Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 14 maggio 2019, n. 3133
Urbanistica.Porticati esclusione natura pertinenziale

La realizzazione di un porticato non può considerarsi attività attratta alla natura pertinenziale dell’opera, di talché necessita di un apposito permesso di costruire per la sua costruzione

Pubblicato il 14/05/2019

N. 03133/2019REG.PROV.COLL.

N. 08528/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8528 del 2012, proposto dalla società Immobiliare Decvir S.r.l, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sebastiana Dore e Andrea Orefice ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo dei suindicati difensori in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

il Comune di Forio d’Ischia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Felice Laudadio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.G. Belli, n. 39;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 10 maggio 2012 n. 2151, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del Comune di Forio d’Ischia e i documenti prodotti;

Vista l’ordinanza della Sezione 14 gennaio 2013 n. 72 con la quale è stata respinta l’istanza cautelare presentata dalla parte appellante;

Esaminate le ulteriori memorie depositate da entrambe le parti, anche di replica ed i nuovi documenti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018 il Cons. Stefano Toschei e uditi per le parti gli avvocati Andrea Orefice per sé e in delega dell’avvocato Sebastiana Dore e Felice Laudadio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello la società Immobiliare Decvir S.r.l. ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 10 maggio 2012 n. 2151, con la quale sono stati in parte dichiarati improcedibili ed in parte respinti i ricorsi (il ricorso introduttivo R.G. n. 2884/2011 e due ricorsi recanti motivi aggiunti) che detta società aveva proposto ai fini dell’annullamento (con il ricorso introduttivo) della delibera di G.M. del 2 aprile 2011 n. 58 con la quale il Comune di Forio d’Ischia ha approvato la valutazione tecnico-economica per l’esecuzione coattiva della demolizione delle opere realizzate in assenza di titoli abilitativi in via Baiola (nel medesimo comune) e il relativo computo metrico nonché gli atti ad essa presupposti, (con il primo ricorso recante motivi aggiunti) della determinazione n. 8 del 2 maggio 2011 con la quale il responsabile del I Settore del Servizio urbanistica ed edilizia privata del Comune di Forio d’Ischia ha disposto la demolizione d’ufficio delle opere abusive di cui alla deliberazione di G.M. n. 58 del 2 aprile 2011 ed il ripristino dello stato dei luoghi, fissando per il giorno 30 maggio 2011 l’inizio dell’intervento demolitorio con affidamento della relativa esecuzione alla cooperativa Epsilon 2000 e (con il secondo ricorso recante motivi aggiunti) del provvedimento prot. n. 29491 del 30 novembre 2011 con il quale il suindicato responsabile del I Settore del Servizio urbanistica ed edilizia privata del Comune di Forio d’Ischia ha respinto la istanza di accertamento di conformità presentata dal procuratore speciale della società Immobiliare Decvir S.r.l., ai sensi degli artt. 36 del d.P.R. n. 380/2001 e 167 del d.lgs. n. 42/2004 con riferimento alle opere di cui alla determinazione n. 8 del 2 maggio 2011.

2. - La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma, con la necessaria sinteticità nel rispetto del principio di economia degli atti e dei mezzi processuali:

- in seguito ad un sopralluogo effettuato dai Carabinieri di Ischia in data 23 marzo 2010, nell’area di proprietà della società Decvir, in Forio d’Ischia, emergeva la realizzazione di numerose opere edilizie in difformità dal titolo originario n. 54/2007 e nello specifico (secondo quanto può leggersi dal relativo verbale): A) quanto al “Corpo A”, un ampliamento di mq 80 antistante il corpo "A", "costituito da un unico ambiente con piccolo portico", rampa di scale e muro di contenimento in pietrame locale "per superare un dislivello di mq 2,40"; un fabbricato antistante il corpo "A" di mq 150, "suddiviso in sei stanze con relativi wc e antistanti sei porticati, per complessivi mq 50"; un fabbricato di mq 160 realizzato a quota inferiore, "suddiviso in sei stanze con relativi wc e antistanti sei porticati, per complessivi mq 55"; un fabbricato seminterrato di mq 85, "adibito a locale tecnologico e cisterna"; B) quanto al “Corpo B”, un piano seminterrato "suddiviso in 6 camere con relativi wc, con la realizzazione nella parte antistante di n. 5 porticati per una superficie complessiva di mq 44"; un piano terra "suddiviso in n. 4 monolocali", con realizzazione di porticati per complessivi mq 60 la cui area antistante è stata delimitata con muretti e pavimentata (terrazzi scoperti) di mq 90 circa; un muro di contenimento retrostante il corpo "B", lungo mt 28,00 ed alto mt 4,50; n. 2 rampe di scale, lunghe ciascuna mt 8 e larghe mt 1,70;

