Cass.Sez. III n. 17066 del 15 aprile 2013 (Ud 4 feb 2013)
Pres.Gentile Est. Andreazza Ric. Volpe e altri
Urbanistica.Lottizzazione abusiva estinzione del reato e confisca

La confisca dei terreni può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato (nella specie, della prescrizione), purchè sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta legittima la confisca dei terreni nonostante la prescrizione del reato, all'esito dell'accertamento della rimproverabilità della condotta degli imputati e della illegittimità della concessione edilizia rilasciata in zona di inedificabilità assoluta).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GENTILE Mario - Presidente - del 04/02/2013
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 352
Dott. ANDREAZZA Gastone - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere - N. 14689/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VOLPE MARIA ROSARIA N. IL 01/08/1951;
PINTO VITO N. IL 04/11/1930;
PIETANZA ISABELLA N. IL 20/05/1940;
RUSSO ANGELA N. IL 03/04/1934;
RUSSO FRANCESCA N. IL 02/06/1935;
RUSSO ANTONIETTA N. IL 02/06/1939;
RUSSO CATERINA N. IL 13/10/1948;
MOLA FRANCESCO VINCE N. IL 06/10/1959;
DIBARI ANNINA N. IL 15/03/1936;
AMANTE GIUSEPPE N. IL 30/04/1944;
ROTONDI ROSALIA LILIANA N. IL 28/01/1929;
ROTONDI VANDA MARCELLA BICE N. IL 08/06/1943;
PARENTE NUNZIO ROCCO N. IL 25/03/1943;
papeo nicola N. IL 21/08/1960;
CAMPANILE ROSA N. IL 16/01/1926;
CAMPANILE ISABELLA N. IL 25/05/1923;
MARTINELLI FRANCESCO N. IL 26/10/1938;
GIUSTINO CECILIA ROSA N. IL 18/06/1945;
LOIACONO GIOVANNI N. IL 18/10/1954;
CORATELLA FRANCESCO N. IL 08/01/1938;
VALENTINI GIUSEPPE N. IL 14/03/1941;
VALENTINI PIERPAOLO N. IL 13/03/1970;
MINGOLLA ROSA MARIA N. IL 01/05/1944;
VALENTINI LEONARDO N. IL 06/02/1966;
D'ALESSANDRO VITO N. IL 19/10/1946;
contessa antonio N. IL 26/01/1943;
PESCE ANNITA N. IL 10/12/1943;
cocco carmine N. IL 01/08/1947;
DI DONNA ROSA N. IL 18/03/1950;
ROTONDI GIUSEPPE N. IL 21/06/1958;
RUGGIERO VITANTONIO N. IL 18/03/1961;
CAPUTO VITO N. IL 23/07/1930;
CAPUTO DOMENICO N. IL 21/02/1933;
CAPUTO GIUSEPPE N. IL 02/03/1937;
CAPUTO MARIA IMMACOLATA;
CAPUTO CATERINA N. IL 03/12/1940;
CAPUTO ANTONIO N. IL 01/11/1942;
CAPUTO GRAZIA N. IL 04/02/1949;
CHIARAPPA VITO N. IL 27/02/1933;
avverso la sentenza n. 203/2002 CORTE APPELLO di BARI, del 24/01/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GASTONE ANDREAZZA;
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni dell'Avv. dello Stato, A. Volpe per le parti civili costituite, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni:
dell'Avv. Medina, che si è riportato ai motivi;
dell'Avv. Di Modugno, che ha concluso per l'accoglimento;
dell'Avv. Starace, che ha concluso per l'accoglimento;
dell'Avv. Amato, che ha concluso per l'accoglimento;
dell'avv. Cristini, che ha concluso per l'accoglimento;
dell'Avv. Modesti, che ha concluso per l'accoglimento;
dell'Avv. Paccione, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
dell'Avv. Sisto, che ha concluso per l'accoglimento;
dell'Avv. Provaroni, che ha concluso per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21/09/1999 il Pretore di Bari dichiarava gli odierni ricorrenti, insieme ad altri, colpevoli dei seguenti reati, ad ognuno di essi contestati o in qualità di titolari delle concessioni e committenti, o in qualità di esecutori o in qualità di direttori dei lavori, o, residualmente, in qualità di subentranti nelle originarie concessioni, commessi, fino alla data del 1/2/96, con permanenza, in località Cozzetto del Comune di Mola di Bari:
a) L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 1, lett. a), artt. 1 ter e 1 sexies, L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), L. R. 11 maggio 1990, n. 30, art. 1, comma 2, lett. a) e ss., L. R. n. 56 del 1980, artt. 21-27, perché, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluto previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 ter e L. R. n. 30 del 1990, art. 1, comma 2, lett. a) e ss. e comunque senza aver preventivamente ottenuto il prescritto nullaosta paesistico dalla Giunta Regionale in deroga al vincolo di inedificabilità relativo di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1, lett. a), e violando la disciplina urbanistica prevista dalle indicate leggi in particolare per la mancanza di un piano di lottizzazione valido perché approvato in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluto e comunque senza il prescritto parere preventivo della Giunta Regionale previsto dalla L. R. n. 56 del 1980, artt. 21 e 27, nella qualità sopra indicata, realizzavano immobili siti in località Cozzetto nel Comune di Mola su terreno costiero posto nella fascia della profondità di trecento metri dalla linea di battigia;
b) L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 1, lett. a), artt. 1 ter e 1 sexies, L. R. 11 maggio 1990, n. 30, art. 1, comma 2, lett. a) e ss., L. R. n. 56 del 1980, artt. 21-27, perché, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluto previsto dal L. n. 431 del 1985, art. 1 ter e L. R. n. 30 del 1990, art. 1, comma 2, lett. a) e ss. e comunque senza aver preventivamente ottenuto il prescritto nullaosta paesistico dalla Giunta Regionale in deroga al vincolo di inedificabilità relativo di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1, lett. a) e violando la disciplina urbanistica prevista dalle indicate leggi in particolare per la mancanza di un piano di lottizzazione valido perché approvato in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluto e comunque senza il prescritto parere preventivo della Giunta Regionale previsto dal L. R. n. 56 del 1980, artt. 21 e 27, nella qualità sopra indicata, realizzavano, in terreno costiero posti nella fascia della profondità di trecento metri dalla linea di battigia, gli immobili di cui al capo precedente con concessione edilizia illegittima e comunque inefficace perché priva del nullaosta paesistico;
c) L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 1, lett. a), artt. 1 ter e 1 sexies, L. R. 11 maggio 1990, n. 30, art. 1, comma 2, lett. a) e ss., L. R. n. 56 del 1980, artt. 21-27, perché, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluto previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 ter e L. R. n. 30 del 1990, art. 1, comma 2, lett. a) e ss. e comunque senza aver preventivamente ottenuto il prescritto nullaosta paesistico dalla Giunta Regionale in deroga al vincolo di inedificabilità relativo di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1, lett. a) e violando la disciplina urbanistica prevista dalle indicate leggi in particolare per la mancanza di un piano di lottizzazione valido perché approvato in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluto e comunque senza il prescritto parere nella qualità sopra indicata, realizzavano, in terreno costiero posti nella fascia della profondità di trecento metri dalla linea di battigia, gli immobili sopra indicati in totale difformità e comunque in variazione essenziale rispetto a quanto assentito, costruendo in particolare gli immobili con una altezza superiore a quella consentita, con un consistente aumento di volume, e modificando la sagoma e il prospetto;
d) L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18 e art. 20, lett. c), L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 1, lett. a), artt. 1 ter e 1 sexies, L. R. 11 maggio 1990, n. 30, art. 1, comma 2, lett. a) e ss., L. R. n. 56 del 1980, artt. 21-27, perché, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluto previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 ter e L. R. n. 30 del 1990, art. 1, comma 2, lett. a) e ss. e pertanto in mancanza di un piano di lottizzazione valido perché approvato in zona sottoposta a vincolo di in edificabilità assoluto e comunque con provvedimento lottizzatorio approvato senza il prescritto parere preventivo della Giunta Regionale previsto dalla L. R. n. 56 del 1980, artt. 21 e 27, in deroga al vincolo di in edificabilità relativo di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1, lett. a), nella qualità sopra indicata realizzavano in terreno costiero posto nella fascia della profondità di trecento metri dalla linea di battigia gli immobili di cui ai capo precedente in tal modo operando una trasformazione urbanistica con autorizzazione invalida e comunque in violazione delle prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici e dalle leggi statali e regionali;
e) L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. a), modif. dal D.L. 23 aprile 1985, n. 146, art. 3, L. 17 agosto 1942, n. 1150 e succ. mod., L. R. 11 maggio 1990, n. 30, art. 1, comma 2, lett. a) e ss., L. R. n. 56 del 1980, artt. 21-27, perché, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluto previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 ter e L. R. n. 30 del 1990, art. 1, comma 2, lett. a) e ss. e comunque senza aver preventivamente ottenuto il prescritto nullaosta paesistico dalla Giunta Regionale in deroga al vincolo di inedificabilità relativo di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1, lett. a) e violando la disciplina urbanistica prevista dalle indicate leggi in particolare per la mancanza di un piano di lottizzazione valido perché approvato in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluto e comunque senza il prescritto parere preventivo della Giunta Regionale previsto dalla L. R. n. 56 del 1980, artt. 21 e 27, nella qualità sopra indicata, realizzavano, in terreno costiero posto nella fascia della profondità di trecento metri dalla linea di battigia, gli immobili predetti. f) art. 734 c.p., perché, mediante costruzione e demolizione di cui ai capi precedenti, distruggevano e alteravano le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'Autorità. 2. Con sentenza del 24/01/2011 la Corte d'Appello di Bari, in riforma della sentenza del Pretore ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Volpe Maria Rosaria, Porcelli Giuseppe, Ungaro Giuseppe, Pinto Vito, Porcelli Antonio, Troilo Stefano, Pietanza Isabella, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina, Patruno Luigi, Mola Franco Vince, Dibari Annina, Labbate Vito, Amante Giuseppe, Rotondi Vanda Marcella Bice, Parente Nunzio Rocco, Papeo Nicola, Campanile Rosa, Campanile Isabella, Tricase Antonio, Martinelli Francesco, Giustino Cecilia Rosa, Battista Pietro, Manna Luigi Ferdinando, Loiacono Giovanni, Chiarappa Nicola, Coratella Francesco, Dattolo Sabino, Valentini Giuseppe, Valentini Pierpaolo, Mingolla Rosa Maria, Valentini Leonardo, D'Alessandro Vito, Ciaccia Francesco, Contessa Antonio, Pesce Annita, De Florio Mauro, Cocco Carmine, Di Donna Rosa, Rotondi Giuseppe, Ruggiero Vitantonio, Caputo Vito, Caputo Domenico, Caputo Giuseppe, Caputo Caterina, Caputo Antonio, Caputo Grazia e Chiarappa Vito , per intervenuta prescrizione, nonché, nei confronti di Caputo Maria Immacolata e Rotondi Rosalia Liliana, per intervenuta morte, relativamente a tutti i reati contestati.
La Corte ha confermato nel resto la sentenza di primo grado che aveva disposto anche, tra le altre statuizioni, la demolizione degli immobili in sequestro, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati oltre che il risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, Ministero per l'Ambiente e Ministero per i beni e le attività culturali.
Va aggiunto che nel corso del giudizio la Corte sollevava questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), in riferimento all'art. 3 Cost. e art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 1, "nella parte in cui impone al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti". Tale questione veniva però dichiarata inammissibile dalla Corte cost. con sentenza n. 239 del 2009.
2.1. La sentenza della Corte ha premesso che gli interventi contestati vennero realizzati in località Cozzetto del Comune di Mola lungo la fascia costiera ed entro i 300 metri dalla linea di battigia; più precisamente in zona omogenea C del piano regolatore generale; all'interno di questa, poi, il piano regolatore aveva individuato la maglia urbanistica C3, trattandosi di un complesso edilizio delimitato da strade; a sua volta quest'ultima era poi stata suddivisa in maglie di intervento C3, C31 e C21 con delibere del consiglio comunale nella vigenza del primo Ppa. A ciò avevano quindi fatto seguito le adozioni dei piani di lottizzazione relativi a tali maglie: il piano di lottizzazione della maglia C31 era stato approvato con Delib. Consiglio Comunale 15 aprile 1992, n. 34, venendo successivamente rilasciate otto concessioni edilizie; il piano di lottizzazione della maglia C3 era stato approvato con Delib. Consiglio Comunale 15 aprile 1992, n. 29 (l'intervento edilizio era peraltro stato subordinato dal Comune ad un piano di sistemazione dell'area da approvarsi con le stesse modalità del piano di lottizzazione), venendo successivamente rilasciate undici concessioni edilizie; il piano di lottizzazione della maglia C21 era stato approvato con Delib. Consiglio Comunale 15 aprile 1992, n. 30 (anche in tal caso l'intervento era stato subordinato dal Comune ad un piano di sistemazione dell'area da approvarsi con le stesse modalità del piano di lottizzazione), venendo successivamente rilasciate quattro concessioni edilizie.
Ha aggiunto che con nota del 23/12/93 il Settore urbanistico dell'assessorato regionale, richiesto dal Comune di Mola del parere sulle predette lottizzazioni, aveva precisato che tale parere doveva essere acquisito in maniera obbligatoria e vincolante preventivamente e non poteva essere espresso su piani urbanistici definitivamente approvati, evidenziando in particolare che la zona in questione, compresa nella fascia dei 300 metri dal demanio marittimo, non rientrava comunque nell'ambito di deroga al regime vincolistico previsto dalla Legge "Galasso"; con Delib. 4 gennaio 1994, n. 7, il Comune di Mola deliberava: 1) di prendere atto dell'inesistenza di alcuna limitazione vincolistica, già introdotta con la L.R. n. 30 del 1990 e, procedendo alla ricognizione dei piani di lottizzazione le cui aree erano escluse da ogni modificazione dell'assetto del territorio e da ogni opera edilizia, di disporre per l'edificabilità anche in dette aree inserite nella fascia dei 300 metri dal confine del demanio marittimo in applicazione della L. R. n. 14 del 1993; 2) di specificare che relativamente a tale fascia restavano comunque valide le prescrizioni imposte dalla L. n. 431 del 1985 e che in particolare il vincolo paesaggistico di cui alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, non doveva applicarsi alle zone C delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione; 3) di considerare di fatto annullato il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia per le lottizzazioni - comparto già adottate o approvate così come in premessa elencate in quanto ai sensi della L. n. 431 del 1985, art. 1 le aree relative risultavano tipizzate zone C di espansione ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e ricomprese nel piani pluriennali di attuazione.
Ha sottolineato che con parere negativo del 15/05/1997 il CUR, su istanza in sanatoria del Comune di Mola, a seguito delle lottizzazioni approvate e delle concessioni edilizie rilasciate, aveva assunto che i piani di lottizzazioni erano stati approvati "in assenza del parere preventivo, obbligatorio e vincolante del CUR, non richiesto nonostante il vincolo paesaggistico imposto dalla L. n. 431 del 1985, sulle aree costiere, e disattendendo altresì il vincolo di inedificabilità assoluta seppure transitorio imposto sulle stesse aree costiere dalla L.R. n. 30 del 1990" concludendo pertanto per la "illegittimità per contrasto con la L. n. 431 del 1985, che assoggetta al vincolo paesaggistico le aree interessate"; tale parere negativo del CUR, impugnato presso il giudice amministrativo, era poi stato ritenuto legittimo con provvedimento n. 223/98 del TAR Puglia - sez. Bari (che è in atti).
A fronte di tale quadro fattuale, il Pretore aveva quindi ritenuto che la lottizzazione fosse abusiva versandosi in fattispecie di zona costiera autonomamente sottoposta a duplice vincolo d'inedificabilità, rispettivamente paesaggistico - ambientale, alla stregua della legge statale, e urbanistico alla stregua della legge regionale. In particolare, quanto alla violazione dei vincolo paesaggistico, il primo giudice aveva considerato che la zona oggetto di trasformazione si trovava nella fascia dei trecento metri dalla battigia del mare; la stessa era delimitata correttamente dal PRG del Comune di Mola di Bari come zona omogenea C; al momento dell'approvazione della Legge Galasso non vigeva un PPA; non erano stati richiesti e comunque ottenuti i nullaosta paesistici dalla Regione Puglia.
Quanto alla violazione del vincolo urbanistico, alla data del 6.6.1990 il piano di lottizzazione relativo alla maglia C31 non era stato regolarmente e formalmente presentato (la prima richiesta del 10.7.89 fu ritenuta inidonea e ripresentata validamente in data 23.5.91); al momento dell'approvazione delle lottizzazioni (25/27.5.1992) le aree interessate non risultavano incluse in un PPA approvato.
2.2. Ciò posto, la Corte ha disatteso i vari motivi di appello presentati e volti a contestare, essenzialmente, la ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo (per il fatto, essenzialmente, che si verserebbe in area che, benché qualificata dal Prg. come zona C, sarebbe, secondo la definizione normativa in collegamento con le effettive caratteristiche di essa, qualificabile come zona B, come tale sottratta alla disciplina vincolistica per espressa disposizione di legge) e soggettivo dei reati addebitati (per il fatto, essenzialmente, che non sarebbe ravvisabile colpa negli imputati stante la presenza di piani di lottizzazione, di concessioni edilizie legittimamente rilasciate, di Delib. Giunta Comunale n. 7 del 1994, con cui si era disposto per l'edificabilità anche nelle aree inserite nella fascia dei 300 metri e, infine, di materia di complessa e non facile interpretazione, fattuale e in diritto);
tuttavia, in considerazione della intervenuta prescrizione per tutti e dell'intervenuta morte di due ricorrenti (Rotondi Rosalia Liliana e Caputo Maria Immacolata), ha dichiarato l'estinzione dei reati; ha confermato poi la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e la demolizione degli edifici.
3. Hanno proposto ricorso per cassazione Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina, Di Bari Annina, Chiarappa Vito, Rotondi Vanda Marcella Bice, Rotondi Rosalia Liliana, Rotondi Giuseppe, Ruggiero Vitantonio, Cocco Carmine, Di Donna Rosa, Campanile Rosa, Campanile Isabella, Papeo Nicola, D'Alessandro Vito, Loiacono Giovanni, Coratella Francesco, Amante Giuseppe, Parente Nunzio Rocco, Vito Pinto, Volpe Maria Rosaria, Pietanza Isabella, Caputo Domenico, Caputo Vito, Caputo Giuseppe, Caputo Maria Immacolata, Caputo Caterina, Caputo Antonio, Caputo Grazia, Martinelli Francesco, Giustino Cecilia Rosa, Contessa Antonio, Pesce Anita, Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo .
4. Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina articolano con il ricorso presentato un primo motivo di violazione della legge penale. Deducono che la convenzione di lottizzazione in oggetto venne stipulata nel 1993, allorquando era ancora prevalente la giurisprudenza della Cassazione secondo cui doveva escludersi il carattere abusivo della lottizzazione quando le autorità competenti avessero rilasciato i richiesti permessi; di qui, dovendo seguirsi i dettami di necessaria prevedibilità della legge penale sanciti dalla Corte edu con la sentenza del 20/01/2009 Sud Fondi srl ed altri c/ Italia, la non punibilità del fatto.
