Consiglio di Stato Sez. II n. 5965 del 8 ottobre 2020
Urbanistica.Case mobili
Sono definibili “case mobili”, le strutture non ancorate al terreno, costruite su appositi carrelli, che ne consentono una rapida installazione su qualsiasi terreno privato, camping o villaggio turistico: quelle omologate sono montate su di un pianale omologato che ne consente il trasporto, mentre quelle non omologate, solitamente destinate a campeggi e villaggi turistici, pur essendo ideate per stare ferme, debbono avere caratteristiche tali che ne consentano il facile spostamento. Ciò che è essenziale è che tali case mobili, ancorché realizzate all’interno di camping o villaggi turistici (condizione, quest’ultima, che ne consente l’ancoraggio al suolo), siano ancorate solo temporaneamente, con caratteristiche, cioè, che ne dimostrino la precarietà: precarietà che è diversa dalla stagionalità, ovvero dalla “ciclicità”. Infatti le opere aventi carattere stagionale, qualora siano orientate alla soddisfazione di interessi permanenti nel tempo, devono essere equiparate alle “nuove costruzioni”; necessitando, di conseguenza, di permesso di costruire.
Pubblicato il 08/10/2020
N. 05965/2020REG.PROV.COLL.
N. 08832/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8832 del 2010, proposto dal Comune di Gallipoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro Quinto ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Barnaba Tortolini, n. 30, presso lo studio dell’avv. Alfredo Placidi,
contro
Praia del Sud S.p.a. – successivamente incorporata da I.C.M. S.r.l. unipersonale – in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Ernesto Sticchi Damiani, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina, n. 26,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione staccata di Lecce) n. 1867 del 18 luglio 2009, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Praia del Sud S.p.a. (ora: I.C.M. S.r.l. unipersonale);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 settembre 2020, il Cons. Roberto Politi; nessuno comparso per le parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Espone l’appellante Amministrazione comunale che Praia del Sud S.p.a. è proprietaria, in agro di Gallipoli, località “Li Foggi”, di aree distinte in catasto al Foglio n. 25, P.lle nn. 862, 864, 865, 882, 851, 880 e 883, destinate a campeggio dal Piano per gli insediamenti turistici all’area aperta, approvato con delibera di Giunta regionale n. 941 del 15 febbraio 1988.
In data 11 ottobre 1990, veniva all’anzidetta società rilasciata concessione edilizia per la realizzazione di un insediamento turistico all’aperto, composto da bungalows, ristorante, supermercato, palazzine per servizi, palestra, uffici, anfiteatro ed attrezzature sportive.
L’autorizzazione paesaggistica, rilasciata con delibera di G.R. n. 4157 del 6 luglio 1990, espressamente prescriveva che “gli allestimenti previsti per gli ospiti sprovvisti di mezzo autonomo di pernottamento abbiano i requisiti tipologici e costruttivi (strutture mobili e/o semifisse) previsti dalla l.r. n. 35/79 e relativo regolamento; in tal senso, le strutture portanti devono essere caratterizzate da facilità di smontaggio al fine di evitare insediamenti a carattere permanente e, pertanto, l’intera cellula dovrà risultare semplicemente poggiata alla piazzola di base”.
A seguito di sentenza del Tribunale penale di Lecce (confermata in appello), che riteneva illegittimi i provvedimenti di proroga di validità della concessione edilizia, in quanto emessi in violazione del vincolo di inedificabilità assoluta gravante sull’area, l’Amministrazione comunale esercitava il potere di autotutela, finalizzato all’annullamento della concessione edilizia del 1990.
In data 1° agosto 2006, Praia del Sud presentava D.I.A. per la realizzazione di n. 441 piazzole per tende e roulottes (capacità ricettiva comprensiva anche delle 386 piazzole autorizzate con la concessione edilizia n. 4691 del 1990 e non realizzate); il progetto veniva, poi, ridotto a n. 221 piazzole, per poter recepire le prescrizioni imposte dalla Regione, in sede di valutazione di incidenza ambientale.