- nel verbale i carabinieri che avevano effettuato il sopralluogo ed il relativo sequestro delle opere abusive precisavano che il sequestro effettuato riguardava solo gli ampliamenti eseguiti sul “Corpo A”;

- una relazione analoga a quanto indicato dai carabinieri veniva stesa dall’Ufficio tecnico comunale che avviava così il procedimento repressivo sanzionatorio, nel corso del quale la Decvir rappresentava che i precedenti proprietari avevano realizzato la maggior parte delle opere in buona parte condonate, sicché le riscontrate difformità dal titolo edilizio del 2007 costituivano interventi realizzabili con denuncia di inizio attività, con la conseguenza che non poteva essere ordinata la demolizione delle opere contestate come abusive, dovendosi limitare l’esercizio del potere repressivo sanzionatorio da parte del Comune alla sola irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria;

- a questo punto però, senza che fosse stato adottato il provvedimento di ingiunzione a demolire (a cura del proprietario) delle opere ritenute abusive, con delibera n. 54 del 29 marzo 2011 la G.M. disponeva di dare corso alle attività propedeutiche per la demolizione d'ufficio delle ridette opere abusive riscontrate nei fabbricati di proprietà della Decvir, seguita dalla delibera n. 58 del 2 aprile 2011, con la quale la giunta municipale, ai sensi dell'art. 41, comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, approvava la valutazione tecnico-economica per l'esecuzione coattiva della demolizione delle opere realizzate in assenza del permesso di costruire in via Baiola, di cui al verbale di sopralluogo e sequestro dei CC di Ischia del 23 marzo 2010;

- la Decvir proponeva ricorso giurisdizionale nei confronti dei suindicati provvedimenti, ma nel frattempo il comune, con determinazione n. 8 del 2 maggio 2011, volendo procedere d'ufficio alla demolizione delle opere, affidava direttamente alla Epsilon 2000 Soc. Coop. i relativi lavori di demolizione fissando per il 30 maggio 2011 la data di inizio degli interventi, di talché anche tale atto veniva fatto oggetto di impugnazione, con ricorso recante motivi aggiunti, in sede giurisdizionale da parte della Decvir;

- nel corso del processo dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, con decreto presidenziale del 26 maggio 2011 era disposta la sospensione degli atti impugnati, che veniva confermata nella sede collegiale con ordinanza n. 1062 del 23 giugno 2011, nella quale il Tribunale disponeva anche una verificazione al fine di accertare l’epoca di realizzazione delle opere;

- a questo punto la Decvir formulava al comune istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 rappresentando che: a) i corpi di fabbrica antistanti l'edificio "A" [e indicati con le lett. a), b), c), d)] sono stati assentiti con il nulla-osta del 1963; b) il titolo edilizio in sanatoria ha ad oggetto l'ampliamento e la ristrutturazione degli stessi; c) le opere indicate alle lett. e) ed f) non hanno comportato alcun aumento delle volumetrie, poiché consistenti in un mero cambio di destinazione d'uso (da garages a civile abitazione) e nella realizzazione di portici esterni, oltre volumi tecnici; d) le opere indicate alle lett. g) e h) consistono nella realizzazione di un muro di contenimento e di due rampe di scale. Concludeva la Decvir sottolineando che per le ultime due tipologie di opere sopra descritte la normativa di settore prescrive la presentazione di una denuncia di inizio attività edilizia, in mancanza della quale è prevista la irrogazione di una sanzione pecuniaria, sicché considerato che le stesse sono conformi alle previsioni paesaggistiche ed urbanistiche, nazionali e locali, richiedeva il rilascio di titoli abilitativi in sanatoria;

- con provvedimento prot. n. 29491 del 30 ottobre 2011, il responsabile dell'Ufficio tecnico comunale respingeva la domanda di accertamento di conformità e quindi la Decvir, con un secondo ricorso recante motivi aggiunti, impugnava detto diniego in sede giurisdizionale;

- il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha dichiarato in parte irricevibili ed in parte ha respinto i motivi di impugnazione dedotti dalla odierna società appellante con il ricorso introduttivo e con i due ricorsi recanti motivi aggiunti.