Con un secondo motivo lamentano mancanza e manifesta illogicità della motivazione avendo la Corte territoriale omesso di considerare l'affidamento ingenerato negli imputati dal Comune di Mola di Bari con la Delib. Giunta Comunale n. 7 del 1994 con cui si era disposto per l'edificabilità anche nelle aree inserite nella fascia dei 300 metri dal confine del demanio marittimo in applicazione della L. R. n. 14 del 1993, e si era tra l'altro considerato di fatto annullato il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché di qualsiasi opera edilizia per le lottizzazioni - comparto già adottate ed approvate. La rilevanza in termini di affidamento di una tale Delib. sarebbe del resto stata confermata, oltre che dalla richiesta assolutoria del P.G., anche dalle conclusioni dello stesso perito d'ufficio, che nella sua relazione ha concluso per l'assenza nella specie di un vincolo paesaggistico. Di qui la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità della sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988.
Con un terzo motivo lamentano la violazione dell'art. 42 c.p., essendo mancata, per le ragioni appena espresse, la coscienza e volontà dell'azione, requisito, questo, coinvolgente anche le fattispecie colpose come la contravvenzione in oggetto. Con un quarto motivo lamentano la violazione della L. n. 431 del 1985, art. 1, comma 6, ove si specificava che il vincolo paesaggistico non si applicava alle zone A e B come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, ovvero in presenza di territori edificati o parzialmente edificati così qualificati direttamente dalla legge (ovvero, appunto, il D.M. richiamato). Ed in proposito la perizia disposta d'ufficio aveva per l'appunto accertato che la zona C3 dello strumento urbanistico generale di Mola di Bari era parzialmente edificata e, dunque, esclusa dal vincolo della Legge Galasso sin dall'adozione nel 1980 dello strumento urbanistico generale. Nè era condivisibile l'assunto della sentenza impugnata in ordine alla necessaria intermediazione provvedimentale che vincolerebbe l'interprete alla qualificazione giuridica impressa dall'amministrazione comunale in sede di redazione del p.r.g. posto che il termine "delimitate" anziché "tipizzate" usato dalla legge imporrebbe di verificare se ai sensi del citato D.M. sussistano le condizioni che rendono quell'area come recessiva o meno rispetto al vincolo.
Con un quinto motivo deducono la violazione del combinato disposto della L. n. 431 del 1985, art. 1, comma 2, (D.P.R. n. 616 del 1977, art. 82, comma 6) e D.Lgs. n. 312 del 1985, art. 1, comma 1 e D.M. 21 settembre 1984, commi 1 e 2, nonché difetto di motivazione. Rilevano infatti, in via subordinata, che anche a volere opinare diversamente, l'art. 82, comma 6, cit. ha escluso dal vincolo anche tutte le altre zone, diverse da quelle A e B, delimitate negli strumenti urbanistici ... limitatamente alle parti ricomprese nei P.P.A.; di qui la considerazione che anche l'inserimento di aree di un piano regolatore generale in un P.P.A. approvato successivamente all'entrata in vigore della Legge Galasso integri condizione sufficiente ad esonerare queste ultime dal vincolo, non potendosi dunque condividere la contraria giurisprudenza formatasi sul punto.
Con un sesto motivo deducono la violazione della L. R. n. 30 del 1990 e successive modifiche avendo la Corte territoriale errato nel ritenere le aree in questione soggette a detta normativa; infatti la L. cit., art. 2. esclude dal vincolo le zone B e, quand'anche le zone fossero C, consente nella zona C la realizzazione degli interventi edilizi previsti in strumenti urbanistici presentati il 06/06/1990 a condizione che le aree risultino incluse in P.P.A. approvati alla stessa data. Nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, e a quanto erroneamente riportato nella Delib. di adozione del P.d.l., il P.P.A. di Mola di Bari è stato approvato nel 1987 e la lottizzazione presentata sin dal 1977 nella specie, alla data del 06/06/90.
Con un settimo motivo denunciano violazione della L. n. 47 del 1985, artt. 18 e 19 e dell'art. 42 c.p., comma 4, laddove la sentenza ha ritenuto la integrazione del reato di lottizzazione abusiva pur in presenza di autorizzazione comunale quando la stessa sia stata rilasciata in violazione delle prescrizioni dello strumento urbanistico generale ovvero in violazione delle norme edilizie (nella specie il Comune di Mola non avrebbe infatti richiesto il parere del C.U.R. quale adempimento dovuto L. R. n. 56 del 1980, ex artt. 21 e 27). Infatti, poiché le aree in oggetto non erano soggette a vincolo, il Comune non era tenuto a richiedere il parere del C.U.R.;
ed in ogni caso tale omissione non sarebbe addebitabile agli imputati ma esclusivamente al comune di Mola di Bari. Aggiungono che comunque l'omessa acquisizione del parere non integrerebbe violazione delle norme urbanistiche sostanziali che disciplinano la trasformazione urbanistica dei terreni ex art. 18 cit., essendo la lottizzazione conforme sia allo strumento urbanistico generale che alla normativa urbanistica ed edilizia vigente.
Con un ultimo motivo, infine, si dolgono della erronea applicazione dell'art. 240 c.p., e dell'art. 6, comma 2, Cedu e art. 27 Cost., comma 2, rilevando che essendo, come affermato dalla Cedu con la sentenza del 20/01/2009, la confisca pena accessoria e non sanzione amministrativa, la stessa non può continuare ad operare in presenza di proscioglimento per prescrizione.
5. Chiarappa Vito deduce con un primo motivo violazione di legge in ordine alla insussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato; con riguardo al primo, premesso che la Corte territoriale avrebbe ritenuto che sull'area interessata gravasse un vincolo paesaggistico di inedificabilità relativa L. n. 431 del 1985, ex art. 1, lett. a) e che tale vincolo si era poi trasformato in vincolo di in edificabilità assoluta all'entrata in vigore della L. R. n. 30 del 1990, osserva che il perito nominato ha accertato come l'area interessata ricadesse già prima della Legge Galasso in zona B di completamento come tale sottratta, L. n. 431 del 1985, ex art. 1, comma 2, alla disciplina vincolistica con conseguente inapplicabilità della L. R. cit., art. 1. Inoltre l'assenza di un vincolo anche solo relativo avrebbe reso inapplicabile sia la previsione di cui alla L. R. n. 56 del 1980, artt. 21 e 27 (sottoposizione al parere del C.U.R. del piano di lottizzazione) sia la statuizione di cui alla L. n. 1497 del 1939, art. 7 (rilascio di nulla osta paesaggistico) ed inoltre reso inconfigurabile il reato ex art. 734 c.p.. Lamenta quindi che prima il Pretore e poi la Corte abbiano disatteso in modo acritico le argomentate conclusioni peritali anche con particolare riferimento alla sufficienza di uno solo dei requisiti richiesti dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, al fine di qualificare un'area come parzialmente edificata. Sotto il profilo dell'insussistenza dell'elemento soggettivo dei reati contestati, deduce poi che, secondo Sez. Un. del 03/02/1990, le contravvenzioni contestate avrebbero natura dolosa e che, comunque, sarebbero necessarie nel soggetto agente la previsione e volontà dell'evento nella specie mancanti per l'affidamento posto sugli atti amministrativi adottati dalle competenti autorità e per il quadro normativo di estrema complessità.
Con un secondo motivo lamenta la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 3 e dell'art. 240 c.p., art. 7 Cedu e art. 25 Cost., essendo stata disposta la confisca, avente natura di sanzione penale per come definita dalla giurisprudenza della Cedu, nonostante la assenza di una pronuncia di condanna e l'intervenuto affidamento su atti amministrativi validi ed efficaci.
Con un terzo motivo denuncia violazione della L. n. 47 del 1985, art. 7 e L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, giacché la sentenza di intervenuta estinzione avrebbe dovuto inibire la conferma dell'ordine di demolizione.
6. Rotondi Vanda Marcella Bice, in proprio ed in qualità di erede di Rotondi Rosalia Liliana, deduce con un primo motivo mancanza di motivazione in ordine alla loro veste di acquirenti in buona fede, non avendo la Corte argomentato alcunché sul punto (di fatto non v'è menzione della posizione di Vanda Marcelli Bice, erroneamente menzionata, tra l'altro, come esecutrice dei lavori, mentre ella è stata acquirente di una casa, mentre Rosalia Liliana è stata citata solo perché deceduta) e con altri tre successivi motivi violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alle richieste di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e mancata assunzione di prova decisiva (si chiedeva l'acquisizione della Delib. C.C. di Mola di Bari 15 luglio 2003, n. 25, da cui emergeva la natura di "territorio costruito" dell'area nonché dell'intera documentazione riguardante il condono edilizio, posto che dalla stessa sarebbe emersa la inesistenza di ogni vincolo di in edificabilità e comunque l'assoluta inesistenza dell'elemento psicologico in capo alle imputate).
Con un quinto motivo lamenta manifesta illogicità della motivazione con riguardo all'interpretazione delle risultanze processuali e alla risposta alle deduzioni delle parti.
Con un sesto e settimo motivo lamenta violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all'elemento psicologico previsto dalle fattispecie incriminatrici mentre con un ottavo e nono lamentano violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione con riguardo al concorso di persone nelle contestate contravvenzioni. Premette nuovamente che il Comune di Mola, acclarata la natura di lotti interclusi dei suoli liberi ricadenti nella maglia C 3 di PPA già urbanizzata, ha emancipato tali lotti dall'obbligo di Piano di lottizzazione prevedendo il rilascio della concessione edilizia singola poi rilasciata all'esito dell'approvazione di un "mero piano di sistemazione" e ha poi confermato il proprio operato con la già citata Delib. del 2003. Al contrario la Corte territoriale è giunta a conclusioni di segno opposto disattendendo tali dati nonché le risultanze processuali rappresentate dall'esame dei testi e degli imputati di reato connesso nonché dagli accertamenti dei tecnici (tutti Intesi, tranne il c.t. del P.M., a riconoscere la natura di tessuto edificato della maglia C3 e ad escludere l'esistenza di vincoli) e dal contenuto della documentazione delle parti. Ha così affermato, richiamando precedenti non pertinenti e non valutando neppure la qualità delle ricorrenti di mere acquirenti, la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. In definitiva, la Corte non avrebbe valutato che l'acquisto di un immobile regolarmente assentito non appare fatto previsto dalla legge come reato, mentre, assumendo la violazione del dovere di informazione, dimentica la complessità dell'indagine mirata eseguita nel processo da "esperti del settore" che ha costretto il giudice di primo grado a ricorrere al perito. In particolare, con l'ottavo e nono motivo, lamenta che la Corte non ha considerato che il proprietario privo delle qualifiche specificate dalla legge può essere ritenuto responsabile del reato edilizio purché risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione, da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente una semplice connivenza. Evidenzia infine che mentre nei confronti degli amministratori che hanno curato il procedimento a cui è seguito il rilascio della concessione,è stato pronunciato decreto di archiviazione, l'acquirente in buona fede è invece stata ritenuta responsabile. Successivamente, in vista dell'odierna udienza, Rotondi Vanda Marcella Bice ha presentato motivi nuovi con cui deduce il fatto sopravvenuto della attestazione (di cui chiede l'acquisizione) da parte del Comune dello stato di urbanizzazione della maglia urbanistica C3, e propone eccezione di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nella parte in cui consente al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusive anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti per contrasto con gli artt. 3, 25, 27, 97, 111 e 117 Cost., ribadendo che la stessa è stata mera acquirente, e non titolare di concessione, o committente o costruttore o direttore dei lavori, come invece ritenuto dalla Corte territoriale e il fatto che il Comune non abbia inviato al CUR il piano di lottizzazione in quanto non ha ritenuto gli immobili soggetti a tutela.
7. Rotondi Giuseppe, Ruggiero Vitantonio, cocco carmine e Di Donna Rosa lamentano, con un primo motivo, violazione di legge e contraddittorietà della motivazione; premettono che il piano di lottizzazione in cui ricade la proprietà dei coniugi cocco - Didonna è conforme alle previsioni del piano regolatore generale, approvato con Delib. Consiglio comunale 2 aprile 1985, nonché al PPA approvato con Delib. consiliare in data 14/07/87 ed adottato dall'Amministrazione con Delib. Consiglio comunale 7 ottobre 1991 e definitivamente approvato con Delib. 15 aprile 1982. I proprietari dei lotti ricadenti nella suddetta maglia di lottizzazione C21, stipulavano atto di convenzione con il Comune di Mola di Bari, il 05/01/93, con atto notarile della Dott.ssa Daniela Auricchio, Notaio in Turi, rep. n. 6669/1849 e registrato in Gioia del Colle il 18/01/93 al n,221, con il quale le ditte lottizzanti si impegnavano a trasferire a titolo gratuito all'Amministrazione Comunale le aree necessarie per la realizzazione delle urbanizzazioni primarie e secondarie e per gli standards urbanistici, nonché alla cessione delle aree per l'edilizia residenziale pubblica. L'Amministrazione Comunale concedeva l'autorizzazione a lottizzare a scopo edilizio, subordinando l'edificazione dei volumi ai rilascio delle preventive concessioni edilizie, ponendo quale termine ultimo ai proprietari dei singoli lotti di richiedere concessione edilizia entro 12 mesi dalla stipula della suddetta convenzione ai sensi dell'art. 10 della stessa. Censurano dunque che la sentenza impugnata non abbia considerato il ginepraio di norme amministrative sovrapposte che assicurava ai fruitori della nuova edificazione, anche se dotati di particolari conoscenze, la sussistenza di un regime di legalità nonché lo stato di inconsapevolezza derivante dalla già intervenuta parziale edificazione della maglia.
Con un secondo motivo lamentano la omessa motivazione in ordine alle singole posizioni individuali posto che l'edificio realizzato sarebbe perfettamente legittimo in quanto non ricadente nella fascia dei 300 metri (con riguardo alla lottizzazione della maglia C 21, a differenza della C3 e C31, nessun provvedimento di sequestro è stato mai eseguito e l'amministrazione comunale si era riservata di procedere, in mancanza di richiesta di concessione edilizia, all'applicazione dell'art. 7 della convenzione che prevede la procedura di esproprio delle aree, come previsto dalla L. R. n. 6 del 1979, art. 15). Nella specie, sulla base di quanto stipulato nella suddetta convenzione, i Sigg. cocco - Didonna avevano presentato istanza con allegato progetto architettonico a firma dell'Ing. Rotondi Giuseppe per la realizzazione di un edificio per civile abitazione individuato al posto B 18 del piano di lottizzazione, e facente parte del medesimo piano di lottizzazione C21 e realizzato in un lotto, a monte, in contiguità con la stecca di edifici compresi nel piano di lottizzazione C21 e, sul lato mare, confinante con il lotto dell'edificio unifamiliare di proprietà del Sig. Berardi Sante.
Di qui la perfetta buona fede sia del progettista che del direttore dei lavori, nonché dei proprietari, indotti in errore dal progettista della lottizzazione Ingegner Lentini. Nessuna valutazione in proposito ha tuttavia effettuato la sentenza impugnata.
Con un terzo motivo invoca la contraddittorietà tra motivazione della sentenza in punto di legittimità della confisca anche in presenza di estinzione del reato e motivazione dell'ordinanza con cui la Corte costituzionale è stata investita dalla stessa Corte della questione relativa alla natura della confisca anche a seguito di intervenuta prescrizione.
Con un quarto motivo si dolgono del fatto che la Corte abbia escluso di potere fare applicazione nel caso di specie della sentenza della Cedu sul caso di "Punta Perotti" posto che in tale seconda situazione vi era stata pronuncia assolutoria già in primo grado. Con un ultimo motivo si duole infine del fatto che la confisca sia stata operata pur in assenza di alcun tipo di sequestro. 8. Campanile Rosa, Campanile Isabella, papeo nicola e D'Alessandro Vito, già proprietari di suolo edificatorio rientrante nella zona C. 3, lamentano con un primo motivo la violazione di legge per essere stati gli interventi edilizi realizzati in conformità agli strumenti urbanistici vigenti ed in forza di valida concessione edilizia rilasciata dopo l'approvazione del "piano di sistemazione" non assimilabile al "piano di lottizzazione" giacché "tessuto edificato" in quanto già integralmente urbanizzato.
Dopo avere premesso che la zona ove sono allocate le proprietà è da considerare zona B (come accertato dalla perizia disposta dal Pretore), pur tipizzata nel P.R.G. come zona C, e che il parametro della densità territoriale quale indice di parziale edificazione di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, sarebbe richiesto unicamente per le zone da inserire in maglie da creare e non anche con riferimento alle situazioni di fatto già esistenti nel rispetto della norma regionale, censurano sotto un primo profilo, sulla base di elementi letterali e sistematici, che la Corte territoriale abbia ritenuta necessaria la presenza anche di tale secondo parametro in aggiunta al primo della superficie; precisano quindi che, attesa la qualifica di zona B), sull'area in questione non gravava alcun vincolo sicché la lottizzazione poteva essere legittimamente accordata, senza sottoposizione al parere del CUR, e la edificazione poteva effettuarsi.
Sotto un secondo profilo lamentano come il giudice di primo grado e il giudice di appello abbiano trascurato circostanze la cui valutazione avrebbe comportato una diversa soluzione della vicenda, e, segnatamente: la relazione del P.r.g. da cui emergeva che la zona C3 concerneva una maglia pressoché totalmente edificata con conseguente semplice rilascio di concessione edilizia singola; la relazione del PPA da cui si evinceva la non necessità di un piano di lottizzazione da non confondere con il piano di sistemazione; la relazione del dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune da cui si evinceva la presenza di urbanizzazioni; la scheda urbanistica del 19/10/1993, ove non risultava barrata la casella relativa alla sussistenza del vincolo paesaggistico.
Con un terzo profilo deducono che, anche ove si ritenesse la maglia in esame C. 3 come zona C ricorrenti avrebbero comunque agito nel rispetto della normativa giacché la legge regionale stabilisce che gli interventi previsti dagli strumenti urbanistici e relativi ai tessuti edificati posti nelle zone omogenee di tipo A, B, C, D e miste e dotate di urbanizzazioni primarie non sono subordinati alla inclusione delle relative aree nel PPA. Ribadiscono quindi la non necessità di un piano di lottizzazione ma la mera sufficienza, come del resto ritenuta dal Comune di Mola, di un piano di sistemazione anche tenuto conto della evidente diversità di caratteristiche tra zona C. 3 e zona C. 3.1. non tenuta presente dalla sentenza impugnata.
Sotto un quarto aspetto qualificano come legittimo il proprio operato in base all'ulteriore considerazione che il Comune di Mola si è dotato di un PPA prima del 06/06/90 e che i p.d.l. sono stati presentati prima di tale data; inoltre evidenziano che il CUR, cui il Comune di Mola aveva trasmesso i piani esecutivi per il parere preventivo, aveva declinato la propria competenza sulla base della considerazione che nella specie le strumentazioni attuative risultavano già tutte regolarmente approvate in via definitiva senza operare alcuna segnalazione alla Giunta regionale per l'annullamento L. R. n. 56 del 1980, ex art. 50.
Con un secondo motivo lamentano la violazione dell'art. 5 c.p., per assenza di colpa e dolo. Deducono che nella specie si versa in una situazione di interferenza di legislazione regionale con legislazione statale che ha prodotto contrasti giurisprudenziali per la sua oscurità ed invocano gli elementi in senso favorevole rappresentati dall'assenza di indicazione di vincolo sulla scheda urbanistica e dall'operato del Comune di Mola che ha richiesto un piano di sistemazione cui ha fatto seguito l'immediata edificazione del lotto intercluso.
Con un terzo motivo si dolgono che la valutazione di corrispondenza degli interventi edilizi con le autorizzazioni rilasciate non sia stata effettuata a situazione di edificazione definita e non, invece, ancora in corso.
