Consiglio di Stato Ad. Pl. n. 17 del 7 settembre 2020
Urbanistica.Ambito di applicazione dell’art. 38 del t.u. edilizia

I vizi cui fa riferimento l’art. 38, t.u.edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione

Pubblicato il 07/09/2020

N. 00017/2020REG.PROV.COLL.

N. 00007/2020 REG.RIC.A.P.

N. 00005/2020 REG.RIC.A.P.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7 di A.P. del 2020, proposto da
Romano Confortola, Olga Salari, rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandra Berra, Manuela Fiore, Maria Alessandra Sandulli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Alessandra Sandulli in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;

contro

Comune di Livigno, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Enrico Pedrana, Luca Vianello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Lucia Silvestri, rappresentato e difeso dall'avvocato Bruno Santamaria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44;


sul ricorso numero di registro generale 5 di A.P. del 2020, proposto da
Comune di Livigno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Enrico Pedrana, Luca Vianello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Lucia Silvestri, rappresentato e difeso dall'avvocato Bruno Santamaria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44;

nei confronti

Romano Confortola, Olga Salari, entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandra Berra, Manuela Fiore, Maria Alessandra Sandulli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Alessandra Sandulli in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;

per la riforma

quanto ad entrambi i ricorsi:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (sezione Seconda) n.98/2019, resa tra le parti.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Livigno, di Lucia Silvestri, di Romano Confortola e Olga Salari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2020 il Cons. Giulio Veltri e uditi, con modalità da remoto, gli avvocati Alessandra Berra, Maria Alessandra Sandulli, Luca Enrico Pedrana, e Bruno Santamaria.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ordinanza n. 1735/2020 la IV Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso a questa Adunanza Plenaria la questione circa l’esatta delimitazione dei vizi che consentono, in luogo della demolizione, l’applicazione del regime di “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio previsto dall’art. 38 del T.U. edilizia, 6 giugno 2001 n.380.

2. La vicenda dalla quale il quesito trae origine è, in sintesi, la seguente.

2.1. I sigg.ri Confortola e Salari erano proprietari a Livigno di un fabbricato rurale, sito in località Pémont, distinto al catasto al foglio 29, mappali 322 e 1329, che nel suo assetto originario consisteva in una piccola costruzione totalmente in legno con tetto a doppia falda, a due piani, di cui l’uno adibito a stalla e l’altro superiore a fienile, delle dimensioni di mt. 6,10 x 5,7 in pianta.

Per tale immobile i proprietari ottenevano dal Comune di Livigno un permesso di costruire (19 marzo 2015 prot. n.5538, pratica 32-372/2014) per spostarlo, rilocalizzarlo più a valle, ristrutturarlo e trasformarlo in abitazione, realizzando alcuni vani accessori interrati e un ampliamento, qualificato come ricostruzione di presunte parti crollate dell’edificio originario.

2.2. Eseguito l’intervento, il permesso di costruire in questione veniva impugnato dalla sig.ra Lucia Silvestri, proprietaria dell’immobile limitrofo.

2.3. Il TAR Lombardia, con sentenza n. 813/2016 accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento, chiarendo che l’art. 23 delle norme tecniche di attuazione del locale strumento urbanistico generale non ammettevano interventi eccedenti il restauro conservativo, nella specie non configurabile.

2.4. L’appello proposto dal Comune di Livigno contro tale sentenza da ultimo citata, veniva respinto dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 19 marzo 2018 n.1725.

2.5. A seguito dell’annullamento giurisdizionale, il Comune di Livigno con provvedimento 9 luglio 2018 prot. n.15716:

a) quanto al manufatto preesistente, ovvero la tea originaria così come spostata di sede, e all’interrato sottostante di nuova realizzazione, applicava ai proprietari titolari del permesso di costruire annullato, la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38 T.U. 380/2001, rinviando per la liquidazione a un successivo atto della competente Agenzia delle entrate;

b) quanto al corpo di fabbrica a monte, di mt. 6,90 x 5,60 in pianta, realizzato in muratura quale presunto recupero delle parti crollate, ne ordinava la demolizione, poi imposta con la successiva ordinanza 20 luglio 2018 n.94.

2.6. Contro tale provvedimento e contro gli atti successivi (quelli che hanno poi determinato in €.74.965/00 la sanzione, nonché l’ordinanza di demolizione della parte non sanata) venivano proposti due distinti ricorsi, dai proprietari e dalla sig. Silvestri, ovviamente caratterizzati da opposte finalità: evitare la demolizione della parte non sanata da una parte; ottenere la demolizione dell’intero edificio dall’altra.

2.7. Il TAR Lombardia accoglieva il ricorso della sig.ra Silvestri, dichiarando la nullità del provvedimento 9 luglio 2018 e di tutti gli atti consequenziali, inclusa l’ordinanza di demolizione 20 luglio 2018 n.94. Ordinava altresì al Comune di eseguire la sentenza da ottemperare, mediante demolizione dell’intero manufatto.