Fin qui i fatti che hanno preceduto la proposizione del ricorso in sede di appello.

3. – La società Decvir sostiene la erroneità della sentenza del Tribunale amministrativo regionale, prospettando due complessi motivi di appello ai fini della riforma della pronuncia di primo grado.

Con il primo motivo l’appellante, anche riproponendo buona parte delle censure dedotte in primo grado, ritiene che il Tribunale amministrativo regionale nella sentenza qui appellata abbia travisato i fatti e ricostruito in modo errato i profili giuridici della vicenda ritenendo che “le opere realizzate sui terreni di proprietà della Decvir fossero non solo "abusive", ma sottoposte a permesso di costruire e non a D.I.A., con la conseguente legittimità dei provvedimenti di demolizione d'ufficio adottati dal Comune di Forio” (così, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello), e ciò in quanto le opere che il comune intende demolire consistono in ampliamenti di corpi di fabbrica già assentiti e manufatti che, nella planimetria allegata alla delibera della GM n. 58/2012, avente ad oggetto la valutazione tecnico-economica degli abusi da demolire coattivamente, sono identificati come corpi di fabbrica "C, D, E, F". In particolare il corpo di fabbrica "C", realizzato in aderenza al preesistente corpo “A”, regolarmente assentito, non necessita del permesso di costruire perché mero ampliamento del predetto corpo "A" entro il limite del 20% della restante cubatura e pertinenziale allo stesso, e il corpo di fabbrica “F” non sviluppa volumetria assentibile essendo seminterrato e adibito a locale tecnologico e cisterna, per come dichiarato anche dai Carabinieri in sede di sopralluogo.

Ne deriva che le opere realizzate non sono soggette a permesso di costruire, né ai sensi della l.r. n. 19/2001, né ai sensi del Regolamento edilizio e, quindi, non sono sanzionabili con la demolizione solo per essere mancanti di un titolo abilitativo. Il Regolamento edilizio, in particolare, all'art. 14, esclude espressamente dal permesso di costruire gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di un volume entro il 20% del volume dell'edificio principale (art. 14 lett. f) ed in esso, inoltre, si puntualizza espressamente (art. 11) che la realizzazione di balconi rientra nelle ipotesi di restauro e risanamento conservativo e, quindi, per analogia, anche la realizzazione dei portici è riconducibile a siffatta categoria di interventi.

Per quanto riguarda gli altri manufatti (D ed E), rispetto ai quali il Tribunale ha ritenuto che fossero integralmente abusivi e che per essi era legittimo disporre la demolizione, la Decvir sottolinea che il giudice di primo grado erroneamente non ha dato rilievo alla circostanza che gli stessi fossero stati costruiti in epoca anteriore al 1967 e che gli interventi aggiunti successivamente realizzati necessitassero al più di una d.i.a., trattandosi comunque di interventi di restauro e di risanamento conservativo.

A ciò si aggiunga che la realizzazione di un portico e di un terrazzo al posto del tetto nel fabbricato B con mutamento di destinazione d’uso, a differenza di quanto erroneamente affermato dal Tribunale amministrativo, ben potevano avvenire con la mera presentazione di una denuncia di inizio attività, atteso che l'art. 11 del Regolamento edilizio prevede specificatamente che “nel novero dei predetti interventi rientrano anche quelli che, senza realizzare un organismo edilizio diverso dal precedente, prevedano modifiche della posizione delle strutture portanti verticali ovvero dei solai, delle scale e delle coperture”.

4. – Con un secondo motivo di appello la Decvir intende sostenere che quand’anche le opere in questione fossero sottoposte a permesso di costruire e, quindi, soggette a demolizione per la mancanza di siffatto titolo abilitativo, la sentenza impugnata è comunque ed in ogni caso viziata per non avere accertato che l’adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado è avvenuta in violazione delle norme del DPR 380/2001.

Infatti la delibera della G.M. n. 58 del 2 aprile 2011, con il quale il Comune ha proceduto alla approvazione della valutazione tecnico-economica ai sensi dell'art. 41, comma 1, DPR 380/2001 per l'esecuzione coattiva della demolizione delle opere realizzate in assenza di titoli abilitativi in Via Baiola, è stata adottata senza una preventiva valutazione, da parte dei competenti uffici comunali, circa la sanzione da applicare al caso di specie e quindi la decisione risulta essere priva di una necessaria preventiva verifica in merito alla tipologia di titolo abilitativo a costruire per la realizzazione di tali opere (se permesso di costruire o denuncia di inizio attività) e, quindi, se dette opere fossero da demolire o meno e se, la loro demolizione, comportasse pregiudizio della parte legittimamente eseguita.