Con un quarto motivo si dolgono, deducendo vizio di motivazione e violazione di legge, della applicata confisca anche in caso di estinzione del reato per prescrizione e richiamano sul punto, oltre ai lavori parlamentari relativi alla L. n. 47 del 1985, art. 19, la giurisprudenza della Cedu che ha ritenuto detta confisca una vera e propria sanzione penale.
Con un ultimo motivo lamentano la omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale a fronte dei contrasti emersi tra le varie consulenze effettuate in giudizio. Campanile Rosa, Campanile Isabella, papeo nicola e
D'Alessandro Vito hanno successivamente presentato in vista della odierna udienza motivi aggiunti con cui ribadiscono la conformità degli interventi edilizi agli strumenti urbanistici vigenti e realizzati in forza di valida ed efficace concessione edilizia rilasciata dopo l'approvazione del piano di sistemazione non assimilabile al piano di lottizzazione; ribadiscono altresì che la maglia interessata risulta avere tutti i requisiti della zona B, pur essendo tipizzata come zona C, dovendo essere considerata "parzialmente edificata" sia ex D.M. n. 1444 del 1968, sia in base alla legge regionale: Evidenziano che tale assunto è stato confermato dalla dichiarazione in data 13/11/2012 del Comune di Mola di Bari ove si attesta l'intervenuta esecuzione di numerose opera di urbanizzazione.
9. Loiacono Giovanni deduce con un primo motivo la violazione di legge statale e regionale nonché vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati ascritti. Premette anzitutto che, sulla base della nota del settore urbanistico regionale n. 4418 del 29/09/81, di restituzione all'ente locale del progetto lottizzatorio, proprio il soggetto amministrativo portatore dell'interesse pubblico asseritamente leso non aveva rilevato alcun profilo di violazione paesaggistica ostativa all'approvazione del piano. Censura poi la sentenza laddove la stessa ha ritenuto la maglia di Prg C3 sottoposta a vincolo della Legge "Galasso" nonostante la stessa, sin dall'adozione dello strumento urbanistico generale, avesse connotazione di zona B parzialmente edificata D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 2, lett. b); in ogni caso, tale zona, quand'anche diversa dalla zona B, in quanto inserita nel PPA approvato nel 1987, era non soggetta al vincolo alla data di approvazione dei piani di lottizzazione e di rilascio delle concessioni; infine, ancora, tale zona, ai sensi della L. R. n. 6 del 1985, art. 3, non sarebbe subordinata alla inclusione nel PPA con conseguente esclusione dal vincolo. Censura quindi le conclusioni in ordine alla connotazione fisico - giuridica della zona cui la Corte è pervenuta in difformità dal parere del perito (che ha collocato l'area In zona B esclusa dunque dal vincolo), in particolare dolendosi della ritenuta necessità di entrambi i parametri richiesti dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, al fine di qualificare una zona come parzialmente edificata; contesta sul punto sia il profilo letterale che logico della interpretazione adottata che condurrebbe, quanto al secondo profilo, alla pratica e concreta irrealizzabilità della norma (le condizioni sarebbero avverate solo con una densità da centro cittadino) e richiama a conforto norme della Regione Puglia nonché la circolare 04/05/72 della stessa Regione. Deduce poi l'intervenuta abrogazione dell'art. 1, comma 6 della Legge Galasso da parte della L. n. 490 del 1999, e l'inapplicabilità di tale ultima normativa ai comportamenti del Comune di Mola assunti precedentemente alla sua entrata in vigore. Si duole poi che la sentenza insista erroneamente nel ritenere il primo PPA del Comune di Mola adottato solo nel 1997 e non invece nel 1987 sicché le aree interessate dalla lottizzazione dovevano ritenersi escluse dal vincolo per il solo fatto di essere inserite in un PPA approvato prima del 06/06/1990. Con un secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 42 e 43 c.p. e art. 192 c.p.p., quanto all'elemento soggettivo del reato di lottizzazione per avere la Corte ritenuto il reato, nonostante la richiesta ed ottenimento dall'amministrazione comunale dell'autorizzazione a lottizzare, stante la mancata acquisizione, dovuta, del parere del CUR. Si censura in particolare la mancata considerazione di tale omissione come imputabile unicamente al Comune di Mola di Bari e non ai ricorrenti tanto più non potendo questi ultimi intervenire nelle fasi endoprocedimentali quali atti meramente interni rispetto all'adozione del provvedimento finale. Ciò tanto più essendo tale omissione una mera irregolarità inidonea ad integrare violazione delle norme urbanistiche sostanziali disciplinanti la trasformazione urbanistica dei terreni L. n. 47 del 1985, ex art. 13. Quanto alle difformità rispetto alle concessioni, ribadisce come lo stesso c.t. dell'accusa abbia escluso, per l'edificio 1^, qualsivoglia violazione.
Con un terzo motivo lamenta omessa valutazione e/o assunzione di prova decisiva con riferimento all'art. 27 Cost. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, deducendo la mancanza di motivazione in ordine alla responsabilità del Loiacono che non rivestiva affatto all'epoca dei fatti la qualità di legale rappresentante della società costruttrice Germani s.a.s. tale essendo invece Loiacono Gaj; di qui, conseguentemente, anche la illegittimità della confisca disposta a suo carico.
Con un quarto motivo lamenta che la Corte, a fronte di evidenti elementi indicativi dell'esclusione di responsabilità, abbia invece dichiarato l'estinzione dei reati per prescrizione. Con un ultimo motivo lamenta infine che la sentenza impugnata abbia disposto la confisca pur in assenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di lottizzazione.
10. Coratella Francesco, Amante Giuseppe, e Parente Nunzio Rocco deducono con un primo motivo violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento materiale e dell'elemento soggettivo dei reati contestati.
Quanto al primo profilo premettono che la prospettazione accusatoria muove dalla sussistenza sull'area interessata di un vincolo paesaggistico di inedificabilità relativa L. n. 431 del 1985, ex art. 1, lett. a) e dalla sua trasformazione in vincolo di inedificabilità assoluta all'entrata in vigore della L. R. n. 30 del 1999, art. 1 (posto che la L. n. 431 del 1985, art. 1 ter, avrebbe attribuito alle Regioni una delega legislativa al fine di operare tale trasformazione).
Ciò posto, la perizia espletata in primo grado avrebbe tuttavia accertato che già prima della entrata in vigore della Legge Galasso l'area in questione ricadeva in zona territoriale omogenea classificabile come zona B di completamento in quanto tale sottratta alla disciplina vincolistica paesaggistica di cui all'art. 1, comma 1, della citata legge in forza della espressa esclusione stabilita dal comma 2. Di qui, la conseguente inapplicabilità anche della L. R. n. 30 del 1999 e, ulteriormente, la non necessità di previa sottoposizione al parere del CUR del piano di lottizzazione nonché del rilascio di nulla osta paesaggistico ed ancora l'insussistenza del reato ex art. 734 c.p. (venendo anche aggiunto come, alla stregua della giurisprudenza amministrativa, la zona territoriale omogenea sia tale per definizione normativa e non per effetto dello strumento urbanistico e come un'area possa essere legittimamente compresa nella zona B anche ai fini dell'operatività del vincolo paesaggistico ambientale previsto dalla L. n. 431 del 1985. Censurano inoltre come apodittica e contraddittoria la motivazione della sentenza di appello resa, difformemente dalle conclusioni dell'elaborato peritale, in ordine alla interpretazione (solo apparentemente operata nel rispetto del criterio letterale e logico) del D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, relativo ai criteri di individuazione delle aree non parzialmente edificate.
Quanto all'elemento soggettivo, osservano che difettano per tutte le contravvenzioni contestate la previsione e volontà dell'evento comunque confliggenti con l'affidamento dei ricorrenti formatosi a seguito di atti amministrativi formali e per di più in presenza di un quadro particolarmente complesso. Nè la decisione impugnata avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di cui alla sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988 tenuto appunto conto della natura oscura della relativa disciplina confermata del resto dall'avere il P.M. formulato contestazioni diverse ed "alternative". Con un secondo motivo deducono la violazione di legge con riferimento alla ritenuta operatività della confisca a fronte di sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione a seguito di prescrizione. Tale conclusione, tuttavia, sarebbe in contrasto con il principio di legalità di cui all'art. 7 della Convenzione Europea come interpretata dalla Cedu posto che: 1) sarebbe illogica e surrettizia l'equiparazione tra sentenza di condanna e sentenza di non condanna a fronte della qualificazione della confisca come sanzione alla pari di detenzione e multa; 2) la lottizzazione abusiva sarebbe ipotesi di reato totalmente priva di carattere di "accessibilità" da parte del destinatario della norma; 3) la confisca è stata disposta malgrado la imprevedibilità della stessa avendo gli imputati agito sulla base di atti amministrativi validi ed efficaci; 4) la confisca disposta è palesemente sproporzionata rispetto alla prospettata ipotesi di reato; 5) è rimasta insuperata la preclusione della confisca in assenza di condanna ex art. 240 c.p..
Con un terzo motivo di violazione della L. n. 47 del 1985, art. 7 e L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, deducono infine che la sentenza di improcedibilità per prescrizione doveva inibire di confermare nel resto la sentenza di primo grado giacché, oltre che la confisca, anche l'ordine di demolizione avrebbe potuto essere disposto solo in presenza di una sentenza di condanna.
11. Vito Pinto, Maria Rosaria Volpe e Isabella Pietanza deducono con un primo motivo violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento materiale e dell'elemento soggettivo dei reati contestati.
Quanto al primo profilo premetto che la prospettazione accusatoria muove dalla sussistenza sull'area interessata di un vincolo paesaggistico di inedificabilità relativa L. n. 431 del 1985, ex art. 1, lett. a) e dalla sua trasformazione in vincolo di inedificabilità assoluta all'entrata in vigore della L. R. n. 30 del 1999, art. 1, (posto che la L. n. 431 del 1985, art. 1 ter, avrebbe attribuito alle Regioni una delega legislativa al fine di operare tale trasformazione).
Ciò posto, la perizia espletata in primo grado avrebbe tuttavia accertato che già prima della entrata in vigore della Legge Galasso l'area in questione ricadeva in zona territoriale omogenea classificabile come zona B di completamento in quanto tale sottratta alla disciplina vincolistica paesaggistica di cui all'art. 1, comma 1, della citata legge in forza della espressa esclusione stabilita dal comma 2. Di qui, la conseguente inapplicabilità anche della L. R. n. 30 del 1999 e, ulteriormente, la non necessità di previa sottoposizione al parere del CUR del piano di lottizzazione nonché del rilascio di nulla osta paesaggistico ed ancora l'insussistenza del reato ex art. 734 c.p. (venendo anche aggiunto come, alla stregua della giurisprudenza amministrativa, la zona territoriale omogenea sia tale per definizione normativa e non per effetto dello strumento urbanistico e come un'area possa essere legittimamente compresa nella zona B anche ai fini dell'operatività del vincolo paesaggistico ambientale previsto dalla L. n. 431 del 1985). Censurano inoltre come apodittica e contraddittoria la motivazione della sentenza di appello resa, difformemente dalie conclusioni dell'elaborato peritale, in ordine alla interpretazione (solo apparentemente operata nel rispetto del criterio letterale e logico) del D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, relativo ai criteri di individuazione delle aree non parzialmente edificate.
Quanto all'elemento soggettivo, osservano che difettano per tutte le contravvenzioni contestate la previsione e volontà dell'evento comunque configgenti con l'affidamento dei ricorrenti formatosi a seguito di atti amministrativi formali e per di più in presenza di un quadro particolarmente complesso. Nè la decisione impugnata avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di cui alla sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988 tenuto appunto conto della natura oscura della relativa disciplina confermata del resto dall'avere il P.M. formulato contestazioni diverse ed "alternative". Con un secondo motivo deducono la violazione di legge con riferimento alla ritenuta operatività della confisca a fronte di sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione a seguito di prescrizione. Tale conclusione, tuttavia, sarebbe in contrasto con il principio di legalità di cui all'art. 7 della Convenzione Europea come interpretata dalla Cedu posto che: 1) sarebbe illogica e surrettizia l'equiparazione tra sentenza di condanna e sentenza di non condanna a fronte della qualificazione della confisca come sanzione alla pari di detenzione e multa; 2) la lottizzazione abusiva sarebbe ipotesi di reato totalmente priva di carattere di "accessibilità" da parte del destinatario della norma; 3) la confisca è stata disposta malgrado la imprevedibilità della stessa avendo gli imputati agito sulla base di atti amministrativi validi ed efficaci; 4) la confisca disposta è palesemente sproporzionata rispetto alla prospettata ipotesi di reato; 5) è rimasta insuperata la preclusione della confisca in assenza di condanna ex art. 240 c.p..
Con un terzo motivo di violazione della L. n. 47 del 1985, art. 7 e L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, deduce infine che la sentenza di improcedibilità per prescrizione doveva inibire di confermare nel resto la sentenza di primo grado giacché oltre che la confisca anche l'ordine di demolizione avrebbe potuto essere disposto solo in presenza di una sentenza di condanna.
12. Caputo Domenico, Caputo Vito, Caputo Giuseppe, Caputo Maria Immacolata, Caputo Caterina, Caputo Antonio e Caputo Grazia premettono di essere proprietari, nel Comune di Mola di Bari, di immobile per civile abitazione ricadente nella maglia urbanistica di intervento C3 e di avere, in data 14/5/1993, chiesto ed ottenuto di essere autorizzati alla sopraelevazione dello stesso; per tale sopraelevazione era stato quindi avviato procedimento penale con conseguente sequestro del cantiere nell'ambito di vasto procedimento in cui erano quindi confluiti gli atti permissivi, ritenuti illegittimi, del Comune di Mola di Bari in esecuzione di tre distinti piani urbanistici esecutivi approvati dal Consiglio comunale per insediamenti residenziali, e precisamente piano di sistemazione C3, piano di lottizzazione C3.1 e piano di lottizzazione C2.1; trattati in modo indifferenziato i titolari delle concessioni edilizie rilasciate all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione (compresi i presenti ricorrenti) per il completamento della maglia C3 e i titolari delle concessioni edilizie in esecuzione dei piani di lottizzazione per l'edificazione nelle distinte maglie urbanistiche di intervento C 3.1 e C 2.1, i Caputo vennero condannati in primo grado con confisca della sopraelevazione del villino Caputo e con condanna in solido con i coimputati artefici delle lottizzazioni al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello, perseverando nel promiscuo trattamento dei due piani ha dichiarato l'improcedibilità per prescrizione e la conferma dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi e della confisca e acquisizione di tutte le aree. Ciò posto, con i primi due motivi deducono violazione di molteplici norme di legge avendo la sentenza impugnata erroneamente affermato la sussistenza della contestata lottizzazione con riferimento ad entrambi i suoi elementi costitutivi. Precisano invero che: i Caputo hanno eseguito in buona fede legittimi atti autorizzatori degli organi comunali non richiedendo lo strumento urbanistico, per la sopraelevazione, la predisposizione del piano di lottizzazione; il piano di fabbricazione qualificava come zona edificatoria estensiva bassa la maglia urbanistica ricomprendente la proprietà dei ricorrenti; in sede di redazione del nuovo Prg i tecnici progettisti avevano proposto la configurazione della maglia C3, in corrispondenza della zona estensiva bassa, e la tipizzazione B4, extraurbana, parzialmente edificata, della contigua area territoriale; la maglia C3 e la nuova maglia indicata con il simbolo 2.a (successivamente C 3.1), erano state tra loro separate con tratto di penna di colore rosso; al contrario, la Corte territoriale ha invece trattato in modo promiscuo le distinte maglie urbanistiche d'intervento; il Piano poliennale di attuazione adottato il 16/07/1986, aveva poi disciplinato unitariamente l'intera zona C con conseguente obbligo del previo piano di lottizzazione per la maglia urbanistica C3 unitariamente considerata fronte delle osservazioni presentate, il Consiglio Comunale aveva poi ripristinato la delimitazione predetta tra C3 e C3.1 sicché, con successiva Delib. Consiliare 20 dicembre 1998, n. 862, il Comune di Mola di Bari aveva previsto espressamente all'interno della zona C3 5 aree non incluse nelle maglie suscettibili di lottizzazione, perché qualificati lotti interclusi. La Corte territoriale ha invece ritenuto esistente l'obbligo del piano di lottizzazione nella maglia C3 pur nella consapevolezza che i parametri urbanistici sono in senso opposto. Nella specie, in particolare, la sopraelevazione di preesistenza edilizia sarebbe compatibile, come anche affermato con la Delib. predetta, con il Prg, che ha escluso l'obbligo del piano di lottizzazione per l'area C3, ed è stata espressamente autorizzata in forza di concessione edilizia all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione della maglia urbanistica C3. Di qui, dunque, l'assoluta insussistenza del reato. Si lamentano inoltre del fatto che la Corte territoriale, a fronte della invocata impossibilità di contestare la lottizzazione abusiva per una semplice sopraelevazione, abbia apoditticamente affermato essere la questione irrilevante posto che l'intervento implica comunque apprezzabili aumenti di volumetria.
Con un terzo motivo, richiamate le argomentazioni dei primi due, lamentano in aggiunta l'insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa la riconduzione della maglia C3 nel regime giuridico del "tessuto edificato" censurando in particolare le argomentazioni di pag. 49 della sentenza impugnata sul punto della distinzione tra zona C3 e zona C3.1., tanto più avendo la stessa Corte, in precedenza, fatto chiaramente riferimento a concessioni edilizie discendenti da tre distinti piani di lottizzazione. Inoltre la sentenza, laddove nega alla maglia urbanistica C.3 la valenza di "tessuto edificato", sarebbe contraria alla legge regionale pugliese. Con un quarto motivo, deducendo sempre plurime violazioni di legge, si dolgono che la sentenza impugnata abbia, contrariamente a quanto previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 13 e dalle leggi regionali pugliesi, escluso che il PPA e, dunque, il Comune di Mola, non possa delimitare le maglie di Prg con riferimento ai diversi gradi di sviluppo edificatorio e urbanizzativo del territorio comunale. A ciò consegue inoltre la deroga di tale area al vincolo paesaggistico assoluto e relativo di legge, rientrando la posizione dei ricorrenti nelle previsioni della L. n. 431 del 1985, art. 1, comma 2, e successive modifiche, nonché l'insussistenza del reato di cui all'art. 734 c.p..
Con un quinto motivo ribadiscono, con riferimento in particolare alla nota riportata a pag. 23 della sentenza impugnata, la illegittima equiparazione del piano di sistemazione della maglia C.3 ai piani di lottizzazione delle maglie C 3.1 e C2.1. in quanto, segnatamente, in violazione della L.R. Pugliese n. 56 del 1980.
Con un sesto motivo censurano la sentenza laddove la stessa non ha riconosciuto che la maglia urbanistica C 3 è zona B D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 2, costituendo essa, come affermato dal Perito, parte dei territorio parzialmente edificata in cui la superficie degli edifici esistenti non è inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e in cui la densità territoriale è superiore a 1,5 mc/mq.
In sostanza con i primi sei motivi, i ricorrenti sostengono che la zona C3, ben delimitata da quella C 3.1, e ove è stata realizzata la sopraelevazione sarebbe maglia di tessuto edificato ed urbanizzata con conseguente insussistenza dell'obbligo di redigere il piano di lottizzazione e insussistenza del reato.
Con un settimo motivo, deducendo violazione di legge, deducono l'illegittima irrogazione della sanzione della confisca a fronte della dichiarazione di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per Intervenuta prescrizione.
Con un ultimo motivo lamentano la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine all'affermata esclusione della buona fede degli appellanti in ragione della inevitabile ignoranza della legge penale, avendo essi dato attuazione a concessione edilizia rilasciata dal Comune in relazione alle peculiari caratteristiche della maglia C3 quale tessuto edificato.