2.8. Avverso la sentenza proponevano distinti appelli i proprietari e il Comune di Livigno.

3. La Sezione, in entrambi i giudizi, assunte le cause in decisione, si è arrestata dinanzi al dubbio esegetico, in premessa sinteticamente enunciato, ossia se dinanzi all’annullamento in sede giurisdizionale del permesso di costruire, a cagione della sussistenza di un vizio sostanziale non emendabile, come sarebbe quello ricorrente nel caso di specie, l’art. 38 del Testo Unico edilizia consenta, o meno, all’amministrazione di imporre la sola sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, con effetti equivalenti al conseguimento del permesso di costruire in sanatoria.

3.1. La Sezione rimettente ha in particolare rilevato la sussistenza di almeno tre indirizzi giurisprudenziali necessitanti di composizione nomofilattica.

3.1.1. Un primo orientamento, sostenuto dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo, secondo una logica che considera l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva (C.d.S. sez. VI 19 luglio 2019 n.5089, e in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, C.d.S. sez. VI 28 novembre 2018 n.6753, sez. VI 12 maggio 2014 n.2398, da ultimo Sez. VI n. 2419/2020);

3.1.2.Un secondo orientamento, più risalente, formatosi sotto il vigore dell’art. 11 della legge n. 47/85 (recante un testo normativo identico), di carattere più restrittivo, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino, con esclusione della logica del condono (fra le molte C.d.S. sez. VI 11 febbraio 2013 n.753, sez. V 22 maggio 2006 n.2960 e 12 ottobre 2001 n.5407, sez. IV 16 marzo 2010 n.1535, e più di recente, anche la stessa sezione VI, 9 maggio 2016 n.1861. In tal senso anche la Corte costituzionale nella sentenza 11 giugno 2010 n.209);

3.1.3. Un terzo orientamento, intermedio, che si discosta da quello restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità” (In tal senso, sempre fra le molte, C.d.S. sez. VI 10 settembre 2015 n.4221, sez. VI 8 maggio 2014 n.2355 e sez. IV 17 settembre 2012 n.4923).

4. Nel giudizio dinanzi a questa Adunanza tutte le parti del processo hanno presentato proprie memorie illustrative.

4.1. In estrema sintesi la sig.ra Silvestri, originaria ricorrente ha evidenziato come affermare che la fiscalizzazione dell’abuso possa operare anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili implicherebbe un’incomprensibile premialità in favore di chi realizza l’abuso, di fatto consentendogli di beneficiare di un suo illecito (anche a scapito dei terzi che, in concreto, risultano pregiudicati dall’intervento), tra l’altro in aperto contrasto con l’art. 102 Cost., di fatto consentendo all’Amministrazione di stravolgere il giudicato di annullamento e di invadere la sfera di attribuzioni dell’Autorità giudiziaria.

4.2. I proprietari colpiti dall’ordinanza di demolizione focalizzano invece il loro contributo argomentativo sulla tutela dell’affidamento, affermata e valorizzata dalla Corte EDU persino in ordine a opere realizzate in totale assenza del titolo (da ultimo, sentenza 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria), particolarmente pregnante quando, come nel caso di specie, il proprietario subisce, senza sua colpa, una doppia e intollerabile demolizione: la prima assentita dall’amministrazione ai fini della traslazione dei volumi su diverso sedime, la seconda disposta in forza di un provvedimento che ritiene la nuova costruzione non traslabile. In guisa che la scelta demolitoria del bene (in luogo della fiscalizzazione), per la gravità dell’effetto palesemente ulteriore rispetto a quello che avrebbe prodotto il diniego originario del titolo, si configurerebbe come una “sanzione”, come tale necessitante dell’accertamento dell’elemento soggettivo (inesistente a fronte di un titolo) e da un vieppiù rigoroso rispetto del principio di proporzionalità.

4.3. L’amministrazione richiama l’attenzione sulle peculiarità del caso concreto, e pone in rilievo come l’edificio sia stato ab origine legittimamente edificato, sebbene in un luogo in cui oggi i vincoli ambientali ne rendono impossibile la riallocazione. Questa impossibilità di riduzione in pristino mediante ricollocazione nella sede originaria (per indisponibilità della sede originaria, appunto), sarebbe pienamente sussumibile nel concetto di “impossibilità” previsto dall’art. 38 con riferimento alla sanzione pecuniaria ad effetto sanante. Diversamente per le aggiunte e le superfetazioni effettuate sine titulo (in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale) per le quali invece la demolizione si impone ed è stata effettivamente imposta.

