Cass. Sez. III n. 15981 del 8 aprile 2013 (ud. 28 feb. 2013)
Pres. Teresi Est. Fiale Ric. PM in proc. Moretti
Urbanistica. Lottizzazione abusiva e ruolo del notaio

Nell’illecito lottizzatorio, non può ritenersi assiomaticamente sussistente la buona fede dell’acquirente per il solo fatto che quegli si sia rivolto ad un notaio quale pubblico ufficiale rogante. Le parti stipulanti infatti - proprio al fine specifico di non fare emergere elementi indiziari di uno scopo lottizzatorio dell'attività negoziale - potrebbero rendere dichiarazioni non veritiere, surrettiziamente Incomplete o nebulose, oppure produrre documentazione parziale e non corrispondente alla realtà. Lo stesso notaio, infine, potrebbe concorrere alla lottizzazione abusiva, sia contribuendo con la propria condotta alla realizzazione dell’evento illecito (facendo proprio il fine degli autori del reato, magari anche con attiva induzione propiziatoria) sia per violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del 2° comma dell’art. 1176 cod. civ. L’intervento del notaio non garantisce una sorta di “ripulitura giuridica" della originaria illegalità dell’immobile abusivo, permettendo che esso resti definitivamente radicato sul territorio, né può consentire all'acquirente di godere di un acquisto dolosamente o colposamente attuato in ordine ad un bene di provenienza illecita ed al costruttore abusivo di conseguire comunque il suo illecito fine di lucro. Argomentandosi in senso difforme (come efficacemente rilevato In dottrina) lo scempio territoriale, che è intollerabile perché perpetrato in violazione anche dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, diventerebbe praticamente Intoccabile e la cultura dell'illegalità diventerebbe diritto acquisito.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 28/02/2013
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - N. 535
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere - N. 32697/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CHIETI, nei confronti di:
MORETTI STEFANO N. IL 10/11/1960;
avverso l'ordinanza n. 79/2012 TRIB. LIBERTÀ di CHIETI, del 25/06/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
sentite le conclusioni del PG Dott. SPINACI Sante il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata;
Udito il difensore Avv.to COLUCCI Roberto, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso del P.M.. RITENUTO IN FATTO
Il G.I.P. del Tribunale di Vasto disponeva, con provvedimento dell'11.5.2012, il sequestro preventivo di terreni e fabbricati siti in località "Cono a Mare" del Comune di Vasto, ove era in corso la realizzazione di 178 unità abitative sulla base di titoli abilitativi edilizi considerati illegittimi.
Il sequestro veniva applicato nell'ambito di un procedimento penale che vedeva indagati: I legali rappresentanti della s.r.l. "Cosvim", proprietaria del comprensorio edificato, titolare per voltura dei titoli abilitativi e committente delle opere (Lapadula Michele) e della s.r.l. "Inglese", esecutrice dell'attività edilizia (Inglese Egidio); la progettista architettonica e direttrice dei lavori (D'Alessandro Laura); due funzionari comunali succedutisi nella direzione dell'ufficio urbanistica, i quali avevano svolto attività di verifica e rilascio in relazione ai titoli edilizi progressivamente formatisi (D'Annunzio Michele e Mercogliano Alfonso).
L'illiceità dell'attività costruttiva veniva dedotta dalle circostanze che:
- su un'area non urbanizzata, avente superficie di mq. 22.094, ricompresa in zona "D7" (residenziale turistico-ricettiva di completamento) del piano regolatore generale comunale, era stata iniziata ed era in corso di realizzazione la costruzione di un complesso edilizio destinato a residenze private, organizzato in più comparti per un totale di 178 unità abitative suddivise in otto palazzine di tipologia A e B (31 delle quali già ultimate e vendute a terzi acquirenti), laddove una tale destinazione residenziale non poteva considerarsi consentita della prescrizioni di pianificazione, nonché sulla base di titoli abilitativi che avevano assentito un "intervento diretto", in assenza del prescritto piano di lottizzazione e della stipula di una convenzione lottizzatola, senza la previsione delle opere di urbanizzazione da realizzarsi in aree che avrebbero dovuto essere cedute al Comune ed in violazione dei limiti di densità edilizia fissati dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 3.
Venivano altresì contestate l'edificazione abusiva di muri di contenimento in cemento armato (uno dei quali ostacolante la realizzabilità di una strada di piano), la totale difformità delle opere edilizie già realizzate rispetto ai titoli abilitativi edilizi ad esse riferiti (indipendentemente dalla illegittimità degli stessi) e la realizzazione di interventi non previsti dai titoli medesimi.
- In particolare veniva evidenziato, per tutte le palazzine, un aumento del numero dei piani in seguito all'edificazione fuori terra del piano previsto come interrato (con conseguente incremento della volumetria da computarsi ai fini del rispetto dell'indice fondiario), nonché, per le palazzine del tipo A, un'altezza superiore a quella ammessa dalle prescrizioni pianificazione e la trasformazione dei sottotetti in unità abitative.