Le opere venivano sottoposte a sequestro da parte del G.I.P. in data 9 novembre 2007.
Con determinazione n. 73 del 22 gennaio 2007, il Dirigente dell’Area 1 bis – Politiche infrastrutturali del Comune di Gallipoli disponeva la sospensione della D.I.A. in questione.
Tale provvedimento, impugnato dalla società dinanzi alla Sezione staccata di Lecce del T.A.R della Puglia con ricorso R.G.N. 474/2007, veniva annullato con sentenza 7 luglio 2008 n. 2063.
Con ordinanza n. 197 del 29 febbraio 2008, il Dirigente del servizio Area n. 1 – Politiche territoriali del Comune di Gallipoli ordinava la sospensione dei lavori intrapresi dalla ricorrente e consistenti “nel deposito sull’area in proprietà di n. 54 miniappartamenti mobili composti ognuno da camera da letto, cucina e soggiorno. Detti appartamenti risultano installati su due binari longitudinali in ferro provvisti, al centro, di ruote gommate utili allo spostamento e trasporto, e lateralmente di gancio di traino e barre verticali utili a stabilizzarne l’assetto. A sud dei terreni era altresì accertata la realizzazione di uno stradone di collegamento tra l’ingresso ed i vialetti esistenti della lunghezza di mt. 200 circa e della larghezza di mt. 5,00 circa mediante riporto, sull’originario terreno vegetale, di pietrisco opportunamente livellato, compattato e carrozzabile”.
Con successiva ordinanza n. 302 del 15 aprile 2008, veniva quindi ordinata la rimozione delle opere, come sopra individuate.
2. Con ricorso N.R.G. 998 del 2008, proposto innanzi al T.A.R. di Lecce, Praia del Sud chiedeva l’annullamento dei suindicati provvedimenti.
L’adito Tribunale accoglieva il ricorso con la pronunzia oggetto dell’appello ora all’esame.
3. Avverso tale sentenza, il Comune di Gallipoli ha interposto appello, notificato il 18 ottobre 2010 e depositato il successivo 25 ottobre, lamentandone i seguenti vizi:
Violazione degli artt. 3 e 10 del D.P.R. 380 del 2001. Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 4, della legge regionale della Puglia n. 11 del 1999. Violazione dell’art. 117 della Costituzione. Difetto assoluto di motivazione.
Avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che i 54 miniappartamenti oggetto del provvedimento repressivo sarebbero riconducibili alla previsione di cui all’epigrafata disposizione regionale, alla stregua della quale gli allestimenti mobili di pernottamento non necessitano di rilascio di concessione edilizia.
Nel richiamare la previsione all’uopo dettata dall’art. 3, comma 1, lett. e), punto 5 del D.P.R. n. 380 del 2001 (che annovera fra le strutture, la cui realizzazione necessita di previo titolo edilizio, anche i “manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”), parte appellante sostiene che il discrimen – ai fini della sottoponibilità della realizzazione ad atto concessorio – sia rappresentato (più che dall’intrinseca precarietà strutturale dello stesso) dall’esigenza abitativa – non temporanea – che il manufatto è destinato a soddisfare.
Né la pronunzia gravata avrebbe correttamente ritenuto applicabile la sola disciplina regionale (di cui alla l.r. n. 11/1999; che, all’art. 17, comma 4, esclude il rilascio di titolo ad aedificandum per le strutture di che trattasi), atteso che in materia urbanistica i principi desumibili da disposizioni di rango statale sarebbero insuscettibili di essere derogati ad opera della legislazione regionale (peraltro, antecedente al Testo Unico dell’Edilizia).
Quanto, poi, all’ulteriore abuso, rappresentato dalla realizzazione, a sud dei terreni, di uno stradone di collegamento tra l’ingresso ed i vialetti esistenti della lunghezza di mt. 200 circa e della larghezza di mt. 5,00 circa mediante riporto, sull’originario terreno vegetale, di pietrisco opportunamente livellato, compattato e carrozzabile, anche la preesistenza dell’opera (realizzata, in tempi risalenti, dall’ente di bonifica competente), non sarebbe insuscettibile di asseverarne – in difetto di titolo abilitativo – la conformità alla disciplina urbanistica gravante sull’area.