5. La causa è stata discussa all’udienza del 15 luglio 2020 e all’esito trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Viene all’attenzione dell’Adunanza Plenaria l’esatta interpretazione dell’art. 38 del Testo unico edilizia (disposizione che ricalca esattamente quanto innanzi previsto dall’art. 11 della legge n. 47/1985).

2. La disposizione prevede che “In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 (comma 2)”.

3. L’articolo da ultimo citato (art. 36 comma 2), com’è noto, disciplina l’accertamento di conformità, ovvero la sanatoria degli interventi abusivi in quanto realizzati ab origine sine titulo, ma conformi alle norme urbanistico edilizie vigenti, sia al tempo della costruzione che al tempo del rilascio del permesso in sanatoria (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2496; Sez. II, 18 febbraio 2020, n. 1240).

4. Dunque, il pacifico effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria.

4.1. L’equiparazione è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi.

4.2. La composizione degli opposti interessi in rilievo – tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra – è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (cd fiscalizzazione dell’abuso).

4.2.1. Proprio perché costituente eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, la disposizione è presidiata da due condizioni: a) la prima è la motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; b) la seconda è la motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione in pristino.

4.2.2. Trattasi di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21 nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione dei luoghi in pristino stato.

4.3. Entrambe le condizioni sono invero declinate in modo generico dal legislatore, non avendo quest’ultimo chiarito cosa debba intendersi per “vizi delle procedure amministrative” e per “impossibilità” di riduzione in pristino.

4.3.1. I quesiti posti dall’ordinanza di rimessione si concentrano sul primo aspetto, avendo la giurisprudenza in alcuni casi sostenuto che nei “vizi della procedura” possano sussumersi tutti quelli potenzialmente in grado di invalidare il provvedimento, siano essi relativi alla forma e al procedimento, siano essi invece relativi alla conformità del provvedimento finale rispetto alle previsioni edilizie e urbanistiche disciplinati l’edificazione (C.d.S. sez. VI 19 luglio 2019 n.5089, e in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, C.d.S. sez. VI 28 novembre 2018 n.6753 e sez. VI 12 maggio 2014 n.2398, da ultimo anche Sez. VI n. 2419/2020).

4.3.2. Secondo questo ormai nutrito filone giurisprudenziale, la fiscalizzazione dell’abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale) avendo il legislatore affidato l’eccezionale percorribilità della sanatoria pecuniaria alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, in esecuzione di un potere che affonda le sue radici e la sua legittimazione nell’esigenza di tutelare l’affidamento del privato. In questa chiave di lettura è la “motivata valutazione” fornita dall’amministrazione l’unico elemento sul quale il sindacato del giudice amministrativo dovrebbe concentrarsi.

5. Questa Adunanza plenaria è di diverso avviso, alla luce delle seguenti considerazioni d’ordine testuale e sistematico.

5.1. La disposizione in commento fa specifico riferimento ai vizi “delle procedure”, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria.

5.2. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura “procedurale”, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di “rimozione del vizio” afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale.

5.3. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto.

5.4. Diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione).

6. La descritta esegesi è confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che “l'espressione «vizi delle procedure amministrative» non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i «vizi sostanziali», che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest'ultimo potenzialmente contenuto”.

7. Del resto depongono in tal senso anche considerazioni di carattere sistematico.

7.1. La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito.

7.2. A ciò si aggiunge, nei casi in cui l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi (giova sottolineare che l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento), che la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario.

8. Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è, ad avviso di questa Adunanza plenaria, depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’inflizione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria).

8.1. Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il “bene della vita” cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24 settembre 2018, n. 22435; 22 giugno 2017, n. 15640; 4 settembre 2015, n. 17586; 23 marzo 2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato.

8.2. Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati.

9. Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che “i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.

10. Tornando al caso di specie, la Sezione, cui gli atti saranno restituiti, dovrà fare applicazione del principio appena enunciato, e ove - come appare evidente dalla disamina degli atti - ritenesse che i vizi del titolo a suo tempo rilasciato, che ne hanno provocato l’annullamento in sede giurisdizionale, siano relativi all’insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica, escludere l’applicabilità del regime di fiscalizzazione dell’abuso in ragione delle non rimovibilità del vizio.

11. Restano invece affidati alla prudente valutazione della Sezione gli eventuali altri accertamenti in fatto relativi alla sussistenza dell’altra condizione, pur prevista dall’art. 38, di “impossibilità della riduzione in pristino”, sulla quale i proprietari pure insistono.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) enuncia i principi di diritto di cui in motivazione e restituisce gli atti alla Sezione Quarta, per la definizione dell’appello, anche in ordine alle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Sergio Santoro, Presidente

Franco Frattini, Presidente

Giuseppe Severini, Presidente

Luigi Maruotti, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

Fabio Franconiero, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere