Consiglio di Stato Sez. VI n. 483 del 16 gennaio 2023
Urbanistica.Adozione provvedimenti di natura vincolata
Gli accertamenti compiuti nel corso di un procedimento finalizzato alla adozione di un provvedimento di natura vincolata possono essere estremamente semplici in alcuni casi, mentre in altri possono essere complessi, sia per quanto riguarda l’accertamento del fatto, sia per quanto riguarda l’individuazione delle norme di riferimento. In materia edilizia, ad esempio, si annoverano tra i provvedimenti del primo tipo le ordinanze di demolizione, in quanto l’accertamento dell’esistenza di opere edilizie abusive determina l’obbligo, per il comune, di disporne la demolizione in base a norme di legge statale individuabili con facilità. Tra i provvedimenti del secondo tipo possono, invece, annoverarsi, quelli che si pronunciano su istanze finalizzate al rilascio di titoli edilizi, atteso che tali decisioni richiedono l’accertamento di fatti giuridici che possono essere anche piuttosto complicati, nonché la corretta individuazione e interpretazione delle norme edilizie e urbanistiche di riferimento, anche seguendone i frequenti mutamenti nel tempo, operazione spesso delicata e non scontata. Ciò che non deve sfuggire, comunque, è il fatto che, per quanto il contenuto della decisione finale possa essere predeterminato da una regola di diritto, l’amministrazione deve rispettare il principio del contraddittorio nel corso di tutto il procedimento, perché la regola da applicare si innesta sempre su una situazione fattuale che va accertata e perché la collaborazione dell’interessato può rivelarsi utile anche nella individuazione della norma da applicare al caso di specie e, comunque al fine di prevenire errori dell’amministrazione.
Pubblicato il 16/01/2023
N. 00483/2023REG.PROV.COLL.
N. 09200/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9200 del 2020, proposto da
Hewa S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luca Mazzeo, Manfred Schullian, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Luca Mazzeo in Roma, via Eustachio Manfredi 5;
contro
Comune di Castelrotto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfred Mulser, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Alberico II, n. 33;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO n. 00198/2020, resa tra le parti, A.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Castelrotto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati Luca Mazzeo e Gaia Stivali per delega dell’avvocato Alfred Mulser;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Società odierna appellante - già Martin Griesser & C. s.a.s., giusta atto di trasformazione dd. 25.11.2019 depositato in giudizio il 25 novembre 2019 - è proprietaria di diversi immobili situati nel territorio dell’Alpe di Siusi: tra essi l’albergo “Panorama”, che si trova nelle immediate vicinanze della stazione a monte della “seggiovia Panorama”, nonché del fondo di cui alla particella edificatoria 3872 S.A.S. Castelrotto, oggetto di lite (già p.f. 4232/4 e p.ed. 2089), su cui sorge la stazione a valle della seggiovia “Panorama”.
2. Va precisato che l’Alpe di Siusi è stato sottoposto a tutela paesaggistica con decreto del Presidente del Comitato Provinciale del 16 novembre 1959, n. 54, confermato negli anni successivi con decreto del Presidente della Giunta Provinciale del 21 aprile 1970, n. 14 (secondo piano paesaggistico) e da ultimo con decreto del Presidente della Provincia del 10 febbraio 1992, n. 269/V/1981 (terzo e attuale piano paesaggistico).
3. La stazione a valle, è stata costruita negli anni 1961-1962 e ampliata nel 1968. Secondo quanto risulta dai progetti allegati alla originaria concessione edilizia nonché a quella relativa all’ampliamento del 1968, il fabbricato si compendiava in un piano seminterrato, nonché piano terreno e primo piano, e comprendeva solo spazi funzionali all’esercizio della funivia, a garage per ricoveri automezzi e mezzi di sgombero neve, ed inoltre a spogliatoi per il personale; nessun locale ad uso abitativo risulta essere stato assentito con i citati progetti.
4. Risulta invece che la Società ha chiesto e ottenuto, nel 1980, un parziale cambio di destinazione d’uso, allo scopo di realizzare, al piano terreno, un bar-ristorante, che è stato ristrutturato e ampliato nel 2001.
5. A partire dall’anno 2008 la società appellante ha presentato, più volte, domande di concessione edilizia finalizzata alla ristrutturazione del fabbricato sede della stazione “a valle” della funivia, le quali sono sempre state respinte.
5.1. In particolare, nel 2018 la società ha presentato una terza domanda, relativa all'ampliamento qualitativo dell’esercizio per la somministrazione di pasti e bevande, al risanamento delle esistenti unità immobiliari e alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo: la prima versione del progetto è stata respinta con provvedimento del 06.03.2018, e la seconda versione del progetto è stata respinta con provvedimento del 5 febbraio 2019; a motivo del diniego il Comune ha opposto l’inesistenza di titoli abilitativi all’utilizzo del fabbricato a scopo residenziale e alla realizzazione delle unità abitative che la Società appellante vorrebbe risanare.