Appare ancora più evidente l’eccesso di potere in cui è incorsa l’amministrazione, erroneamente non rilevato dal giudice di primo grado, se solo si pensi che dalle disposizioni che regolamentano i procedimenti repressivo sanzionatori in materia edilizia si evince il generale principio secondo il quale “l'approvazione della valutazione tecnico-economica per procedere alla demolizione d'ufficio delle opere abusive, si pone come atto finale della repressione degli abusi e può essere adottata quando il Dirigente, preso atto dell'abusività delle opere e valutata la loro consistenza, ha definitivamente accertato da un lato che le stesse sono soggette a demolizione, non sono sanzionabili altrimenti e la demolizione può avvenire senza pregiudizio della parte conforme” (così, testualmente, a pag. 23 dell’atto di appello).

D’altronde “è fuor di dubbio che le opere "abusive" contestate alla Decvir non sono state realizzate su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate a spazi pubblici né, tanto meno, ad interventi dì edilizia residenziale pubblica con la conseguente impossibilità di applicare l'art. 27 (del DPR 380/2001) al caso di specie”, erroneamente invocato dall’amministrazione a fondamento della pretesa demolitoria (così, ancora, a pag. 25 dell’atto di appello).

Infine, il Comune prima ed il Tribunale amministrativo regionale poi, non hanno considerato “la reale consistenza degli interventi eseguiti sulla proprietà della Decvir che, per quanto specificato innanzi, non comportavano realizzazione di volumetria in eccesso come indicata dal Comune e, quindi, erano sottoposti a D.I.A., con la conseguente illegittimità del diniego dell'istanza (di accertamento di conformità) per il rilevato eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti, difetto di istruttoria e motivazione” (ved. pag. 28 dell’atto di appello).

5. – Con due ultimi motivi di appello, riproduttivi di altrettante censure dedotte in primo grado, la Decvir sostiene:

1) la illegittimità della delibera della GM n. 58/2011 per violazione dell'art. 49, comma 1, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267/e dell’art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella l. 24 novembre 2003, n. 326 segnalando che detta delibera è stata adottata con un parere di regolarità contabile condizionato alla variazione in aumento del capitolo di bilancio da sottoporre all'approvazione del Consiglio Comunale e che mai la delibera è stata sottoposta all'approvazione consiliare, con la conseguenza che l'impegno di spesa è stato assunto in carenza di copertura finanziaria, circostanza che incide patologicamente sulla legittimità dell’atto della giunta municipale;

2) la illegittimità di tutti gli atti della procedura svolta dal Comune di Forio d’Ischia in quanto gli uffici comunali, nonostante la vigenza dell’ordinanza sindacale n. 6618 del 16 marzo 2010 che aveva stabilito un ordine cronologico per procedere alla demolizione d'ufficio e degli abusi ex art. 27, comma 2, DPR 380/01 in riferimento all'epoca dell'accertamento dell'abuso, ha invece adottato provvedimenti di demolizione coattiva solo nei confronti della Decvir.

Per tutti i suindicati motivi, quindi, la Decvir chiedeva a questo Consiglio la riforma della sentenza oggetto di appello ed il conseguente annullamento degli atti impugnati dinanzi al Tribunale amministrativo regionale in accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e dei successivi ricorsi proposti con motivi aggiunti.

6. - Si è costituito in giudizio il Comune di Forio d’Ischia che preliminarmente ha eccepito la inammissibilità dell’appello proposto dall’Immobiliare Decvir avendo la stessa prestato espressamente acquiescenza al provvedimento di demolizione impugnato in prime grado. Infatti, con nota del 15 maggio 2012 la Decvir ha manifestato piena adesione al provvedimento n. 11443/2011 affermando espressamente nella nota che “avendo maturato la piena intenzione di dare spontaneamente esecuzione alla sentenza del T.A.R. Campano, avvalendosi della facoltà offerta dai punti 7) e 8) della stessa disposizione di demolizione emessa dal Comune di Forio prot. 11443/2011, provvedendo alla spontanea demolizione dei manufatti in questione”, comunicava di avere già dato “corso, alla data odierna, alla demolizione dei manufatti ritenuti abusivi dall’amministrazione comunale, così come previsto dagli elaborati tecnici di cui alla valutazione dall’amministrazione comunale, così come previsto dagli elaborati tecnici di cui alla valutazione tecnico-economica approvata con delibera di G.M. n. 58/2011, così eseguendo spontaneamente la sentenza del TAR Campania –Napoli, Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 2151, in conformità al disposto dei punti 7 e 8 dell’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Forio prot. n. 11443/2011 (…)” (così espressamente nella nota depositata in giudizio il cui contenuto è stato riprodotto alle pagg. 1 e 2 elle memoria depositata in giudizio dal Comune). Nel merito la difesa comunale ha contestato analiticamente le avverse prospettazioni e confermando la correttezza della sentenza del giudice di primo grado; chiedeva quindi che venisse respinto l’appello e confermata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale.

Le parti hanno presentato memorie anche di replica confermando le opposte prospettazioni.

7. – Ritiene il Collegio che i motivi di appello non siano fondati, dovendosi quindi confermare la correttezza del ragionamento giuridico espresso nella sentenza del giudice di primo grado qui fatta oggetto di appello, senza necessità di scrutinare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune appellato.

L’intervento edilizio realizzato dalla Decvir (per come rappresentato nel verbale di sopralluogo steso dai Carabinieri in data 23 marzo 2010 che hanno indicato con le lettere dell’alfabeto da “A” a “F” i diversi corpi di fabbrica) e della cui abusività si controverte nel presente giudizio consta di:

- un fabbricato “B”, composto da due piani, uno seminterrato, della superficie di mq 230,00 circa suddiviso in sei camere con relativi wc con antistanti 5 porticati e uno, posto al piano terra, della superficie di circa 170 mq, suddiviso in monolocali con antistanti porticati;

- un fabbricato “C”, realizzato in ampliamento del preesistente corpo “A”, della superficie di 80 mq;

- un fabbricato “D”, realizzato sul lato nord del preesistente corpo “A”, dell’estensione di circa 150,00 mq, suddiviso in sei stanze con relativi wc e antistanti sei porticati, questi ultimi della superficie totale di 55,00 mq;

- un fabbricato “E”, ubicato nella zona antistante il fabbricato “D”, ma a quota inferiore, della superficie di circa 160 mq;

- un fabbricato “F”, sul lato ovest in adiacenza al fabbricato contraddistinto con la lettera “E”, costituito da una struttura seminterrata della superficie di 80 mq, adibito a locale tecnologico e cisterna.

Negli atti della procedura repressivo sanzionatoria svolta dal comune e qui in esame i fabbricati C, D, E ed F vengono qualificati come totalmente abusivi, mentre con riferimento al fabbricato B è stata constata una difformità al titolo edilizio rilasciato e quindi la demolizione attiene alle sole parti eccedenti quel titolo edilizio.

8. - Va poi aggiunto che, nel corso del giudizio di primo grado è stata disposta verificazione (con ordinanza, adottata nel corso della fase cautelare di quel giudizio, n. 1062 del 23 giugno 2011), formulando al verificatore il seguente quesito “Esaminata la documentazione in atti, le difese delle parti e le relazioni tecniche depositate nonché acquisita ulteriore documentazione, anche aereofotogrammetrica, la cui consultazione si rendesse necessaria per lo svolgimento del proprio mandato, ed eseguito un eventuale sopralluogo, dica il verificatore in che epoca siano state realizzate le opere attinte dai provvedimenti impugnati e se esse coincidano, per sagoma e volumi, con le opere già assentite con nulla osta paesaggistico del 15.07.1963”.

Dalla relazione del verificatore depositata nel giudizio di primo grado è possibile evincere che:

- il verificatore ha chiesto ed ottenuto alcuni documenti dagli uffici regionali e da quelli comunali alcuni documenti ed in particolare i rilievi aerofotogrammetrici (ovvero ortofoto) dell’area in questione e copia conforme all’originale del permesso di costruire in sanatoria n. 54/2007;

- egli poi effettuava i necessari sopralluoghi alla presenza dei consulenti tecnici nominati dalle parti in controversia, dopo che queste ultime avevano potuto affidargli la documentazione da loro ritenuta necessaria;

