Consiglio di Stato Sez. IV n. 6891 del 4 agosto 2025
Urbanistica.Annullamento di ufficio del permesso di costruire
Nelle ipotesi di annullamento d'ufficio di un permesso di costruire (o di una S.c.i.a.), il superamento del limite temporale di 12 mesi è ammissibile nei casi in cui il soggetto privato abbia rappresentato uno stato preesistente — anche mediante il solo silenzio su circostanze rilevanti — diverso da quello reale. Nell'esercizio del potere di autotutela, infatti, non può non assumere rilievo l'effettivo contributo dato dal beneficiario del provvedimento favorevole al suo (illegittimo) rilascio, sia se risulti accertato nella sede penale sia se emerga dagli atti acquisiti al procedimento di autotutela. Il limite temporale dei 12 mesi per l'esercizio dell'annullamento d'ufficio trova applicazione se il comportamento del privato, durante il procedimento di formazione dell'atto di primo grado, non abbia indotto l'Amministrazione in errore, distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge. In caso contrario, ovvero quando l'Amministrazione si sia erroneamente determinata a rilasciare il provvedimento, a causa anche del comportamento del privato, non trova applicazione il limite temporale di cui al comma 1 dell'art. 21 nonies l. n. 241/1990, non potendo l'ordinamento tollerare “lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata. Ne consegue, dunque, che il superamento del termine di 12 mesi per l'adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio è ammissibile, a prescindere dall'accertamento penale di natura processuale, quando il soggetto abbia rappresentato all'Amministrazione uno stato preesistente diverso da quello reale o abbia omesso di prospettare delle circostanze rilevanti. (segnalazione Ing. M. Federici)
N. 06891/2025REG.PROV.COLL.
N. 09429/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9429 del 2023, proposto da Eufrasio Contaldi, rappresentato e difeso dall'avvocato Ippolito Matrone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
contro
Comune di Pompei (Na), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Di Lorenzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 3223 del 2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pompei (Na);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2025 il Cons. Maurizio Santise e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. Eufrasio Contaldi è proprietario di un immobile di due piani (un piano terra adibito ad attività ristorativa e un primo piano ad uso abitativo), sito in Pompei, al cui piano terra ha eseguito interventi di manutenzione straordinaria (per rifacimento di impianto elettrico ed idrico; realizzazione di nuovo forno e scala interna; rifacimento intonaco con pitturazione; sostituzione di rivestimento e pavimento), previa presentazione al Comune, in data 20.4.2006, della prescritta segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A. n. 120/2006, D.I.A. n. 13765/2006). Con provvedimento prot. n. 31310/U del 17.6.2019 il Comune di Pompei ha disposto “l’annullamento in autotutela” della succitata S.C.I.A., sulla base di una serie di irregolarità edilizie.
2. Il sig. Eufrasio Contaldi ha, quindi, impugnato quest’ultimo provvedimento innanzi al T.a.r. che, con sentenza n. 3223 del 2023, ha respinto il ricorso.
3. Il sig. Eufrasio Contaldi ha, quindi, impugnato la predetta sentenza, deducendo i seguenti motivi di appello:
I. Error in iudicando et in procedendo per violazione dell’art. 116 cpc in tema di valutazione delle prove. Difetto assoluto di motivazione. Error in iudicando et in procedendo per difetto assoluto di istruttoria. Illogicità manifesta. Violazione e falsa applicazione del DPR 380/01. Travisamento dei fatti. Riproposizione delle censure non vagliate dal primo giudice.
Con un primo motivo di appello, parte appellante contesta la sentenza di primo grado già nella ricostruzione in fatto, in quanto l’unica scala esistente all’interno del fabbricato, che collegava il piano terra con il primo piano, veniva realizzata con il fabbricato e, dunque, con la licenza edilizia n. 1192 del 21.12.1967, rilasciata all’epoca al sig. Vangone Vincenzo. Nessun’altra e ulteriore scala veniva realizzata ed esisteva all’interno del manufatto dell’appellante.
