Cons. Stato, Sez. IV, n. 4258 del 26 luglio 2012.
Urbanistica. Attività edilizia nei centri storici
Per mutare la volumetria e la sagoma degli edifici nei centri storici occorre il permesso di costruire. La denuncia di inizio attività nei centri storici concerne interventi che: non devono incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie; non devono modificare la destinazione d'uso e la categoria edilizia; non devono alterare la sagoma dell'edificio e non devono comunque violare le eventuali prescrizioni contenute nell’originario permesso di costruire. In caso di sostanziali variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso, è sempre necessario il permesso di costruire. L’applicazione dell'art. 3 comma 1 lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001 con cui era stata estesa la nozione di ristrutturazione edilizia sì da ricomprendervi pure gli interventi ricostruttivi consistenti nella demolizione, resta condizionata al fatto che volumetria e sagoma debbano rimanere assolutamente identiche. La normativa per le costruzioni nelle zone sismiche concerne tutti gli interventi edilizi da realizzarsi sul territorio comunale edificato e di nuovo impianto. E’ da escludere che eventuali deroghe all’osservanza delle norme tecniche antisismiche previste per i centri storici possano essere automaticamente messi in atto ad opera del privato(segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 04258/2012REG.PROV.COLL.
N. 07053/2007 REG.RIC.
N. 07829/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7053 del 2007, proposto da:
Iemma Francesco, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Romeo, con domicilio eletto presso Angelo Francesco Macrì in Roma, via Germanico 101;
contro
Comune di San Giovanni di Gerace, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Salazar, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini N. 20;
Franconeri Salvatore, Ientile Rosa Maria, rappresentati e difesi dall'avv. Annamaria Pellicano, con domicilio eletto presso Emanuele Poretti in Roma, Piazzale Flaminio, 9;
sul ricorso numero di registro generale n.7829 del 2007, proposto da:
Franconeri Salvatore e Ientile Maria Rosa rappresentati e difesi dagli avv. Oscar Agostini, Annamaria Pellicano, con domicilio eletto presso Emanuele Poretti in Roma, Piazzale Flaminio, 9;
contro
Comune di San Giovanni di Gerace, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Salazar, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini N. 20;
Iemma Francesco;
entrambi per la riforma
della sentenza del T.a.r. Calabria - Sez. Staccata di Reggio Calabria n. 00294/2007, resa tra le parti, concernente ristrutturazione di immobile in centro storico situato in zona sismica.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Simona Maria Serena Salazar in sostituzione di Michele Salazar e Graziano Pungì in sostituzione di Annamaria Pellicano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Si deve premettere che il sig. Iemma, proprietario di un immobile a due piani f.t. aveva proceduto -- in base ad una d.i.a del 4/3/2005, poi integrata con nuova d.i.a. del 14. 7.2005 -- a diversi lavori tra cui la demolizione di parte del predetto tetto con la realizzazione di un lastrico solare terrazzato ed altre tramezzature, aumento dell’altezza del secondo piano ed aumento di volumetria, con mutamento di destinazione d’uso di diversi ambienti.
Con il primo appello n. 7053/2007, il sig. Iemma impugna la sentenza del T.a.r. Calabria - Reggio Calabria n. 00294/2007, con cui è stato in parte accolto il ricorso dei controinteressati Franconieri e Ientile sostanzialmente diretto all’esercizio dei poteri repressivi sui predetti interventi edilizi, ed annullata la nota del 10/4/2006 con cui il Comune, in esito alle diffide presentate dai vicini, aveva affermato che i lavori sarebbero conformi agli elaborati tecnici presenti al Comune ed al Settore Tecnico della Regione Calabria.
Il gravame è affidato a tre articolate rubriche con cui si denuncia: la violazione dell’articolo 3 della legge 241 per difetto di motivazione della sentenza; la violazione di difesa, il travisamento e la violazione degli articoli n. 3,9,10, 22 e 23 del d.lgs. n. 380/2001; del regolamento edilizio comunale, dell’articolo 49 della legge regionale Calabria n. 19 del 19 aprile 2002, del D. M. lavori pubblici 16 gennaio 1996; dell’articolo 43 della legge 5 agosto n. 757.
In tale giudizio si sono costituiti sia il Comune di S. Giovanni di Gerace che gli appellati i quali con i propri scritti difensivi hanno analiticamente contestato le affermazioni di parte ricorrente insistendo per il rigetto del ricorso.
Con il gravame n.7829/2007, i controinteressati Franconieri e Ientile denunciano l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso il loro diritto al risarcimento dei danni, ed ha limitato la liquidazione delle spese del giudizio ad una somma non congrua.