Le ipotesi dei reati configurati dalla accusa sono quelle di cui:
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c); D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b); L. n. 241 del 1990, art. 19, comma 6;
art. 481 cod. pen..
Il Tribunale di Chieti - con ordinanza del 25.6.2012 - in accoglimento di un'istanza di riesame proposta da Moretti Stefano, acquirente non indagato di un appartamento con garage e posto auto, ha disposto il dissequestro e la restituzione di detti manufatti allo stesso, rilevando che:
a) non è ravvisabile il fumus del reato di lottizzazione abusiva (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), poiché non si può escludere, sulla base dell'interpretazione letterale dell'art. 117 delle NTA (norme tecniche di attuazione) del piano regolatore generale attualmente vigente del Comune di Vasto, pure se tale norma "si presta a letture contrastanti", una vocazione residenziale della zona "D7" (quella interessata dall'intervento edificatorio in oggetto);
b) le contravvenzioni edilizie contestate ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), appaiono effettivamente configurabili, ma "il sequestro, disposto nei confronti di tutte le opere realizzate dall'impresa costruttrice, non consente di accertare se le singole unità abitative acquistate dal ricorrente fossero o meno interessate dalle contestate violazioni";
c) "allo stato, il titolo di acquisto sottoscritto dal ricorrente (effettuato con atto pubblico ed all'esito dell'istruttoria dell'istituto di credito che aveva erogato il mutuo, iscrivendo ipoteca) e la presenza nelle immediate adiacenze di altri immobili di carattere residenziale, consente di ritenere sussistente, in capo al ricorrente, quella buona fede richiesta per un valido acquisto della proprietà immobiliare", dovendo ritenersi che egli "aveva adoperato la necessaria diligenza nel prendere conoscenza delle previsioni degli strumenti urbanistici e della conformità agli stessi dell'eventuale pianificazione".
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Chieti, il quale ha anzitutto evidenziato che il sequestro è stato imposto, ex art. 321 c.p.p., comma 1, al fine di impedire l'aggravamento delle conseguenze dei reati (e non è stato finalizzato alla confisca secondo la previsione del comma 2 dello stesso art. 321). Lo stesso ricorrente, quindi - in relazione alle considerazioni svolte nel provvedimento impugnato sul punto della sussistenza del fumus dei reati edilizi configurati - ha eccepito la mancata valutazione di tutti gli elementi complessivamente posti a fondamento delle imputazioni e la carenza assoluta di motivazione con riferimento alla formulazione integrale delle contestazioni (vizio integrante la violazione di legge di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) - svolgendo le seguenti doglianze: - Le prescrizioni poste dalle NTA del piano regolatore generale vigente nel Comune di Vasto all'epoca del rilascio del primo permesso di costruire (n. 356 del 7.7.2005) escludevano espressamente l'uso residenziale nella zona "D7" in oggetto. L'uso residenziale è stato invece ammesso con limitazioni dall'art. 117 delle nuove NTA adottate nel 2007 (norma che il Tribunale ha apoditticamente considerato suscettibile di "letture contrastanti", senza spiegare però le ragioni dell'asserito contrasto interpretativo).
In ogni caso, comunque, sono la Legge Urbanistica Fondamentale n. 1150 del 1942, artt. 13 e 28 a prescrivere in modo netto la necessità di procedere attraverso piano attuativo, e non con edificazione diretta, a fronte di un intervento edificatorio ricadente (quale quello in oggetto) su una superficie territoriale totalmente inedificata e priva di opere di urbanizzazione (strade, acqua, fogne, luce, gas, parcheggi etc). Anche l'art. 110 delle nuove NTA stabilisce inoltre che, quando la superficie interessata sia uguale o superiore a mq. 5.000, l'intervento vada realizzato con la modalità "indiretta" e cioè previa approvazione di un piano attuativo o di lottizzazione e la necessaria stipula di una convenzione per la cessione delle aree ad uso pubblico. -- In relazione poi alle contestate difformità delle palazzine già realizzate dai titoli abilitativi esistenti e progressivamente formatisi, il Tribunale, sulla base delle conclusioni svolte dal consulente tecnico di esso P.M. e delle planimetrie allegate alla consulenza, avrebbe potuto percepire senza incertezze che quelle difformità coinvolgevano anche la palazzina in cui si trovavano ubicate le unità immobiliari del ricorrente. -- Quanto, infine, alla ritenuta buona fede del Moretti, tale stato soggettivo, per essere riconosciuto in sede cautelare, deve risultare "immediatamente evidente". Nella specie, invece, il Tribunale non aveva spiegato quali fossero "le specifiche e personali condotte esplicative della diligenza dovuta" poste concretamente in essere dall'acquirente, limitandosi a valorizzare l'intervenuta stipula di un atto pubblico di compravendita sui cui contenuti nulla risulta esplicitato. Il difensore del Moretti, in data 20.2.2013, ha depositato memoria di confutazione delle argomentazioni del P.M..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del P.M. è fondato e deve essere accolto. 2. Quanto ai profili di ammissibilità dello stesso, deve preliminarmente rilevarsi che, per giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte Suprema (dopo Cass., Sez. Unite n. 25932 del 26.6.2008), il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo e probatorio è ammesso solo per violazione di legge ed in tale nozione si devono comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza.