- nel corso della ispezione dell’area, il verificatore effettuava una “verifica, metrica e fotografica, dell’intero complesso immobiliare, riscontrando di volta in volta, in contraddittorio con le parti, la conformità dello stato attuale dei luoghi alla documentazione grafica in possesso dello scrivente, allegata in copia al verbale di accesso e controfirmata dalle parti che non hanno sollevato alcuna osservazione” (così, testualmente, a pag. 4 della relazione del verificatore depositata nel giudizio di primo grado);

- dopo avere ricordato che dall’accertamento documentale ed ispettivo emergeva che il complesso immobiliare in questione, di proprietà di Decvir, è una struttura ad uso residenziale composta da cinque corpi di fabbrica, individuati in planimetria con le lettere “A”, “B”, “C”, “D”, “E” e “F”, con annesso terreno e locali accessori di pertinenza, sottolineava come per i fabbricati “A” e “B” il Comune di Forio d’Ischia aveva rilasciato un titolo edilizio in sanatoria, n. 54 del 12 aprile 2007, ma in sede di ispezione dei luoghi si riscontrava che, rispetto alla sanatoria, era intervenuto un mutamento “di destinazione d’uso dei locali che, adibiti in origine a garage e depositi, sono stati trasformati in unità abitative, pur con lo stesso ingombro di quello assentito, nonché la modifica dei prospetti per la realizzazione dei portici esterni e la trasformazione delle coperture in terrazzi pavimentati” (così, testualmente, a pag. 8 della relazione del verificatore).

Dall’esame della documentazione in atti e dall’analisi delle aerofotogrammetrie relative al volo del 1985 (fotogramma n. 391), al volo del 1998 (fotogramma n. 40) e al volo del 2004/2005 (fotogramma n. 577), accompagnati dai grafici allegati al nulla osta del 17 maggio 1963 prot. 3015 (con il quale la competente Soprintendenza alle bellezze naturali aveva rilasciato il nulla-osta per la lottizzazione dell’area con la previsione della realizzazione di tre ville) e dai grafici allegati alla sanatoria del 2007 nonché, infine, da quanto era emerso in sede di sopralluogo, il verificatore giungeva ad affermare, quale risposta ai quesiti propostigli dal Tribunale amministrativo regionale che:

1) il corpo di fabbrica “A” rappresenta l’insediamento più antico e corrisponde verosimilmente, per sagoma e tipologia, al progetto assentito con nulla osta paesaggistico del 15 luglio 1963, pur con le modifiche apportate in epoca successiva e sanate con il titolo abilitativo rilasciato nel 2007;

2) il fabbricato “B” è stato realizzato presumibilmente in epoca successiva al 1963, ovvero ampliato e modificato nella sua originaria minore consistenza. Verosimilmente per questa ragione venne inoltrata al Comune di Forio d’Ischia la istanza di concessione in sanatoria ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47 e che determinò il rilascio del titolo edilizio in sanatoria nel 2007 che legittimava la realizzazione di un fabbricato a due piani destinato a depositi (piano terra) e garage (piano seminterrato). Nondimeno e nonostante il titolo in sanatoria “il fabbricato “B”, nella sua configurazione attuale, ha subito un cambiamento di destinazione d’uso dei locali trasformati in unità abitative, pur con lo stesso ingombro di quello assentito, oltre alla modifica dei prospetti per la realizzazione dei porticati esterni e la trasformazione delle coperture in terrazzi scoperti. Tali ultime opere, realizzate in difformità della richiesta di condono, sono presumibilmente preesistenti al rilascio del condono stesso, come evincibile anche dalla foto aerea del 2/10/2007 allegata alla produzione di parte convenuta e riprodotta in copia nella presente relazione (…)” (così, testualmente, a pag. 13 della relazione conclusiva depositata dal verificatore nel corso del giudizio di primo grado).

3) sono abusivi e non esistevano fino al 2004/2005 (per come risulta dalla foto di cui al volo del 2004/05, fotogramma n. 577) i corpi di fabbrica “C”, “D”, “E” ed “F” e le scale esterne realizzate presumibilmente in epoca successiva al rilascio del condono ovvero contestualmente agli abusi di cui al fabbricato “B”.

9. – Per quanto attiene all’assoluto rilievo di quanto è emerso nel corso della verificazione, anche ai fini della decisione della controversia nel grado di appello, le risultanze della stessa trovano ineludibile (attesa l’assenza di elementi documentali idonei a sospettare che la verificazione sia stata assolta in violazione delle regole del pieno e completo contraddittorio processuale) applicazione nel presente giudizio.