Tuttavia, la DIA non avrebbe modificato la struttura (scala) già esistente, ma solo l’accesso alla scala mediante la realizzazione di un passetto, costituito da un solaietto di luce di 1,10 m, che collegava al primo pianerottolo, per il quale veniva ritualmente depositato al Genio Civile (pratica n. 1909/2006), ai sensi della normativa vigente all’epoca (L.R. Campania n. 9/83), il certificato di collaudo.
Illegittimo è, altresì, il provvedimento impugnato in primo grado che al punto sub. 2) contesta “la mancanza agli atti dell’Ufficio Tecnico del Collaudo Statico delle opere in c.a. (ex L. 1086/71 e L.R. 9/83)” nonostante l’immobile in questione veniva costruito prima dell’entrata in vigore della legge 1086/71 e, comunque, non ha struttura portante in cemento armato.
Parte appellante ha poi riproposto i motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal T.a.r.
In particolare, il Comune di Pompei, a fondamento del provvedimento di revoca, sosteneva che (punto sub. 3) del provvedimento del 17.06.2019) la finestra posta sul lato sud al piano terra sarebbe stata trasformata in porta di ingresso, in violazione dell’art. 5 dell’atto di donazione del 14.07.1967 tra Vangone Vincenzo e Vagone Francesco, quest’ultimo dante causa, per vendita, del sig. Contaldi.
Secondo parte appellante, contrariamente a quanto affermato dal comune, la porta finestra posta sul lato sud al piano terra è ancora oggi presente e non ha subito alcuna trasformazione in porta.
II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies, L. 241/1990. Difetto assoluto di motivazione
Con il secondo motivo di appello, parte appellante contesta la sentenza del T.a.r. perché il Comune ha esercitato il potere di autotutela in violazione del termine previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990.
Il Comune di Pompei si è costituito regolarmente in giudizio, contestando l’appello e chiedendone il rigetto.
4. Alla pubblica udienza del 12 giugno 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Tanto premesso in punto di fatto l’appello è infondato per le ragioni di seguito specificate.
Il T.a.r., nel respingere il ricorso di primo grado, ha evidenziato che il sig. Eufrasio Contaldi – con l’intervento edilizio dichiarato con la S.C.I.A. n. 120/2006 – ha realizzato anche “diversamente da quanto tenta di prospettare, una seconda scala interna, per la quale non ha depositato la necessaria documentazione ai fini del rilascio dell’autorizzazione sismica e della verifica della sua staticità e, pertanto, in contrasto con la normativa di settore, ad evidente nocumento dell’incolumità pubblica, vista la destinazione del fabbricato anche ad esercizio pubblico (pizzeria)”.
Prosegue il T.a.r. che “l’esistenza di tale seconda scala emerge dal progetto allegato alla S.C.I.A., così come dalle planimetrie allegate alla nota prot.n. 29694/2006 di comunicazione di ultimazione dei lavori, ma non è mai menzionata nelle relazioni di accompagnamento del tecnico incaricato”.
6. Parte appellante contesta in punto di fatto la sentenza, evidenziando che “l’unica scala esistente all’interno del fabbricato, che collegava il piano terra con il primo piano, veniva realizzata con il fabbricato e, dunque, con la licenza edilizia n. 1192 del 21.12.1967, rilasciata all’epoca al sig. Vangone Vincenzo”. Nessuna seconda scala, quindi, sarebbe stata realizzata dall’appellante.
La D.i.a., inoltre, non avrebbe modificato la struttura (scala) già esistente, ma solo l’accesso alla scala mediante la realizzazione di un passetto, costituito da un solaietto di luce di 1,10 m, che collegava al primo pianerottolo, per il quale veniva ritualmente depositato al Genio Civile (pratica n. 1909/2006), ai sensi della normativa vigente all’epoca (L.R. Campania n. 9/83), il certificato di collaudo.