In tale secondo giudizio si è costituito il solo Comune, che ha versato uno scritto difensivo, comune peraltro anche all’altro gravame, ed una seconda, specifica, memoria con cui contesto la fondatezza della pretesa attorea.
All’udienza pubblica di discussione, uditi i patrocinatori delle parti, gli appelli sono stati ritenuti in decisione.
DIRITTO
____ 1.§. Ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. deve disporsi la riunione degli appelli di cui in epigrafe, essendo evidente la connessione oggettiva e soggettiva dei gravami.
____ 2.§. L’appello n. 7053/2007 è affidato alla denuncia di tre motivi che, per ragioni di economia espositiva, devono essere esaminati nell’ordine che segue.
____ 2.§.1. Il terzo fondamentale motivo d’appello è, a sua volta, articolato sui seguenti profili di censura:
-- i fabbricati dell’appellante e dei controinteressati sarebbero divisi da una via pubblica, il che farebbe decadere ogni limitazione in tema di distanze e di vedute;
-- i fabbricati ricadevano nella zona A, dove sarebbero consentite, dal programma di fabbricazione vigente non solo opere di risanamento e conservazione, ma anche opere di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 9, secondo comma del d.p.r. 380/2001, in quanto non sarebbero vigenti altri vincoli, non essendo il comune dotato di piano di recupero.
Erroneamente il Tar avrebbe affermato che_ -- i lavori avrebbero determinato la trasformazione dell’unità immobiliare originaria in difformità rispetto agli atti della dia; -- le opere eseguite sarebbero state realizzate in violazione delle norme edilizie, -- l’intervento edilizio andava qualificato come “costruzione nuova” assentibile solo con il permesso di costruire.
Come avrebbe invece dimostrato la consulenza tecnica di parte, la realizzazione di un solaio latero-cementizio da utilizzare come terrazza praticabile e di una scala interna, non sarebbe affatto riconducibile al concetto di “nuova costruzione”.
Per l’appellante potevano essere realizzate con d.i.a. anche le “ristrutturazioni edilizie, comprensive delle demolizioni e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, ma al netto delle innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” ai sensi dell’articolo 1, comma 6, lettera b) della legge n. 443/2001, dell’articolo 3, comma 1 lettera d) e dell’articolo 22 del d.p.r. n. 380/2001.
Infine, ai sensi della legge regionale Calabria n. 19 del 16 aprile 2002, art. 49, per cui il recupero dei sottotetti non può eccedere il 25% del volume urbanistico con l’intervento si riferisce che può essere superato previo conferimento di standard urbanistici, ovvero quella relativa monetizzazione nel caso di impossibilità del rispetto dei limiti fissati dal DM 2 aprile 1968.
Infine sarebbero del tutto insussistenti le gravi violazioni della sicurezza antisismica che la sentenza appellata ricondurrebbe ad un mancato rispetto dell’altezza massima di metri 7,50 prevista e dell’interasse di 7 m. per le zone sismiche.
Erroneamente il Tar avrebbe fatto applicazione della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici applicativa n. 65 del 10 aprile 1997, senza tener conto che la stessa si sarebbe applicata solo alle case costruite ex novo, e non a quelle esistenti per le quali invece si sarebbe dovuto fare riferimento all’allegato n. 3 della predetta circolare, il quale si limita a disporre che debbano essere messi in atto provvedimenti tendenti a modificare sostanzialmente il comportamento dell’intero sistema-edificio case costruite ex novo, ed, in particolare la riduzione degli effetti torsionali e la modifica delle rigidezze.
Qui non vi era stato alcun incremento della volumetria in questione perché l’abbaino, realizzato in sostituzione del lucernario preesistente, avrebbe integrato un volume tecnico come tale non computabile. Nel caso gli interventi sarebbero stati migliorativi in quanto sarebbe sostituita la scala in muratura in una in cemento.
In definitiva la sagoma dell’edificio poteva essere modificata e l’intervento di ristrutturazione sarebbe stato perfettamente legittimo ai sensi dell’articolo 22, terzo comma, D.p.R. n.380/2001.
L’assunto è infondato.
In linea generale si deve ricordare che, ai sensi dell'art. 22, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 gli interventi sull’esistente realizzabili con la d.i.a. – in sostituzione del permesso di costruire -- di cui alla lett. c) dell’art. 10 del cit. D.P.R, sono gli interventi di ristrutturazione edilizia che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportano aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, e se sono realizzate su immobili compresi nelle zone omogenee A, comportano mutamenti della destinazione d'uso.
