Cass. Sez. III n. 30016 del 27 luglio 2011 (CC 14 lug. 2011)
Pres. Squassoni Est.Franco Ric. D'Urso
Urbanistica. Ordine di demolizione e sopravvenuta autorizzazione amministrativa alla demolizione e ricostruzione

L'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna, non può essere revocato in sede esecutiva in conseguenza del rilascio al proprietario dell'autorizzazione a demolire con contestuale permesso a ricostruire, trattandosi di un provvedimento amministrativo non inconciliabile con l'ordine di demolizione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 14/07/2011
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 1528
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 4271/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D'Urso Daniela, nata a Messina il 31.7.1969;
avverso l'ordinanza emessa il 29 ottobre 2010 dal giudice del tribunale di Barcellona P.G., quale giudice dell'esecuzione;
udita nella camera di consiglio del 14 luglio 2011 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
lette le conclusioni del Procuratore generale con le quali chiede l'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 28.10.2005 - divenuta irrevocabile il 24.1.2008 - il giudice del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto condannò D'Urso Daniela per reati edilizi ed ordinò la demolizione delle opere abusive, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, u.c.. Nella fase esecutiva, il P.M. competente ingiunse alla condannata la demolizione.
La D'Urso promosse incidente di esecuzione, prospettando che suo marito Buzzanca Giuseppe aveva ottenuto dal Comune di Furnari, in data 4.7.2008, concessione in sanatoria per il "condono edilizio" di cui alla L. n. 326 del 2003, art. 32, e chiedendo la revoca dell'ordine di demolizione.
Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 18.7.2008, rigettò l'istanza di revoca dell'ordine di demolizione sul rilievo che nel giudizio di merito era stata esclusa ogni efficacia, ai fini penali, della esperita procedura di condono edilizio per la tardività del pagamento della somma dovuta a titolo di oblazione. Detta statuizione, avente autorità di cosa giudicata, non poteva essere ulteriormente messa in discussione nella fase esecutiva. Avverso tale ordinanza la D'Urso propose ricorso per cassazione, a seguito del quale il giudice dell'esecuzione sospese l'esecuzione dell'ordine di demolizione.
Questa Corte, con sentenza del 20.1.2009, n. 9893, dichiarò inammissibile per manifesta infondatezza il ricorso, osservando che nella specie il giudice del merito aveva affermato la inefficacia, ai fini penali, della esperita procedura di condono edilizio per la tardività del pagamento della somma dovuta a titolo di oblazione (L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 4). Affermò poi la sentenza che correttamene pertanto il giudice dell'esecuzione aveva rilevato che questa statuizione, coperta dal giudicato, non poteva essere messa nuovamente in discussione nella fase esecutiva e che di conseguenza era irrilevante il provvedimento concessorio sanante ai fini dell'esecuzione dell'ordine demolitorio impartito dal giudice. Con istanza del 3.2.2009 il PM chiese al giudice la revoca della sospensione.
Nell'ambito dell'incidente di esecuzione la D'Urso ampliò il tema della decisione, chiedendo nuovamente al giudice di revocare l'ordine di demolizione, adducendo come nuovi elementi di valutazione una autorizzazione a demolire ed una concessione (n. 16/09 del 17.10.2009) per la ricostruzione del medesimo manufatto. Con l'ordinanza impugnata il giudice dell'esecuzione rigettò la richiesta di revoca dell'ordine di demolizione osservando: - che era impossibile ridiscutere il tema della condonabilità, per l'esistenza ormai del giudicato che escludeva potersi superare le argomentazioni del giudice della cognizione; - che l'intervenuta concessione in sanatoria per condono edilizio era inidonea ai fini della richiesta revoca, perché l'intera oblazione non era stata versata in termine:
- che era illegittima anche la seconda concessione perché si fondava sulla prima.