6. Gli indicati provvedimenti sono stati ritualmente impugnati dalla Società Martin Griesser & C. s.a.s., innanzi al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano, il quale con la sentenza indicata in epigrafe li ha respinti.
6.1. In sintesi, il TRGA ha ritenuto: incompleta la documentazione posta a corredo della prima versione del progetto, in quanto priva della dimostrazione della legittimità dei volumi abitativi oggetto di demolizione e ricostruzione; superabile, ai sensi del 21 octies della L. n. 241/90, la violazione dell’art. 10 bis, sul diniego alla prima variante; non perfezionato il silenzio assenso sulla seconda versione della variante; comunque infondate le censure di merito, non essendo stata dimostrata l’esistenza di un titolo edilizio che all’origine abbia autorizzato volumi abitativi.
6.2. In particolare il TRGA ha osservato che per motivi ignoti il Comune, con c.e. n. 300/2015, e successive varianti parziale del 2016 e 2017, ha autorizzato lavori di manutenzione dei suddetti volumi abitativi, rilevando che i suddetti titoli non sono conformi alla destinazione d’uso autorizzata per il fabbricato, ragione per cui - ha concluso il TRGA - il Comune ha legittimamente preteso, a fronte della presentazione dei progetti di cui alla terza domanda di variante, la dimostrazione della conformità dell’uso abitativo.
6.3. Infine il TRGA ha anche dichiarato inammissibile la domanda finalizzata all’accertamento, con obiter dictum , del vincolo di destinazione d’uso sulla particella 3872.
7. La Martin Griesser & C. s.a.s., nel frattempo trasformatasi in Hewa s.r.l. (in prosieguo anche solo “Hewa”), ha proposto appello.
8. Nel giudizio si è costituito il Comune di Castelrotto, che ha eccepito preliminarmente l’improcedibilità del ricorso di primo grado e dell’appello in relazione alla avvenuta presentazione, da parte della Hewa, di una terza e di una quarta versione del progetto di variante: ogni nuova versione di un progetto, infatti, impedirebbe all’Amministrazione di esaminare le versioni del progetto precedentemente proposte, e per tale ragione la presentazione di ulteriori due nuove versione del progetto comunque precluderebbe il (ri)esame ed il rilascio del titolo edilizio sulla base delle versioni oggetto degli atti impugnati nel corso del giudizio.
9. Previo scambio di memorie la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 1° dicembre 2022.
10. Preliminarmente il Collegio deve esaminare l’eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune di Castelrotto in relazione all’avvenuta presentazione, nelle more del giudizio, di nuove versioni del progetto, da parte della Società appellante.
10.1. Tale eccezione deve essere disattesa, in quanto, anche a voler ritenere che il Comune non possa pronunciarsi, neppure in via preventiva, su vari progetti articolati in modo differente, salvo evidentemente rilasciare un solo titolo edilizio, tale circostanza allo stato non determinerebbe la perdita di interesse ad una decisione sui primi progetti, sui quali il Comune si è pronunciato con gli atti impugnati: prima di tutto per il fatto che non risulta che la Società appellante abbia formalmente rinunciato ai suddetti progetti, in secondo luogo per la ragione che, trattandosi di diverse versioni di un progetto finalizzato al mantenimento e risanamento delle unità abitative, sussiste l’interesse della Società appellante ad ottenere un accertamento su tale questione di diritto, che si ripresenta nell’esame di tutte le versioni.
11. Merita, invece, favorevole valutazione, il primo motivo d’appello, a mezzo del quale la Hewa deduce error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’articolo 11-bis, L.p. n. 17/1993, nel combinato disposto con gli articoli 69 e 70, L.U.P., nonchè l’articolo 11 del regolamento edilizio del Comune di Castelrotto; eccesso di potere per istruttoria e motivazione insufficiente; violazione dell’articolo 7, L.p. n. 17/1993. Violazione dell’articolo 21-ocities, L. n. 241/1990.
11.1. La Società contesta il capo della sentenza che, pur riconoscendo sussistente la denunciata violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241, nella adozione del diniego del 6 marzo 2018, ha però ritenuto tale violazione superabile ai sensi del successivo art. 21 octies, qualificando il provvedimento impugnato come di natura vincolata: tale motivazione implicherebbe, a detta dell’appellante, la violazione della norma provinciale indicata in rubrica, che pone l’obbligo di osservare la buona fede quale principio ispiratore nei rapporti tra il cittadino e l’amministrazione.
