Consiglio di Stato  Sez. II n. 9243 del 25 ottobre 2023
Urbanistica.Applicazione della doppia conformità e del principio dell’one shot temperato alla fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Il rinvio effettuato dall’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 - concernente l’abuso dovuto all’annullamento, in via amministrativa o giurisdizionale, del permesso di costruire – all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 è solo quoad effectum; dunque, non può esigersi, ai fini della cd. fiscalizzazione dell’abuso, la cd. doppia conformità prevista per la diversa fattispecie del permesso di costruire in sanatoria. Il principio dell’one shot temperato, finalizzato ad evitare che l’amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale, trova applicazione nei casi in cui, a seguito di giudicato di annullamento di un primo provvedimento sfavorevole, l’amministrazione adotti un nuovo provvedimento di identico contenuto; non può applicarsi, invece, alla diversa fattispecie in cui, in ottemperanza al giudicato di annullamento del titolo edilizio, l’amministrazione adotti il diverso e succedaneo provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa all’ordine di demolizione.

Pubblicato il 25/10/2023

N. 09243/2023REG.PROV.COLL.

N. 00111/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 111 del 2023, proposto da
Ivano Giuffredi e Loredana Giuffredi, rappresentati e difesi dagli avvocati Bruno Cavallone e Alessandro Clemente, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Alessandro Clemente in Roma, via Benaco 15;

contro

Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Elisa Burlamacchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via degli Artisti 20;

nei confronti

C.B.S. Costruzioni S.r.l., non costituita in giudizio;
Taddeo Vaio, Centro Viarolo di Pezzarossa Cristina e Pezzarossa Elisabetta & C. S.S., Carmela De Caprio, Federica Tau, Nicola Maria Trivelli, Giuseppina Cinzia Nocifora, Alberto Festa, Meri Attilia Rotario, Marcello Solito, Maria Teresa De Gennaro, Elisabetta Pezzarossa, Ilirjana Bregasi, Zamir Jakovija, Rosario Filomena, rappresentati e difesi dall'avvocato Annalisa Bassi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Parma, Strada della Repubblica n. 56;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) n. 00308/2022;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Parma e di Taddeo Vaio, Centro Viarolo di Pezzarossa Cristina e Pezzarossa Elisabetta & C. S.S., Carmela De Caprio, Federica Tau, Nicola Maria Trivelli, Giuseppina Cinzia Nocifora, Alberto Festa, Meri Attilia Rotario, Marcello Solito, Maria Teresa De Gennaro, Elisabetta Pezzarossa, Ilirjana Bregasi, Zamir Jakovija e Rosario Filomena;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2023 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti gli avvocati Elisa Burlamacchi, Annalisa Bassi e Massimiliano Olivo per l’avv. Bruno Cavallone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellanti chiedono la riforma della sentenza del TAR per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. 308 del 7 novembre 2022 che ha respinto i ricorsi e i motivi aggiunti proposti avverso i provvedimenti con cui il Comune di Parma ha irrogato la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ai condomini di due edifici confinanti e alla ditta costruttrice.

1.1 Il provvedimento veniva adottato dal Comune all’esito di una complessa vicenda processuale avviata dalla signora Ferrari Albertina, dante causa degli appellanti, che aveva impugnato le concessioni rilasciate a favore della C.B.S. Costruzioni S.r.l. per la realizzazione di due palazzine sul terreno a confine con la sua proprietà.

1.2 Il contenzioso si concludeva con le sentenze di questo Consiglio di Stato n. 7731/2020 di annullamento dei titoli edilizi e n. 1986/2019, resa in sede di ottemperanza, con cui veniva dichiarata la nullità per violazione del giudicato del provvedimento di riedizione dei titoli medesimi adottato dal Comune di Parma in data 10 maggio 2013.

1.3 Con successivi provvedimenti del 24 agosto 2020 il Comune di Parma, in ottemperanza al giudicato, adottava i provvedimenti di irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ex art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, imponendo in via solidale a tutti i comproprietari e all’impresa costruttrice la sanzione pecuniaria di euro 309.789,55, così determinata sulla base della relazione di stima elaborata dall’Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Parma.

1.4 Con due ricorsi, integrati da successivi motivi aggiunti, gli odierni appellanti impugnavano i sopra indicati provvedimenti dinanzi al TAR lamentando, in sintesi, l’illegittimità degli stessi poiché, alla luce del giudicato di annullamento dei titoli edilizi, il Comune avrebbe dovuto ordinare la demolizione degli abusi.