Conclude, pertanto, l’appellante Amministrazione comunale per l’accoglimento dell’appello; e, in riforma della sentenza impugnata, per la reiezione del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
4. In data 1° dicembre 2010, si è costituita in giudizio I.C.M. S.r.l. unipersonale, nella qualità di incorporante Praia del Sud S.p.a. (originaria ricorrente di prime cure).
5. In vista della trattazione nel merito del ricorso entrambe le parti hanno svolto difese scritte.
5.1. L’appellata società (memorie depositate il 15 ed il 24 luglio 2020), nel ribattere a tutti i rilievi di controparte, ha sostenuto la piena correttezza delle valutazioni in prime cure espresse con la sentenza gravata; conseguentemente, invocando la reiezione del proposto mezzo di tutela.
5.2. L’Amministrazione appellante ha depositato in atti (anch’essa alle date del 15 e 24 luglio 2020), memorie difensive, con le quali, ribadite le argomentazioni già esposte con l’atto introduttivo, ha insistito per l’accoglimento del proposto mezzo di tutela.
6. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 15 settembre 2020.
DIRITTO
1. Giova, preliminarmente alla disamina dei motivi di appello dedotti dal Comune di Gallipoli, operare una breve ricognizione in ordine ai contenuti della gravata decisione del T.A.R. di Lecce.
Nell’osservare come “l’ordinanza di rimozione impugnata … è caratterizzata da una struttura contraddittoria che viene ad integrare un vizio evidente di illegittimità”, il giudice di prime cure ha rilevato che la “stessa descrizione del presunto abuso edilizio contenuta nell’ordinanza di sospensione dei lavori (ord. n. 197 del 29 febbraio 2008), nell’ordinanza di rimozione (ord. n. 302 del 15 aprile 2008) ed ancora prima nella comunicazione 22 febbraio 2008 prot. n. 13/P.M. del Comando di Polizia Urbana evidenziano ampiamente come si tratti di appartamenti mobili “installati su due binari longitudinali in ferro provvisti, al centro, di ruote gommate utili allo spostamento e trasporto, e lateralmente di gancio di traino e barre verticali utili a stabilizzarne l’assetto”.
Verrebbe, per l’effetto, in considerazione la presenza di “strutture che già in linea di principio potrebbero essere agevolmente riportate alla previsione dell’art. 17, 4° comma della l.r. Puglia 11 febbraio 1999, n. 11 … che espressamente esclude gli “allestimenti mobili di pernottamento, quali caravan, case mobili” dall’obbligo di “concessione o autorizzazione edilizia a condizione che: a) conservino i meccanismi di rotazione in funzione; b) non abbiano alcun collegamento permanente al terreno; gli allacciamenti alle reti tecnologiche devono essere rimovibili in ogni momento”.
Nel rammentare di aver già constatato, in sede cautelare (ordinanza 16 luglio 2008 n. 613) che le case mobili di che trattasi, “in considerazione della sostanziale mancanza del requisito dell’allacciamento alle reti tecnologiche (circostanza fattuale indiscussa tra le parti)” si dimostrano “solo parcheggiate sull’area in riferimento” (con conseguente mancanza di quella maggiore stabilità, insita nel collegamento alle reti tecnologiche, “che è comunque ammessa dalla citata previsione dell’art. 17, 4° comma della l.r. Puglia 11 febbraio 1999, n. 11, anche in mancanza del titolo edilizio”), il T.A.R. ha ritenuto “sostanzialmente inconferente il richiamo alla previsione dell’art. 3, 1° comma lett. e.5 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380”, in quanto “la giurisprudenza in materia ha … affermato la necessità generale di operare un riferimento a quanto stabilito dalle leggi regionali in materia urbanistica … ed il carattere inequivoco della previsione dell’art. 17, 4° comma della l.r. Puglia 11 febbraio 1999, n. 11 non lascia certo dubbi in ordine all’inesistenza dell’obbligo di acquisire il titolo edilizio”.