11.1. Merita ricordare che con il primo motivo del ricorso originario la ricorrente aveva sostenuto che il Comune di Castelrotto, rigettando definitivamente il progetto della terza variante, prima versione, non aveva nemmeno preso in considerazione i documenti presentati successivamente; inoltre, il Comune avrebbe fondato il diniego definitivo su argomenti non prospettati nella precedente comunicazione ai sensi dell’art. 10 bis.
11.2. Secondo il TAR il diniego del 6 marzo 2018, indicando la necessità di ripresentare il progetto completo dei documenti che comprovano la legittimità dell’uso abitativo di parte del fabbricato, avrebbe implicitamente dimostrato di aver esaminato i documenti prodotti nel corso del procedimento dalla Società.
11.3. Quanto alla enunciazione di nuovi motivi ostativi, il TRGA ha osservato quanto segue: “…deve essere comunque data ragione alla ricorrente, che il Comune di Castelrotto nell'atto definitivo abbia effettivamente dedotto un nuovo motivo ostativo. Il Comune ha infatti rigettato la prima versione della terza variante al progetto, con l’indicazione che dall’accertamento dello stato l’intero edificio devono risultare separatamente le indicazioni di tutti gli utilizzi e il calcolo della cubatura per ciascun utilizzo. Così, per la prima volta, e con notevole ritardo, il Comune di Castelrotto ha dichiarato la mancanza di questi documenti e quindi della prova della conformità del fabbricato alla legge. Ciononostante questa violazione procedurale, nel caso in questione, non può portare all’annullamento del provvedimento del rigetto. Ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990 un provvedimento non può essere annullato per violazione sulla forma degli atti, come la violazione dei diritti di partecipazione, se la decisione non sarebbe potuta risultare diversa e quindi il provvedimento sostanzialmente sarebbe stato comunque identico…….Il rigetto di una domanda di costruzione è senza dubbio un provvedimento di contenuto vincolato, il cui contenuto non sarebbe stato diverso con la notifica del nuovo motivo. Il Comune di Castelrotto, anche se solo in occasione della verifica definitiva, aveva constatato la mancanza di documenti previsti dalla legge, cioè della prova di conformità del fabbricato esistente per i sostenuti utilizzi, era in ogni caso obbligato a rigettare la domanda.”..
11.4. Il Collegio non intende decampare dal principio, fissato normativamente, secondo cui, alle condizioni indicate dall’art. 21 octies, comma 2, la natura vincolata di un provvedimento ne preclude l’annullamento per ragioni connesse alla violazione delle garanzie procedimentali. Ritiene, però, non condivisibile l’affermazione ovvero la premessa secondo cui, nel caso di specie, “il rigetto di una domanda di costruzione è senza dubbio un provvedimento di contenuto vincolato, il cui contenuto non sarebbe stato diverso con la notifica del nuovo motivo”.
11.5. Il Collegio non ignora che secondo un noto e risalente orientamento, il rilascio di un titolo edilizio non richiederebbe l’esercizio di poteri discrezionali, trattandosi di decisione interamente governata dalla applicazione delle norme di edilizia e urbanistica: in questo senso, sia il rilascio del provvedimento autorizzazione che il diniego di esso costituirebbero atti a contenuto vincolato, se ed in quanto conformi alle previsioni della normativa edilizia e urbanistica di riferimento.
11.6. Ciò che deve essere evidenziato, però, è il fatto che gli atti a contenuto vincolato sono tali nel senso che il relativo contenuto dispositivo non viene determinato dall’amministrazione, ma è predeterminato da norme, di rango primario o secondario, sulla base di determinate situazioni di fatto. La natura vincolata di un provvedimento, dunque, non esime l’amministrazione dall’esperire una accurata istruttoria finalizzata ad accertare i fatti rilevanti e ad individuare, sulla base di questi, le norme applicabili al caso di specie; e proprio questa fase istruttoria deve essere svolta nel contraddittorio con l’interessato, in applicazione di un principio sotteso alle norme che prevedono le garanzie procedimentali, nonché del principio, ora recepito all’art. 1, comma 2 bis, della L. n. 241/90, secondo cui “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.
11.7. Gli accertamenti compiuti nel corso di un procedimento finalizzato alla adozione di un provvedimento di natura vincolata possono essere estremamente semplici in alcuni casi, mentre in altri possono essere complessi, sia per quanto riguarda l’accertamento del fatto, sia per quanto riguarda l’individuazione delle norme di riferimento. In materia edilizia, ad esempio, si annoverano tra i provvedimenti del primo tipo le ordinanze di demolizione, in quanto l’accertamento dell’esistenza di opere edilizie abusive determina l’obbligo, per il comune, di disporne la demolizione in base a norme di legge statale individuabili con facilità. Tra i provvedimenti del secondo tipo possono, invece, annoverarsi, quelli che si pronunciano su istanze finalizzate al rilascio di titoli edilizi, atteso che tali decisioni richiedono l’accertamento di fatti giuridici che possono essere anche piuttosto complicati, nonché la corretta individuazione e interpretazione delle norme edilizie e urbanistiche di riferimento, anche seguendone i frequenti mutamenti nel tempo, operazione spesso delicata e non scontata.