7. Il primo motivo di appello è infondato.
Parte appellante, come visto, nell’atto di appello ha negato l’esistenza di una seconda scala (cfr. pag. 5 dell’atto di appello), ma dopo il deposito da parte del Comune della memoria ex art. 73, comma 3, c.p.a., ha cambiato versione dei fatti e, solo nella memoria di replica, ha evidenziato che: “a) la prima scala veniva realizzata unitamente al fabbricato originario giusta licenza edilizia n. 1192 del 21.12.1967; b) la seconda scala, viceversa, era contemplata nella DIA del 2006 (all. 4 fascicolo parte ricorrente – appellante di prime cure). Ciò detto, è palese che trattasi di una mera discordanza tra il grafico di progetto e la relazione” (pag. 2 della memoria di replica depositata in data 16 maggio 2025).
7.1. Dalle stesse difese di parte appellante, modificate nel corso del giudizio, è emerso, quindi, che la ricostruzione dei fatti, come offerta dal Comune e condivisa dal T.a.r., sia corretta, perché l’esistenza di tale seconda scala emerge dal progetto allegato alla S.C.I.A., così come dalle planimetrie allegate alla nota prot.n. 29694/2006 di comunicazione di ultimazione dei lavori, ma non è mai menzionata nelle relazioni di accompagnamento del tecnico incaricato.
7.2. Ne deriva, dunque, che l’esistenza della scala con la conseguente mancanza del collaudo e delle verifiche statiche presso gli uffici competenti rappresenta, come ben evidenziato dal T.a.r., un potenziale pericolo per l’incolumità pubblica che è doveroso prevenire.
7.3. Non hanno fondamento le ulteriori doglianze di parte appellante, secondo cui l’immobile in questione veniva costruito prima dell’entrata in vigore della legge 1086/71 e, comunque, non ha struttura portante in cemento armato e quindi non sarebbero necessari il collaudo e le verifiche statiche presso gli uffici competenti, in quanto tali argomentazioni non sono suffragate da alcun supporto documentale.
8. Smentito già in punto di fatto, dunque, il primo motivo di appello, è infondato anche il secondo motivo di appello con cui sig. Eufrasio Contaldi contesta il provvedimento impugnato in primo grado che avrebbe dovuto essere emesso, rispettando i criteri di cui all’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, richiamato dall’art. 19, co. 3 e 6 bis, l. n. 241 del 1990. Secondo parte appellante, infatti, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo, perché emanato oltre il termine di 12 mesi previsto dall’art 21 nonies l. n. 241 del 1990.
8.1. Sul punto va evidenziato che l’art. 19, comma 4, l. n. 241 del 1990 dispone che “Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6 bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”.
Nel caso di specie, è pacificamente spirato il termine di cui al comma 3 che, trattandosi di S.c.i.a. in materia edilizia, è di trenta giorni ai sensi del comma 6 bis.
Ne consegue che il Comune avrebbe potuto comunque adottare i provvedimenti di cui al comma 3 (provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa) ma nel rispetto del termine ragionevole e, comunque, non superiore a dodici mesi dal momento del decorso del citato termine in caso di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
8.2. Il comma 2 bis dell’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 dispone, inoltre, che i “provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1”.
Tale norma è stata interpretata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato nel senso che nelle ipotesi di annullamento d'ufficio di un permesso di costruire (o come nel caso di specie di una S.c.i.a.), il superamento del limite temporale di 12 mesi è ammissibile nei casi in cui il soggetto privato abbia rappresentato uno stato preesistente — anche mediante il solo silenzio su circostanze rilevanti — diverso da quello reale. Nell'esercizio del potere di autotutela, infatti, non può non assumere rilievo l'effettivo contributo dato dal beneficiario del provvedimento favorevole al suo (illegittimo) rilascio, sia se risulti accertato nella sede penale sia se emerga dagli atti acquisiti al procedimento di autotutela (cfr., Consiglio di Stato sez. II, 3 gennaio 2025, n. 29).