Nell’escludere che, quanto alla vicenda in esame, sia ravvisabile “il requisito dell’alterazione dello stato dei luoghi in modo stabile … che costituisce il requisito indispensabile per poter ravvisare una vera e propria ipotesi di trasformazione del territorio”, il giudice di prime cure, quanto al “presunto ulteriore abuso costituito dalla realizzazione a sud dei terreni … di uno stradone di collegamento tra l’ingresso ed i vialetti esistenti della lunghezza di mt. 200 circa e della larghezza di mt. 5,00 circa mediante riporto, sull’originario terreno vegetale, di pietrisco opportunamente livellato, compattato e carrozzabile”, ha ritenuto che:
- dal momento che la stessa difesa dell’Amministrazione comunale di Gallipoli non ha negato la preesistenza dell’opera (che sarebbe stata realizzata, in tempi risalenti, dall’ente di bonifica competente), ritenendo peraltro “verosimile che nel tempo le caratteristiche dello stradone medesimo siano state alterate, fino a farlo diventare, per come è oggi, di pietrisco opportunamente livellato, compattato e reso addirittura carrozzabile”;
- verrebbe in considerazione “un giudizio espresso in termini ipotetici di mera verosimiglianza … del tutto incompatibile con l’individuazione di un preciso abuso che è alla base del sistema sanzionatorio in materia edilizia”.
2. Di quanto sopra dato atto, va rammentato che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380 del 2001, si intendono quali “interventi di nuova costruzione”, quelli di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”.
Alla stregua di quanto indicato alla lett. e.5), sono comunque da considerarsi tali “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.
I limiti per l’applicazione di tale disposizione sono stati chiariti dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 171 del 2-6 luglio 2012, recante declaratoria di illegittimità costituzionale, per la violazione della normativa statale in ordine agli interventi di nuova costruzione, del comma 1 dell’art. 25-bis della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge regionale n. 14 del 2011, secondo cui era consentita, nelle strutture ricettive all’aria aperta, previste dall’art. 23, comma 4, della detta legge regionale, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, “anche se collocati permanentemente”.
Quantunque riferita ad altra disciplina legislativa regionale rispetto a quella applicabile alla fattispecie in esame, giova rilevare come la Corte Costituzionale abbia precisato che “l’assunto … secondo cui le strutture mobili … non determinerebbero alcuna trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono … si pone in palese contrasto con la normativa statale e con i principi fondamentali da essa affermati”.
Come da questo Consiglio rilevato (cfr. Sez. VI, 1° aprile 2016, n. 1291) non è possibile, “secondo la Corte, … giungere ad una conclusione diversa per effetto della norma di cui all’art. 6, comma 6, del T.U. sull’edilizia, che consente alle Regioni a statuto ordinario di poter estendere la disciplina sull’attività edilizia libera ad interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli menzionati nel medesimo articolo, poiché tale disposizione si riferisce ad (altri) interventi (atipici) senza che possa essere derogata la disposizione dettata dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001”.
E, quanto alla presenza di una legislazione regionale suscettibile, secondo quanto nella fattispecie all’esame sostenuto dal giudice di prime cure, di ampliare (rispetto alle previsioni dettate dal T.U.E.) il novero dei manufatti suscettibili di essere realizzati anche in difetto di concessione edificatoria, deve escludersi – come dalla stessa Corte affermato – che la normazione regionale, lungi dal limitarsi a consentire interventi edilizi liberi (ed ulteriori rispetto a quelli nel medesimo articolo menzionati) sia suscettibile di recare vis abrogans rispetto alle disposizioni previste nella definizione stabilita dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Principio, questo, dalla stessa Corte Costituzionale successivamente ribadito (cfr. sentenza n. 68 del 5 aprile 2018, avente ad oggetto il contrasto della legge della Regione Umbria n. 1 del 2015 con il T.U. dell’Edilizia): laddove, quanto alla possibilità di estendere gli interventi soggetti ad attività edilizia libera a tipologie diverse, rispetto a quelle previste dalla normazione statale, è stato affermato che “pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia”.