Nella specie il P.M. ricorrente eccepisce appunto non un vizio logico della motivazione, bensì la presenza di veri e propri errores in iudicando nonché la carenza dei requisiti di completezza nella effettuata valutazione dell'attività di indagine espletata. 3. Passando quindi alla valutazione del merito del gravame va evidenziato che la delibazione della vicenda in oggetto trova il suo presupposto nel fondamentale principio della pianificazione urbanistica secondo il quale non sempre il piano generale comunale può essere immediatamente attuato attraverso singoli permessi di costruire, occorrendo in taluni casi l'ulteriore mediazione di uno strumento attuativo.
Da tale principio discende che - in mancanza di specifiche indicazioni legislative o dello strumento pianificatorio generale - nelle zone di nuova espansione o comunque in quelle edificabili scarsamente urbanizzate, per la necessità di soluzioni urbanistiche unitarie e non disorganiche, il piano attuativo (e tale è anche il piano di lottizzazione) si pone come "condicio sine qua non" per il rilascio dei singoli permessi di costruire.
I piani attuativi hanno quindi la essenziale funzione di precisare zona per zona, con opportuno dettaglio esecutivo, le indicazioni di assetto e sviluppo urbanistico complessivo contenute nel piano regolatore. Vengono redatti per limitate porzioni del territorio comunale, al fine di attuare gradatamente e razionalmente le sistemazioni urbanistiche previste dal piano generale, nonché di conferire alle singole zone assetto ed attrezzature rispondenti agli insediamenti stabiliti, nella prospettiva della realizzazione di un complesso urbanistico armonico, in cui ciascuna parte si inserisca senza ostacolare le altre.
Secondo l'interpretazione giurisprudenziale, tale mezzo di attuazione è necessario sia quando debba farsi luogo per la prima volta ad edificazione in zona non urbanizzata sia quando si debba edificare in una zona che necessiti di potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondarla presenti.
L'esigenza di un piano attuativo può porsi, dunque, anche in zone già edificate, qualora l'Insediamento progettato determini la necessità di ulteriori urbanizzazioni, avuto riguardo alle dimensioni dell'intervento ed alla destinazione funzionale. Non è sufficiente qualunque stadio di "urbanizzazione di fatto" per escludere la dovutezza della pianificazione attuativa, ma è necessario valutare la sufficienza delle opere di urbanizzazione esistenti (C. Stato, sez. 5: 27 ottobre 2000, n. 5756; 6 ottobre 2000, n. 5326) ed il criterio di sufficienza si correla ad un rapporto di proporzionalità fra i bisogni degli abitanti insediati e da insediare nella zona e la quantità e qualità degli impianti urbanizzanti già disponibili (non solo programmati) destinati a soddisfarli (vedi C. Stato, sez. 5, 25 ottobre 1997, n. 1189). 4. A tali principi fondamentali si correla la definizione legislativa del reato di lottizzazione abusiva (oggi posta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30), che viene ad essere integrato nei casi in cui la legge o la pianificazione generale, espressamente o implicitamente:
- vietino l'uso intensivo del territorio;
- ovvero prevedano la necessità dello strumento attuativo ai fini della concreta utilizzazione di determinati suoli. In relazione a tali casi le Sezioni Unite di questa Corte (28.11.2001, Salvini) hanno affermato che il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto dell'autorizzazione a lottizzare correlata all'approvazione di un piano attuativo di lottizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici. La giurisprudenza di legittimità ha elaborato, inoltre, una ormai consolidata descrizione generale dell'attività lottizzatoria (vedi, ad esempio, Sez. Unite, n. 5115 dell'8.2.2002, nonché Sez. 3: n. 24096 del 13.6.2008; n. 37472, del 2.10.2008; n. 3481 del 26.1.2009;
n. 39078 dell'8.10.2009), che può dirsi configurata:
- attraverso qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dalla entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l'attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità
dell'insediamento;
- in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione;
- allorquando detto intervento non potrebbe essere in nessun caso realizzato, poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone In contrasto con previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento generale di pianificazione, che non possono esser modificate da piani urbanistici attuativi.
Nelle prime due delle tre ipotesi dianzi descritte la fattispecie lottizzatoria esula esclusivamente dalle situazioni di zone completamente urbanizzate, mentre sussiste non soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle intermedie di zone parzialmente urbanizzate nelle quali si configuri un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione.