8.3. Il limite temporale dei 12 mesi per l'esercizio dell'annullamento d'ufficio trova applicazione se il comportamento del privato, durante il procedimento di formazione dell'atto di primo grado, non abbia indotto l'Amministrazione in errore, “distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge”. In caso contrario, ovvero quando l'Amministrazione si sia erroneamente determinata a rilasciare il provvedimento, a causa anche del comportamento del privato, non trova applicazione il limite temporale di cui al comma 1 dell'art. 21 nonies l. n. 241/1990, non potendo l'ordinamento tollerare “lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata” (cfr., Cons. Stato, Sez. II, 22 novembre 2021 n. 7817; Sez. IV, 17 maggio 2019 n. 3192).
Ne consegue, dunque, che il superamento del termine di 12 mesi per l'adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio è ammissibile, a prescindere dall'accertamento penale di natura processuale, quando il soggetto abbia rappresentato all'Amministrazione uno stato preesistente diverso da quello reale o abbia omesso di prospettare delle circostanze rilevanti.
9. Anche la Corte costituzionale, con sentenza del 26 giugno 2025, n. 88, ha precisato che l’eccezione prevista dal comma 2 bis dell’art. 21 nonies è interpretata dal giudice amministrativo nel senso che il termine finale non opera tutte le volte in cui si riscontri che il contrasto tra la fattispecie rappresentata e la fattispecie reale sia rimproverabile all’interessato, tanto se determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale, quanto se determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto, accertata inequivocabilmente dall’amministrazione con i propri mezzi (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 7 maggio 2025, n. 3876 e 14 agosto 2024, n. 7134; sezione sesta, sentenza 27 febbraio 2024, n. 1926). Anche in tale caso, infatti, l’erroneità dei presupposti per il rilascio del provvedimento amministrativo non è imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’amministrazione, ma esclusivamente alla parte che ha fornito una falsa descrizione della realtà fattuale, oggettivamente verificabile e non opinabile.
10. Nel caso di specie, contrariamente a quanto ha affermato l’appellante, non si tratta di una mera discordanza tra il grafico di progetto e la relazione, perché la complessiva rappresentazione dei fatti è risultata, come è anche stato dimostrato dal successivo sviluppo processuale della vicenda, non cristallina e non aderente alla realtà, circostanza che ha indotto il Comune a non avvedersi immediatamente dell’esistenza della seconda scala e che ha legittimato l’intervento postumo dell’ente al fine di tutelare la sicurezza e l’incolumità pubblica. Va solo precisato sotto questo profilo che nella domanda presentata al Genio Civile di Napoli da parte appellante” viene indicata solo la “REALIZZAZIONE FASCIA SOLAIO” e non anche la scala interna per la quale, quindi, non è stata presentata analoga domanda, come ben ha precisato il Comune.
11. Ne consegue, pertanto, alla luce del comma 2 bis dell’art. 21 nonies, che il Comune ha correttamente emanato il provvedimento di “revoca in autotutela” della d.i.a. perché l’accertata seconda scala e la conseguente mancanza del collaudo e delle verifiche statiche presso gli uffici competenti rappresenta, come ben evidenziato dal T.a.r., un potenziale pericolo per l’incolumità pubblica che è doveroso prevenire.
12. Poiché il provvedimento impugnato è fondato su motivazioni autonome tutte idonee a sorreggerlo, si può soprassedere dall’esame dei restanti motivi di appello con cui il sig. Eufrasio Contaldi contesta il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rilevato ulteriori e diverse irregolarità edilizie (la trasformazione della finestra posta sul lato sud al piano terra in porta di ingresso e aumento della volumetria).
L’appello va, pertanto, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna Eufrasio Contaldi al pagamento delle spese di lite in favore del comune di Pompei, che liquida in complessivi € 5.000,00 (cinquemila/00) oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Michele Conforti, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere
Maurizio Santise, Consigliere, Estensore