1.5 Con sentenza n. 308/2022 il TAR adito, previa riunione, respingeva entrambi i ricorsi e i motivi aggiunti poiché la verificazione disposta nel corso del giudizio aveva confermato l’impossibilità di rimozione integrale degli abusi, sicché del tutto legittimamente il Comune aveva irrogato la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ai sensi dell’art. 38 d.p.r. 380/2001.

2. Gli originari ricorrenti chiedono la riforma della sentenza, riproponendo nella sostanza le medesime censure già formulate con i ricorsi di primo grado e respinte dal TAR.

3. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Parma e i controinteressati Ilirjana Bregasi, Zamir Jakovija, Nicola Maria Trivelli, Giuseppina Cinzia Nocifora, Taddeo Vaio, Carmela De Caprio, Alberto Festa, Meri Attilia Rotario, Marcello Solito, Maria Teresa De Gennaro, Rosario Filomena, Federica Tau, Centro Viarolo di Pezzarossa Cristiana e Pezzarossa Elisabetta & C. s.s., Elisabetta Pezzarossa, chiedendo la reiezione del gravame.

4. Le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive difese.

5. All’udienza del 17 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. In via preliminare, deve essere respinta la domanda degli appellanti di sospensione del presente giudizio o di riunione dello stesso con l’appello R.G. 1760/2021 proposto avverso la sentenza del TAR Parma n. 201/2020, per l’insussistenza di un rapporto di pregiudizialità suscettibile di determinare un conflitto di giudicati, come sostenuto dai medesimi.

6.1 I due giudizi, sebbene relativi alla medesima vicenda sostanziale, si distinguono per petitum e causa petendi poiché l’uno ha per oggetto la domanda di risarcimento dei danni scaturenti da una fattispecie di responsabilità amministrativa provvedimentale, mentre l’altro ha per oggetto la legittimità provvedimento amministrativo adottato ai sensi dell’art. 38 d.p.r. 380/2001.

6.2 In ogni caso, per i due appelli è stata disposta la trattazione congiunta alla medesima udienza, circostanza che esclude in radice il paventato rischio di contrasto di giudicati.

7. Nel merito l’appello è infondato.

8. Con il primo motivo gli appellanti lamentano la “Nullità della sentenza per error in iudicando: violazione dei giudicati resi inter partes e violazione ed erronea applicazione dell’art. 38 T.U. edilizia”. Il TAR avrebbe errato nel respingere il primo motivo di ricorso con cui i ricorrenti avevano dedotto la violazione delle sentenze del TAR Parma n. 6/2004 e del Consiglio di Stato n. 7731/2010 e 1986/2019, ormai passate in giudicato. Il Comune, con i provvedimenti impugnati, ne avrebbe illegittimamente “sterilizzati” gli effetti, rendendo totalmente inutile l’attività giurisdizionale espletata e frustrando le ragioni della parte risultata vittoriosa poiché l’art. 38 T.U., che è una norma speciale derogatoria e quindi di stretta interpretazione, è applicabile solo alle ipotesi di annullamento in via amministrativa del titolo edilizio e non in caso di annullamento giurisdizionale, come affermato dall’Adunanza Plenaria n. 4/2009.

8.1 Il motivo è infondato.

8.2 Il giudicato amministrativo formatosi a seguito delle sentenze del TAR n. 6/2004 e del Consiglio di Stato n. 7731/2010 e n. 1986/2019 non ha conformato in senso vincolato l’azione amministrativa ad esso successiva che risulta, invece, connotata da un residuo margine di discrezionalità.

8.3 Il giudicato, infatti, ha per oggetto il mero annullamento dei titoli edilizi e non si estende anche all’obbligo di demolizione delle opere realizzate sulla base dei titoli annullati.

8.4 Quanto appena osservato trova riscontro e conferma nella sentenza n. 1986/2019 resa in sede di ottemperanza la quale, del dichiarare la nullità del provvedimento che ha disposto la riedizione dei titoli edilizi annullati con sentenza n. 7731/2010, precisa che “la domanda di condanna del Comune di Parma alle demolizioni delle costruzioni realizzate da CBS Costruzioni s.r.l. non può essere accolta, trattandosi di vicenda ulteriore, eventuale e successiva, che non costituisce conseguenza diretta ed automatica della presente pronuncia” (par. 7).

8.5 In altri termini, il giudicato ha imposto all’ente un mero obbligo di risultato, consistente nell’eliminazione dei riscontrati vizi di legittimità dei titoli edilizi e ha demandato alla discrezionalità amministrativa il quomodo, ossia l’individuazione della modalità più opportuna, tra quelle consentite dall’ordinamento, per realizzarlo alla luce delle circostanze del caso concreto.

8.6 Nell’esercizio della propria discrezionalità, l’ente ha disposto l’applicazione della sanzione pecuniaria che, ai sensi dell’art 38 d.p.r. 380/2001, si pone come alternativa a quella demolitoria, al ricorrere dei presupposti ivi indicati, condividendone il carattere reale e ripristinatorio dell’ordine giuridico violato (cfr. Cons. Stato, sez. II 5 novembre 2019 n. 7535).

8.7 Privo di pregio è l’assunto difensivo secondo cui l’art. 38 d.p.r. 380/2001 si applicherebbe unicamente ai casi di annullamento in via amministrativa dei titoli edilizi, con esclusione dei casi di annullamento in sede giurisdizionale, poiché siffatta interpretazione non solo non trova riscontro nel dato positivo, ma nemmeno è coerente con la finalità della previsione, consistente nella tutela dell’affidamento del titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, come precisato dall’Adunanza Plenaria n. 17/2020. Quest’ultima- pur pronunciandosi (peraltro, proprio con riferimento ad un caso di annullamento giurisdizionale del titolo edilizio) sulla diversa questione relativa all’applicabilità della “fiscalizzazione” ai vizi delle procedure amministrative - ha avuto cura di rimarcare che “l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento” (par 7.2)

8.8 La giurisprudenza ha, altresì, chiarito che “Alla base della possibilità, comunque rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione operante, di emendare l’atto dal vizio che lo affligge, si colloca l’esigenza di tutelare l’affidamento del privato che ha realizzato un’opera nella convinzione di averne la prevista legittimazione, essendo peraltro indifferente che il vizio sia stato individuato in via di autotutela, ovvero rilevato all’esito di apposito giudizio.” (Cons. Stato, sez. II n. 8032 del 15 dicembre 2020, citata da parte appellante; tra le più recenti cfr. anche Consiglio di Stato sez. VI, 04/01/2023, n.136).

8.9 E’ stato, inoltre, precisato che esiste un’ontologica diversità -non sul piano oggettivo ma sul piano soggettivo- tra la condizione del privato che costruisce senza alcun titolo abilitativo, o in difformità rispetto a quest’ultimo, e quella del privato che edifica un manufatto in conformità ad un titolo che, poi, venga riconosciuto illegittimo (Cons. Stato sez. IV 5 novembre 2018 n. 6246, anch’essa citata da parte appellante).

8.10 L’applicazione dell’art. 38 anche ai casi di annullamento giurisdizionale è conforme, quindi, sia al dato positivo che all’interpretazione giurisprudenziale, mentre del tutto inconferente è il richiamo, ad opera degli appellanti, alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4/2009 poiché relativa non all’irrogazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione ex art. 38 d.p.r. 380/2001, bensì al condono edilizio ex l. 326/2003, sicché i principi di diritto ivi sanciti non possono essere acriticamente estesi alla fattispecie in esame.

8.11 Per le ragioni sora indicate il primo motivo di appello è infondato e deve essere respinto.

9. L’assenza di un giudicato demolitorio conduce alla reiezione anche del secondo motivo di appello con cui gli appellanti deducono la “ Nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di ricorso n. 2 concernente l’ulteriore illegittimità per violazione anche dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea Diritti dell’uomo” per non avere il giudice di primo grado rilevato che l’assenza di una condanna espressa alla demolizione non toglie che gli effetti conformativi del giudicato comportino l’obbligo di ripristinare la situazione di diritto e di fatto laddove il provvedimento illegittimo abbia concorso a determinare anche la modificazione della realtà materiale.

9.1 Sul punto, è sufficiente ribadire che dal giudicato di annullamento dei titoli edilizi non è scaturito alcun diritto alla demolizione in capo agli appellanti che vantano, a fronte del riesercizio del potere successivo al giudicato, un mero interesse pretensivo alla rimozione dell’abuso al quale si contrappone quello oppositivo (all’ordine di demolizione) dei proprietari delle unità immobiliari.

9.2 Non sussiste, di conseguenza, la lamentata violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU.

10. Con il terzo motivo di appello, gli appellanti deducono la “Nullità della sentenza per error in iudicando: ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 38 T.U. edilizia” per avere il giudice di primo grado respinto il terzo motivo di ricorso sull’assunto che nel caso di specie non si fosse in presenza di un’ipotesi di sanatoria, come tale soggetta al requisito della doppia conformità né che si applicherebbe il principio del one shot temperato.

10.1 Il motivo è infondato, circostanza che consente di prescindere dall’eccezione di (parziale) inammissibilità dello stesso formulata dal comune di Parma (memoria del 15 settembre 2023).

10.2 L’equiparazione della fattispecie in esame al permesso di costruire in sanatoria- in forza del rinvio contenuto nel comma 2 del citato art. 38 all’art. 36 del medesimo decreto- è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita. Si tratta di un temperamento che, come chiarito dall’Adunanza Plenaria n. 17/2020, si determina in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto della diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi.

10.3 La tesi dell’appellante, che ritiene necessaria la doppia conformità urbanistica prevista per il permesso di costruire in sanatoria anche ai fini dell’irrogazione della sanzione alternativa alla demolizione, amplia oltre i confini letterali l’equiparazione tra le due fattispecie sancita dal comma 2 dell’art. 38 (secondo cui “l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36”) e introduce in via interpretativa una condizione ulteriore-quella della doppia conformità urbanistica- non contemplata dal comma 1 del citato articolo.

10.4 Giova ribadire che il rinvio è solo quoad effectum e non consente alcuna sovrapposizione tra la c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso consentita dall’art. 38 e il permesso di costruire in sanatoria disciplinato dall’art. 36.

10.5 La stessa giurisprudenza citata dall’appellante, pur riconducendo la fiscalizzazione in esame all’ampio genus delle sanatorie, ha rimarcato la profonda differenza tra le due fattispecie sopra citate. Esse infatti, si diversificano completamente nei presupposti e nella finalità, potendo coincidere (esclusivamente) per gli effetti nel solo caso in cui l’Amministrazione non convalidi il titolo edilizio viziato e non sia possibile addivenire alla demolizione dell’opera. Le differenze ontologiche tra i due istituti sono ravvisabili perfino nella diversità delle relative conseguenze economiche, stante che nel primo caso (l’accertamento di conformità) è previsto il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella predeterminata dalla medesima normativa; nel secondo, invece, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale, come accaduto nel caso di specie (Cons. Stato 8031/2020, cit.).

10.6 Per tali ragioni, è immune da censure il capo della sentenza di primo grado che ha escluso la natura di sanatoria dell’istituto, trattandosi di sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione, i cui presupposti applicativi sono contemplati esclusivamente dall’art. 38.

11. Del pari infondata è la censura afferente alla violazione del principio di one shot temperato, già respinta in primo grado e reiterata in grado di appello dagli appellanti.

11.1 Tale principio è volto ad evitare che l’amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale; tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l’affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l’avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato (Cons. Stato sez. VI, 04/05/2022 n.3480).

11.2 Il principio trova applicazione nei casi in cui, a seguito di giudicato di annullamento di un primo provvedimento sfavorevole, l’amministrazione adotti un nuovo provvedimento di identico contenuto.

11.3 Esso non si attaglia, invece, al caso di specie ove non si verte in tema di “rinnovazione” dello stesso provvedimento annullato in sede giurisdizionale, bensì dell’ottemperanza al giudicato di annullamento del titolo edilizio mediante l’adozione del diverso e succedaneo provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa all’ordine di demolizione.

11.4 La censura deve, quindi, essere respinta.

12. Con il quarto motivo di appello gli appellanti lamentano la “Nullità della sentenza per error in iudicando: ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 38 T.U. edilizia sotto ulteriore profilo” per avere il TAR respinto il quarto motivo di ricorso con cui i ricorrenti ribadivano che: a) la sanzione pecuniaria dell’art. 38 T.U. non è applicabile ai titoli edilizi annullati per vizi sostanziali; b) la norma, proprio perché richiama anche espressamente l’art. 36 T.U. è a sua volta applicabile solo nel caso in cui la costruzione, pur mancando di titolo perché annullato, sia doppiamente conforme alla normativa edilizia vigente al momento dell’abuso e anche a quella vigente al momento della sanatoria; c) sono inammissibili condoni extra ordinem mascherati, d) la sanatoria avrebbe comunque effetto ex nunc in applicazione dell’irretroattività degli atti amministrativi e quindi non potrebbe mai cancellare i danni prodotti dal Comune anteriormente ai terzi (circostanza questa rilevante quanto all’azione risarcitoria formulata nei ricorsi introduttivi al successivo motivo n. 9).