Non basta, dunque, la mera preesistenza di opere di urbanizzazione per escludere la dovutezza della pianificazione attuativa, ma è necessario che le opere esistenti siano sufficienti in un rapporto di proporzionalità fra i bisogni degli abitanti già insediati e da insediare e la quantità e qualità degli impianti urbanizzati già disponibili destinati a soddisfarli (vedi Cass., Sez. 3: 20.3.2008, n. 12426, Bardini; 26.6.2008, n. 37472, Bellol. Vedi pure C. Stato:
Sez. 5, 5.10.2011, n. 5450; Sez. 4, 1.10.2007, n. 5043; Sez. 4, 22.5.2006, n. 3001; Sez. 5, 15.2.2001, n. 790).
Deve sussistere cioè, per escludere la lottizzazione, una situazione di completa e razionale urbanizzazione della zona, in presenza di opere urbanizzale primarie e secondarie almeno pari agli standard urbanistici minimi prescritti, tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo.
Questo principio è stato efficacemente ribadito da una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. 4, 10.1.2012, n. 26), ove si è pure riconfermato che l'accertamento anzidetto costituisce uno specifico dovere dell'Amministrazione e che "l'esigenza di un piano di lottizzazione quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia s'impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e quindi anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già urbanizzate che richiedono però una più dettagliata pianificazione".
5. Nella presente vicenda il Tribunale ha ritenuto dubbio che la natura residenziale dell'intervento complessivo in corso di realizzazione si ponga in contrasto con le previsioni di zonizzazione della vigente pianificazione generale comunale.
Non ha spiegato compiutamente le ragioni di siffatta incertezza, limitandosi a fare riferimento alla possibilità di "letture contrastanti" dell'art. 117 delle nuove NTA adottate (ma non approvate) nel 2007.
A fronte di un permesso di costruire originariamente rilasciato in data 7 luglio 2005 e prorogato in data 11 giugno 2009, nonché di una "variante" che l'accusa definisce "sostanziale" del 4 novembre 2010, risultando altresì (sempre secondo l'impostazione accusatola) che sarebbe stato illegittimamente comunicato con SCIA n. 250/2011 l'inizio di opere che comportavano un incremento delle unità abitative implicante maggior carico urbanistico (assentibili esclusivamente con un nuovo permesso di costruire), non ha valutato - però - la legittimità di tali titoli edilizi anche alla stregua del regime di salvaguardia connesso ex lege alle modifiche progressive della pianificazione generale comunale introdotte con le delibere del 23.10.2007 e del 16.11.2010.
Tutto ciò in una situazione (anch'essa non illustrata dal Tribunale) in cui è intervenuta altresì una pronunzia di annullamento del TAR Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara per la mancata sottoposizione delle modifiche pianificatole alla valutazione ambientale strategica ed alla verifica di conformità alla pianificazione sovraordinata. 6. Quello che più conta, comunque, è il fatto che quel giudice - quand'anche dovesse ritenersi incontestata la legittimità di un non limitato uso residenziale nella zona "D7" - ha omesso del tutto di motivare circa la situazione dell'urbanizzazione effettiva di quella zona e l'incidenza del nuovo insediamento (al quale si connette un ulteriore carico urbanistico di indubbia rilevanza) sulle opere urbanizzative eventualmente già esistenti.
Va ricordato, in proposito, che l'esigenza di un preventivo piano di lottizzazione non è soddisfatta dall'imposizione, nel singolo o nei singoli permessi di costruire, dell'obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione primaria, poiché le opere di urbanizzazione (non soltanto primaria ma anche secondaria) collegate ad interventi edificatori non realizzabili con procedura "diretta" trascendono le dimensioni dei singoli lotti edificabili in una situazione distinta per presupposti e contenuti che può essere definita soltanto attraverso uno strumento di pianificazione attuativa (vedi C. Stato, Sez. 5: 10.11.1992, n. 1221; 25.10.1989, n. 669).
7. Nella fattispecie in esame - in conclusione - la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva risulta messa in dubbio dal giudice del riesame alla stregua di considerazioni estremamente riduttive e parziali, che non tengono conto delle articolazioni che la nozione di "lottizzazione edilizia" assume nella stessa previsione legislativa.
8. Affatto carenti risultano poi le motivazioni del Tribunale in ordine alla riconosciuta buona fede del Moretti.
8.1 Appare utile ribadire, in proposito, alcuni concetti costantemente enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte e riaffermare che:
- La lottizzazione abusiva negoziale ha carattere generalmente plurisoggettivo, poiché in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti del vari partecipi diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale (vedi Cass., Sez. 3, 8.10.2009, n. 39078).
- La condotta dell'acquirente, in particolare, non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perché anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quello (vedi Cass., Sez. Unite, 27.3.1992, n. 4708, Fogliani) e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei dover) di solidarietà sodale di cui all'art. 2 Cost. (vedi, sul punto, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana ed è per la violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali Interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica).