Va inoltre osservato che:

a) per pacifica giurisprudenza l'applicazione delle sanzioni in materia edilizia è un atto tipicamente vincolato: presupposto per la loro adozione è pertanto soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del necessario titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tali sanzioni atti dovuti, esse sono sufficientemente motivate con l'accertamento dell'abuso e non necessitano di una particolare motivazione in ordine all'interesse pubblico che è in re ipsa;

b) per la costante giurisprudenza in materia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2013 n. 4546; Sez. IV, 10 gennaio 2014 n. 46 e 14 febbraio 2012 n. 703; Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2013 n. 4182; Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 2013 n. 6159 e 1° febbraio 2013 n. 631), l'onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio della sua consistenza e, quindi, in ultima analisi, della sua sanabilità, incombe sull'interessato, e non sull'amministrazione, la quale, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere - dovere di sanzionarla ai sensi di legge;

c) si è dunque affermato in giurisprudenza il principio che la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell'interessato, e non dell'amministrazione, dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova;

d) tali principi sono stati ancora di recente ribaditi dalla Sezione (Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018 n. 5984: “Spetta a colui che ha commesso l'abuso l'onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo, in quanto solo l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto; in mancanza di tali prove, l'Amministrazione può negare la sanatoria dell'abuso, rimanendo integro il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria, mentre nel caso in cui il diretto interessato fornisca la prova suddetta, l'onere della prova contraria viene trasferito in capo all'amministrazione”) e da essi il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi.

La vincolatività del potere esercitato rende inevitabilmente superabili le censure dedotte nei confronti di aspetti procedurali che la parte appellante ha ritenuto di contestare sia durante il primo grado che nel presente grado di giudizio.

10. - In ragione di quanto sopra appare essere documentalmente comprovato che i fabbricati di proprietà della odierna appellante presentano gli interventi edilizi abusivi per come contestati dal comune appellato e plasticamente riprodotti con puntualità nei provvedimenti impugnati in primo grado ed in particolare nella determinazione n. 8 del 2 maggio 2011.

Le opere realizzate anche in difformità avrebbero dovuto esserlo solo dopo avere ottenuto un permesso di costruire e non successivamente alla presentazione di una denuncia di inizio attività edilizia, peraltro realizzati in area paesaggisticamente vincolata.

Ed infatti la realizzazione di un porticato non può considerarsi attività attratta alla natura pertinenziale dell’opera, di talché necessita di un apposito permesso di costruire per la sua costruzione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 settembre 2018 n. 5541, nella quale osserva che “una tettoia pertinenziale ad un'unità immobiliare, costituita da un porticato in muratura sormontato da una tettoia di rilevanti dimensioni, ancorata a terra, e da un muro perimetrale, non può essere considerata una struttura equiparabile ad un gazebo o pergolato e, pertanto, non è riconducibile nell'ambito dell'edilizia libera”);

Inoltre gli ulteriori corpi di fabbrica, realizzati in epoca successiva all’anno 2004, non sono stati realizzati previo rilascio di titolo abilitativo (neppure in sanatoria).

11. – Si precisa che la presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 27 aprile 2015 n. 5 nonché Cassazione civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni - e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulla eccepita inammissibilità dell'appello per sopravvenuto difetto di interesse provocato dalla presentazione da parte dell’appellante della domanda di accertamento di conformità nonché sulla violazione del divieto dei “nova” in appello e di risolvere la lite nel merito.

Inoltre, le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. , in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

12. - In ragione delle suesposte osservazioni l’appello va respinto, confermandosi la sentenza fatta oggetto di appello nonché la reiezione sia del ricorso introduttivo che di quelli recanti motivi aggiunti proposti in primo grado.

Le spese di giudizio del grado di appello seguono la soccombenza, per il noto principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché le stesse vanno imputate a carico della parte appellante ed in favore del Comune di Forio d’Ischia, parte appellata, nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. R.g. 8528/2012, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 10 maggio 2012 n. 2151 e confermando la reiezione del ricorso introduttivo e di quelli recanti motivi aggiunti proposti in primo grado (R.G. n. 2884/2011).

Condanna la parte appellante, società Immobiliare Decvir S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Forio d’Ischia, in persona del Sindaco pro tempore, che liquida nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 15 novembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Bernhard Lageder, Presidente FF

Marco Buricelli, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore