Cass. Sez. III n. 23852 del 21 giugno 2022 (CC 3 mag 2022)
Pres. Sarno Est. Galterio Ric. Parrella
Urbanistica.Sequestro e diritto alla restituzione del bene

Non basta il mero possesso del bene, non corrispondente ad alcuna posizione giuridicamente qualificata sul piano dei diritti soggettivi, a conferire il diritto alla restituzione di un’area attinta da sequestro; occorre, invece, come si desume dallo stesso art. 322 cod. proc. pen. che menziona tra i soggetti astrattamente legittimati alla richiesta di riesame la “persona che avrebbe diritto alla loro restituzione”, la titolarità in capo all’impugnante, che rivesta al contempo la posizione di indagato o di imputato, di un diritto reale o di un diritto obbligatorio derivante da un rapporto contrattuale che gli abbia conferito la detenzione qualificata del bene, anch’esso da valutarsi in concreto


RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 10.2.2022 il Tribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame presentata da Domenico Parrella in relazione al sequestro preventivo di un’area, in parte di natura demaniale in parte di proprietà privata, sulla quale aveva realizzato lavori edilizi in assenza delle necessarie autorizzazioni urbanistiche e paesaggistiche. A fondamento della decisione i giudici della cautela hanno rilevato la mancanza in capo a costui di alcun diritto di proprietà o di godimento sull’area attinta dal vincolo cautelare e la conseguente insussistenza di un interesse attuale e concreto all’impugnativa da individuarsi nella restituzione del bene.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 61, primo comma, 322 e 586 cod. proc. pen., la declaratoria di inammissibilità rilevando di essere indagato in veste di committente ed esecutore materiale delle opere abusive e di avere avuto a tale titolo la disponibilità dell’area in sequestro. Deduce che l’interesse alla proposizione del riesame si misura sulla possibilità del dissequestro anche di beni intestati a terzi, a prescindere dalla titolarità del diritto alla restituzione

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non può essere ritenuto ammissibile avendo il Tribunale del riesame correttamente dichiarato l’inammissibilità dell’impugnativa stante la mancanza di interesse in capo al Parrella.
Va al riguardo rilevato che, pur essendo la legittimazione alla proposizione del riesame reale attribuita dall'art. 322 cod. proc. pen. all'imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, occorre ciò nondimeno, secondo i criteri generali dettati dall’art. 591 cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità all’impugnazione, avervi interesse.
Misurandosi l’interesse all’impugnativa, strettamente ancorata nel sistema processual penalistico ad una prospettiva utilitaristica, sul risultato concretamente conseguibile dal soggetto che si duole di un provvedimento, deve rilevarsi come nell’ambito delle misure reali il risultato in concreto perseguibile non possa che essere quello, ove si consideri che l’effetto da esse derivato è lo spossessamento del bene attinto dalla misura, della sua restituzione. Ove, infatti, si consideri che la condizione di ammissibilità dell’impugnazione prevista dall’art. 568, quarto comma cod. proc. pen. risiede nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e al contempo in quella, positiva, del conseguimento di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, purché logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, Sentenza n. 6624 del 27/10/2011 - dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693), non può non tenersi conto dell’esito finale che la richiesta di riesame avverso un provvedimento di sequestro è volta a conseguire, la quale necessariamente presuppone una relazione qualificata tra l’impugnante e la res attinta dal vincolo cautelare, astrattamente idonea a consentire, una volta venuto meno il vincolo, la restituzione del bene in proprio favore.
E’ stato perciò ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, al di là della sua legittimazione astratta a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell'art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro, risultato che a sua volta implica una relazione con la cosa a sostegno della pretesa alla cessazione del vincolo cautelare, dovendo il gravame essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell'impugnante (ex plurimis Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Solinas, Rv. 276545; Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, Firriolo, Rv. 274992; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Rv. 267672; Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, Rv. 263799).
Deve al riguardo precisarsi che la sussistenza dell'interesse ad impugnare in quanto correlata all’attualità e alla concretezza non può desumersi dalla legittimazione ad impugnare, configurante invece una categoria prevista dal legislatore in termini generali ed astratti. Essendo infatti onere di chi impugna dedurre la sussistenza dell'interesse ad impugnare, ai sensi degli artt. 568, comma 4, e 581 comma 1, lettera d), cod. proc. pen., l’impugnante deve perciò, in ragione del fatto che l'interesse tutelato dall'ordinamento, in materia di impugnazioni reali, è quello volto alla reintegrazione patrimoniale di chi abbia subito l'imposizione del vincolo, indicare, a pena di inammissibilità, oltre all'avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro.
Orbene, non basta il mero possesso del bene, non corrispondente ad alcuna posizione giuridicamente qualificata sul piano dei diritti soggettivi, a conferire all’odierno ricorrente il diritto alla restituzione dell’area attinta dal sequestro, così come questi sostiene con il presente ricorso con il quale rivendica la veste, peraltro in sé contraddittoria, di committente ed esecutore dei lavori edilizi contestati come abusivi: occorre, invece, come si desume dallo stesso art. 322 cod. proc. pen. che menziona tra i soggetti astrattamente legittimati alla richiesta di riesame la “persona che avrebbe diritto alla loro restituzione”, la titolarità in capo all’impugnante, che rivesta al contempo la posizione di indagato o di imputato, di un diritto reale o di un diritto obbligatorio derivante da un rapporto contrattuale che gli abbia conferito la detenzione qualificata del bene, anch’esso da valutarsi in concreto. Anche a voler superare la contrastante allegazione difensiva, non si desume, invero, dall’assunta qualifica di committente o di esecutore materiale dei lavori quale sia il titolo negoziale in forza del quale il Perrella abbia acquisito la disponibilità dell’area sequestrata.
Né a tale carenza, costituita dalla mancata dimostrazione dell'esistenza di un titolo idoneo a qualificare la detenzione dell’area sequestrata, può sopperire l’interesse dell’indagato al conseguimento di una pronuncia sull'insussistenza del "fumus commissi delicti", attesa l'autonomia del giudizio cautelare da quello di merito (Sez. 5, n. 22231 del 17/03/2017, Paltrinieri, Rv. 270132; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Ruan, Rv. 271231). Ciò in quanto lo scopo cui tendono i procedimenti incidentali e gli incidenti cautelari in particolare è quello di assicurare una pregnante ed incisiva tutela dei diritti di libertà personale o reale attinti da un provvedimento giurisdizionale e non di porsi come incombenti diretti ad anticipare impropriamente la pronuncia di merito, tipica della fase cognitiva e perseguita, quale che sia l'esito del giudizio cautelare, esclusivamente dal procedimento principale.
Segue all’esito del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in data 3.5.2022