Come specificato dal secondo comma, la denuncia di inizio attività nei centri storici concerne interventi che: -- non devono incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie; -- non devono modificare la destinazione d'uso e la categoria edilizia; -- non devono alterare la sagoma dell'edificio; -- non devono comunque violare le eventuali prescrizioni contenute nell’originario permesso di costruire.
Il permesso è invece sempre necessario in caso di sostanziali variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3231).
L’applicazione dell'art. 3 comma 1 lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001 -- con cui era stata estesa la nozione di "ristrutturazione edilizia" sì da ricomprendervi pure gli interventi ricostruttivi consistenti nella demolizione – resta condizionata al fatto in tali ipotesi che "volumetria" e "sagoma" debbano rimanere assolutamente identiche.
In altri termini, volumetria e sagoma, nei centri storici si pongono come limiti sia per gli interventi di ristrutturazione che non comportino demolizioni, sia nei casi di ristrutturazioni attuate attraverso le demolizioni: per mutare tali parametri non basta la denuncia di inizio attività, ma occorre il permesso di costruire (cfr. Cassazione penale, sez. III, 17 febbraio 2010, n. 16393).
Ciò premesso, danno poi logico fondamento alla conclusione per cui si trattava di un organismo edilizio differente la realizzazione di:
- un tramezzo al livello primo di solo m.0,12 al posto del precedente muro trasversale portante di 0,50 sulla cui corrispondenza al piano superiore si è posto un tramezzo di 0,34 cm;
- un nuovo servizio igienico con nuove divisioni interne;
- un vano chiuso al terzo livello coperto con tetto a falda ad uso cucina;
- una terrazza praticabile al terzo livello;
- una camera da letto con il servizio igienico;
- una terrazza praticabile in luogo dell’originaria copertura a falde;
- una scala in conglomerato cementizio armato per l’accesso al nuovo lastrico ed ad un nuovo vano chiuso al terzo livello coperto con tetto a falda con probabile destinazione a cucina non risultando l’indicazione di altri vani a ciò destinati.
Alla luce delle allegazioni ed anche della documentazione fotografica versate in atti, devono perciò integralmente condividersi le conclusioni del primo giudice per cui nella fattispecie la molteplicità e l’entità delle trasformazioni dell’unità immobiliare originaria, non solo sono state realizzate in difformità rispetto agli elaborati in DIA ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, ma hanno finito per modificare radicalmente non solo la destinazione di diversi vani e le superficie pertinenziali, ma soprattutto i volumi edilizi totali e la sagoma dell’edificio che è rimastra stravolta dall’elevazione di mt.2,44 rilevata dal piano di terrazza alla seconda gronda del nuovo volume costruito per un totale portato da ml. 9,26 a mt.11,72 .
L’altezza totale non solo non è stata ridotta, ma è stata addirittura portata ben oltre i limiti di mt. 7,5 previsti dalla normativa antisismica per le zone sismiche di prima categoria (S=12).
Non ricorre quindi quel “processo alle intenzioni” di cui parla l’appellante, essendo al contrario evidente il suo tentativo di confondere la situazione di fatto. Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, l’alterazione della sagoma ha comportato la conseguenza di creare nuovi metri cubi ad un terzo piano, di non precisata destinazione, che non potevano esser considerati come meri “volumi tecnici”.
Esattamente il primo giudice, condividendo la CTU, ha affermato che il complesso degli interventi realizzati comportava che l’opera non potesse essere ricondotta agli interventi c.d. “di ristrutturazione leggera” che cioè non modificano il carico urbanistico, ma finiva per configurarsi come una c.d. “ristrutturazione pesante”, assimilabile ad una nuova costruzione, e quindi, come tale, non assentibile nell’ambito del centro storico.
Inoltre del tutto inconferente è il richiamo all’art. 49 della legge regionale Calabria n. 19 del 16 aprile 2002 in quanto qui non vi è stato alcun recupero del sottotetto perché la copertura a falde è stata parzialmente demolita.
Sotto altro profilo , nella fattispecie in esame, non era poi applicabile il secondo comma dell’art 9 del d.p.r. n. 380/2001, il cui precetto riguarda esclusivamente le “aree bianche”, cioè quelle nelle quali il rinvio ad un piano esecutivo è accompagnato dalla mancanza di una qualsiasi disciplina urbanistica; mentre nell'ambito del Comune vi è una specifica disciplina – valida ed efficace -- concernente le opere eseguibili nel centro storico.