La D'Urso ha di nuovo proposto ricorso per cassazione deducendo la manifesta illogicità della decisione che, non ha provveduto sulla istanza di revoca della sospensione avanzata dal PM, mentre ha pronunciato sulle istanze della condannata. Lamenta inoltre che il giudice non ha considerato che l'intervenuta concessione in sanatoria per condono edilizio, nonostante il ritardo di soli tre giorni nel pagamento dell'ultima rata della oblazione, non poteva considerarsi irrilevante al fine di neutralizzare la già disposta demolizione. Osserva infine che a questo fine ha comunque rilievo la seconda concessione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Va innanzitutto osservato che la ricorrente non ha nessun interesse a dolersi della mancata pronuncia sulla richiesta del pubblico ministero.
La ricorrente sostiene in primo luogo che, a seguito del pagamento in ritardo della somma dovuta a titolo di oblazione con i relativi interessi, il conseguente rilascio del provvedimento amministrativo di sanatoria per condono, se non poteva più avere effetti estintivi del reato (come ritenuto dalla sentenza di condanna emessa in sede di cognizione) ben poteva invece determinare la revoca dell'ordine di demolizione trattandosi appunto di un legittimo provvedimento amministrativo che si poneva in insanabile contrasto con l'ordine stesso. Lamenta quindi che erroneamente il giudice dell'esecuzione non ha applicato questo principio e non ha considerato che il provvedimento amministrativo intervenuto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna era stato comunque emesso in presenza delle condizioni formali e sostanziali previste dalla legge per la sua esistenza sicché produceva effetti sulla permanenza dell'ordine di demolizione anche dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna.
Rileva il Collegio che la doglianza della ricorrente non può essere esaminata nel merito perché preclusa dal giudicato intervenuto (non sulla sentenza di condanna, ma) proprio sulla stessa questione a seguito della sentenza di questa Corte n. 9893/09 del 20.1.2009 che (nel dichiarare inammissibile il ricorso avverso la precedente ordinanza del giudice dell'esecuzione) ha statuito che nel caso in esame la concessione in sanatoria per condono intervenuta dopo la sentenza di condanna non esplicava effetti sull'ordine di demolizione e non ne consentiva la revoca. È quindi preclusa ogni ulteriore considerazione sulla efficacia della detta concessione in sanatoria per condono nei confronti dell'ordine di demolizione delle opere abusive.
La ricorrente deduce, in secondo luogo, che è stato rilasciato un nuovo permesso di costruire per la demolizione di parte del manufatto e la sua successiva ricostruzione. Ora, come rilevato dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, si tratta appunto di un nuovo permesso di costruire per realizzare una nuova costruzione e non di una sanatoria del precedente abuso. In ogni caso - a parte il rilievo che sul punto il ricorso è del tutto generico, in quanto non si deducono argomenti specifici a dimostrazione della rilevanza del nuovo permesso - va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, l'ordine di demolizione può essere revocato solo in seguito al sopravvenire di legittimi provvedimenti amministrativi che siano assolutamente incompatibili con l'ordine stesso, mentre nella specie si tratterebbe appunto di una autorizzazione a demolire e di un permesso di ricostruire, ossia di provvedimenti che non sono inconciliabili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione.
In particolare va rilevato che la sentenza di condanna del giudice del tribunale di Barcellona P.G. del 28.10.2005, dispose la demolizione delle opere abusive, e cioè di: 1) una sopraelevazione con superficie coperta di circa mq. 40; 2) una copertura in legno e tegole, con innalzamento dei muri perimetrali; 3) altra tettoia con copertura di circa mq. 10; 4) una scala esterna in cemento armato di collegamento con la terrazza. Ora, il nuovo permesso di costruire prevede la demolizione della stesse specifiche opere già oggetto dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna. Non è dato quindi vedere quale insanabile contrasto vi possa essere tra l'ordine di demolizione in questione ed il permesso di costruire che prevede la demolizione delle stesse identiche opere abusive. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011