13. Martinelli Francesco e Giustino Cecilia Rosa premettono di essere titolari della concessione edilizia n. 180 del 30/05/1994 rilasciata per l'edificazione su lotto intercluso di fabbricato per civile abitazione per due alloggi unifamiliari su suolo tipizzato urbanisticamente C3; aggiungono essere stato avviato il presente procedimento penale con conseguente sequestro del cantiere nell'ambito di vasto procedimento in cui erano quindi confluiti gli atti permissivi, ritenuti illegittimi, del Comune di Mola di Bari in esecuzione di tre distinti piani urbanistici esecutivi approvati dal Consiglio comunale per insediamenti residenziali, e precisamente piano di sistemazione C3, piano di lottizzazione C3.1 e piano di lottizzazione C2.1; trattati in modo indifferenziato i titolari delle concessioni edilizie rilasciate all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione (compresi i presenti ricorrenti) per il completamento della maglia C3 e i titolari delle concessioni edilizie in esecuzione dei piani di lottizzazione per l'edificazione nelle distinte maglie urbanistiche di intervento C 3.1 e C 2.1, i ricorrenti vennero condannati in primo grado con confisca del lotto intercluso e con condanna in solido con i coimputati artefici delle lottizzazioni al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello, perseverando nel promiscuo trattamento dei due piani ha dichiarato l'improcedibilità per prescrizione e la conferma dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi e della confisca e acquisizione di tutte le aree. Con un primo motivo lamentano violazione di legge laddove la sentenza ha disposto la confisca del lotto intercluso di proprietà dei ricorrenti avendo i ricorrenti eseguito in buonafede legittimi atti autorizzatori loro rilasciati dai competenti organi della P.A. in applicazione dello strumento urbanistico generale locale che non richiedeva per l'edificazione dei lotti interclusi compresi nella maglia di intervento C3 la predisposizione del piano di lottizzazione.
Precisano che il piano di fabbricazione qualificava come zona edificatoria estensiva bassa la maglia urbanistica ricomprendente la proprietà dei ricorrenti; in sede di redazione del nuovo Prg i tecnici progettisti avevano proposto la configurazione della maglia C3, in corrispondenza della zona estensiva bassa, e la tipizzazione B4, extraurbana, parzialmente edificata, della contigua area territoriale; la maglia C3 e la nuova maglia indicata con il simbolo 2.a (successivamente C 3.1), erano state tra loro separate con tratto di penna di colore rosso; al contrario, la Corte territoriale ha invece trattato in modo promiscuo le distinte maglie urbanistiche d'intervento; il Piano poliennale di attuazione adottato il 16/07/1986, aveva poi disciplinato unitariamente l'intera zona C con conseguente obbligo del previo piano di lottizzazione per la maglia urbanistica C3 unitariamente consideratala fronte delle osservazioni presentate, il Consiglio Comunale aveva poi ripristinato la delimitazione predetta tra C3 e C3.1 sicché, con successiva Delib. Consiliare 20 dicembre 1998, n. 862, il Comune di Mola di Bari aveva previsto espressamente all'interno della zona C3 5 aree non incluse nelle maglie suscettibili di lottizzazione, perché qualificati lotti interclusi. La Corte territoriale ha invece ritenuto esistente l'obbligo del piano di lottizzazione nella maglia C3 pur nella consapevolezza che i parametri urbanistici sono in senso opposto. Nella specie, in particolare, l'edificazione del villino unifamiliare sarebbe compatibile, come anche affermato con la Delib. predetta, con il Prg, che ha escluso l'obbligo del piano di lottizzazione per l'area C3, ed è stata espressamente autorizzata in forza di concessione edilizia all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione della maglia urbanistica C3. Di qui, dunque, l'assoluta insussistenza del reato con conseguente immediata revoca della confisca illegittimamente disposta.
Con un secondo motivo, richiamate le argomentazioni del primo, lamentano in aggiunta l'insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa la riconduzione in un quadro unitario di vicende urbanistiche del tutto differenziate, tanto più avendo la stessa Corte, in precedenza, fatto chiaramente riferimento a concessioni edilizie discendenti da tre distinti piani di lottizzazione, ciascuno riferito ad una diversa maglia urbanistica.
Con un terzo motivo, deducendo sempre plurime violazioni di legge, nonché contraddittorietà e illogicità della motivazione, si dolgono che la sentenza impugnata non abbia considerato la maglia C3 quale "tessuto edificato" senza conseguente obbligo di attendere la previa inclusione nel Ppa ai fini dell'intervento edificatorio, censurando in particolare le argomentazioni di pag. 49 della sentenza impugnata sul punto della distinzione tra zona C3 e zona C3.1. Inoltre la sentenza, laddove nega alla maglia urbanistica C.3 la valenza di "tessuto edificato", è contraria alla legge regionale pugliese.
Con un quarto motivo, deducendo sempre plurime violazioni di legge, si dolgono che la sentenza impugnata abbia, contrariamente a quanto previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 13 e dalle leggi regionali pugliesi, escluso che il PPA e, dunque, il Comune di Mola, non possa delimitare le maglie di Prg con riferimento ai diversi gradi di sviluppo edificatorio e urbanizzativo del territorio comunale. A ciò consegue inoltre la deroga di tale area al vincolo paesaggistico assoluto e relativo di legge, rientrando la posizione dei ricorrenti nelle previsioni della L. n. 431 del 1985, art. 1, comma 2, e successive modifiche, nonché l'insussistenza del reato di cui all'art. 734 c.p..
Con un quinto motivo ribadiscono, con riferimento in particolare alla nota riportata a pag. 23 della sentenza impugnata, la illegittima equiparazione del piano di sistemazione della maglia C.3 ai piani di lottizzazione delle maglie C 3.1 e C2.1. in quanto segnatamente in violazione della L.R. Puglia n. 56 del 1980.
Con un sesto motivo censurano la sentenza laddove la stessa non ha riconosciuto che la maglia urbanistica C 3 è zona B di completamento D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 2, costituendo essa, come affermato dal Perito, parte del territorio parzialmente edificata in cui la superficie degli edifici esistenti non è inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e in cui la densità territoriale è superiore a 1,5 mc/mq.
Con un settimo motivo, deducendo violazione di legge, deducono l'illegittima irrogazione della sanzione della confisca a fronte della dichiarazione di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione.
Con un ultimo motivo lamentano la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine all'affermata sussistenza dell'elemento soggettivo del reato senza minimamente argomentare sulla censura che con l'appello si era sollevata riguardo al fatto che l'iniziativa edificatoria incriminata era stata presa dal procuratore generale dei coniugi Martinelli, residenti negli Usa. Martinelli Francesco e Giustino Cecilia Rosa hanno successivamente presentato in vista dell'udienza motivo nuovo con cui, a riprova della buona fede, ostativa alla disposta confisca, trascrivono l'attestazione rilasciata dal Comune di Mola in data 19/11/2012 con cui lo stesso Comune attesta che l'immobile è stato edificato su suolo tipizzato C dal Prg vigente sul quale risultano esistenti numerose opere di urbanizzazione segnatamente indicate; di qui l'insussistenza del reato di lottizzazione abusiva.
14. contessa antonio e Pesce Annita premettono che Valentini Anna Rosa, Rotondi Leonardo e Rotondi Vito, titolari di piccolo suolo edificatorio su lotto intercluso ricompreso nella maglia urbanistica di intervento C3 tipizzato urbanisticamente C3, dopo avere chiesto al Comune di Mola di Bari il rilascio di concessione edilizia per l'edificazione di villino unifamiliare, ebbero con scrittura privata del 25/09/94 a promettere la vendita dello stesso ai due ricorrenti; successivamente il Comune aveva rilasciato ai Valentini - Rotondi la concessione edilizia n. 431 del 02/12/1994 in esecuzione del piano di sistemazione della maglia urbanistica C3; in data 07/05/1995 era poi avvenuta la definitiva alienazione di detto suolo; era quindi stato operato il sequestro del cantiere nell'ambito di vasto procedimento nei confronti degli acquirenti, erroneamente indicati come sottoscrittori di un piano di lottizzazione (giacché, appunto, essi avevano acquistato il lotto dopo il rilascio della concessione edilizia ai Valentini - Rotondi, ritenuti, invece, estranei ai fatti) in cui erano quindi confluiti gli atti permissivi, ritenuti illegittimi, del Comune di Mola di Bari in esecuzione di tre distinti piani urbanistici esecutivi approvati dal Consiglio comunale per insediamenti residenziali, e precisamente piano di sistemazione C3, piano di lottizzazione C3.1 e piano di lottizzazione C2.1. Con un primo motivo, dolendosi di violazione di legge e contraddittoria e illogica motivazione, lamentano che la Corte non abbia ritenuto, sulla base dei suddetti dati, l'estraneità dei coniugi contessa avendo ritenuto invece che questi, per la sola qualità di acquirenti, non potessero non rendersi conto di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione. Tuttavia si sarebbe omesso di considerare che mai i venditori sono stati imputati sicché non potrebbe neppure sostenersi il collegamento causale con la condotta di questi della condotta degli acquirenti. Con un secondo motivo lamentano violazione di legge laddove la sentenza ha disposto la confisca del lotto intercluso di proprietà dei ricorrenti avendo i ricorrenti eseguito in buonafede legittimi atti autorizzatori loro rilasciati dai competenti organi della P.A. in applicazione dello strumento urbanistico generale locale che non richiedeva per l'edificazione dei lotti interclusi compresi nella maglia di intervento C3 la predisposizione del piano di lottizzazione. Precisano che il piano di fabbricazione qualificava come zona edificatoria estensiva bassa la maglia urbanistica urbanistica ricomprendente la proprietà dei ricorrenti; in sede di redazione del nuovo Prg i tecnici progettisti avevano proposto la configurazione della maglia C3, in corrispondenza della zona estensiva bassa, e la tipizzazione B4, extraurbana, parzialmente edificata, della contigua area territoriale; la maglia C3 e la nuova maglia indicata con il simbolo 2.a (successivamente C 3.1), erano state tra loro separate con tratto di penna di colore rosso; al contrario, la Corte territoriale ha invece trattato in modo promiscuo le distinte maglie urbanistiche d'intervento; il Piano poliennale di attuazione adottato il 16/07/1986, aveva poi disciplinato unitariamente l'intera zona C con conseguente obbligo del previo piano di lottizzazione per la maglia urbanistica C3 unitariamente consideratala fronte delle osservazioni presentate, il Consiglio Comunale aveva poi ripristinato la delimitazione predetta tra C3 e C3.1 sicché, con successiva Delib. Consiliare 20 dicembre 1998, n. 862, il Comune di Mola di Bari aveva previsto espressamente all'interno della zona C3 5 aree non incluse nelle maglie suscettibili di lottizzazione, perché qualificati lotti interclusi. La Corte territoriale ha invece ritenuto esistente l'obbligo del piano di lottizzazione nella maglia C3 pur nella consapevolezza che i parametri urbanistici sono in senso opposto. Nella specie, in particolare, l'edificazione del villino unifamiliare da parte dei danti causa dei ricorrenti sarebbe compatibile, come anche affermato con la Delib. predetta, con il Prg, che ha escluso l'obbligo del piano di lottizzazione per l'area C3, ed è stata espressamente autorizzata in forza di concessione edilizia all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione della maglia urbanistica C3. Di qui, dunque, l'assoluta insussistenza del reato con conseguente immediata revoca della confisca illegittimamente disposta.
Con un terzo motivo di violazione di legge e insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione, si dolgono della riconduzione in un quadro unitario di vicende urbanistiche del tutto differenziate, tanto più avendo la stessa Corte, in precedenza, fatto chiaramente riferimento a concessioni edilizie discendenti da tre distinti piani di lottizzazione, ciascuno riferito ad una diversa maglia urbanistica.
Con un quarto motivo richiamano le argomentazioni dei precedenti motivi e si dolgono che la sentenza impugnata non abbia considerato la maglia C3 quale "tessuto edificato" senza conseguente obbligo di attendere la previa inclusione nel Ppa ai fini dell'intervento edificatorio, censurando in particolare le argomentazioni di pag. 49 della sentenza impugnata sul punto della distinzione tra zona C3 e zona C3.1. Inoltre la sentenza, laddove nega alla maglia urbanistica C.3 la valenza di "tessuto edificato", è contraria alla legge regionale pugliese.
Con un quinto motivo, deducendo sempre plurime violazioni di legge, si dolgono che la sentenza impugnata abbia, contrariamente a quanto previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 13 e dalle leggi regionali pugliesi, escluso che il PPA e, dunque, il Comune di Mola, non possa delimitare le maglie di Prg con riferimento ai diversi gradi di sviluppo edificatorio e urbanizzativo del territorio comunale. A ciò consegue inoltre la deroga di tale area al vincolo paesaggistico assoluto e relativo di legge, rientrando la posizione dei ricorrenti nelle previsioni della L. n. 431 del 1985, art. 1, comma 2, e successive modifiche.
Con un sesto motivo ribadiscono, con riferimento in particolare alla nota riportata a pag. 23 della sentenza impugnata, la illegittima equiparazione del piano di sistemazione della maglia C.3 ai piani di lottizzazione delle maglie C 3.1 e C2.1. in quanto segnatamente in violazione della L.R. Puglia n. 56 del 1980.
Con un settimo motivo censurano la sentenza laddove la stessa non ha riconosciuto che la maglia urbanistica C 3 è zona B di completamento D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 2, costituendo essa, come affermato dal Perito, parte del territorio parzialmente edificata in cui la superficie degli edifici esistenti non è inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e in cui la densità territoriale è superiore a 1,5 mc/mq.
Con un ultimo motivo deducendo violazione di legge, deducono l'illegittima irrogazione della sanzione della confisca a fronte della dichiarazione di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione. contessa antonio e Pesce Annita hanno successivamente presentato in vista dell'udienza motivo nuovo con cui, a riprova della buona fede, ostativa alla disposta confisca, trascrivono l'attestazione rilasciata dal Comune di Mola in data 19/11/2012 con cui lo stesso Comune attesta che l'immobile è stato edificato su suolo tipizzato C dal Prg vigente sul quale risultano esistenti numerose opere di urbanizzazione segnatamente indicate; di qui l'insussistenza del reato di lottizzazione abusiva. 15. Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo premettono di essere titolari della concessione edilizia n. 264 del 19/07/1994 rilasciata dal Comune di Mola di Bari per l'edificazione su "lotto intercluso" di fabbricato per civile abitazione per due alloggi unifamiliari su suolo tipizzato urbanisticamente C3; in data 01/02/1996 era stato operato il sequestro del cantiere nell'ambito di vasto procedimento in cui erano quindi confluiti gli atti permissivi, ritenuti illegittimi, del Comune di Mola di Bari in esecuzione di tre distinti piani urbanistici esecutivi approvati dal Consiglio comunale per insediamenti residenziali, e precisamente piano di sistemazione C3, piano di lottizzazione C3.1 e piano di lottizzazione C2.1; trattati in modo indifferenziato i titolari delle concessioni edilizie rilasciate all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione (compresi i presenti ricorrenti) per il completamento della maglia C3 e i titolari delle concessioni edilizie in esecuzione dei piani di lottizzazione per l'edificazione nelle distinte maglie urbanistiche di intervento C 3.1 e C 2.1, i ricorrenti vennero condannati in primo grado con confisca del lotto intercluso e con condanna in solido con i coimputati artefici delle lottizzazioni al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello, perseverando nel promiscuo trattamento dei due piani ha dichiarato l'improcedibilità per prescrizione e la conferma dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi e della confisca e acquisizione di tutte le aree.
Con un primo motivo lamentano violazione di legge laddove la sentenza ha disposto la confisca del lotto intercluso di proprietà dei ricorrenti avendo questi eseguito in buonafede legittimi atti autorizzatori loro rilasciati dai competenti organi della P.A. in applicazione dello strumento urbanistico generale locale che non richiedeva per l'edificazione dei lotti interclusi compresi nella maglia di intervento C3 la predisposizione del piano di lottizzazione.
Precisano che il piano di fabbricazione qualificava come zona edificatoria estensiva bassa la maglia urbanistica urbanistica ricomprendente la proprietà dei ricorrenti; in sede di redazione del nuovo Prg i tecnici progettisti avevano proposto la configurazione della maglia C3, in corrispondenza della zona estensiva bassa, e la tipizzazione B4, extraurbana, parzialmente edificata, della contigua area territoriale; la maglia C3 e la nuova maglia indicata con il simbolo 2.a (successivamente C 3.1), erano state tra loro separate con tratto di penna di colore rosso; al contrario, la Corte territoriale ha invece trattato in modo promiscuo le distinte maglie urbanistiche d'intervento; il Piano poliennale di attuazione adottato il 16/07/1986, aveva poi disciplinato unitariamente l'intera zona C con conseguente obbligo del previo piano di lottizzazione per la maglia urbanistica C3 unitariamente consideratala fronte delle osservazioni presentate, il Consiglio Comunale aveva poi ripristinato la delimitazione predetta tra C3 e C3.1 sicché, con successiva Delib. Consiliare 20 dicembre 1998, n. 862, il Comune di Mola di Bari aveva previsto espressamente all'interno della zona C3 5 aree non incluse nelle maglie suscettibili di lottizzazione, perché qualificati lotti interclusi. La Corte territoriale ha invece ritenuto esistente l'obbligo del piano di lottizzazione nella maglia C3 pur nella consapevolezza che i parametri urbanistici sono in senso opposto. Nella specie, in particolare, l'edificazione del villino unifamlliare sarebbe compatibile, come anche affermato con la Delib. predetta, con il Prg, che ha escluso l'obbligo del piano di lottizzazione per l'area C3, ed è stata espressamente autorizzata in forza di concessione edilizia all'esito dell'approvazione del piano di sistemazione della maglia urbanistica C3. Di qui, dunque, l'assoluta insussistenza del reato con conseguente immediata revoca della confisca illegittimamente disposta.
Con un secondo motivo, richiamate le argomentazioni del primo, lamentano in aggiunta l'insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa la riconduzione in un quadro unitario di vicende urbanistiche del tutto differenziate, tanto più avendo la stessa Corte, in precedenza, fatto chiaramente riferimento a concessioni edilizie discendenti da tre distinti piani di lottizzazione, ciascuno riferito ad una diversa maglia urbanistica.
Con un terzo motivo, deducendo sempre plurime violazioni di legge, nonché contraddittorietà e illogicità della motivazione, si dolgono che la sentenza impugnata non abbia considerato la maglia C3 quale "tessuto edificato" senza conseguente obbligo di attendere la previa inclusione nel Ppa ai fini dell'intervento edificatorio, censurando in particolare le argomentazioni di pag. 49 della sentenza impugnata sul punto della distinzione tra zona C3 e zona C3.1. Inoltre la sentenza, laddove nega alla maglia urbanistica C.3 la valenza di "tessuto edificato", è contraria alla legge regionale pugliese.
Con un quarto motivo, deducendo sempre plurime violazioni di legge, si dolgono che la sentenza impugnata abbia, contrariamente a quanto previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 13 e dalle leggi regionali pugliesi, escluso che il PPA e, dunque, il Comune di Mola, non possa delimitare le maglie di Prg con riferimento ai diversi gradi di sviluppo edificatorio e urbanizzativo del territorio comunale. A ciò consegue inoltre la deroga di tale area al vincolo paesaggistico assoluto e relativo di legge, rientrando la posizione dei ricorrenti nelle previsioni della L. n. 431 del 1985, art. 1, comma 2, e successive modifiche.