In ogni caso, la sopravvenienza della disciplina dettata dal D.P.R. n. 380 del 2001, rispetto alle indicazioni ricavabili dalla legislazione regionale (di cui alla l.r. Puglia 11 febbraio 1999, n. 11) esclude che queste ultime, ove dissonanti rispetto alla prima, possano trovare perdurante applicabilità.
Come, infatti, affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. sentenza 7 aprile 2008, n. 2) “nel momento in cui il legislatore nazionale è intervenuto in materia edilizia, con il T.U. approvato con il D.P.R. n. 380/01, assegnando alle norme volte al riordino della materia contenute in tale T.U. il carattere di norme di principio, debbono ritenersi, per ciò stesso, abrogate le norme delle Regioni a statuto ordinario con esso configgenti; ciò in quanto, fino all’adeguamento delle Regioni a statuto ordinario alle norme di principio recate nel Testo Unico, le norme aventi tale portata in questo contenute sono destinate a prevalere sulle prime”.
3. Quanto alla caratterizzazione funzionale dei manufatti di che trattasi – nell’avversata sentenza descritti come “appartamenti mobili installati su due binari longitudinali in ferro provvisti, al centro, di ruote gommate utili allo spostamento e trasporto, e lateralmente di gancio di traino e barre verticali utili a stabilizzarne l’assetto” – va rilevato come, per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia, l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, possa ritenersi consentita in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, solo ove diretta a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono; laddove, diversamente, l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire.
Secondo orientamento giurisprudenziale consolidato, il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all’uso cui lo stesso è destinato; nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell’opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 150).
La natura precaria di un manufatto, ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire, deve quindi ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di esso ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione.
La precarietà non va, peraltro, confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.
La precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula, infatti, un uso specifico ma temporalmente limitato del bene: ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, suscettibile di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, dovendosi prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data dal manufatto dal costruttore, con riveniente obbligo di valutare l’opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale: con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il rilascio di concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale.
Per individuare la natura precaria di un’opera, si deve quindi seguire “non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale”, per cui se essa è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee, non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie, anche ove realizzata con materiali facilmente amovibili (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1291/2016 cit.); rivelandosi, conseguentemente, idoneo a produrre trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in maniera rilevante e duratura lo stato del territorio, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale e l’amovibilità, ove ad essa non si accompagni un uso assolutamente temporaneo e per fini contingenti e specifici.
4. Nella specie, le descritte caratteristiche dei manufatti oggetto dell’ordine di demolizione impugnato, comportano una evidente e rilevante trasformazione edilizia dell’area, con la conseguenza che la realizzazione delle opere richiedeva il previo assenso edilizio.
Invero, sono definibili “case mobili”, le strutture non ancorate al terreno, costruite su appositi carrelli, che ne consentono una rapida installazione su qualsiasi terreno privato, camping o villaggio turistico: quelle omologate sono montate su di un pianale omologato che ne consente il trasporto, mentre quelle non omologate, solitamente destinate a campeggi e villaggi turistici, pur essendo ideate per stare ferme, debbono avere caratteristiche tali che ne consentano il facile spostamento.
Ciò che è essenziale è che tali case mobili, ancorché realizzate all’interno di camping o villaggi turistici (condizione, quest’ultima, che ne consente l’ancoraggio al suolo), siano ancorate solo temporaneamente, con caratteristiche, cioè, che ne dimostrino la precarietà: precarietà che è diversa dalla stagionalità, ovvero dalla “ciclicità”.
Questo Consiglio (cfr. Sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2842) ha, infatti, chiarito che le opere aventi carattere stagionale, qualora siano orientate alla soddisfazione di interessi permanenti nel tempo, devono essere equiparate alle “nuove costruzioni”; necessitando, di conseguenza, di permesso di costruire.