- L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione. - Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusivltà dell'intervento - o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.
8.2 La giurisprudenza ormai costante di questa Corte è orientata nel senso che la contravvenzione di lottizzazione abusiva, sia negoziale sia materiale, possa essere commessa anche per colpa (vedi, tra le molteplici pronunzie in tal senso, Cass., Sez. 3: 25.2.2011, n. 7238, Cresta; 3.2.2011, n. 3886, Lotito; 29.4.2009, n. 17865, Quarta;
2.10.2008, n. 37472, Belloi; 7.4.2008, n. 14326, Zortea; 5.3.2008, n. 9982, Quattrone; 12.10.2005, n. 36940, Stiffi; 13.10.2004, n. 39916, Lamedica).
Non è ravvisabile, infatti, alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42 c.p., comma 4. Il venditore non può predisporre l'alienazione degli Immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificazione di zona: "il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore" (così testualmente Cass., Sez. 3, 2.10.2008, n. 37472, Belloi).
9. Va rilevato, infine, che oggetto del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1, può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (vedi Cass.: n. 3919/2010; n. 1022/2009; n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992).
10. Alla stregua dei principi anzidetti al Tribunale di Chieti - tenuto conto dei limiti della cognizione ad esso demandata nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro (vedi Cass., Sez. Unite, 29.1.1997, Bassi) - non era consentito affermare la sussistenza di una situazione di "buona fede" dell'acquirente che non risultasse immediatamente evidente.
Nella specie, invece, la buona fede del Moretti è stata riconosciuta in virtù delle circostanze che l'acquisto era stato effettuato con atto pubblico ed all'esito dell'istruttoria dell'Istituto di credito che aveva erogato il mutuo ipotecario, nonché per la presenza nelle immediate adiacenze di altri immobili di carattere residenziale. Per tali considerazioni si è ritenuto che quell'acquirente "aveva adoperato la necessaria diligenza nel prendere conoscenza delle previsioni degli strumenti urbanistici" e della conformità dell'edificazione agli stessi.
Ancora una volta la carenza di motivazione è macroscopica ed assoluta, in quanto:
- la presenza nelle immediate adiacenze di altri immobili di carattere residenziale è circostanza del tutto irrilevante (ciò che conta, come si è detto dianzi, è io stato di urbanizzazione del comprensorio);
- nessun riferimento concreto è stato fatto ai contenuti effettivi dell'atto notarile di acquisto, la cui efficacia scriminante è stata ricollegata al mero fatto della sua esistenza (ma neppure risultano indicati gli estremi del rogito), omettendosi però l'analisi della presenza e del contenuto di clausole contrattuali riferite in particolare:
- alla descrizione della destinazione urbanistica della zona edificata secondo le previsioni di piano vigenti all'epoca dell'Intervenuta edificazione;
- ai titoli abilitanti le unità immobiliari compravendute (il solo permesso di costruire originario rilasciato il 7.7.2005, oppure le modifiche apportate con il permesso di variante del 4.11.2010 o ancora in seguito alla presentazione della SCIA n. 250/2011);
- alla eventuale indicazione della intervenuta imposizione alla società costruttrice della realizzazione di opere urbanizzative trascendenti le dimensioni dei singoli lotti edificabili (nella specie il P.M. assume che la proroga del 2009 venne concessa proprio per la addotta "complessità nella realizzazione delle opere di urbanizzazione");
- non è stato indicato quali documenti relativi agli immobili trasferiti siano stati allegati all'atto pubblico;
- non è stato accertato se l'Istituto concedente il mutuo fondiario abbia effettuato autonoma Istruttoria circa la legittimità della costruzione (e di ciò abbia dato atto in sede di stipulazione del mutuo), ovvero si sia limitato alla mera determinazione del valore venale dei beni, prevedendo clausole rescissorie o risolutive connesse ad eventuali riscontri pubblicistici di illegittimità. 11. Va enunciato con chiarezza, al riguardo, il principio secondo il quale, nell'illecito lottizzazione non può ritenersi assiomaticamente sussistente la buona fede dell'acquirente per il solo fatto che quegli si sia rivolto ad un notaio quale pubblico ufficiale rogante.
Le parti stipulanti infatti - proprio al fine specifico di non fare emergere elementi indiziati di uno scopo lottizzatorio dell'attività negoziale - potrebbero rendere dichiarazioni non veritiere, surrettiziamente incomplete o nebulose, oppure produrre documentazione parziale e non corrispondente alla realtà. Lo stesso notaio, infine, potrebbe concorrere alla lottizzazione abusiva, sia contribuendo con la propria condotta alla realizzazione dell'evento illecito (facendo proprio il fine degli autori del reato, magari anche con attiva induzione propiziatoria) sia per violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2.