Con un quinto motivo ribadiscono, con riferimento in particolare alla nota riportata a pag. 23 della sentenza impugnata, la illegittima equiparazione del piano di sistemazione della maglia C.3 ai piani di lottizzazione delle maglie C 3.1 e C2.1, in quanto segnatamente in violazione della L. R. Puglia n. 56 del 1980. Aggiungono che la maglia urbanistica C 3 è zona B di completamento D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 2, costituendo essa, come affermato dal Perito, parte del territorio parzialmente edificata in cui la superficie degli edifici esistenti non è inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e in cui la densità territoriale è superiore a 1,5 mc/mq.
Con un sesto motivo, deducendo violazione di legge, lamentano l'illegittima irrogazione della sanzione della confisca a fronte della dichiarazione di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione.
Con un ultimo motivo lamentano la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine all'affermata esclusione della buona fede degli appellanti in ragione della inevitabile ignoranza della legge penale, avendo essi dato attuazione a concessione edilizia rilasciata dal Comune in relazione alle peculiari caratteristiche della maglia C3 quale tessuto edificato.
Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo hanno successivamente presentato in vista dell'udienza motivo nuovo con cui, a riprova della buona fede, ostativa alla disposta confisca, trascrivono l'attestazione rilasciata dal Comune di Mola in data 19/11/2012 con cui lo stesso Comune attesta che l'immobile è stato edificato su suolo tipizzato C dal Prg vigente sul quale risultano esistenti numerose opere di urbanizzazione segnatamente indicate; di qui l'insussistenza del reato di lottizzazione abusiva.
16. Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare e il Ministero dei beni culturali, già costituiti parte civile, hanno presentato memoria con cui deducono che la violazione del vincolo paesaggistico ed urbanistico ha determinato legittimamente l'applicazione della sanzione penale in quanto tutte le concessioni edilizie sono state rilasciate in mancanza di un piano di lottizzazione valido; che la zona di edificazione deve considerarsi come zona C (e non già B come preteso dai ricorrenti sulla scorta di una interpretazione, da parte del Perito, del dato normativo del D.M. n. 1444 del 1968, non condivisibile); che, conseguentemente, l'esclusione del vincolo paesaggistico previsto dalla normativa statale sarebbe possibile solo ove l'area fosse stata inserita in un PPA in vigore alla data di entrata in vigore della legge Galasso (ciò che non sarebbe nella specie, posto che il PPA è stato adottato dal Comune di Mola solo in data 14/07/1997); che l'indifferenziato trattamento delle tre maglie C3, C31 e C21 non è stato illegittimamente operato posto che lo stesso Prg prevedeva per tutta la zona C3 che l'edificazione fosse subordinata alla approvazione di un PPA o di lottizzazioni convenzionate; che, a riprova di ciò, il Comune di Mola ha richiesto un "piano di sistemazione" che, seppure atipico, è espressione della necessità di dovere procedere all'approvazione di uno strumento esecutivo di attuazione con le stesse modalità del piano di lottizzazione; che, infatti, detto piano esprime l'esigenza di un raccordo con il preesistente aggregato abitativo interessante ben otto lotti interclusi su ventiquattro già realizzati, con conseguente rilevanza dell'insediamento abitativo in termini di opere di urbanizzazione esistenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
17. I ricorsi presentati nell'interesse di Rotondi Rosalia Liliana e di Caputo Maria Immacolata.
I ricorsi presentati nell'interesse di Rotondi Rosalia Liliana e di Caputo Maria Immacolata nei cui confronti, come detto sopra, la Corte territoriale ha dichiarato l'estinzione dei reati loro ascritti per morte, sono inammissibili.
17.1. Con riguardo in particolare al ricorso proposto dal Difensore, tra gli altri, di Caputo Maria Immacolata, già deceduta nel corso del giudizio di appello, va infatti osservato che, secondo quanto già affermato da questa Corte, l'impugnazione proposta dopo la morte dell'imputato è inammissibile per difetto di legittimazione, posto che il mandato difensivo conferito a suo tempo dall'imputato stesso si è inevitabilmente estinto per la morte del medesimo con conseguente cessazione della funzione di assistenza e di rappresentanza del difensore (Sez. 6, n. 14248 del 19/03/2007, Striano, Rv. 236485; Sez. 6, sent. 313 del 29/09/1999, Petralia ed altri, Rv. 216405; Sez. 1^, n. 1447 del 04/05/1993, Pescatore, Rv. 193958).
Nè risulta che al Difensore di Caputo Maria Immacolata sia stato conferito alcun altro mandato da parte di eventuali altri legittimati a impugnare per Cassazione.
17.2. Anche il ricorso proposto da Rotondi Vanda Marcella Bice, in qualità di erede di Rotondi Rosalia Liliana, va dichiarato inammissibile in quanto proposto da soggetto non legittimato (Sez. 3, n. 42728 del 15/10/2008, Cacciolatto, Rv. 241413; Sez. 3, n. 35217 del 11/04/2007, Voce ed altri, Rv. 237407). Secondo il principio di tassativita delle impugnazioni nel suo profilo soggettivo, consacrato nell'art. 571 c.p.p., comma 1, infatti, l'impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce:
dunque, all'imputato, ma non ai suoi eredi dopo la morte del medesimo, anche perché non può ammettersi, nel diritto penale, una successione a titolo universale o a titolo particolare nella posizione giuridica di una parte del processo. Inoltre, se è vero che il decesso dell'imputato nel corso del procedimento non impedisce, a norma dell'art. 129 c.p.p., la pronuncia nel merito se dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, quando la morte sia stata già dichiarata, nessun rimedio può essere processualmente proposto da terzi. Ciò, sulla scorta della previsione dell'art. 568 c.p.p., comma 3, secondo cui il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce (Sez. 4, n. 14631 del 03/11/1999, Possamai, Rv. 216322).
18. I ricorsi avverso la declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione.
Va anzitutto chiarito che la Corte territoriale, pur a fronte della intervenuta prescrizione, ha, in doveroso ossequio alla previsione di cui all'art. 578 c.p.p., stante la intervenuta condanna in primo grado di tutti i ricorrenti al risarcimento dei danni cagionati alle costituite parti civili Ministero dell'Ambiente e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, affrontato funditus il profilo della sussistenza, nel merito, dei reati contestati, giungendo a ritenere integrati, sulla base del complessivo compendio probatorio acquisito, ed in conformità a quanto già in precedenza aveva ritenuto il Pretore, sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo dei reati ascritti. Di qui, in altri termini, la considerazione, la cui rilevanza emergerà anche più oltre (cfr. sub p. 19.2), che, ove non fosse intervenuta la causa estintiva connessa al decorso del tempo, i giudici di appello avrebbero dovuto pervenire a confermare la pronuncia di condanna del Pretore di Bari. Ove invece il quadro probatorio fosse stato contrassegnato da insufficienza, ne sarebbe dovuta necessariamente derivare, in riforma della sentenza di primo grado, una statuizione assolutoria in conformità a quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite. Va infatti ricordato che, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, il proscioglimento nel merito deve prevalere rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, ove, appunto, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
18.1. L'elemento oggettivo dei reati.
La gran parte dei motivi di ricorso proposti dai ricorrenti attengono, essenzialmente, a due principali profili, rispettivamente dati dalla mancanza dell'elemento oggettivo e dalla mancanza dell'elemento soggettivo dei reati.
Infatti, quasi tutti i ricorrenti lamentano anzitutto, sia pure, talvolta, con diverse sfumature ed accentuazioni, sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto il profilo di una illogica o mancante motivazione, il fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto, male interpretando i dati di fatto e la normativa statale e regionale, che nella zona ove gli imputati ebbero a realizzare gli immobili in oggetto gravassero effettivamente il vincolo paesaggistico di cui alla L. n. 431 del 1985, derogabile unicamente con il nullaosta regionale, previo preventivo esame dell'allora competente organo tecnico, ovvero il CUR (Comitato urbanistico regionale), ed il vincolo urbanistico; da tale errata interpretazione, conseguentemente, sarebbe erroneamente derivata la valutazione circa la sussistenza dell'elemento oggettivo dei vari reati, sia urbanistici, sia ambientali, contestati. In particolare, la ritenuta sussistenza del vincolo avrebbe erroneamente indotto la Corte territoriale, in conformità al giudizio già espresso dal Pretore, a ritenere non valido il piano di lottizzazione adottato, con conseguente integrazione, in particolare, del reato di lottizzazione abusiva, dichiarato estinto solo in virtù della maturata prescrizione, e a ritenere illegittime, o, per meglio dire, inefficaci (stante appunto la mancata autorizzazione regionale) le concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Mola di Bari. Proprio sulla configurabilità nella specie del reato di lottizzazione abusiva, del resto, appaiono soprattutto insistere le censure insite nei vari motivi di ricorso, posto che all'accertata realizzazione del medesimo, seguita ad una compiuta valutazione degli elementi di prova pur in presenza di estinzione del reato, in ossequio al principio di cui all'art. 578 c.p.p., la stessa Corte barese ha poi ricollegato l'operatività della confisca dei terreni abusivamente lottizzati. In effetti i giudici di merito hanno, nella sostanza, posto in rilievo che: a) la zona oggetto delle varie condotte di edificazione e trasformazione si trovava nel Comune di Mola di Bari ed era delimitata dal PRG del Comune di Mola di Bari come zona omogenea C ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, mentre una notevole parte della trasformazione ricadeva in zona F (inedificabile in quanto destinata a servizi); b) al momento dell'approvazione della L. n. 431 del 1985, non vigeva un PPA (programma pluriennale di attuazione); c) la Regione Puglia non aveva rilasciato i nulla-osta paesaggistici, a fronte di richiesta in sanatoria del Comune di Mola, effettuata dopo il rilascio delle concessioni edilizie.
Sussistevano dunque tutti i presupposti per affermare che nella zona vigeva il vincolo di inedificabilità, derogabile solo con nulla-osta regionale - previo preventivo esame del competente organo tecnico, il C.U.R. (L. R. n. 56 del 1980, ex artt. 21 e 27) integrandosi, in mancanza, la violazione della L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies; ne' era stata presentata, nei termini, una richiesta di lottizzazione, non rientrando dunque la zona in oggetto nelle ipotesi derogatorie e venendo pertanto violata anche la L.R. Puglia n. 30 del 1990. Le concessioni edilizie erano poi illegittime e, come tali, da disapplicarsi, trattandosi di violazione macroscopica dell'interesse protetto, in presenza, appunto, dell'esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluto e della mancanza di un valido piano di lottizzazione. Che una lottizzazione fosse necessaria, è derivato poi, secondo i giudici di merito, dalla rilevante entità dell'insediamento abitativo, dalla necessità di costruire un efficiente impianto fognario, e dalla necessità di monetizzare i contributi per le opere di urbanizzazione secondaria. La realizzazione degli immobili in violazione del divieto di edificabilità ha costituito dunque di per sè lottizzazione abusiva mentre i piani di lottizzazione non potevano essere approvati (alla data del 15.04.1992) perché, nel vigore della L. R. Puglia n. 7 del 1992, sussisteva, appunto, il vincolo di inedificabilità assoluto. Quanto alle difformità, i giudici di merito hanno rilevato che le conclusioni del consulente del P.M., non sono state sostanzialmente contestate e che possono essere condivise sia quanto alla violazione delle altezze sia alle variazioni in corso d'opera al prospetto ed alla sagoma.
Peraltro, gli interventi operati su immobili sottoposti a vincolo hanno costituito "variazione essenziale".
18.1.1. Ciò posto, tali censure (rinvenibili, riassuntivamente, nel quarto, quinto, sesto e settimo motivo del ricorso presentato da Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina; nel primo motivo di ricorso presentato da Chiarappa Vito; in parte, nell'ottavo e nono motivo del ricorso presentato da Rotondi Vanda Marcella Bice; nel primo motivo del ricorso presentato da Rotondi Giuseppe, Ruggiero Vitantonio, cocco carmine e Di Donna Rosa; nel primo motivo del ricorso presentato da Campanile Rosa, Campanile Isabella, papeo nicola e D'Alessandro Vito; nel primo motivo del ricorso presentato da Loiacono Giovanni; in parte, nel primo motivo di ricorso presentato da Coratella Francesco, Amante Giuseppe, e Parente Nunzio Rocco; in parte, nel primo motivo del ricorso presentato da Pinto Vito, Volpe Maria Rosaria e Pietanza Isabella; nei primi sei motivi del ricorso presentato da Caputo Domenico, Caputo Vito, Caputo Giuseppe, Caputo Caterina, Caputo Antonio e Caputo Grazia; nei primi sei motivi del ricorso presentato da Martinelli Francesco e Giustino Cecilia Rosa; nei motivi dal secondo al settimo del ricorso presentato da contessa antonio e Pesce Annita; nei primi cinque motivi del ricorso presentato da Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo) sono infondate. Va anzitutto disattesa la doglianza volta a sostenere che, con riferimento alle maglie C 3.1 e C 2.1, l'area interessata dall'intervento edilizio, classificata come zona C del Piano Regolatore Generale, fosse e sia in realtà zona B di completamento, come anche affermato dal perito all'uopo nominato dal Pretore, in quanto parzialmente edificata, e come tale sottratta alla disciplina vincolistica per espressa disposizione di legge, dovendo prevalere, secondo tale impostazione, la definizione normativa, in collegamento con le effettive caratteristiche presentate, rispetto al dato riportato dallo strumento urbanistico.
Lo stesso legislatore della L. n. 431 del 1985, facendo espresso riferimento alle delimitazioni di piano avrebbe inteso svincolarsi dalle qualificazioni giuridiche impresse dalla P.A. alle aree in sede di pianificazione imponendo viceversa che la sottoposizione di un'area a vincolo sia determinata con riferimento alla normativa statale.
La natura di zona parzialmente edificata delle maglie C 31 e C 21 sarebbe desumibile, infatti, secondo tale impostazione, dal dato letterale del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 2 (di individuazione delle zone territoriali omogenee ai sensi e per gli effetti della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17) secondo cui, con riferimento alla "zona B parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A", "si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,50% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq";
nella specie, come anche osservato dal Perito Ing. Ferrari, poiché la zona in questione presenterebbe pacificamente il parametro del rapporto di copertura tra edifici esistenti e superficie fondiaria, ciò basterebbe a ritenere parzialmente edificata la stessa. La Corte ha tuttavia osservato, anche richiamando le argomentazioni sul punto del giudice di primo grado svolte a pagg. 16 - 18 della sentenza, che l'interpretazione della norma deve condurre a ritenere che entrambi i requisiti richiesti dal predetto art. 2, debbano essere presenti per ritenere la zona anche solo parzialmente edificata.
Tale interpretazione è corretta.
Va premesso che, a fronte del primo canone ermeneutico (grammaticale o semantico), fissato dall'art. 12 preleggi secondo cui, "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse", il criterio letterale, ribadito per la materia penale dall'art. 1 c.p., è quello prioritario nell'interpretazione del significato dell'espressione legislativa nel senso che alla norma deve attribuirsi il senso desumibile dal significato semantico delle parole. Agli altri criteri si può fare ricorso in via sussidiaria, allorquando il solo criterio letterale dia luogo ad una pluralità possibile di significati (Sez. 3 civ., n. 9700 del 21 maggio 2004; Sez. 1^ civ., n. 5128 del 06/04/2001; Sez. U., n. 4000 del 05/07/1982, non massimata).
Sia il Pretore che la Corte di Bari hanno puntualmente osservato, quanto al dato letterale, che il chiaro tenore del testo laddove, in particolare, viene usata la congiunzione "e" ad unire le due locuzioni "superficie coperta" e "densità territoriale", impone di interpretare la norma de qua nell'unico senso possibile, e cioè che entrambi i criteri devono sussistere affinché una zona del territorio possa correttamente qualificarsi come parzialmente edificata, o, viceversa, rientrante nel novero delle parti del territorio riassunte nella lettera C dell'art. 2 citato; hanno aggiunto che ad analogo risultato si giunge peraltro anche utilizzando l'ulteriore canone interpretativo rappresentato dalla "ratio legis": non sarebbe infatti sufficiente il riscontro di uno solo dei due parametri indicati dalla norma per riconoscere ed individuare con certezza una zona territoriale come inedificata o parzialmente edificata, se non combinandolo con l'altro; si è sul punto logicamente osservato che la sola area occupata da edifici, ad esempio, pur potendo essere molto estesa - in termini percentuali - rispetto alla superficie totale considerata - in misura superiore al 12,50% dell'intera superficie fondiaria - potrebbe viceversa risultare, in considerazione dell'altro canone urbanistico della densità territoriale, di modesta portata, proprio perché inferiore al rapporto di 1,5 metri cubi per metro quadrato, così dovendosi classificare siffatta zona nell'ambito della zona C, anziché della zona B, del D.M. n. 1444 del 1968; si è del resto aggiunto che la zonizzazione, quale espressione di una razionale pianificazione urbanistica, risponde all'esigenza funzionale dell'adeguata previsione di una serie di infrastrutture e servizi proporzionati ai bisogni delle singole parti del territorio. Si è, infine, ritenuto logicamente significativo nel senso della interpretazione adottata, che, nella individuazione della zona C, l'art. 2 abbia ricompreso nella stessa "le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B)", così richiamando in maniera espressa, congiuntamente, entrambi i parametri sopra ricordati. Quanto all'invocata prevalenza del dato normativo, hanno aggiunto i giudici di merito che, poiché l'art. 1 della Legge Galasso esclude il vincolo paesaggistico per le zone A e B "come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444", è lo stesso legislatore ad individuare in definitiva, nel piano regolatore generale, il parametro per la classificazione delle zone del territorio; e, nella specie, le aree in questione sono state classificate appunto come zona C nel Piano Regolatore Generale in conseguenza di una precisa scelta di zonizzazione da parte dell'organo competente, al termine di un complesso iter amministrativo, basato su scelte discrezionali della P.A., non impugnato da alcuno dinanzi al giudice amministrativo. Si è infine precisato che, sul piano logico, se il Comune di Mola avesse ritenuto di poter, procedere al rilascio di concessioni dirette, non avrebbe approvato i piani di lottizzazione in questione e stipulato le successive convenzioni e, soprattutto, non avrebbe richiesto "in sanatoria" al CUR il parere, altrimenti non necessario, previsto per l'edificazione in deroga nella zona C del P.R.G. (parere che, come visto sopra, non fu rilasciato proprio perché tardivo e che, in ogni caso, sarebbe stato contrario alla lottizzazione - provvedimento del 15/05/1997).