La pronunzia da ultimo citata, in particolare, ha precisato che “i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario … non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale”.
La ‘precarietà’ dell'opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula infatti “un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo” (in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2007, n. 6615).
Le caratteristiche tipologiche e funzionali dei manufatti come sopra descritti, inducono, con ogni evidenza, ad escludere che essi siano riconducibili alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento, secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2011, n. 986; Sez. V, 12 dicembre 2009, n. 7789, 24 febbraio 2003, n. 986, e 24 febbraio 1996, n. 226).
Né può rilevare, in senso contrario, il mero fatto che tali strutture non siano adibite ad “abitazione”, intesa in senso di domicilio principale e/o residenza, dagli utilizzatori, in quanto deve ritenersi che non sia la continuità della presenza ad imprimere la funzione, bensì la potenziale fruibilità del manufatto, costante nel tempo, ancorché con la ciclicità dell’alternarsi delle stagioni che la rendano gradevole e/o apprezzabile.
Infatti, i manufatti funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, come quelli del caso di specie, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale, la potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie; non risultando essi, in concreto, deputati a un uso per fini contingenti, ma rivelandosi, piuttosto, destinati ad un impiego protratto nel tempo.
5. Se le considerazioni precedentemente esposte, inducono ad escludere che il percorso logico seguito dal giudice di prime cure meriti conferma, va da ultimo rilevato, quanto alla realizzazione di uno “stradone di collegamento tra l’ingresso ed i vialetti esistenti della lunghezza di mt. 200 circa e della larghezza di mt. 5,00”, che l’affermazione di parte appellata, secondo la quale lo stesso tratto viario sarebbe caratterizzato da risalente realizzazione (ascrivibile, peraltro, al Consorzio di Bonifica), non assume rilevanza nel quadro dell’affermata illegittimità dell’ordine demolitorio in prime cure gravato.
Se è pur vero che l’intervenuta modificazione delle caratteristiche dello “stradone” di che trattasi viene descritta, da parte della procedente Autorità comunale, in termini probabilistici (indicandosi come “verosimile che nel tempo le caratteristiche dello stradone medesimo siano state alterate, fino a farlo diventare, per come è oggi, di pietrisco opportunamente livellato, compattato e reso addirittura carrozzabile”), va rilevato come l’indicato riporto di pietrisco, in punto di fatto non contestato dalla parte appellata, ben si dimostra suscettibile, rispetto all’originaria conformazione del tratto viario, di introdurre una modificazione rilevante ai fini urbanistici: in quanto tale, necessitante di apposito titolo abilitativo.
Se, infatti, la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comprende non le sole attività di edificazione, ma anche quelle consistenti nella modificazione rilevante e duratura dello stato del territorio e nell’alterazione della conformazione del suolo, poiché tale trasformazione può esservi solo quando vi è un titolo edilizio, il cui rilascio è subordinato al rispetto delle previsioni dello strumento urbanistico, va rammentato come questo Consiglio (cfr. Sez.VI, 1° aprile 2019, n. 2117):
- nell’escludere, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, l’esigenza di rilascio del titolo edilizio per i “i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari”;
- abbia ritenuto che, “per ogni altro movimento di terra di qualsiasi consistenza occorra invece il rilascio del titolo edilizio”; tale definizione – per il suo carattere ricognitivo dei principi rilevanti in materia – riguardando “anche i movimenti di terra e le modifiche dei luoghi posti in essere prima dell’entrata in vigore del testo unico”.
6. La constatata fondatezza delle doglianze articolate con l’appello all’esame, ne impone l’accoglimento, con riveniente riforma della gravata sentenza del T.A.R. Puglia – Lecce, n. 1867 del 18 luglio 2009 e conseguente reiezione del ricorso dinanzi al predetto giudice di prime cure proposto da Praia del Sud S.p.a.
Sussistono, in ragione della particolarità della controversia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie; e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Italo Volpe, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere
Roberto Politi, Consigliere, Estensore