Anche in considerazione della prevalenza del ruolo dei Comuni in materia urbanistico - edilizia -- le prescrizioni del Regolamento edilizio che contengono specifiche disposizioni destinate al mantenimento degli equilibri urbanistici e territoriali devono essere considerate prevalenti rispetto alla disposizione dell’art. 9 del d.p.r. n. 380/2001, in quanto destinate ad evitare che le modifiche dell’esistente finiscano per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali di tutela cui invece è giustamente finalizzata la normativa urbanistica.
In presenza di una specifica normativa delle NTA che disciplinano -- in senso più restrittivo rispetto al legislatore statale -- le possibilità di intervento sugli edifici preesistenti, le finalità di salvaguardia dei centro storici territoriale di una zona devono ritenersi prevalenti perché dirette ad assicurare un regime di maggiore tutela dell’area interessata (cfr. Consiglio Stato. Sez. IV 10 maggio 2012 n. 2707).
Al riguardo è dunque decisivo che, nel caso, le opere eseguite sono state realizzate in violazione delle norme edilizie e della disciplina urbanistica vigente di cui all’art. 10 del Regolamento Edilizio Comunale (REC) adottato con Delibera n.15 del 19/7/1989 ed approvato con Decreto della Regione n.635 del 25/5/1992. del Comune di S. Giovanni di Gerace in base al quale, nella Zona A sono vietati gli aumenti di volumetria e le demolizioni non sono ammessi interventi edilizi di nuova costruzione, a tutela del tessuto storico del centro.
Di qui l’illegittimità del complessivo intervento così come realizzato.
Inoltre del tutto erroneamente gli appellanti assumono la non applicabilità della normativa antisismica di cui al del D. M. lavori pubblici 16 gennaio 1996.
Deve infatti escludersi infatti che eventuali deroghe all’osservanza delle norme tecniche antisismiche previste per i centri storici possano essere automaticamente messi in atto ad opera del privato (cfr. Consiglio Stato, sez. IV 12 giugno 2009 n. 3706).
La normativa per le costruzioni nelle zone sismiche concerne tutti gli interventi edilizi da realizzarsi sul territorio comunale edificato e di nuovo impianto. Come le numerose disgrazie intervenute negli ultimi anni hanno dimostrato, sono proprio gli interventi con tecniche moderne su edificazioni a struttura tradizionale che danno luogo a costruzioni di particolare pericolosità a cagione dei diversi comportamenti torsionali dei differenti materiali e dell’incremento dei carichi strutturali sul preesistente. Solo se non fosse stata toccata l’altezza preesistente si sarebbe dovuto fare riferimento all’allegato n. 3 della predetta circolare del Ministerro LL.PP., ma nel momento in cui si è andato a realizzare un edificio strutturalmente differente doveva essere rispettata la predetta normativa antisismica ed operata una diagnosi del possibile comportamento della struttura risultante all’evento sismico in termini di deformazione, resistenza, punti di fragilità delle strutture.
Infine si deve osservare che la presenza di uno strettissimo vicolo di soli mt. 1,5 soggetto al passaggio pubblico non fa venir meno la generale disciplina sulle luci e le vedute.
Di qui l’assoluta illegittimità dell’intervento realizzato in violazione dei limiti dell’altezza totale, della realizzazione di una scala in c.a. su una struttura in pietrisco e dell’indebolimento delle originarie strutture portanti interne al primo piano.
Il motivo è complessivamente infondato e deve conseguentemente essere respinto.
____ 2.§.2. In coerenza con le considerazioni che precedono deve essere respinto il secondo motivo con cui si lamenta la violazione dei diritti della difesa in quanto il Tar non si sarebbe pronunciato sulla richiesta istruttoria fatta dall’appellante diretto alla rinnovazione della verificazione tecnica d’ufficio che, a suo dire, sarebbe stata assolutamente necessaria, in virtù dell’appoggio pregiudiziale e tautologico alle problematiche tecniche, e quindi viziato da un ”afflato giustizialista”.
Il TAR non avrebbe tenuto conto che i lavori non erano ancora ultimati e il verificatore avrebbe indebitamente stigmatizzato le intenzioni dell’appellante ed enfatizzato il valore storico ed artistico del sito oggetto di causa in modo surrettizio e non oggettivo. Il centro storico di S. Giovanni di Gerace tratterebbe di una realtà urbanistica disomogenea, costituita da vecchi edifici con anche tettoie in lamiera, privi di pregio.
L’assunto è infondato.
Quando il giudice ritiene che la situazione di fatto appare sufficientemente acclarata in esito all’espletamento della CTU , non ha alcun obbligo di pronuncia esplicita su ulteriori richieste istruttorie della parte che non condivide l’esito della perizia d’ufficio, e ciò a maggior ragione quando – come nel caso in esame -- la stessa ha ritualmente già contrapposto una propria consulenza tecnica di parte.