Una volta ritenuta dunque la corretta classificazione dell'area come zona C, correttamente la sentenza impugnata ha affermato che l'esclusione del vincolo paesaggistico previsto dalla normativa statale sarebbe stata possibile solo se l'area in argomento fosse stata inserita, contrariamente alla situazione di specie (il primo P.P.A. risulta infatti adottato dal Comune di Mola solo in data 14/07/1997), in un Piano Particolareggiato di Attuazione in vigore alla data di entrata in vigore della Legge Galasso, puntualmente richiamando al riguardo i principi più volte enunciati sul punto da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 1551 del 10/04/2000, Zumbo, Rv. 216982; Sez. 3, n. 1093 del 24/03/1998, Lucifero, Rv. 210856, Sez. 3, n. 146 del 21/01/1997, Volpe ed altri, non massimata sul punto) secondo cui, appunto, l'esclusione del vincolo paesaggistico L. n. 431 del 1985, ex art. 1, comma 2, è limitata sul piano temporale e non va estesa oltre le previsioni letterali di legge, sicché le zone di espansione edilizia di cui agli strumenti urbanistici comunali, ancorché parzialmente edificate, sono soggette a controllo paesaggistico per le ulteriori modificazioni, qualora non siano state incluse in un piano pluriennale di attuazione vigente al momento dell'entrata in vigore della Legge Galasso. Nè può condividersi la considerazione (si veda in particolare il quinto motivo di ricorso di Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina) che anche l'inserimento di aree di un piano regolatore generale in un P.P.A. approvato successivamente all'entrata in vigore della Legge Galasso potrebbe integrare condizione sufficiente ad esonerare queste ultime dal vincolo di inedificabilità; è sufficiente sottolineare, al riguardo, che, in tal modo ragionando, i divieti posti dalla legge stessa verrebbero, in definitiva, inammissibilmente rimessi alla pura discrezionalità degli organi amministrativi. Inoltre, come già affermato da questa Corte, l'esclusione dal vincolo paesaggistico limitatamente alle aree individuate in piani pluriennali di attuazione ha carattere eccezionale ed è, quindi, di stretta interpretazione (Sez. 3, n. 1512 del 02/07/1993, P.M. in proc. Santise e altri, Rv. 194605), mentre, d'altra parte, non può non considerarsi l'uso, da parte della norma, del participio passato ("delimitate") chiaramente evocativo di un atto già intervenuto e non da emanare
successivamente (Sez. 3, n. 146 del 21/01/1997, Volpe ed altri, non massimata sul punto).
In definitiva, la sentenza impugnata ha legittimamente concluso per l'esistenza e l'operatività del vincolo di inedificabilità, derogabile, per espressa previsione di legge (L. n. 431 del 1985, art. 1), con autorizzazione regionale (cd. nullaosta paesistico) L. 29 giugno 1939, n. 1497, ex art. 7, previa verifica della compatibilità tra l'edificazione e l'interesse paesistico, autorizzazione, tuttavia, nella specie, mai richiesta e, conseguentemente, mai ottenuta.
Deve, del resto, rilevarsi, che già la L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, comma 2, nel testo modificato dalla L. n. 765 del 1967, prevedeva espressamente che le lottizzazioni di terreno a scopo edilizio possono essere autorizzate dal Comune previo nulla-osta della competente Soprintendenza, nulla osta ora spettante alle Regioni a statuto ordinario in virtù del D.P.R. n. 8 del 1972, art. 1, comma 3. Ne consegue che i piani di lottizzazione - anche ove, eventualmente, riguardanti zone di territorio non soggette a vincolo paesistico - necessitano, nell'ambito del relativo procedimento di approvazione, di preventiva valutazione paesaggistica, di competenza delle Regioni (Cons. Stato, Sez. 4, n. 421 del 16/06/1986,; Sez. 4, n. 742 del 27/07/1993, n. 742; Sez. 6, n. 1095 del 02/03/2000), quale intervento consultivo di carattere generale e programmatorio circa la compatibilità ambientale dello strumento urbanistico attuativo. Anche la L. R. Puglia n. 56 del 1980, ha sostanzialmente ribadito, agli artt. 21 e 27, quanto alla procedura di formazione e di approvazione del piano di lottizzazione, le prescrizioni della legge urbanistica statale, prescrivendo, altresì, la necessità del parere vincolante del Comitato urbanistico regionale (cfr., Sez. 3, n. 37274 dell'11/06/2008, Varvara, Rv. 241155, Sez. 3, n. 11716 del 29/01/2001, Matarrese ed altri, Rv. 221201).
Di qui, in definitiva, a fronte dell'accertata esistenza di un vincolo paesaggistico, la corretta conclusione anche in ordine alla illegittimità delle concessioni edilizie, rilasciate in assenza di un piano di lottizzazione legittimo ed in assenza altresì del nullaosta paesistico già previsto dalla L. n. 1497 del 1939, art. 7, secondo un iter successivamente disciplinato dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 151 e, attualmente, dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146. Del resto, sotto altro profilo, va ricordato che, in applicazione del disposto di cui alla R.D. 3 giugno 1940, n. 1357, art. 25 (regolamento per l'applicazione della L. 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali), in vigore sino alla emanazione del regolamento previsto dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 161, la edificazione in zone alle quali sia stato imposto il vincolo paesaggistico è subordinata alla autorizzazione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo e tale provvedimento si configura come condizione di efficacia della concessione edilizia, con la conseguenza che sino a quando tale autorizzazione non sia intervenuta è preclusa la materiale esecuzione dei lavori assentiti dal Comune sotto il profilo edilizio-urbanistico, e la concessione eventualmente rilasciata deve essere considerata inefficace ed improduttiva di effetti (cfr. Sez. 3, n. 11716 del 29/01/2001, Matarrese ed altri, Rv. 221202).
18.1.2. Va aggiunto, in particolare con riferimento al sesto motivo di ricorso presentato da Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina, che neppure può condividersi la prospettazione che giunge a ritenere lecite le condotte tenute nella specie, pur considerando la zona interessata come zona C, sulla base delle disposizioni della L.R. Puglia n. 30 del 1990.
Infatti detta normativa ha vietato ogni modificazione dell'assetto del territorio, nonché qualsiasi opera edilizia in varie aree fra cui i territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 metri dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato sul mare fino all'approvazione di uno strumento con le caratteristiche di quello previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 bis. Peraltro, onde evitare un arresto dell'attività edilizia, sono stati stabiliti gli interventi ammissibili nelle diverse zone in relazione alle varie aree. Pertanto, per quel che interessa la fattispecie in esame, l'art. 2 comma 2, della predetta legge stabiliva che "nelle zone C sono consentiti gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati o piani di lottizzazione) che risultino approvati alla data di entrata in vigore" della citata legge (6 giugno 1990), prevedendo un limite temporale fissato al 31 dicembre 1990 e l'obbligo di ottenere "il nulla osta previsto dalla L. 9 giugno 1939, n. 1497, art. 7" (art. 2, u.c.) per la
realizzazione di tutte le opere ammissibili. Il termine è stato varie volte prorogato da successive disposizioni legislative ed anche il comma 2 dell'art. 2, L.R. n. 30 del 1990, ha subito alcune modificazioni, che hanno continuamente arretrato la soglia temporale della fattispecie derogatoria, consentendo in tal modo di trasformare un vincolo di inedificabilità assoluta in relativa. Ed invero, con la L. 11 febbraio 1991, n. 2, prorogato il termine al 30 giugno 1991, si è previsto che "nelle zone C. sono consentititi gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati o piani di lottizzazione) adottati alla data del 6 giugno 1990 a condizione che le aree interessate risultino incluse nei programmi pluriennali di attuazione (P.P.A.) ... approvati alla stessa data". Le successive leggi regionali fino alla L. n. 14 del 1993, non hanno modificato la dizione del predetto comma 2 dell'art. 2, limitandosi a prorogare il termine, sicché, non essendo stati i p.d.l. approvati o adottati entro il 6 giugno 1990, vigeva nella zona, in cui sono state eseguite le costruzioni sequestrate, un vincolo di inedificabilità assoluta. Dal canto suo la L. n. 14 del 1993 ha statuito che "nelle zone C. .. sono consentiti gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati o piani di lottizzazione) formalmente e regolarmente presentati alla data del 6 giugno 1990, a condizione che le aree interessate risultino incluse nei programmi pluriennali di attuazione (p.p.a.) approvati alla stessa data. Detti strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati o piani di lottizzazione) dovranno, però, essere sottoposti al preventivo parere del C.u.r. per l'accertamento del non contrasto con le esigenze di tutela delle aree di particolare interesse ambientale paesistico".
Conseguentemente, poiché risulta, dalla sentenza di primo grado, che il p.d.l. della maglia C31 venne regolarmente e formalmente presentato in data 23/05/1991, mentre il p.d.l. della maglia C21 venne presentato in data 13/09/1990 (non potendo tali circostanze di fatto essere sindacate nel presente giudizio di legittimità neppure attraverso la contraria prospettazione dei ricorrenti secondo cui la lottizzazione sarebbe stata presentata sin dal 1977), la predetta disposizione di favore non può chiaramente trovare applicazione nella fattispecie, conseguentemente vigendo un vincolo di inedificabilità assoluta su dette aree. Le successive normative approvate sino alla L.R. n. 6 del 1996, si sono peraltro limitate a stabilire la proroga dei termini senza modificare od escludere il presupposto già ricordato.
In definitiva, come già chiarito da questa Corte in sede di ricorso avverso la misura cautelare, i piani di lottizzazione in questione non potevano essere approvati alla data del 15/04/1992 poiché vigeva la L.R. n. 7 del 1992 e sussisteva, dunque, anche sotto questo ulteriore complessivo profilo, un vincolo di inedificabilità assoluta.
18.1.3. Vanno disattese anche le censure proposte con riguardo alla maglia C.3, relativamente alla quale, in particolare, i ricorrenti, riproponendo il motivo di appello già sollevato sul punto, si sono doluti del fatto che il giudice di primo grado, e poi quello di appello, trattando la stessa, unitariamente ed indifferenziatamente, insieme alle maglie C.31 e C.21, non avrebbero considerato le peculiarità di essa idonee a consentire l'applicazione di deroga al regime vincolistico sulla base della normativa statale e regionale (segnatamente, primo motivo del ricorso di Campanile Rosa, Campanile Isabella, papeo nicola e D'Alessandro Vito, primo motivo del ricorso di Loiacono Giovanni, primo, secondo, terzo e quinto motivo del ricorso di Caputo Domenico, Caputo Vito, Caputo Giuseppe, Caputo Maria Immacolata, Caputo Caterina, Caputo Antonio e Caputo Grazia, primo, secondo e terzo motivo del ricorso di Martinelli Francesco e Giustino Cecilia Rosa, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso di contessa antonio e Pesce Annita, primo secondo e terzo motivo del ricorso di Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo).
Su tale punto va premesso che sono evidentemente inammissibili, attesi i limiti fisiologici del giudizio di legittimità, tutte quelle doglianze che si risolvano, attraverso l'apparente riferimento a vizi di motivazione, nel pretendere da questa Corte una rilettura dei fatti o una rivisitazione delle valutazioni operate dai giudici di merito, ciò valendo, in particolare, con riguardo allo stato o meno di edificazione della zona interessata.
In ogni caso, la motivazione della Corte ha dato conto, in termini logici ed adeguati alle risultanze documentali, della necessità che, con riferimento alla intera maglia C3, sulla base della classificazione contenuta nel P.r.g., intervenisse, pur a fronte di lotti interclusi in un contesto già quasi totalmente edificato (secondo un ragionamento la cui fondatezza deve tuttavia escludersi secondo quanto osservato sopra), l'approvazione di uno strumento esecutivo di attuazione con le modalità proprie del piano di lottizzazione (si vedano in particolare pagg. 42 e ss. della sentenza impugnata); sul punto la Corte ha del tutto logicamente ritenuto che l'esigenza di un raccordo con il preesistente aggregato abitativo (quale presupposto del reato di lottizzazione abusiva: cfr. Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e altri, Rv. 241097) fosse in particolare implicita nella richiesta, da parte del Comune di Mola, di un "piano di sistemazione", del tutto equivalente, sotto il profilo funzionale e a dispetto del nome, ad un piano di lottizzazione, riguardante, infatti, ben otto lotti interclusi su ventiquattro già realizzati con conseguente rilevanza dell'insediamento abitativo in termini di opere di urbanizzazione esistenti. Va aggiunto che proprio la necessità di un piano di "sistemazione" appare denotare la non sufficienza delle concessioni. Ad ulteriore conforto la sentenza ha richiamato la valutazione effettuata dal Perito laddove lo stesso ha definito urbanizzata la maglia C.3 sulla base di parametri puntualmente individuati e prendendo atto in particolare della dotazione di parziali opere di urbanizzazione con necessità di completamento per una porzione (attraverso impianti di sollevamento per il collegamento alla rete cittadina, spazi di sosta o di parcheggio ed aree per l'insediamento di urbanizzazioni secondarie) e la totale nuova realizzazione per altra porzione sostanzialmente inedificata.
Va aggiunto come questa stessa Corte, oltre ad avere costantemente affermato che il reato di lottizzazione è configurabile non solo con riferimento a zone assolutamente inedificate, ma anche con riferimento a zone parzialmente urbanizzate in cui sussista un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere d'urbanizzazione (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e altri, cit.), ha anche affermato, proprio con riferimento alla fase cautelare del processo in oggetto, che il rilascio di concessione edilizia può non essere preceduto dall'approvazione del piano di lottizzazione soltanto quando la zona sia quasi interamente urbanizzata o la sua edificazione sia completa. Nelle situazioni intermedie, invece, la lottizzazione è necessaria, perché svolge una funzione di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione. Quest'ultima, infatti, deve essere programmata per zone e non avvenire in occasione dell'edificazione dei singoli lotti, sicché l'impegno a realizzare opere di urbanizzazione sia primaria che secondaria non sostituisce il piano de quo (Sez. 3, n. 146 del 21/01/1997, Volpe ed altri, Rv. 207598).
E tale enunciato non può non essere oggi ribadito.
Di qui, dunque, lungi da un'arbitraria ed irragionevole assimilazione di situazioni tra loro diverse, la legittima parificazione, nell'impianto argomentativo della Corte, della maglia C.3 alle maglie C 31 e C 21 con conseguente impossibilità, una volta riferibili anche a tale maglia le considerazioni già svolte sopra per le altre due in punto di sottoposizione della stessa a vincolo paesaggistico, di lottizzazione se non dietro previa autorizzazione regionale e di edificazione a seguito di semplice rilascio di concessione edilizia. Nè sarebbero sufficienti l'avvenuta adozione e approvazione del P.P.A. prima del 06/06/90 per ritenere inapplicabile il vincolo temporaneo di inedificabilità previsto dalla L.R. n. 30 del 1990:
anche su tale punto la Corte, dopo avere premesso che la legge regionale non avrebbe potuto derogare a quella statale, sì che la violazione di uno solo dei vincoli (o statale o regionale) è sanzionata penalmente, ha aggiunto come nella specie siano difettati gli ulteriori requisiti, previsti dalla normativa, della inclusione delle aree, al momento dell'approvazione della lottizzazione, in un P.P.A. approvato alla stessa data, e del previo rilascio del parere del C.U.R.: il primo, perché alla data del 25/05/1992, di approvazione della lottizzazione, l'area non risultava inclusa in alcun P.P.A. (quello approvato il 14/07/1987 era scaduto il 31/12/1991 mentre, successivamente, ne era stato approvato altro soltanto con Delib. 11 maggio 1993) ed il secondo perché tale parere non fu, in effetti, mai rilasciato.
Del resto, con riguardo alla situazione antecedente la L. Cost. n. 3 del 2001, si è già detto che le disposizioni di cui al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in L. 8 agosto 1985, n. 431, possono essere modificate dal legislatore regionale solo con ampliamento delle previsioni vincolistiche, essendo preclusa la possibilità di incidere sulla tutela minima da essa preordinata, atteso che le disposizioni della citata legislazione statuale sono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e costituiscono il limite espresso al potere legislativo regionale concorrente (Sez. 3, n. 11716 del 29/01/2001, P.M. in proc. Matarrese ed altri, Rv. 221199).
Quanto infine alla doglianza secondo cui la maglia C.3 rientrerebbe nel concetto normativo di "tessuto edificato", la Corte, dopo avere premesso che i ricorrenti hanno richiamato il PRG solo per il contenuto grafico della tavola 3, forzando il significato di una linea di demarcazione fra aree ed ignorando il dato nella più ampia e chiara scelta di zonizzazione dello strumento urbanistico così come riportata nella relazione tecnica e nella tavola di sintesi (la n. 7), ha motivatamente confermato le valutazioni formulate dal giudice di primo grado osservando, anche in linea con le valutazioni tecniche del perito, che l'art. 3 della L. R. Puglia 8 febbraio 1985, n. 6, ha modificato la definizione di tessuto edificato contenuta nelle leggi precedenti, dovendosi a tal fine fare riferimento alle "maglie dello strumento urbanistico generale"; di qui la conseguenza che solo in caso di maglie del P.R.G. caratterizzate da urbanizzazione preesistente, nella misura predeterminata ex lege, e già dotate dei servizi primari, non è necessaria l'adozione di uno strumento urbanistico di secondo grado, mancando del tutto un'esigenza di programmazione dell'attività edificatoria. Nella sentenza impugnata la verifica è stata legittimamente effettuata pertanto, in coerenza con il dato normativo appena ricordato, non già sulla maglia d'intervento estrapolata nel primo P.P.A. del Comune di Mola, come preteso dagli imputati, bensì sulla maglia costituente la zona C.3 del Piano Regolatore Generale. 18.1.4. Infine, non appare idonea a condurre a diverse conclusioni l'attestazione dello stato di urbanizzazione del Comune di Mola di Bari nelle date del 13/11/2012 e del 19/11/2012 allegata ai motivi nuovi presentati da Campanile Rosa e Isabella, papeo nicola, D'Alessandro Vito, Martinelli Francesco, Giustino Cecilia Rosa, contessa antonio, Pesce Annita, Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo, Valentini Leonardo e Rotondi Vanda Marcella Bice, dandosi atto, in essa, semplicemente, delle opere di urbanizzazione a tale epoca esistenti nel lotto ove gli immobili sono stati realizzati.
19. L'elemento soggettivo dei reati.
Tutti i ricorrenti, sia pure con sfumature e accenti diversi, reiterando le doglianze già proposte avverso la sentenza di primo grado, censurano, come evidenziato in premessa, la sentenza della Corte laddove è stato ritenuto sussistente l'elemento soggettivo dei vari reati contestati e, in particolare, del reato di lottizzazione abusiva (segnatamente, secondo e terzo motivo del ricorso di Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo
Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina, primo motivo del ricorso di Chiarappa Vito, sesto e settimo motivo del ricorso di Rotondi Vanda Marcella Bice, secondo motivo del ricorso di Rotondi Giuseppe, Ruggiero Vitantonio, cocco carmine e Di Donna Rosa, secondo motivo del ricorso di Campanile Rosa, Campanile Isabella, papeo nicola e D'Alessandro Vito, secondo motivo del ricorso di Loiacono, primo motivo del ricorso di Coratella Francesco, Amante Giuseppe, e Parente Nunzio Rocco, primo motivo del ricorso di Vito Pinto, Maria Rosaria Volpe e Isabella Pietanza, ottavo motivo del ricorso di Caputo Domenico, Caputo Vito, Caputo Giuseppe, Caputo Maria Immacolata, Caputo Caterina, Caputo Antonio e Caputo Grazia, ottavo motivo del ricorso di Martinelli Francesco e Giustino Cecilia Rosa, primo motivo del ricorso di contessa antonio e Pesce Annita, settimo motivo del ricorso di Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo).
In particolare assumono, per un verso, che la natura dolosa delle contravvenzioni osterebbe a ritenere integrato l'elemento soggettivo e, per altro verso, che, anche a volere ritenere sufficiente la colpa, il legittimo affidamento negli atti amministrativi intervenuti, e segnatamente, in particolare, nei piano di lottizzazione e nelle concessioni edilizie, in un quadro normativo e fattuale di estrema complessità (tanto da avere imposto il ricorso a pareri tecnici di esperti del settore) dovrebbe escludere un atteggiamento contrassegnato da colpa; e ciò a maggior ragione con riguardo alle situazioni, riguardanti la zona C.3, ove era richiesto un mero "piano di sistemazione". Si è anche censurato l'indice di colpa attribuito dai giudici di merito alla mancata acquisizione, invece dovuta, del parere del C.U.R. essendo tale omissione come imputabile unicamente al Comune di Mola di Bari e non ai ricorrenti, tanto più non potendo questi ultimi intervenire nelle fasi endoprocedimentali quali atti meramente interni rispetto all'adozione del provvedimento finale. Ciò tanto più, si è aggiunto, essendo tale omissione inidonea ad integrare violazione delle norme urbanistiche sostanziali disciplinanti la trasformazione urbanistica dei terreni L. n. 47 del 1985, ex art. 18.