12.1 Il motivo ricalca le censure già esaminate e respinte in sede di esame del terzo motivo di appello, sicché è sufficiente rinviare alle considerazioni già svolte in quella sede, salvo quanto infra osservato in relazione ai profili risarcitori oggetto del motivo n. 9. Per tale ragione, ritiene il Collegio di prescindere, anche per esso, dall’eccezione di inammissibilità per difetto di specificità formulata dal comune (memoria del 15 settembre 2023).

12.2 Al riguardo occorre, tuttavia, precisare che, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, l’art. 38 d.p.r. 380/2001 non trova applicazione nel solo caso di impossibilità di rimozione dei vizi delle procedure amministrative, ma anche nel caso di impossibilità di riduzione in pristino del bene, laddove il titolo edilizio sia stato annullato non per vizi formali o procedurali, bensì sostanziali.

12.3 Si tratta, infatti, di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21 nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione in pristino dello stato dei luoghi (Ad. Plen. 17/2020 che si è occupata unicamente della prima delle due condizioni; cfr. punto. 4.3.1 della motivazione).

13. Con il quinto motivo gli appellanti deducono la “Nullità della sentenza per error in iudicando: travisamento degli atti e fatti di causa; omesso esame delle risultanze istruttorie; illogicità ed ulteriore violazione dei giudicati” per avere il TAR respinto il quinto motivo dei ricorsi introduttivi recante la censura di ulteriore eccesso di potere per sviamento degli atti impugnati, di difetto d’istruttoria e incongruità (per difetto) della sanzione. In particolare, il giudice sarebbe incorso in errore perché: i) ha ritenuto irrilevanti tutti gli apporti istruttori (compresi quelli fatti propri dal Giudice civile) di segno contrario a quello unico fornito invece dai soggetti responsabili solidali della sanzione e, di conseguenza, sufficientemente istruito il citato impugnato parere di poche righe del Comune di generico rinvio alle conclusioni della perizia di parte dell’Ing. Pantano, peraltro a sua volta priva di qualsiasi calcolo strutturale; ii) non ha neppure compreso il contenuto del denunciato vizio di sviamento di potere per l’avvenuta inversione dell’ordine procedimentale per l’anomala applicazione della misura alternativa alla demolizione nella fase deliberativa del tipo di sanzione applicabile piuttosto che nella fase esecutiva dell’ingiunta demolizione; iii) ha dichiarato inammissibile la censura relativa all’incongruità della sanzione in quanto estranea all’interesse dei ricorrenti senza considerare che la lamentata incongruità è sintomatica dell’attivazione solo in apparenza di un procedimento sanzionatorio.

Il TAR, inoltre, ha ritenuto di superare la questione della già ritenuta demolibilità degli abusi, richiamando gli esiti della verificazione, di cui ha stravolto le conclusioni: 1) errando e confondendosi nella preliminare individuazione degli abusi accertati irrevocabilmente dai giudicati e quindi non traendone le necessarie conseguenze quanto all’esito della verificazione; 2) errando ulteriormente nel non aver tenuto conto che i giudicati avevano annullato integralmente tutti i titoli edilizi di nuova costruzione dei due edifici C.B.S sicché non sussistevano parti “legittime” e/o “regolari” eventualmente da salvaguardare; 3) errando nel non aver tenuto conto di tutto il materiale versato in atti dai ricorrenti sulla demolibilità tecnica dei due edifici; 4) errando nel concludere che i cospicui due interventi di demolizione ritenuti possibili dal verificatore “non consentirebbero il rispetto delle distanze e delle altezze secondo quanto previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2010”.

13.1 Le censure sono infondate.

13.2 In primo luogo, si osserva che i provvedimenti impugnati, lungi dal fondarsi sulla mera perizia di parte, motivano l’impossibilità di demolizione della parte abusiva richiamando il parere espresso dai tecnici della S.O. Sismica del Settore Lavori Pubblici nel quale si rileva che l’eventuale demolizione della pozione di fabbricato oggetto di abuso può ridurre in modo significativo i livelli di sicurezza per la parte di fabbricato rimanente.

13.3 Ciò posto, è infondata la censura relativa all’errata individuazione degli abusi e all’errata interpretazione della documentazione tecnica in atti in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, le cui conclusioni, per contro, costituiscono una logica conseguenza degli esiti dell’istruttoria tecnico-giudiziale che ha appurato l’oggettiva impossibilità dell’eliminazione degli abusi accertati dalla sentenza n. 7731/2010 con conseguente impossibilità di ripristino delle distanze e delle altezze prescritte dalla normativa vigente.