La decisione sul merito del gravame costituisce un rigetto implicito dell’istanza, peraltro senza che sia richiesta un esplicita motivazione d’ordine processuale sul punto.
____ 2.§.3. Nella medesima scia logica di cui al punto 2.§.1. va disatteso quindi il primo motivo con si deduce che il Tar si sarebbe limitato a recepire acriticamente ed apoditticamente le conclusioni superficiali surrettizie del verificatore tecnico nonostante le sue conclusioni fossero state contestate dall’odierno appellante.
Nel caso di specie poi, l’evidenza della situazione e la correttezza delle conclusioni del CTU emergevano senza ombra di dubbio dalla documentazione fotografica.
____ 2.§.4. In conclusione il primo appello è infondato e deve essere respinto
____ 3.§. Con il secondo gravame n.7829 del 2007 i ricorrenti vittoriosi in primo grado pongono due domande.
____ 3.§.1. In primo luogo contestano il rigetto della richiesta di risarcimento danni proposta con il terzo motivo, lamentando il difetto di motivazione della sentenza sul punto.
A tal proposito, da un lato si deve osservare che esattamente il Tar ha rilevato l’estrema genericità della formulazione della relativa domanda e, dall’altro che l’accoglimento del ricorso nei termini accennati determina l’obbligo dei conseguenti provvedimenti demolitori da parte dell’Amministrazione Comunale e quindi il pieno soddisfacimento delle pretese concretamente azionate dai ricorrenti.
In tale prospettiva non viene tanto in discussione la configurabilità, o meno, della colpa dell’Amministrazione (di cui al primo motivo), quanto il fatto che molti degli eventuali danni esistenziali (quali patimenti, intrusioni, ed oneri spesi per ricorsi di cui al secondo motivo d’appello) cagionati ai signori Franconeri e Ientile, appaiono conseguenti in realtà ad ulteriori comportamenti di fatto del Iemma e dei suoi familiari i quali, come tali, possono essere azionati innanzi alla competente giurisdizione ordinaria.
Quanto invece alla restituzione in integrum degli interessi legittimi violati dal mancato tempestivo esercizio del dovere di controllo delle attività edilizie da parte degli Uffici Comunali,il ristoro avverrà in via diretta dall’esecuzione della sentenza, con la conseguente demolizione delle superfetazioni e con il ripristino dell’edificio allo status quo ante.
In tale direzione le conclusioni della perizia dell’ing. Lupis, commissionata dall’Iemma, concernente l’asserita non abbattibilità della parte di struttura non conforme, appaiono del tutto prive di una qualsiasi reale ragione tecnica, di una analisi dei materiali, e di un calcolo strutturale degli elementi in discussione, anche e sopratutto in ordine ai rischi antisismici connessi con l’apposizione dei maggiori carichi strutturali ed al mancato rispetto delle normative antisismiche in materia di altezza.
____ 3.§.2. In secondo luogo gli appellanti assumono la violazione dell’art. 91 del c.p.c. in quanto la condanna alle spese sarebbe stata pronunciata in misura incongrua rispetto al valore della causa e dell’attività espletata dal difensore.
Il profilo non convince.
Come è noto, la statuizione del Tar sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale per cui, anche quando il soccombente sia stato condannato ad una misura ritenuta non satisfattiva, in sede di appello tale determinazione può essere sindacata solo quando sia stata posta a carico di una parte non soccombente oppure risulti manifestamente irrazionale, sproporzionata od iniqua (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 16 aprile 2012 n. 2161, idem Sez. V 7 luglio 2011 n. 4052; Consiglio di Stato sez. III, 31 maggio 2011 n. 3281; Consiglio Stato sez. VI, 9 febbraio 2011 n. 892). Il che, nel caso in esame non è.
____ 4. In conclusione entrambi i ricorsi sono privi di pregio e devono essere respinti.
Essendo ciascuna delle parti soccombente nel proprio gravame, le spese del presente giudizio possono essere compensate ed, analogamente, il pagamento del contributo unificato ai sensi dell'art. 13 comma 6-bis, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 resta in ogni caso a carico delle rispettive parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando:
___ 1. Dispone, ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. la riunione dei gravami di cui in epigrafe.
___ 2 Respinge sia l'appello n. 7053 del 2007 e sia l'appello n. 7829 del 2007, come in epigrafe proposti, e per l’effetto conferma integralmente la sentenza impugnata.
___ 4. Spese di entrambi gli appelli integralmente compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/07/2012
IL SEGRETARIO