Ciò posto, va anzitutto precisato che, alla stregua dei capi d'imputazione analiticamente riportati nella sentenza di primo grado, tutti i ricorrenti sono stati imputati dei reati addebitati nelle vesti o di committenti - titolari della concessione e proprietari, o di esecutori dei lavori, ovvero ancora di progettisti e direttori dei lavori; ciò vale, in particolare, anche per contessa antonio e Pesce Annita i quali sono stati imputati quali committenti e titolari della concessione (vedi pag. 35 della sentenza di primo grado) per essere, evidentemente, subentrati, ad edificio ancora da realizzare, nella titolarità della concessione stessa in quanto acquirenti non già, appunto, dell'edificio, bensì, come del resto riconosciuto anche in ricorso, del lotto ancora, evidentemente, inedificato.
Va inoltre anticipato che analoga considerazione va fatta anche come si preciserà meglio oltre, con riguardo a Rotondi Vanda Marcella Bice, indicata in imputazione, insieme alla sorella, poi deceduta, quale proprietaria dal 01/02/1995 a fronte di condotta, consistita nella "realizzazione" di immobile, protrattasi sino al 01/02/1996 (vedi pag. 55 della sentenza di primo grado), benché la stessa abbia invocato la propria veste di acquirente sostenendo di avere acquistato l'immobile una volta realizzato lo stesso al rustico. Va quindi premesso che questa Corte, con riguardo in particolare ai soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, i titolari di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori, ha già più volte affermato che gli stessi hanno l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e/o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di pianificazione, perché l'interesse protetto dalla legge non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della P.A. ma è altresì quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato assetto urbanistico ed il rilascio della concessione edilizia è subordinato all'indagine di conformità alla normativa urbanistica in genere ed ai piani regolatori (cfr. Sez. 3, n. 11716 del 26/03/2001, ric. Matarrese ed altri, Rv. 22198 - 221206; Sez. U., n. 5115 del 28/11/2001, Salvini, Rv. 220708). L'assoggettamento a sanzione penale va escluso, quindi, unicamente nei confronti di colui che, "effettivamente", e senza sua colpa, si sia fidato dell'atto amministrativo illegittimo.
Del resto, quanto alla natura dell'elemento psicologico del reato di lottizzazione abusiva, è ben vero che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema, con la sentenza n. 27230 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183495, avevano affermato che il reato di lottizzazione abusiva si configura come una contravvenzione di natura esclusivamente dolosa, "per la cui sussistenza è necessario che l'evento sia previsto e voluto dal reo, quale conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria diretta a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale", ma tale originaria impostazione è stata motivatamente superata da plurime successive sentenze di questa Sezione, approdata a conclusioni che questo Collegio ritiene di dovere ribadire. Dette pronunce hanno, essenzialmente, ricordato che: a) lo scopo della tutela, cui il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, è finalizzato, è duplice, essendo rivolto ad impedire sia che venga compromessa la potestà, attribuita ai Comuni, di effettuare razionali ed armoniche scelte urbanistiche mediante gli specifici strumenti di pianificazione previsti dalla legge, sia che un processo di urbanizzazione incontrollata comporti la nascita di agglomerati edilizi privi delle infrastrutture primarie e secondarie necessarie per la loro integrazione urbanistica; b) nei reati di lottizzazione (configurabili come reati di pericolo) il legislatore ha anticipato il momento di rilevanza penale del fenomeno, per evitare che lo stesso possa incidere in modo irrimediabile sull'assetto del territorio, senza che occorra, tuttavia, che la volontà dell'agente sia protesa a vanificare le anzidette finalità di tutela, essendo sufficiente che egli compia attività rivolte alla trasformazione di terreni, con inizio di opere edilizie o di urbanizzazione, ma anche soltanto con atti giuridici indirizzati a realizzare l'edificazione, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite da leggi statali o regionali; c) il reato si connette sempre e soltanto all'inosservanza di dette "prescrizioni" urbanistiche anzidette, sicché il proprietario di un terreno non può predisporne l'alienazione in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui esso è situato ed il soggetto che acquista un fondo per edificare deve essere cauto e diligente nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona riferite all'area in cui vuole costruire. Si è in conclusione rilevato che, dopo che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5115 del 28/11/2001, Salvini, Rv. 220708, hanno riconosciuto, in perfetta aderenza al testuale dettato normativo, che il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, risulta all'evidenza contraddicono escludere (alla stessa stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale che materiale, possa essere commessa per colpa (vedi, tra le tante, Sez. 3 n. 39916 del 01/07/2004, Lamedica ed altri, Rv. 230084; Sez. 3, n. 36940 del 11/05/2005, Stiffi ed altri, Rv. 232189; 27.2.2007, Barletta; 21.11.2007, Quattrone; Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e altri, Rv. 241098; Sez. 3, n. 14326 del 10/01/2008, Zortea, non massimata; Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, P.M. in proc. Quarta e altri, Rv. 243750). Deve ribadirsi, pertanto, che, nella specie non può operarsi alcuna eccezione rispetto al principio generale stabilito per le contravvenzioni, quanto all'elemento psicologico, dall'art. 42 c.p., comma 4, restando ovviamente esclusi i casi di errore scusabile sulle norme integratici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 c.p., secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale. Analoghe conclusioni vanno inoltre raggiunte con riferimento agli altri reati contestati nella specie, tutti, incontrovertibilmente contrassegnati, nella costante giurisprudenza di questa Corte, in ragione della natura contravvenzionale, dalla possibile integrazione anche in termini di sola colpa.
Ciò posto, nella specie i giudici del merito hanno posto analiticamente in rilievo gli elementi significativi della rimproverabilità della condotta posta in essere dai soggetti agenti, imputati tutti, come già detto, nella veste di proprietari - committenti, esecutori ovvero direttori dei lavori. Segnatamente, la Corte barese, in adesione a quanto già posto in rilievo dal Pretore, ha evidenziato: a) che la zona interessata dalle concessioni era classificata, come già visto, dal P.r.g. come zona omogenea C ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, conseguentemente soggetta al regime vincolistico; b) che a fronte del contrasto tra lo stato di tale classificazione e le determinazioni del Comune di Mola, la Regione Puglia già nel 1993, e quindi anteriormente al rilascio di tutte le concessioni edilizie, aveva chiaramente espresso il carattere abusivo delle lottizzazioni posto che in data 23/12/93 il Settore urbanistico dell'Assessorato Regionale, richiesto dal Comune di Mola del parere sulle lottizzazioni, aveva precisato che detto parere doveva essere acquisito in maniera obbligatoria e vincolante preventivamente e non poteva essere espresso su piani urbanistici definitivamente approvati, sottolineando altresì che la zona in oggetto, compresa nella fascia dei 300 metri dal demanio marittimo, non rientrava comunque nell'ambito di deroga al regime vincolistico previsto dalla legge statale; c) che un tale contesto fattuale, ove emergeva il dato di una trasformazione urbanistica di rilevante entità di una porzione del territorio inserita, per previsione dello strumento urbanistico, nella fascia costiera, di per sè notoriamente soggetta a vincolo, doveva quindi imporre agli imputati la necessità di assumere ogni prudente informazione in ordine alla legittimità delle concessioni, ciononostante rilasciate, anche attraverso una verifica della effettiva sussistenza di deroghe a detto regime vincolistico; d) che tale verifica, ove effettuata, avrebbe inevitabilmente condotto gli interessati a prendere conoscenza della posizione dell'Ufficio regionale contraria alla possibilità di edificare sopra illustrata; e) che nessun comportamento delle competenti autorità amministrative poteva avere indotto in errore scusabile gli stessi interessati giacché, da un lato, anzi, l'ente regionale ebbe ad esprimersi chiaramente nel senso della sussistenza del vincolo sulla zona e, dall'altro, nessuna rassicurazione in senso contrario era mai stata data dalla Soprintendenza per i beni culturali e ambientali.
Di qui, dunque, la incensurabilità di una motivazione che, oltre ad essere strutturata logicamente, ha fatto corretta applicazione dei principi più volte espressi da questa Corte e sopra ricordati, senza che il dato oggettivo del rilascio delle concessioni effettivamente avvenuto (quale unico argomento che, in definitiva, i ricorrenti appaiono invocare a riprova della propria buona fede) possa valere, all'interno dell'ambito cognitivo di questa Corte cui resta necessariamente estraneo il sindacato in ordine alla valutazione della prova, a eliminare il convergente risultato logicamente desumibile dai dati considerati sopra. Anche sulla "sub valenza" di tale specifico aspetto, peraltro, la Corte si è data cura di motivare correttamente evocando la distinzione anche normativa e funzionale tra nulla osta regionale e concessione (ora permesso di costruire) comunale sottolinendo inoltre significativamente come nessuna concessione possa essere rilasciata, in presenza di vincolo, se non dietro previo favorevole avviso della sopraintendenza. Ciò tanto più dovendosi considerare come la necessità di un obbligo informativo e di verifica di cui sopra si imponesse, ancor più, in ragione della posizione specifica dei ricorrenti, aventi appunto la vaste o di progettisti o di esecutori o di direttori dei lavori o di committenti.
Va del resto rammentato come la stessa Corte edu sia orientata nel ritenere che la prevedibilità di una legge non si oppone a che la persona interessata sia portata a ricorrere a consigli illuminati per valutare, a un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto. Questo vale in particolare per i professionisti, abituati a dover dimostrare una grande prudenza nell'esercizio del loro mestiere. Da essi ci si può pertanto attendere che valutino con particolare attenzione i rischi che quest'ultimo comporta (Pessino c. Francia, n. 40403/02, p. 33, 10 ottobre 2006).
Nè appare corretto il richiamo, più volte effettuato da alcuni tra i ricorrenti, alla sentenza di questa Sez. 3, n. 11716 del 26/03/2001, ric. Matarrese ed altri, Rv. 22198 - 221206, ove venne riconosciuta la buona fede degli imputati in altra fattispecie di lottizzazione abusiva di rilevanti dimensioni: come puntualmente ricordato dalla Corte barese, la fattispecie esaminata dalla Corte si era caratterizzata per elementi, ritenuti indicativi di assenza di colpa, non rilevabili nel procedimento in oggetto e segnatamente, appunto, di condotte della pubblica amministrazione ritenute rassicuranti, di una mancata riproduzione dell'esistenza dei vincoli nella planimetria allegata ad un p.p.a. e di un obiettivo quadro d'incertezza interpretativa sull'esistenza del vincolo paesaggistico (ritenuto del resto mancante dalla stessa Corte in sede di giudizio cautelare) in base alle leggi vigenti all'epoca della lottizzazione e delle concessioni edilizie.
Va aggiunto che, neppure, può essere condiviso l'argomento, espresso nel primo motivo di ricorso dei ricorrenti Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina, secondo cui l'orientamento giurisprudenziale vigente al momento dei fatti in base al quale l'autorizzazione alla lottizzazione escludeva il carattere abusivo della stessa avrebbe reso non punibili le condotte stante la mancanza del requisito di necessaria prevedibilità della legge penale. Tale assunto, evidentemente basato sul presupposto per cui nella nozione di legge penale di cui all'art. 7 della C.e.d.u. dovrebbe ricomprendersi anche il diritto vivente dato dalla consolidata interpretazione della giurisprudenza di talché i mutamenti che intervengano nella stessa dovrebbero considerarsi soggetti al divieto di retroattività di cui all'art. 2 c.p., appare infatti smentito dalla considerazione che in realtà nessun assetto ermeneutico consolidato nel senso invocato dai ricorrenti si era in realtà, all'epoca del fatti, formato; a fronte di pronunce che, in effetti, avevano affermato che la abusività della lottizzazione doveva essere esclusa ogni qual volta quest'ultima fosse stata autorizzata dalla autorità competente, senza che fosse consentito al giudice penale di disapplicare l'atto autorizzativo (sez. 3, n. 6094 del 08/05/1991, Ligresti e altri, Rv, 187785; sez. 3, n. 9633 del 15/05/1991, Le Pira e altro, Rv. 187820), altro indirizzo, presosi a formare addirittura ancor prima della data di consumazione dei reati in oggetto, aveva concluso nel diverso senso della configurabilità del reato laddove, pur in presenza di un piano di lottizzazione approvato, se ne potesse affermare la contrarietà dello stesso agli strumenti urbanistici sovraordinati (Sez. 3, n. 3944 del 16/11/1995, Pellicani, Rv. 204199;
a detta pronuncia hanno poi fatto seguito, sino ad oggi, Sez. 3, n. 11716 del 29/01/2001, P.M. in proc. Matarrese ed altri, Rv. 221204;
Sez, U., n. 5115 del 28/11/2001, Salvini, Rv. 220708; Sez. 3, n. 20471 del 02/04/2003, p.c. in proc. Nitti ed altro, Rv. 224443; sez. 6, n. 4424 del 07/10/2004, Foti, Rv. 231476).
Tali argomentazioni, va inoltre precisato, valgono anche con riferimento alla posizione di Rotondi Vanda Marcella Bice posto che, come già detto sopra, l'imputazione, incentrata evidentemente su una condotta di lottizzazione "materiale", si riferisce a condotta di realizzazione dell'immobile protrattasi sino, testualmente, al 01/02/1996 e, quindi, sino a circa oltre un anno dopo la data di acquisto in data 01/02/1995 senza che, in questa sede, possa apprezzarsi la circostanza di fatto dedotta in ricorso, e contrastante, sul punto, con l'imputazione, che l'immobile acquistato sarebbe in realtà già stato realizzato al rustico; peraltro, quand'anche ciò fosse, va ricordato che, in ogni caso, l'ultimazione al rustico non sarebbe stata sufficiente per attribuire alla ricorrente la veste di acquirente (sul presupposto, appunto, che l'edificio sia stato realizzato definitivamente prima dell'atto di acquisto) e non già di subentrante nella veste di committente; va infatti ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'ultimazione del manufatto coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (da ultimo, Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424), mentre il momento della realizzazione al rustico rileva, eccezionalmente, ai soli fini della applicazione della disciplina del condono (cfr. Sez. 3, n. 28233 del 14/06/2011, Aprea, Rv. 250658;
Sez. 3, n. 8064 del 02/12/2008, P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242740). Ne consegue come ogni doglianza in punto di mancata motivazione da parte della sentenza impugnata circa la sua posizione, che si assumerebbe essere diversa rispetto a quelle dei restanti ricorrenti, sia, in definitiva, inammissibile. Del resto, ogni annullamento con rinvio in ordine alla mancanza di motivazione circa la responsabilità della ricorrente sarebbe inevitabilmente preclusa dalla intervenuta prescrizione dei reati, cui la ricorrente, va sottolineato, non ha rinunciato; infatti, come più volte enunciato da questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'art. 129 c.p.p. (Sez. 4, n. 40799 del 18/09/2008, P.G. in proc. Merli, Rv. 241474; Sez. 4, n. 14450 del 19/03/2009, Stafissi, Rv. 244001; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, P.G. in proc. Balsano e altri, Rv. 227098), nella specie tanto più rilevante in quanto la causa di estinzione è già stata dichiarata dai giudici di appello.
Le conclusioni raggiunte operano anche con riferimento ai ricorrenti Martinelli Francesco e Giustino Cecilia i quali hanno lamentato, in particolare con l'ultimo motivo di ricorso, l'omessa motivazione della sentenza in ordine alla doglianza, sollevata con l'atto di appello, volta a lamentare la propria estraneità ai fatti giacché l'iniziativa edificatoria incriminata sarebbe stata presa, pur a fronte della loro formale qualità di committenti, dal procuratore generale dei due, al tempo residenti negli Stati Uniti d'America. La censura è infatti inammissibile, venendo detta doglianza fondata su atti (in particolare la procura generale conferita a Fanizza Giovanni nonché gli atti, relativi all'iter amministrativo intrapreso, a firma di quest'ultimo) che i ricorrenti si limitano genericamente a richiamare (vedi pag. 51 del ricorso) pur a fronte della impossibilità per questa Corte di accedere al fascicolo del procedimento se non in relazione a motivi di natura processuale; va infatti ribadito che il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso (Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, Cavanna e altro, Rv. 248192). Ancor più analiticamente, si è precisato che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l'omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6^, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
19. La confisca.
Come illustrato in premessa, un ultimo, comune a tutti i ricorrenti, motivo di ricorso (segnatamente, ottavo motivo di ricorso di Mola Franco Vince, Russo Angela, Russo Francesca, Russo
Antonietta, Russo Caterina e Di Bari Annina, secondo motivo di ricorso di Chiarappa Vito, terzo e quarto motivo di ricorso di Rotondi Giuseppe, Ruggiero Vitantonio, cocco carmine e Di Donna Rosa, quarto motivo del ricorso di Campanile Rosa, Campanile Isabella, papeo nicola e D'Alessandro Vito, quinto motivo di ricorso di Loiacono Giovanni, secondo motivo di ricorso di Coratella Francesco, Amante Giuseppe, e Parente Nunzio Rocco, secondo motivo di ricorso di Vito Pinto, Volpe Maria Rosaria e Isabella Pietanza, settimo motivo di ricorso di Caputo Domenico, Caputo Vito, Caputo Giuseppe, Caputo Maria Immacolata, Caputo Caterina, Caputo Antonio e Caputo Grazia, settimo motivo di ricorso di Martinelli Francesco e Giustino Cecilia Rosa, ultimo motivo di ricorso di contessa antonio e Pesce Annita e sesto motivo di ricorso di Valentini Giuseppe, Mingolla Rosa Maria, Valentini Pierpaolo e Valentini Leonardo) risiede nella doglianza, le cui ragioni sono state già sopra evidenziate, in ordine al mantenimento, da parte della Corte territoriale, della confisca dei lotti abusivi nonostante la intervenuta declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva.
Rotondi Vanda Marcella Bice, poi, con motivo nuovo, ha anche proposto questione di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2.
19.1. Detti motivi sono infondati.
Non è anzitutto condivisibile la lamentata violazione dell'art. 7 della Convenzione Edu. Va premesso che nella specie non si ravvisano ragioni per discostarsi dal consolidato indirizzo interpretativo secondo il quale la confisca prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, (tale essendo, infatti, contrariamente alla prospettazione di taluni ricorrenti, la norma cui fare riferimento nella specie e non quella, generale, dell'art. 240 c.p.) costituisce una sanzione, definita da questa stessa Corte come amministrativa, che deve essere obbligatoriamente applicata dal giudice penale che accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, indipendentemente da una pronuncia di condanna (da ultimo, tra le altre, Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta e altri, Rv. 243630; Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi e altri, Rv. 245347;
Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007, Quattrone, Rv. 238984; Sez. 3, n. 6396 del 07/11/2006, Cieri, Rv. 236076; Sez. 3 n. 37086 del 07/07/2004, Pernidaro, Rv. 230031).
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, analogamente a quanto in precedenza disponeva la L. n. 47 del 1985, art. 19, prevede, infatti, che "la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari", così lasciando inequivocabilmente intendere non essere necessaria una sentenza di condanna quale presupposto della confisca (si veda del resto, in proposito, la significativa differenza di formulazione rispetto all'art. 31 del citato D.P.R. in tema di demolizione del manufatto abusivo, ove espressamente si menziona la "sentenza di condanna"), ma unicamente l'intervenuto effettivo accertamento della sussistenza di una condotta di lottizzazione.