13.4 In particolare, nella relazione di verificazione si legge che: A) quanto alla demolizione per una profondità di 5.00 mt. dell’edifico “CB1” per rispetto distanza di 10.00 metri dal limite della proprietà signori Giuffredi, come individuato e disposto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2020, il “taglio verticale”, da attuarsi sull’edificio “CB1” per una profondità di 5.00 metri, non è auspicabile, in quanto tecnicamente complesso e senza possibilità di escludere, con matematica certezza, potenziali danni ed indebolimento della porzione di immobile da preservare; B) quanto alle demolizioni degli elementi aggettanti per il ripristino delle distanze tra gli edifici “CB1” e “CB2” secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2010, è tecnicamente attuabile – senza pregiudizio per le restanti parti - il taglio dei solai per la sola parte a sbalzo dei terrazzini; c) quanto demolizioni orizzontali per ripristino dell’altezza massima consentita per gli edifici “CB1” e “CB2” secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2020, le “demolizioni orizzontali” da attuarsi sugli edifici “CB1” e “CB2” – tese a ripristinare le altezze massime consentite secondo sentenza – sono eseguibili limitatamente al solo sottotetto, ma dovrebbero essere esclusi gli appartamenti immediatamente al di sotto che risultano solo “parzialmente difformi” ai fini del ripristino dell’altezza massima consentita.

13.5 Alla luce degli esiti della verificazione il giudice di primo grado ha osservato che “che, fermo quanto già accertato in via dirimente per il primo intervento, gli altri due interventi, come prospettati dal Verificatore, non consentirebbero il rispetto delle distanze e delle altezze secondo quanto previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2010 ma, semplicemente, una maggiore distanza fra gli edifici ed una minore altezza degli edifici oggetto di sanzione pecuniaria che, però, risulterebbero ancora eccedenti il limite di 10 metri della distanza ed il limite di altezza dei fabbricati” e che “ la Verificazione svolta ha accertato la non eseguibilità tecnica degli interventi di demolizione richiesti dai ricorrenti, gli unici interventi in grado di far rispettare le distanze fra edifici e l’altezza massima del nuovo fabbricato, risultando altresì irrilevante la circostanza che siano possibili (diversi) interventi che consentono una maggiore distanza fra edifici e una minore altezza della nuova costruzione in quanto tali interventi non consentirebbero comunque il rispetto dei limiti previsti dalle varie disposizioni normative ma solo una loro minore violazione”.

13.6 Il TAR ha poi concluso, in via del tutto logica e conseguenziale, che dalla materiale non eseguibilità di interventi di riduzione in pristino al fine del rispetto delle distanze e altezze ritenute corrette da parte della sentenza del Consiglio di Stato n. 7731/2010 consegue la legittimità del provvedimento di irrogazione di sanzione pecuniaria ex art. 38 del DPR n. 380/2001.

13.7 Le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado non risultano scalfite dagli assunti difensivi di parte appellante in relazione ai quali di osserva che:

i) la demolizione dei sottotetti, seppure tecnicamente fattibile, non consentirebbe in ogni caso il ripristino delle altezze come disposto dal giudicato di annullamento poiché gli abusi rimarrebbero, sia pure in forma minore, come accertato dal verificatore;

ii) alle medesime conclusioni si deve pervenire in relazione alla demolizione dei numerosi balconi in muratura aggettanti, poiché anche in caso di “taglio” della “parte a sbalzo dei terrazzini” (e senza, quindi, la demolizione dei 2,17 mt di edificio), la parete esterna dell’edificio CBS n. 1 resterebbe pacificamente ad una distanza inferiore ai 10 mt dalla parete dell’edificio CBS n. 2;

iii) l’annullamento dei titoli edilizi non impone la demolizione integrale dei due edifici poiché le abusività dedotte dall’originaria ricorrente e accertate dal giudice amministrativo hanno riguardato porzioni ben individuate e circoscritte degli immobili con la conseguenza che la regula iuris discendente dal giudicato impone l’eliminazione delle sole parti abusive, senza incidere su quelle legittimamente realizzate. Priva di pregio è, quindi, l’affermazione per cui l’annullamento integrale delle concessioni esclude che vi siano parti legittime dell’immobile poiché l’effetto conformativo del giudicato, al fine dell’esatta delimitazione dei confini di riedizione del potere, impone una lettura congiunta del dispositivo e della motivazione (cfr, ex multis, Cons. Stato sez. VI, 23/08/2021, n. 5988; sez. IV 23/04/2013, n. 2260);