L'intervento dei notaio non garantisce una sorta di "ripulitura giuridica" della originaria illegalità dell'immobile abusivo, permettendo che esso resti definitivamente radicato sul territorio, nè può consentire all'acquirente di godere di un acquisto dolosamente o colposamente attuato in ordine ad un bene di provenienza illecita ed al costruttore abusivo di conseguire comunque il suo illecito fine di lucro. Argomentandosi in senso difforme (come efficacemente rilevato in dottrina) io scempio territoriale, che è intollerabile perché perpetrato in violazione anche del doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., diventerebbe praticamente intoccabile e la cultura dell'illegalità diventerebbe diritto acquisito.
11.1 A fronte dell'apparenza del requisito formale della commerciabilità del bene, emergente dalle dichiarazioni di rito della parte venditrice che assevera titolo abilitativo e provenienza dell'immobile, il notaio deve preoccuparsi che l'atto non nasca invalido o invalidarle e che lo stesso strumento riduca al massimo i rischi dell'emergenza di liti interpretative tra le parti. Spetta al notaio, dunque, l'esame puntuale della documentazione storica dell'immobile, per la completa tranquillità di non rischiare la invalidità dell'atto: egli, quale privato esercente di pubbliche funzioni, deve assumere una pregnante funzione di controllo documentale, sussistendo un interesse generale da tutelare oltre quello delle parti costituite in atto.
Le conclusioni sopra riportate sono in sintonia con le regole di condotta dettate dai Protocolli dell'Attività Notarile - Regola n. 13, ove viene testualmente enunciato:
- che la prestazione del notaio dovrà essere finalizzata non solo ad assicurare il rispetto dei requisiti formali necessari ai fini della validità degli atti, ma anche ad evitare che l'atto notarile costituisca elemento per la realizzazione di lottizzazioni abusive, anche quale elemento inserito in un procedimento progressivo e complesso di realizzazione della fattispecie abusiva;
- che il ruolo del notaio dovrà essere diretto, altresì, a colmare la presumibile asimmetria informativa delle parti in una materia complessa quale è quella urbanistica ed edilizia;
- che eventuali vizi nei requisiti attinenti la validità degli atti non sono rilevabili da una mera visura delle note di trascrizione, ma richiedono un esame dei titoli di provenienza.
Alla stregua di tali considerazioni la Regola n. 13 prescrive al notaio l'osservanza delle seguenti condotte:
- informare le parti sulle conseguenze giuridiche legate al fenomeno della lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio, sia materiale che negoziale, nei casi in cui l'operazione presenti elementi di incongruità in relazione agli elementi che possono evincersi dalla definizione di lottizzazione abusiva riportata nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1 (T.U. sull'edilizia);
- astenersi dal prestare qualunque contributo attivo e consapevole all'altrui illecita attività finalizzata al suddetto scopo;
- presentare o trasmettere, senza ritardo, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria, denunzia scritta in tutti i casi in cui, sulla base degli elementi indicati nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, emerga il sospetto di una lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio.
11.2 Nè può eccepirsi, al riguardo, che - alla stregua della formulazione letterale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, e tenuto conto del principio di tassatività delle previsioni penali - il reato di lottizzazione abusiva sarebbe configurabile esclusivamente nei confronti del venditore e degli acquirenti di "terreni illegittimamente frazionati" e non invece di "edifici già costruiti".
Va rilevato, infatti, che le Sezioni Unite - già con la sentenza 28.11.1981, ric. Giulini - hanno affermato che, per la conflgurabilità del reato all'epoca previsto dall'art. 17, lettera b) - ultima ipotesi, della L. n. 10 del 1977, la nozione di "lottizzazione dei terreni a scodo edilizio" (allora posta dalla Legge Urbanistica n. 1150 del 1942, art. 28, modificato dalla L. n. 765 del 1967) non comprendeva soltanto i casi di frazionamento di area, ma (alla stregua della ratio legis e degli interessi tutelati) doveva "essere estesa sino a comprendere qualsiasi forma di insediamento urbano, non autorizzatile o non legittimamente autorizzato, realizzata attraverso l'utilizzazione edilizia del territorio": ciò perché si determina in ogni caso il pregiudizio delle autonome scelte programmatiche sull'uso del territorio, riservate dalla legge alla competenza del Comune, nonché il condizionamento della pubblica Amministrazione ad eseguire le correlate opere di urbanizzazione primaria e secondaria ed a sopportare i relativi costi.
Solo un'interpretazione siffatta, già secondo la pronuncia in oggetto, "sembra poter comprendere le varie e diverse accezioni del termine lottizzazione, nei momenti e negli aspetti eterogenei e multiformi, effettivi o simulato nei quali essa ha dimostrato, nel tempo, di potersi concretizzare e sviluppare".
12. Nelle ipotesi in cui si prospetti la possibilità di configurazione di una lottizzazione abusiva il permesso di costruire non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio delle opere realizzande senza tener conto del quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici e delle rappresentazioni del progetto approvato.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, prescrive che non possono essere iniziate opere che comportano trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni "in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali".
La giurisprudenza pluridecennale del Consiglio di Stato, a sua volta (come si detto dianzi), ha costantemente considerato principio fondamentale della pianificazione l'esigenza di un piano esecutivo quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire, allorché si tratti di realizzare un insediamento edilizio che obiettivamente esiga la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Tutto ciò è comprensibile da chiunque, si ricollega ad un facile riscontro della presenza di elementi oggettivi agevolmente individuabili, non presenta alcun profilo di oscurità interpretativa e non può essere ignorato dalle parti che stipulano un trasferimento immobiliare: meno che mai dal notaio rogante, il quale deve assicurarsi, ponendo in essere un'idonea attività di informazione, che ciò che egli ha percepito nell'ambito della sua particolare qualificazione professionale venga percepito anche dall'acquirente. Per affermare l'esistenza di una situazione di "buona fede" deve ritenersi indispensabile, pertanto, l'esame specifico dell'atto traslativo e della documentazione ad essa allegata in una corretta prospettiva di verifica dell'esistenza di quell'aspettativa di "esattezza giuridica" dei provvedimenti amministrativi sui quali il privato possa fare affidamento.
Con riferimento alle connotazioni della vicenda in oggetto, può rilevarsi che un permesso di costruire, con cui venga autorizzata un'edificazione diretta (senza necessità, cioè, di un piano attuativo) di plurime unità residenziali ma si preveda contestualmente la realizzazione o il potenziamento delle opere o del servizi necessari a soddisfare alcuni bisogni della collettività (urbanizzazione primaria e secondaria), presenta profili macroscopicamente evidenti di illegittimità proprio perché si ricollega ad una valutazione di insufficienza dello stato di urbanizzazione già presente.
Ciò non può sfuggire alla percezione del notaio, onerato (per quanto attiene agli aspetti civilistici della propria responsabilità professionale) da doveri di protezione (o, se si vuole, di consiglio) imposti dal principio della buona fede nell'ambito dei rapporti obbligatori: egli, conseguentemente, deve sollecitare l'acquirente a riflettere sulla situazione riscontrata (vedi Cass. civ., Sez. 3, 21.6.2012, n. 10296).
In relazione ai profili pubblicistici, poi, va evidenziato che:
- è il comma 1 del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 ad imporre anche all'acquirente il dovere - a fronte di un intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio che presenti i caratteri di rilevanza riscontrabili nel caso in esame (178 unità abitative suddivise in otto palazzine) - di veriffcare che siano rispettate le prescrizioni legislative e quelle di piano;
- un siffatto dovere di verifica incombe, a maggior ragione, sul notaio rogante, che - ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 47, comma 2, (come modificato dal D.P.R. 9 novembre 2005, n. 304) - è esonerato da responsabilità solo "ottemperando a quanto disposto dall'art. 30";
- il notaio rogante - dopo la modifica dell'art. 47, comma 2, e l'abrogazione dell'onere di comunicazione originariamente previsto dall'art. 30, comma 6 (ma già dalla L. n. 47 del 1985, art. 21) disposte dal D.P.R. n. 304 del 2005 - non può più ritenersi esonerato da responsabilità per il solo fatto di avere ottemperato a quell'obbligo di trasmissione al Comune dell'atto sospetto che prima era previsto e che attualmente non è più esistente;
- non può certo escludersi che il notaio e l'acquirente possano essere ingannati dal venditore, ma ciò deve essere dimostrato, dovendosi altresì considerare che l'acquirente non è in "buona fede" allorché egli stesso abbia consentito un accertamento incompleto, espressamente dispensando il notaio dall'effettuazione di visure o dall'acquisizione di documenti.
13. L'esame delle doglianze riferite nel ricorso del P.M. alle difformità degli immobili dissequestrati (appartamento con garage) rispetto ai titoli edilizi ad essi riferiti, deve fondarsi anch'esso sulla premessa (di cui già si è dato conto dianzi) che oggetto dei sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1 può essere qualsiasi bene;
- a chiunque appartenente e, quindi, anche all'acquirente che non abbia concorso nell'edificazione - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato In libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. 13.1 Viene poi in rilievo la questione dei rapporti tra autorizzazione a lottizzare e permesso di costruire, in relazione alla quale si deve muovere dalla ulteriore necessaria premessa che l'eventuale rilascio di quest'ultimo (come si è verificato nella vicenda in oggetto) non vale ad escludere la necessità della prima e, quindi, la sussistenza della lottizzazione abusiva di cui ricorrano gli elementi costitutivi.
Punto fermo è che se manca l'autorizzazione a lottizzare o se le trasformazioni urbanistiche od edilizie violano le prescrizioni degli strumenti urbanistici o delle leggi statali o regionali nessun valido titolo edilizio può essere rilasciato.
13.2 Va ricordato altresì che un orientamento dottrinario esclude la possibilità di configurare il concorso tra i reati previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b) (lavori eseguiti in assenza di valido permesso di costruire) e lett. c) (lottizzazione abusiva) sul presupposto che il legislatore - nel descrivere la fattispecie vietata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1 (prima parte), e nel comminare per essa la più grave sanzione prevista in materia di illeciti urbanistici - sembra avere già "scontato" la contestuale violazione del divieto di edificare senza valido permesso di costruire.
Tali affermazioni, però, non sono condivise dalla giurisprudenza di questa Corte (ma anche dalla maggioranza della dottrina), essendosi evidenziato che:
- la lottizzazione non va confusa con la successiva costruzione abusiva, che può essere realizzata da altri da soli o in concorso con il dante causa e che da luogo a distinta ipotesi (Cass., Sez. 3:
2.10.1990, Mannino);
- diverso è l'oggetto dei due reati, "giacché la condotta di lottizzazione abusiva assume rilevanza penale sin dal momento in cui appare in modo non equivoco la trasformazione urbanistica o edilizia del territorio a scopo edificatorio, mentre quella di costruzione abusiva attiene ad un momento successivo, nel quale si incomincia a realizzare questo programma" (Cass., Sez. 3: 26.1.1998, Ganci;
8.11.1995, Licciardello);
- occorre distinguere tra gli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva, a forma libera, ed il momento di esteriorizzazione ulteriore e di completamento del programma lottizzatorio, che può rinvenirsi pure nella contestuale costruzione di più edifici (Cass., Sez. 3: 26.1.1998, Ganci);
- non vi è necessaria coincidenza tra fatto in senso naturalistico e fatto in senso giuridico, sicché ben può verificarsi che all'unicità di un determinato fatto storico faccia riscontro una pluralità di fatti giuridici. È configurabile, pertanto, il concorso formale dei reati di lottizzazione abusiva e di costruzione senza concessione qualora con una condotta progressiva sono stati prodotti più eventi giuridicamente rilevanti: l'attività edilizia è stata sottratta al controllo comunale e, attraverso l'esecuzione di essa, è stata altresì realizzata una trasformazione urbanistica con prevaricazione della pianificazione del territorio (Cass., Sez. 3, 20.3.1998, Stea).
Il Collegio ribadisce l'orientamento che afferma la possibilità della configurazione del concorso formale dei reati, considerando infondata l'opinione che in tal modo si punisce un'unica condotta due volte, ritenendola integrativa dell'elemento oggettivo di due distinte contravvenzioni.
Va rilevato infatti, in proposito, che tra le due norme non esiste alcun rapporto di specialità, poiché le due fattispecie astratte (lottizzazione abusiva e lavori senza permesso di costruire o in totale difformità da esso) contengono elementi diversi non riconducibili ad un rapporto di genere a specie. Si potrebbe ipotizzare un rapporto di consunzione tra le norme in esame, prospettandosi che esse hanno come ultimo scopo l'ordinato assetto urbanistico, ma tale comunanza finale di scopo appare troppo generica per giustificare l'inapplicabilità della norma che prevede la sanzione meno grave.
13.3 Nella fattispecie in esame, dunque, a fronte della rituale contestazione anche della contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), per la violazione di specifiche prescrizioni poste dalle NTA e per la totale difformità dal permesso di costruire, il Tribunale - pur dopo avere escluso la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva ed a maggior ragione per l'effetto dell'esclusione di tale reato -avrebbe dovuto verificare, alla stregua della documentazione e della consulenza prodotta dal P.M., se le unità Immobiliari acquistate dal Moretti (che il P.M. afferma essere ricomprese in una palazzina del tipo A) ricadessero tra quelle costruite fuori terra mentre erano state autorizzate come interrate ovvero tra quelle ottenute mediante illegittima trasformazioni di sottotetti, ovvero costituissero comunque parte di un edificio totalmente difforme (per mutamento della sagoma o significativo incremento della volumetria complessiva) da quello rappresentato negli elaborati di progetto ed autorizzato.
La motivazione avrebbe dovuto riguardare - sempre nei limiti dell'accertamento incidentale - sia gli elementi di accusa prodotti dal P.M. in relazione alla specifica palazzina in cui erano allocati l'unità abitativa ed il garage sia le confutazioni della difesa: una valutazione siffatta, invece, incongruamente (e poco comprensibilmente) il Tribunale ha ritenuto impedita dalla circostanza che il sequestro era stato "disposto nei confronti di tutte le opere realizzate dall'impresa costruttrice". 14. L'ordinanza impugnata, per tutte le argomentazioni dianzi svolte, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Chieti per nuovo esame alla stregua degli enunciati principi di diritto.

P.Q.M.
annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2013