Anche la legge comunitaria 25/02/2008, n. 34 (nella parte recante la delega a dare attuazione alla decisione-quadro del Consiglio dell'Unione Europea 2005/212/GAI del 24.2.2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi del reato) prevede (art. 31, lett. b) - n. 2) la possibilità di confisca obbligatoria anche "nel caso di proscioglimento per mancanza di imputabilità o per estinzione di un reato, la cui esistenza sia accertata con la sentenza che conclude il giudizio dibattimentale o abbreviato", demandando comunque alla emananda disciplina delegata la necessità di prevedere (art. 31, lett. g) che "in ogni caso la confisca non pregiudichi i diritti dei terzi in buona fede sulle cose che ne sono oggetto".
Nè la Corte edu ha mai affermato, nelle pronunce che hanno esaminato la questione, che presupposto necessario per disporre la confisca in esame sia una pronuncia di condanna del soggetto al quale la res appartiene, avendo invece la stessa sottolineato un diverso aspetto, ovvero la sussistenza del necessario riscontro, quanto meno, di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.
In particolare la Corte ha rilevato che una corretta interpretazione dell'art. 7 della Convenzione edu "esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato" (vedi in particolare le sentenze pronunziate rispettivamente il 30.8.2007 ed il 20.1.2009 nel ricorso n. 75909/01 proposto contro l'Italia dalla s.r.l. "Sud Fondi" ed altri), giacché l'irrogazione di una "pena" senza che sia stata stabilita l'esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa, costituisce infrazione del citato art. 7.
Va dunque ribadito, a conclusione di tale premessa, che per disporre la confisca prevista dall'art. 44 cit., è necessario che sia accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi, soggettivo ed oggettivo, anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio, l'intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore, ed è necessario, altresì, che sia riscontrata una partecipazione, quanto meno colpevole, alla stessa dei soggetti nei confronti dei quali la sanzione venga adottata, dovendo di ciò darsi conto, da parte dei giudici di merito, con motivazione adeguata.
19.2. Ciò posto, ai fini del rispetto del principio di cui all'art. 7 della Convenzione Edu, invocato dai ricorrenti e la cui rilevanza "filtra" nell'ordinamento interno per il tramite dell'art. 117 Cost., comma 1, (cfr. sentenze della Corte cost. n. 348 e 349 del 2007), può affermarsi essere rilevante non tanto la "denominazione" che alla confisca in questione si voglia attribuire, se cioè di pena o, piuttosto, come appunto costantemente enunciato da questa Corte, con l'avallo anche della Corte costituzionale (sent. n. 239 del 2009), di sanzione amministrativa (cfr. sez. 3, n. 42741 del 24/10/2008, Silvioli, Rv. 241703; Sez. 3, n. 1966 del 05/12/2001, Venuti ed altri, Rv. 220852; Sez. 3, n. 12999 del 09/11/2000, Lanza ed altri, Rv. 218003; Sez. 3; n. 41757 del 2004, Pignatiello ed altri, Rv. 230313), quanto piuttosto, alla luce dei pronunciamenti della Corte edu, la necessaria sussistenza, nella sostanza, in ragione dei caratteri di accessibilità del precetto racchiuso nella norma e di prevedibilità delle conseguenze giuridiche derivanti dalla sua violazione, dei presupposti appena sopra richiamati. Ciò che conta è, in altri termini, che, al di là della finalità che alla sanzione della confisca voglia riconnettersi (se, cioè, prevalentemente afflittiva o preventiva), la responsabilità dell'imputato che sia altresì stato destinatario della sanzione sia stata fatta oggetto di un accertamento che abbia, appunto, consentito di verificare la sussistenza di detti requisiti, imprescindibili per l'operatività della misura ablatoria.
Allo stesso tempo, è Intuibile come un ruolo determinante sia altresì rivestito dalle modalità con le quali una tale verifica sia posta in essere giacché solo un accertamento che sia condotto sulla base di tutte le risultanze dibattimentali disponibili e nel contraddittorio con l'imputato nella pienezza dei suoi diritti difensivi può consentire, ad un tempo, di rispettare il dato letterale dell'art. 44 cit. (che, come detto, ad un "accertamento" del fatto si riferisce) e di "superare" il dato, potenzialmente preclusivo di una piena esplicazione di detti poteri, rappresentato dalla intervenuta estinzione del reato. Nella specie, entrambi detti presupposti sussistono.
La sentenza impugnata ha, come visto sopra, esposto in maniera approfondita ed argomentata le ragioni per le quali deve ritenersi essere stato posto in essere il reato di lottizzazione abusiva ed i motivi per i quali lo stesso va attribuito, dal punto di vista psicologico, agli imputati tutti, evidenziando segnatamente gli elementi indicativi di un atteggiamento psicologico contrassegnato da colpa, come tale sufficiente, come già chiarito sopra, ad integrare l'elemento soggettivo del reato stesso. E ciò ha fatto sulla base degli elementi di prova raccolti in un primo grado di giudizio contraddistinto dal più ampio contraddittorio tra le parti e all'esito di un secondo grado di giudizio che, pur a fronte della dichiarazione di improcedibilità per estinzione, ha proceduto a riesaminare integralmente le risultanze probatorie in ragione, come già posto in rilievo sopra (v. p. 18), della presenza, nel giudizio, delle costituite parti civili, in osservanza dei principi dettati da questa Corte a Sezioni Unite (cfr. Sez. U. n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, cit.).
19.3. Va aggiunto che una tale prospettiva risulta confortata anche dalla lettura che dell'art. 44, ha dato la Corte costituzionale con la già ricordata pronuncia n. 239 del 2009, adottata su impulso della stessa Corte barese, ove si afferma che "la disposizione impugnata può trovare applicazione alla condizione che sia stato accertato, da parte del giudice, il fatto materiale della lottizzazione abusiva". Ed anzi, la stessa Corte costituzionale pare chiaramente avallare una lettura della norma che ne giustifichi l'applicazione anche in caso di estinzione del reato pronunciata all'esito di un giudizio che abbia compiutamente accertato la responsabilità dell'imputato, là dove, richiamando la pronuncia n. 85 del 2008, afferma che "fra le sentenze di proscioglimento ve ne sono alcune che, pur non applicando una pena comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziate riconoscimento della responsabilità dell'imputato o comunque l'attribuzione del fatto all'imputato medesimo" e si aggiunge, poi, non potersi affermare che siffatto "sostanziale riconoscimento", per quanto privo di effetti sul piano della responsabilità penale, sia comunque impedito da una pronuncia di proscioglimento, conseguente a prescrizione, ove invece l'ordinamento imponga di apprezzare tale profilo per fini diversi dall'accertamento penale del fatto di reato".
In tal senso, anzi, appare del tutto legittima, sul punto, una distinzione tra imputati prosciolti per prescrizione, quali sono gli attuali ricorrenti, e terzi, non imputati, estranei alle condotte illecite oggetto di contestazione.
Di più, tale pronuncia appare legittimare anche la valutazione, correttamente operata dai giudici baresi, di dissimiglianza tra la situazione giudicata dalla Cedu nella vicenda Sud Fondi (ove, come noto, non era stato possibile determinare la sussistenza di una intenzionalità o di una colpa dei destinatari della confisca) e la situazione oggetto del processo in questione, ove invece sono stati compiutamente accertati i presupposti per ritenere la assenza di buona fede dei committenti.
Sicché, in altri termini, la confisca, al momento della commissione del reato, era, in linea con l'art. 7 della Convenzione edu, conseguenza ragionevolmente prevedibile dello stesso e la inflizione della misura ben risulta riconducibile ad un comportamento biasimevole.
19.4. Nè potrebbe attribuirsi alla sanzione in oggetto un carattere arbitrario e sproporzionato (con conseguente violazione dell'art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione edu).
Va rilevato che, anche a prescindere, per quanto si dirà oltre, dalla inapplicabilità, nella specie, della sanzione della demolizione dei manufatti abusivi, sì che unica misura in definitiva adottabile nella specie finisce per essere quella della confisca, non può non considerarsi che, nella specie: a) l'ingerenza della pubblica autorità nel godimento dei diritto al rispetto dei beni deve considerarsi legale; b) la privazione della proprietà deve ritenersi avvenuta alle condizioni previste dalla legge; c) va riconosciuto il diritto dello Stato di regolamentare con legge l'uso dei beni al fine di garantire "il buono e ben ordinato assetto del territorio" (ambito, questo, in cui gli Stati godono di un largo margine discrezionale).
Quanto poi al "giusto equilibrio" che deve regnare tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo, va riscontrato che, nella specie, esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito: l'ablazione infatti non risulta avere colpito beni eccedenti, in particolare, i terreni abusivamente lottizzati.
Nè il fatto che lo stesso Comune, che aveva rilasciato i permessi illegittimi, sia divenuto proprietario del suolo edificato sembra rivestire, infine, alcun particolare significato: il patrimonio è infatti quello della collettività degli abitanti della città e non quello degli amministratori responsabili della procedura amministrativa irregolarmente svolta.
19.5. Del tutto inconferente appare poi il richiamo, operato da alcuni dei ricorrenti, alla violazione degli artt. 25 e 27 Cost.;
come già spiegato, la confisca non è intervenuta, nella specie, a prescindere da un giudizio di responsabilità, avendo, al contrario, la Corte esaurientemente trattato il profilo di responsabilità di tutti gli imputati sia con riguardo all'elemento oggettivo che soggettivo del reato di lottizzazione abusiva. A ciò consegue, dunque, ancor prima di ogni altra valutazione, il manifesto difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 cit., sollevata dalla ricorrente Rotondi Vanda Marcella Bice nella parte in cui lo stesso consentirebbe al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusive anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti per contrasto con gli artt. 3, 25, 27, 97, 111 e 117 Cost.; come ripetutamente detto, al contrario, la operatività della confisca è stata condizionata, sotto il profilo soggettivo, quantomeno all'accertamento di profili di colpa nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura è venuta ad incidere (cfr., nel medesimo senso, Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi e altri, Rv. 245348). 19.6. Infine, sempre con riguardo alla confisca, è infondato l'ultimo motivo del ricorso presentato da Rotondi Giuseppe ed altri; infatti, anche laddove la confisca dell'immobile non fosse stata preceduta da sequestro, ciò non comporterebbe, contrariamente a quanto specificamente lamentato dai ricorrenti, alcuna illegittimità. La confisca, infatti, come già affermato da questa Corte, può essere ordinata anche in assenza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro, sempreché sussistano norme che la consentano od impongano, a prescindere dalla eventualità che, per l'assenza di precedente tempestiva cautela reale, il provvedimento ablativo della proprietà non riesca a conseguire gli effetti concreti che gli sono propri (Sez. 6, n. S617 del 15/02/1994, Di Matteo ed altri, Rv. 198827).
20. Ulteriori motivi di impugnazione.
Vanno infine affrontati i motivi di impugnazione, già esposti in premessa, incentrati su aspetti specifici non riconducibili ai punti sino ad ora trattati.
Va premesso come tutti tali motivi siano già di per sè stessi inammissibili per il solo fatto che, come già spiegato, gli stessi, ove fondati, condurrebbero, al più, in assenza di ragioni per ritenere sussistenti i presupposti di assoluzione nel merito ex art. 129 c.p.p., a ravvisare nella sentenza impugnata una deficienza motivazionale non più colmabile, in ragione della costante elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, attraverso l'annullamento con rinvio a fronte della già rilevata prescrizione (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 40570 del 29/05/2008, Di Venere, Rv. 241317).
In ogni caso, gli stessi sono anche, intrinsecamente, inaccoglibili. Un primo motivo particolare consiste nella doglianza di mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sollevata dalla ricorrente Rotondi Vanda Marcella Bice con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso.
Tale doglianza è manifestamente infondata: premesso che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il rigetto della richiesta di rinnovazione può anche essere implicito, lo stesso è, nella specie, chiaramente giustificato dalle conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta, come già visto, sul piano dell'elemento oggettivo dei reati, non compatibili con l'assunzione delle prove richieste tendenti a dimostrare la natura urbanizzata di un'area già motivatamente e logicamente esclusa dalla Corte con conseguente mancanza, tra l'altro, del carattere di decisività della prova. Anche il quinto motivo del ricorso della stessa Rotondi, con cui si lamenta, con riferimento all'elemento oggettivo del reato, la manifesta illogicità della motivazione per evidente incongruenza rispetto alle doglianze difensive e per palese contraddittorietà in relazione alle risultanze dell'istruzione dibattimentale, è inammissibile: la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi di diritto, ha dato conto, in termini logici ed esaustivi, delle valutazioni del compendio probatorio e delle conclusioni in termini di sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati, dovendo qui richiamarsi quanto già illustrato sopra nel complessivo p. 18.1.
Il secondo motivo dei ricorrenti Rotondi Giuseppe ed altri, secondo cui l'edificio realizzato sarebbe perfettamente legittimo in quanto non ricadente nella fascia dei 300 metri, è inammissibile, venendo dedotte, con lo stesso, questioni di fatto, contrastanti con le motivate argomentazioni sul punto dei giudici di merito, non valutabili in questa sede.
Il terzo motivo dei ricorrenti Campanile Rosa ed altri, con cui si lamenta che la valutazione di corrispondenza degli interventi edilizi con le autorizzazioni rilasciate non sarebbe stata effettuata a situazione di edificazione definita, essendo invece stata fatta ad edificazione ancora in corso, è anch'esso inammissibile, posto che, nel pretendere come impossibile, per tale ragione, la prova dei fatti ascritti essendo, esemplificativamente, non esperibile il calcolo delle altezze o dei volumi definitivi, lo stesso si risolve nel richiedere, ancora una volta, valutazioni in fatto inibite a questa Corte.
Anche l'ultimo motivo del ricorso presentato dai ricorrenti Campanile Rosa ed altri è inammissibile, posto che la difformità sussistente tra conclusioni del perito e valutazione del giudice, che da tali conclusioni si è discostato, non può fondare certo, di per sè, il presupposto per ritenere necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.
Invero, il principio del libero convincimento, che presiede all'opera di valutazione delle prove, di per sè incompatibile con l'assunto che volesse attribuire natura vincolante alle conclusioni del perito, impone unicamente al giudice, in caso di difformità di valutazioni tra quest'ultimo e il perito stesso, un onere motivazionale che dia conto, in maniera logica e approfondita, del diverso approdo raggiunto (cfr. Sez. 1, n. 767 del 17/02/1999, El Jassem, Rv. 190251;
Sez. 4, n. 7591 del 20/04/1989, Peregotto, Rv. 181382); ne consegue la manifesta infondatezza dell'assunto che vorrebbe, invece, il giudice tenuto a disporre nuova perizia. Nella specie, come visto (cfr. sub p. 18.1.1.), i giudici di merito hanno approfonditamente e correttamente argomentato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle conclusioni del Perito d'ufficio, sì che nessuna censura è ravvisabile.
Il terzo motivo di ricorso presentato da Loiacono Giovanni, volto a denunciare la mancanza di veste di legale rappresentante della società costruttrice Germani s.a.s., è inammissibile per genericità.
La Corte ha argomentato, quanto al motivo d'appello, nel senso, rispondente agli atti processuali, che il ricorrente è stato imputato anche quale direttore dei lavori, discendendo pertanto la sua responsabilità, se non altro, da tale veste; il ricorso, trascurando tale motivazione, e soffermandosi unicamente sulla pretesa mancanza di veste di legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori, non appare pertinente al contenuto della decisione impugnata, limitandosi sostanzialmente a reiterare il motivo d'appello senza tener conto delle argomentazioni della Corte. È manifestamente infondato anche il quarto motivo di ricorso sempre di Loiacono: la Corte ha ampiamente motivato, come ricordato sopra, sulla sussistenza degli elementi indicativi di responsabilità, come tali inidonei a fondare una pronuncia di assoluzione nel merito a fronte della dichiarata prescrizione.
È, infine, manifestamente infondata la doglianza, contenuta nei primi due motivi di ricorso di Caputo Domenico ed altri, con cui si lamenta che, a fronte della invocata impossibilità di contestare la lottizzazione abusiva per una semplice sopraelevazione, la Corte avrebbe apoditticamente affermato essere la questione irrilevante posto che l'intervento ha implicato comunque apprezzabili aumenti di volumetria; a prescindere, anche in tal caso, dalla inidoneità, a fronte della prescrizione, di una tale censura a condurre all'annullamento della decisione impugnata, deve osservarsi che, come risultante dalle pagg. 27 e 30 della sentenza di primo grado, i ricorrenti in questione sono stati imputati, oltre che del reato di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), anche dei residui cinque come contestati.
20.1. La demolizione e la rimessione in pristino.
Sono fondati, invece, il terzo motivo del ricorso presentato da Chiarappa Vito, il terzo motivo del ricorso presentato da Coratella Francesco e altri e il terzo motivo del ricorso presentato da Pinto Vito e altri.
La L. n. 47 del 1985, art. 7, comma 9, (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9) prevedeva che per le opere abusive il giudice ordinasse, "con la sentenza di condanna" per il reato di cui all'art. 20 (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44) la demolizione delle opere stesse se non ancora eseguita, in tal modo collegando espressamente la statuizione demolitoria al necessario presupposto della pronuncia di sentenza di condanna. Di qui la costante affermazione, nella giurisprudenza di questa Corte, circa il fatto che l'estinzione del reato di edificazione abusiva per prescrizione travolge l'ordine di demolizione dell'opera anche indipendentemente da una espressa statuizione di revoca, atteso che tale ordine è una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione, appunto, nella accessorietà alla sentenza di condanna (da ultimo, Sez. 3, n. 757 del 02/12/2010, Bruno e altra, non massimata; Sez. 3, n. 756 del 02/02/2010, Sidgnano, Rv. 249154;
Sez. 3, n. 10209 del 02/02/2006, Cirillo ed altro, Rv. 233673). Analoga conclusione deve essere operata con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, posto che anche con riferimento ad essa dapprima la L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies ed oggi il D.Lgs, n. 42 del 2004, art. 181, prevedono, quale necessario presupposto della misura, la sentenza di condanna.
Nella specie, invece, la Corte barese, pur avendo dichiarato l'estinzione dei reati in oggetto, ha confermato la pronuncia del Pretore di "rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese degli imputati mediante demolizione dei manufatti edilizi abusivi".
La fondatezza del motivo, che non essendo basata su motivi esclusivamente personali deve essere esteso a tutti i ricorrenti ex art. 587 c.p.p., comporta, dunque, l'annullamento senza rinvio della sentenza in parte qua.
21. In conclusione, inammissibili i ricorsi presentati nell'interesse di Caputo Maria Immacolata e Rotondi Rosalia Liliana, i residui ricorsi devono essere accolti unicamente con riguardo agli ordini di demolizione e restituzione in pristino che devono essere eliminati, dovendo, nel resto, essere rigettati.
Al rigetto nel merito consegue la condanna dei ricorrenti tutti, tranne che con riferimento a Caputo Maria Immacolata e Rotondi Rosalia Liliana, già deceduti con conseguente caducazione del rapporto processuale, anche civilistico, alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle costituite parti civili Ministero per l'ambiente e Ministero per i beni e le attività culturali da liquidarsi in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi presentati nell'interesse di Caputo Maria Immacolata e Rotondi Rosalia Liliana. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente agli ordini di demolizione e restituzione in pristino, ordini che elimina. Rigetta nel resto i residui ricorsi e condanna tutti i ricorrenti, ad esclusione di Caputo Maria Immacolata e Rotondi Rosalia Liliana al pagamento delle spese processuali sostenute in questo grado dalle costituite parti civili, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compenso.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2013