Consiglio di Stato Sez. II n. 238 del 9 gennaio 2023
Urbanistica.Sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria

Le disposizioni dell' art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell'originario ordine di demolizione

Pubblicato il 09/01/2023

N. 00238/2023REG.PROV.COLL.

N. 04134/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4134 del 2018, proposto da
Carla Baratti, rappresentata e difesa dall'avvocato Gian Luca Lemmo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovan Battista Santangelo in Roma, via Bertoloni 29;

contro

Comune di Napoli in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Fabio Maria Ferrari ed Eleonora Carpentieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Leone in Roma, via Appennini 46;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 689/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 2 dicembre 2022, svolta in videoconferenza ai sensi dell’art. 87 comma 4bis c.p.a., il cons. Ofelia Fratamico e udito l’avvocato Gian Luca Lemmo per la parte appellante;

Viste, altresì, le conclusioni della parte appellata come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO e DIRITTO

L’odierna appellante proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania per l’annullamento della determina dirigenziale n. 136 del 12 febbraio 2007, con la quale il Dirigente del Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Napoli aveva ordinato, ai sensi dell’articolo 27, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001, la demolizione delle opere abusive eseguite in Napoli, alla via Cesario Console n. 3 (consistenti nella realizzazione di una delimitazione in muratura di un vano verandato di m. 7,50 x 6,50 x m. 4,00 di altezza, provvisto di soppalco di mq. 25 e di un vano luce di m. 1,80 x 1,20; in uno sporto balcone di m. 5,50 x 1,30 di profondità con due vani di passaggio di m. 1,60 x 2,45 di altezza ciascuno; di un manufatto in muratura di mq. 18 x 3,00 di altezza, ubicato sul terrazzo a livello, diviso in tre ambienti e provvisto di due vani di passaggio e di due vani luce) in zona vincolata paesaggisticamente con D.M. del 21 febbraio 1977, emesso ai sensi del D. Lgs n. 42 del 22 gennaio 2004, e di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenziali.

L’odierna appellante, a seguito dell’ordine demolitorio, ha presentato istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione ai medesimi abusi sanzionati con l'ordinanza di demolizione e tale domanda è stata rigettata dall’Amministrazione con provvedimento n. 491 del 22 settembre 2008, con rinnovo dell'ordine di demolizione.

Anche tale provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR con ricorso per motivi aggiunti.

Con la sentenza n. 689/2018 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo e rigettato i connessi motivi aggiunti.

Avverso tale pronuncia parte ricorrente ha, dunque, proposto appello, contestandola nella sua interezza e chiedendone l’integrale riforma.

A sostegno della sua impugnazione l’appellante ha dedotto i seguenti motivi: 1) error in iudicando in relazione alla violazione e falsa applicazione del DPR n. 380/2001 e della l.n. 241/1990, carenza di istruttoria; 2) error in iudicando in relazione alla violazione dell’art. 27 T.U. n. 380/2001 e dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, eccesso di potere, erroneità, inesistenza dei presupposti.

Si è costituito in giudizio il comune di Napoli, chiedendo il rigetto dell’appello, in quanto infondato.

All’udienza straordinaria del 2 dicembre 2022 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

L’appellante ha dedotto, in primo luogo, che la sentenza del TAR avrebbe errato nel ritenere che le opere eseguite avessero portato ad un aumento di volume, ad una modifica non consentita della facciata e alla violazione delle altezze, sostenendo, in particolare, che gli ambienti di servizio realizzati fossero meri locali pertinenziali di lavanderia e deposito non computabili nei volumi, che il soppalco rappresentasse un’opera meramente interna, realizzabile senza la necessità di permesso di costruire e che il balcone fosse già stato eliminato spontaneamente.

Ha, inoltre, contestato la possibilità per l’amministrazione comunale di disporre la demolizione “ad horas” di cui all’art. 27 TU n. 380/2001 per mancanza dei presupposti quali, prima di tutto, lo stato ancora iniziale dei lavori.

Tali censure non sono fondate e devono essere respinte.

Occorre precisare, in primo luogo, che il provvedimento di diniego riguarda una pluralità di opere abusive e si fonda su una pluralità di motivazioni, per cui il fatto che l’appellante abbia provveduto alla rimozione del balcone non inficia la legittimità dell’atto nella sua interezza, in quanto permangono le altre opere altrettanto prive di titolo.

Per quanto riguarda “gli ambienti di servizio realizzati nel lontano 1987 e destinati a lavanderia e deposito” rientranti, secondo l’appellante, nel concetto di “opere pertinenziali” deve rilevarsi che essi, costruiti ove “precedentemente esisteva una tettoia con un piccolo vano in muratura per gli impianti tecnologici”, come ammesso dalla medesima proprietaria, non solo non possono essere considerati di carattere pertinenziale, ma costituiscono vere e proprie opere di ristrutturazione e nuova costruzione, con inserimento di elementi non esistenti in precedenza.

Come evidenziato dalla costante giurisprudenza amministrativa, la nozione di “pertinenza urbanistica” è più ristretta rispetto a quella civilistica, definita dall'art. 817 c.c.; la qualifica di pertinenza urbanistica è, infatti, applicabile solo ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino, come in questo caso, per una propria autonomia rispetto all'opera cd. principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica; a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando, da un lato, sia preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, essendo funzionalmente inserito al suo servizio, dall'altro, sia sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporti carico urbanistico, esaurendo la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale; il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere, peraltro, apprezzato sul piano soggettivo, avuto riguardo al tipo di destinazione che il proprietario ha inteso imprimere nel caso concreto al manufatto di servizio, dovendo sussistere un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce.

Quanto alla veranda, realizzata senza titolo edilizio ed inizialmente costruita in vetro ed alluminio, dai documenti in atti risulta che essa, a seguito di un’istanza di condono non ancora decisa dall’amministrazione "...attualmente si presenta tutta in muratura e con un'area soppalcata interna di circa 25 mq...." essendo, dunque, stata oggetto di interventi che non possono essere qualificati come semplice "conservazione e ristrutturazione dell'esistente", in quanto realizzati su un manufatto ab origine abusivo e dunque anch’essi abusivi.

Tale aspetto è stato correttamente rilevato dal TAR che ha evidenziato come non fosse utile per l’appellante “evocare (al riguardo) la presenza di un condono (prat. n. 1215 del 1986), poiché fino alla definizione favorevole del procedimento la modifica originaria è da considerarsi abusiva, sicché ogni modifica successiva ripete la stessa connotazione di abusività.”

D'altra parte, nello stesso provvedimento di diniego di condono viene specificato che l'intervento non è sanabile in quanto in contrasto con le previsioni dell'art. 21 comma 3 del regolamento edilizio vigente, che non consente interventi modificativi su immobili oggetto di istanza di condono edilizio non ancora definito.

Le notevoli dimensioni del soppalco (25,00 m.q, impostato a m. 2,10 dal calpestio e a m. 1,85 dalla copertura) realizzato all'interno della ex struttura verandata – non ancora condonata – e dotato di una finestra ricavata nella muratura di circa m. 1,80 x 1,20, escludono, infine, che lo stesso possa rientrare, come sostenuto dall’appellante, nell'ambito dei cd. interventi edilizi minori, per i quali non è richiesto il permesso di costruire.

Per giurisprudenza ormai costante, infatti, “la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all'interno di un locale, di solito un'abitazione, interponendovi un solaio, va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. È necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, con incremento delle superfici dell'immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico. Si rientra, invece, nell'ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell'immobile, ipotesi che si verifica solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone” (cfr ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 11 febbraio 2022, n.1002)

In ogni caso, come riportato nel provvedimento di diniego dell'accertamento di conformità n. 491/2008, l'intervento non è sanabile in quanto in contrasto con le previsioni dell'art. 15 del regolamento edilizio vigente, che non consente la realizzazione di soppalchi con altezza compresa tra i m. 1,80 e m. 2,40, che determinano peraltro, anche nella zona sottostante, altezze non consentite.

Parimenti non condivisibili sono le doglianze espresse dall’appellante al secondo motivo, basate sull’assunto che la demolizione ex art. 27 D.P.R. n. 380/2001 possa essere disposta solo per le opere eseguite su aree inedificate e per opere in corso e non ancora terminate, in quanto l’applicazione di questo articolo presupporrebbe, oltre al vincolo paesaggistico gravante sull’area, anche lo stato iniziale dei lavori, mentre nel caso di specie i manufatti risulterebbero già interamente completati.

Nella sentenza appellata il TAR ha puntualmente osservato che l’art. 27 D.P.R. n. 380/2001 (per cui il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità... ordina la demolizione delle stesse) sanziona con la demolizione gli abusi edilizi su aree vincolate come quella in questione - sottoposta a vincolo paesaggistico in base al D.M. del 21.02.77, emesso ai sensi del D. Lgs n. 42/2004, vincolo istituito in data antecedente all'esecuzione delle opere abusive in contestazione - indipendentemente dal grado complessivo di edificazione di queste ultime, non vedendo la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta, nel rispetto dei poteri di vigilanza attribuiti al Comune.

In particolare, la corretta interpretazione dell’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 conduce a ritenere che l’inizio dell’opera abusiva costituisca la condizione minima per l’adozione del provvedimento di demolizione, ma né la lettera né la ratio della norma legittimano la tesi per la quale l’adozione di tale provvedimento debba essere preclusa nel caso in cui l’opera sia già stata ultimata.

Devono essere, infine, respinte, come anticipato, anche le ulteriori doglianze svolte in relazione alla pretesa insufficiente considerazione da parte del TAR della omessa esecuzione di un preventivo accertamento tecnico circa la praticabilità della sanzione demolitoria, nonché della mancanza della valutazione tecnico-economica della Giunta Municipale, del parere della Commissione integrata e del consenso della Soprintendenza, avendo i giudici di prime cure congruamente sottolineato che le opere in questione costituivano ampliamenti volumetrici realizzati senza titolo e, come tali, giustamente assoggettati all’ordine di demolizione, del tutto vincolato.

Al riguardo può osservarsi che “le disposizioni dell' art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell'originario ordine di demolizione” (Consiglio di Stato, Sez. VI , 10 maggio 2021 , n. 3666)

Per quanto riguarda, invece, il provvedimento di diniego, l'Amministrazione risulta aver inoltrato all’appellante la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di accertamento di conformità e la natura anche in questo caso vincolata dell’atto non può che condurre ad una dequotazione delle eventuali carenze procedimentali, che non avrebbero potuto condurre in nessun caso, come ritenuto dal TAR, ad una diversa determinazione circa la sanatoria.

In conclusione l’appello deve essere, quindi, integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima),

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

- lo rigetta;

- condanna l’appellante alla rifusione in favore del comune di Napoli delle spese di lite, liquidate in complessivi € 3000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore