Cass. Sez. III n. 24559 del 20 giugno 2012 (Cc 18 apr.2012)
Pres. De Maio Est.Sarno Ric.Giovannini e altri
Urbanistica.Immobile danneggiato dalla realizzazione di un abuso edilizio
I proprietari dell'immobile danneggiato dalla realizzazione di un abuso edilizio, che abbiano ottenuto il risarcimento del danno in sede penale, non sono legittimati ad opporsi alla sospensione dell'ordine di demolizione del manufatto illecitamente edificato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 18/04/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - ORDINANZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 889
Dott. SARNO Giulio - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 36053/2011
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) GIOVANNINI FERNANDO N. IL 20/06/1935;
2) AQUILANTI ANNA N. IL 29/08/1943;
3) PERINELLI ROMEO N. IL 19/09/1951;
avverso l'ordinanza n. 1/2011 TRIB.SEZ.DIST. di MONTEFIASCONE, del 12/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
lette le conclusioni del PG: inammissibilità.
RITENUTO IN FATTO
1. Aquilanti Anna e Giovannini Fernando propongono ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in epigrafe con la quale il giudice del tribunale di Viterbo, in sede di esecuzione, accogliendo l'istanza avanzata da Perinelli Romeo, condannato in via definitiva per violazioni edilizie, ha confermato l'ordinanza di sospensione disposta del G.E. dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo. Il provvedimento di sospensione è motivato in ragione della circostanza che il comune aveva negato l'autorizzazione in sanatoria richiesta per il manufatto abusivo sul solo presupposto della insanabilità del manufatto stesso per la presenza di vincolo ambientale e che il Tar aveva invece annullato detto provvedimento ritenendo non competente il comune a pronunziarsi sulla insanabilità del vincolo, mentre la regione Lazio, ritenuta invece competente, non si era ancora pronunziata sul punto.
2. I due ricorrenti, parti civili nel procedimento penale in esito al quale era stata disposta la demolizione deducono in questa sede la violazione di legge rilevando che il giudice dell'esecuzione può procedere alla sospensione solo nel caso in cui verifichi l'esistenza di alta probabilità di emissione di un provvedimento incompatibile con l'ordine di demolizione nei tempi ragionevoli da parte dell'amministrazione pubblica e che non ricorrono tali condizioni nella specie trattandosi di opera assolutamente non condonabile e non avendo peraltro il responsabile dell'abuso nemmeno provveduto a ripristinare correttamente lo stato dei luoghi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto verificata la possibilità per il proprietario dell'immobile che si assume danneggiato dalla realizzazione di un abuso edilizio e che si sia visto riconoscere il diritto al risarcimento del danno in sede penale, ad impugnare in sede esecutiva il provvedimento con cui il G.E. ha disposto la sospensione dell'ordine di demolizione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 31. 3.1 Si impongono al riguardo alcune considerazioni di ordine generale.
L'art. 185 c.p., come noto, prevede che ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili.
La restituzione, come sottolineato dalla dottrina, va intesa come restitutio in integrum e, quindi, ben può in astratto ricomprendere anche la demolizione del manufatto abusivo.
La questione della demolizione, intesa come sanzione civile, è certamente complessa ed ha conosciuto soluzioni diverse in ragione della specificità delle situazioni e dei mutamenti normativi. Vale la pena al riguardo di ricordare, a titolo di esempio, come sia stata a lungo negata in giurisprudenza la possibilità di richiedere la demolizione per gli enti territoriali, essendosi ad un certo punto sostenuto - invero prima dell'entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, art. 7 cui hanno fatto seguito anche altre importanti decisioni delle SU in ordine alla sussistenza della giurisdizione dell'AGO - che il giudice, pur sussistendo la legittimazione del comune a costituirsi parte civile nel processo penale avente ad oggetto reati urbanistici per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale ad esso derivato anche nella veste di ente rappresentativo di interessi collettivi della comunità locale, non può disporre come misura risarcitoria in forma specifica la demolizione del manufatto abusivo o di parti del medesimo, posto che l'adozione di tale misura risulta devoluta esclusivamente alla autorità amministrativa ed il relativo procedimento e soggetto al controllo del giudice amministrativo (Sez. U, n. 5518 del 21/04/1979Rv. 142250) e, successivamente, invece, che in materia di costruzioni abusive realizzate sul demanio marittimo, la misura del ripristino dello stato dei luoghi mediante demolizione delle opere eseguite, non incompatibile, quanto alla sua esecuzione, col disposto dell'art. 54 c.n. (autotutela amministrativa), è legittimamente adottata dal giudice, in applicazione dell'art. 185 c.p. (restituzioni e risarcimento del danno) e art. 489 c.p.p., senza interferire nella sfera dei poteri riservati alla pubblica amministrazione, quando questa si sia avvalsa, per la tutela del bene demaniale, della facoltà attribuitale dall'art. 823 c.c. (condizione giuridica del Demanio pubblico) di esercitare l'Azione civile, in luogo del mezzo di autotutela amministrativa attivabile a norma dell'art. 54 c.n., così conseguendo, attraverso la pronunzia giudiziale, un equipollente effetto reintegrativo in Forma specifica del danno a norma dell'art. 2058 c.c. (Sez. 3, n. 3761 del 01/02/1985 Rv. 168813).
Diversa è la situazione per le associazioni ambientalistiche costituitesi parti civili nel procedimento penale per le quali il diritto di chiedere il ripristino dei luoghi si basa sul disposto della L. n. 349 del 1986, art. 18, comma 5 fatto salvo
dall'abrogazione dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318. 3.2 La peculiarietà delle problematiche impone dunque di circoscrivere in questa sede l'esame della questione in relazione alla fattispecie di diretta rilevanza.
Tralasciando i corretti rilievi del Procuratore Generale sulla violazione del principio di autosufficienza del ricorso, si deve al riguardo premettere che dall'esame della sentenza di questa Corte n. 3480 del 2009 che ha reso definitiva la sentenza contenente l'ordine di demolizione e le statuizioni civili in questione, il procedimento penale di cognizione risulta essersi concluso con la condanna in via definitiva di tal Perinelli per avere eseguito in totale difformità della concessione edilizia n. 10/01, la edificazione di un piano sottostrada, non previsto dagli elaborati progettuali;
nonché per avere realizzato gli interventi de quibus in zona sottoposta a vincolo ambientale, in difetto del nulla - osta dell'ente preposto alla tutela del vincolo.
I ricorrenti all'esito del procedimento penale si sono visti definitivamente riconoscere il diritto al risarcimento dei danni avendo questa Corte nella sentenza n. 3480 citata, rigettato il ricorso dell'imputato avverso le statuizioni in favore della parte civile sul rilievo che: "con le opere di sbancamento del terreno, eseguite dal prevenuto, per la posa delle fondamenta, sono state determinate delle crepe nel muro che divide le due proprietà e lesioni alle fondamenta dell'immobile di pertinenza di dette parti civili, per cui non è ravvisabile nel discorso giustificativo svolto la contestata illogicità o contraddittorietà motivazionale". Si deve ritenere pertanto acquisito, in assenza di diversi elementi da parte dei ricorrenti, che l'azione civile nel giudizio penale sia stata esercitata per i danni derivati dai lavori di sbancamento alla loro abitazione.
Ciò posto ritiene il Collegio che nel caso di specie non possa riconoscersi la legittimazione dei proprietari dell'immobile danneggiato ad opporsi alla sospensione dell'ordine di demolizione. Da quanto è possibile evincere dalla precedente decisione di questa Corte, si rileva che per l'imputato vi è stata condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili e che inoltre è stato anche disposto in sentenza l'ordine di demolizione ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31.
I ricorrenti hanno agito in sede esecutiva evidentemente ritenendo che l'ordine di demolizione citato abbia al contempo valenza di ordine di ripristino e, quindi, di sanzione civile ex art. 185 c.p.. Occorre dunque verificare anzitutto se ciò sia vero. 3.2.1 La risposta non può essere che negativa tenuto conto delle palesi difformità tra i due istituti.
Al riguardo occorre anzitutto ricordare che sotto il profilo civilistico in caso di costruzione realizzata in violazione di norme edilizie, al fine dell'accoglimento della domanda volta ad ottenere la riduzione ili ripristino dello stato dei luoghi, con conseguente demolizione del manufatto, non è sufficiente accertare l'illegittimità dello stesso, ma è necessario verificare che la disposizione edilizia violata abbia carattere integrativo delle norme poste dal codice civile a tutela dei diritti dei proprietari confinanti, atteso che, soltanto in presenza di tale condizione, l'art. 872 c.c., comma 2, consente, oltre che il risarcimento del danno, la rimozione in forma specifica degli effetti della violazione (Sez. 2, n. 15886 del 28/07/2005 Rv. 583410). Si pone come eccezione la violazione delle norme antisismiche che comporta, oltre all'obbligo di risarcimento del danno, il diritto alla riduzione in pristino non solo quando risultino violate norme integrative di quelle previste dall'art. 873 c.c. e ss., ma anche quando risulti il pericolo attuale di una lesione all'integrità materiale del bene (Sez. 2, n. 10325 del 21/04/2008 Rv. 602771), ma in tale ipotesi l'ordine di demolizione impartito in sede penale trova autonoma previsione e regolamentazione nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 98, comma 3.
3.2.2 La demolizione disposta ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 ha, invece, evidentemente ambito e finalità diverse.
Essa è diretta, infatti, a garantire l'osservanza dei doveri imposti dall'ordinamento ed a rimuovere repressivamente gli effetti conseguenti all'offesa arrecata all'interesse pubblico. Come rilevato dalla dottrina non è patrimonialmente satisfatoria e dunque non è finalizzata alla restaurazione di un diritto altrui ma si riconnette alla violazione di un dovere imposto ai cittadini. È sottratto alla regola del giudicato ed è revocabile in sede esecutiva. Si è puntualizzato, infatti, che il giudice dell'esecuzione ha l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facoltà di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l'emissione, entro breve tempo, di atti amministrativi incompatibili (Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010 Rv. 247791).
3.2.3 È da escludere, quindi, che la demolizione disposta ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 possa essere di per se stessa considerata quale misura risarcitoria in forma specifica. L'ordine di ripristino in favore della parte civile, anche in sede penale, infatti, per le ragioni indicate, non potrebbe mai prescindere dalla verifica degli specifici presupposti in precedenza indicati e necessariamente dovrebbe anche richiedere non solo una autonoma e specifica domanda supportata da un autonomo corredo probatorio ma anche una specifica valutazione sulla ricorrenza delle condizioni per l'applicabilità dell'ordine stesso.
Nè di tale valutazione vi è traccia in atti.
3.3 Occorre sottolineare poi un secondo aspetto, comunque dirimente. Nella specie vi è stata condanna al risarcimento in forma pecuniaria.
Non risulta se la parte civile abbia chiesto il risarcimento in forma specifica attraverso la demolizione dell'opera abusiva e se il giudice abbia inteso invece riconoscere il risarcimento per equivalente.
In ogni caso poiché la richiesta del proprietario dell'immobile danneggiato ha già trovato accoglimento seppure in forma di ristoro pecuniario, deve ritenersi per lo stesso comunque preclusa la possibilità di interloquire sulla demolizione in sede esecutiva in ragione della precedente costituzione di parte civile, in quanto la sua pretesa è già stata soddisfatta.
Eventuali ulteriori pretese non potranno pertanto più formare oggetto di valutazione in sede di esecuzione.
4. A mente dell'art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000 per ciascuno dei ricorrenti. P.Q.M.
Dichiara inammissibili il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000 ciascuno. Così deciso in Roma, il 18 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012