iv) quanto alla censura relativa all’individuazione della sanzione pecuniaria nella fase deliberativa anziché in quella esecutiva, si osserva che l’art. 38 citato impone una priorità logica di valutazione e non cronologica di adozione tra sanzione demolitoria e sanzione pecuniaria, poiché quest’ultima, costituendo un’eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, impone una motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative o l’impossibilità di restituzione in pristino (Ad. Plen. 17/2020). L’aver individuato la sanzione applicabile in sede di ottemperanza a un giudicato di annullamento che, come precisato, non vincolava la riedizione del potere sul piano del quomodo non determina né un vizio di violazione di legge né un vizio di eccesso di potere;

v) inammissibile per difetto di interesse è la censura afferente al quantum della sanzione irrogata, peraltro solo genericamente dedotta, poiché esso incide unicamente nella sfera patrimoniale dei destinatari della sanzione e non degli appellanti. Come osservato dal giudice di primo grado, infatti, questo ultimi possono, in caso di demolizione, conseguire un utile della vita relativo al minore ingombro dei fabbricati vicini alla propria abitazione, ma non hanno un interesse qualificato rispetto alla determinazione del quantum della sanzione pecuniaria, destinata al Comune di Parma e sulla cui quantificazione solo i destinatari della medesima hanno un interesse alla contestazione.

13.8 Anche il quinto motivo di appello deve, quindi, essere respinto.

14. Con il sesto motivo di appello gli appellanti lamentano la “Nullità della sentenza per error in procedendo: erronea declaratoria di inammissibilità per difetto d’interesse del motivo di ricorso n. 6 concernente “violazione dell’art. 40, comma 2, L. n. 47/1985 e sue modifiche ed integrazioni per irrilevanza e comunque insussistenza nel caso di specie della buona fede degli acquirenti” perché il TAR ha erroneamente ritenuto inammissibile la censura n. 6 dei ricorsi introduttivi con cui è stata sostenuta la giuridica irrilevanza dell’asserita buona fede degli acquirenti delle unità immobiliari. Il giudice di primo grado è incorso in errore nel dichiarare inammissibile la censura alla luce della natura plurimotivata del provvedimento poiché l’interesse ad agire, quale condizione dell’azione, deve sussistere dal momento della proposizione della domanda fino al momento del trattenimento in decisione della causa e non anche dopo che il Giudice abbia deciso.

14.1 Il motivo è infondato.

14.2 Per costante giurisprudenza, in tema di motivazione del provvedimento amministrativo, in presenza di un atto amministrativo c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale, dal momento che, nel caso di un atto fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le une dalle altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato Sez. VI, 11/11/2022, n. 9904). Il mancato accoglimento anche di uno solo dei motivi determina, dunque, l’inammissibilità degli altri per difetto d’interesse in quanto il privato non potrebbe trovare alcuna soddisfazione dall’eventuale accoglimento di una delle restanti censure, reggendosi il provvedimento gravato su altro autonomo motivo passato indenne al vaglio di legittimità (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 8/05/2023, n. 4577; sez. V, 5/12/2022, n. 10643).

14.3 Nel caso di specie, il riferimento alla buona fede degli acquirenti costituisce un profilo ulteriore di arricchimento del compendio motivazionale del provvedimento impugnato che è già legittimamente fondato sul presupposto dell’impossibilità di riduzione in pristino delle parti abusive. Quest’ultimo, giova osservare, costituisce la condizione (accanto a quella dell’impossibilità di rimozione dei vizi del procedimento) il cui concreto riscontro è demandato all’amministrazione laddove la buona fede, sub specie di legittimo affidamento, del titolare del titolo annullato è già stata valutata a monte dal legislatore. All’amministrazione, pertanto, compete la verifica in concreto dei due presupposti consistenti nell’avvenuto annullamento del titolo e nell’impossibilità di riduzione in pristino, mentre la buona fede è presunta iuris et de iure dal legislatore.

14.4 Come ricordato anche dalla già citata Adunanza Plenaria n. 17/2010 il pacifico effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria. La composizione degli opposti interessi in rilievo – tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra – è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (cd fiscalizzazione dell’abuso).

14.5 Alla luce delle considerazioni sopra svolte la censura deve essere respinta.

15. Con il settimo motivo di appello, gli appellanti lamentano la “Nullità della sentenza per error in iudicando: travisamento degli atti, violazione e falsa applicazione dell’art. 36 T.U. edilizia ed ulteriore violazione di giudicato” per avere il TAR respinto il settimo motivo di ricorso con cui gli appellanti avevano dedotto l’illegittimità degli atti comunali impugnati che hanno applicato l’art. 38 T.U. ad un ulteriore abuso di violazione della distanza inderogabile di 10 m., realizzato dalla società C.B.S. s.r.l. e oggetto di SCIA in sanatoria n. 930/2013. Deducono che, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, anche questo intervento sarebbe stato travolto dal giudicato.

15.1 L’infondatezza del motivo discende dalla semplice lettura della sentenza n. 1986/2019 che ha dichiarato la nullità per contrasto del giudicato del provvedimento prot. n. 79762, emesso dal Comune di Parma in data 10 maggio 2013, e non della SCIA in sanatoria n. 930/2013, la quale, nell’economia della sentenza, viene in rilievo unicamente perché richiamata nella motivazione del provvedimento impugnato (e dichiarato nullo) al fine di sostenere l’irrilevanza del muro delimitante la proprietà dei signori Giuffredi/Ferrari ai fini del calcolo delle distanze. La citata sentenza non affronta, invece, la diversa questione della legittimità della realizzazione del terrapieno oggetto della predetta SCIA, sicché anche sotto tale profilo la sentenza di primo grado è immune da censure.

16. Con l’ottavo motivo di appello si deduce la “Nullità della sentenza per error in iudicando: violazione ulteriore dell’art. 38 T.U. edilizia, travisamento dei fatti e delle risultanze della verificazione stante la possibilità di restituzione in pristino e l’insussistenza di residue parti legittime della nuova edificazione realizzata da C.B.S. Costruzioni s.r.l. oggetto degli annullamenti giurisdizionali; ulteriore violazione dei giudicati inter partes” per avere il giudice di primo grado respinto l’ottavo motivo di ricorso con cui i ricorrenti avevano sostenuto la demolibilità integrale dei fabbricati, da considerarsi totalmente abusivi a seguito dell’annullamento integrale dei titoli edilizi.

16.1 La censura è stata già esaminata in sede di esame del quinto motivo di appello e deve essere respinta per le ragioni già esposte in quella sede.

17. Con il nono motivo di appello gli appellanti deducono la “Nullità della sentenza per error in iudicando: illogicità manifesta ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie quanto alla domanda risarcitoria” per avere il TAR respinto la domanda risarcitoria.

17.1 Premesso che gli odierni appellanti hanno proposto domanda di risarcimento per i danni conseguenti dalle abusività accertate sia in sede civile che in sede amministrativa mediante autonomo ricorso al TAR e che entrambe le domande sono state respinte, rispettivamente, con sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2027/2018 e del TAR Parma n. 201/2020 (quest’ultima oggetto di ricorso in appello dinanzi a questa RG 1760/2021 come sopra ricordato), è sufficiente osservare che, quanto ai danni discendenti provvedimento impugnato, la legittimità dello stesso esclude in radice la configurabilità di una responsabilità amministrativa risarcitoria.

17.2 Il motivo deve, di conseguenza, essere respinto.

18. Del pari infondato è l’ultimo motivo di ricorso con cui gli appellanti lamentano la nullità della sentenza per difetto di istruttoria per non avere il giudice vagliato la comunicazione del Comune di Parma “pervenuta all’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Parma ed acquisita al prot. n. 28555 del 16/06/2020, confermata con pec” perché non depositata dall’amministrazione in violazione dell’art. 46 c.p.a.

18.1 Il giudice di primo grado, nel dichiarare l’inammissibilità dei motivi aggiunti in quanto rivolti avverso atti meramente endoprocedimentali, ha osservato, in relazione alla nota sopra citata, che “nessuna censura specifica viene mossa a tale atto che risulta anch’esso endoprocedimentale e, dunque, non lesivo per parte ricorrente.”

18.2 Gli odierni appellanti si limitano a censurare la sentenza per difetto di istruttoria, ma non chiariscono nemmeno in sede di appello i profili di lesività discendenti dalla (mera) comunicazione via mail sopra richiamata.

19. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

20. Sussistono giustificati motivi, in ragione della complessità della controversia, per compensare tra le parti costituite le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Dario Simeoli, Presidente FF

Giovanni Sabbato, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere, Estensore