caso in oggetto e, nell’ipotesi di modifiche apportate all’impianto - come sembra di potersi percepire dal tenore del provvedimento impugnato - se queste abbiano determinato variazioni essenziali (qualitative e/o quantitative), trattandosi, in tal caso, di valutazioni fattuali che sfuggono al vaglio di legittimità.
7 - L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Napoli, per nuovo esame della fattispecie alla luce della normativa correttamente applicabile, come sopra precisata.