11.8. Ciò che non deve sfuggire, comunque, è il fatto che, per quanto il contenuto della decisione finale possa essere predeterminato da una regola di diritto, l’amministrazione deve rispettare il principio del contraddittorio nel corso di tutto il procedimento, perché la regola da applicare si innesta sempre su una situazione fattuale che va accertata e perché la collaborazione dell’interessato può rivelarsi utile anche nella individuazione della norma da applicare al caso di specie e, comunque al fine di prevenire errori dell’amministrazione.
11.9. La circostanza che in una eventuale sede giurisdizionale tale accertamento possa essere, all’occorrenza, replicato o integrato, non giustifica e non rende accettabile una istruttoria procedimentale carente, o celebrata in violazione del contraddittorio, poiché ciò significherebbe alterare la funzione del Giudice Amministrativo e del processo amministrativo, assegnando ad essi un ruolo almeno parzialmente sostitutivo di quello istituzionalmente assegnato all’Amministrazione e al procedimento amministrativo, e anche perché la non accuratezza del procedimento amministrativo – sede nella quale, a differenza della sede giurisdizionale, rilevano anche interessi cd. semplici o di fatto, e dove il privato può contraddire anche nel merito in senso proprio, oltre che sul piano della legittimità - inevitabilmente induce il cittadino a ricorrere al contenzioso giurisdizionale anche solo per avere la possibilità di esprimersi, per la prima volta, su determinate affermazioni contenute nell’atto impugnato. Tutto ciò costituisce un risultato (non solo lesivo per il cittadino, per quanto appena osservato, ma anche) chiaramente non voluto dal legislatore, che, infatti, all’articolo 21 octies della L. n. 241/90, ha circoscritto la regola della non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle regole sul procedimento, limitandone l’applicabilità ai casi in cui sia “palese” che il contenuto dispositivo dell’atto impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato: affinché si possa evitare l’annullamento giurisdizionale per illegittimità connesse alla violazione delle norme sul procedimento, dunque, non deve essere necessario alcun particolare accertamento istruttorio in punto di fatto, né si deve richiedere al Giudice Amministrativo di dirimere una particolare questione di diritto, poiché simili attività giurisdizionali dimostrano, a posteriori, che nel momento in cui la decisione veniva adottata dall’amministrazione non era “palese” che essa costituisse l’unica possibile.
11.10. Nel caso di specie il diniego del 6 marzo 2018 si fonda sulla affermazione che la Società appellante non avrebbe prodotto la documentazione attestante la legittimità delle destinazioni d’uso del fabbricato, e dal momento che tale affermazione non è stata, prima della determinazione conclusiva, menzionata tra i motivi ostativi comunicati ai sensi dell’art. 10 bis, della L. n 241/90, la Società appellante non è stata messa in condizioni di replicarvi, né di integrare, all’occorrenza, la documentazione prodotta nel corso del procedimento, destinata anche a dimostrare la legittimità delle varie destinazioni d’uso dell’immobile.
11.11. Ebbene, il Collegio non ritiene che si possa affermare, nel caso di specie, che la decisione in concreto adottata dal Comune con il provvedimento del 6 marzo 2018 “palesemente” non avrebbe potuto essere differente. Sebbene sia evidente, e non contestabile, che la realizzazione di nuove unità abitative era preclusa dalle norme di tutela paesaggistica vigenti nell’Alpe di Siusi e sebbene sia condivisibile, in linea di principio, che non possono essere assentiti interventi edilizi che si innestano su immobili, o parti di immobili, non legittimi, va tuttavia rilevato che la fattispecie portata alla attenzione del Collegio è caratterizzata, in fatto, da particolarità che in punto di fatto mettono in dubbio l’applicabilità delle regole di diritto menzionate: si allude al fatto che l’intervento edilizio, negato con il provvedimento del 6 marzo 2018, non doveva compendiarsi nella realizzazione di nuove unità abitative, bensì nel risanamento di unità abitative già esistenti; che l’intervento di risanamento delle suddette unità abitative era già stato assentito con concessione del 22 dicembre 2015; che l’intervento edilizio oggetto degli atti impugnati costituisce una variante di quello già approvato nel 2015; che un progetto preliminare di variante, finalizzato alla demolizione e ricostruzione del fabbricato, con ampliamento della superficie destinata a bar e ristorante e ricostruzione delle unità abitative, era già stato valutato positivamente dal Comune nel 2017; e, ancora, che non risulta che il Comune abbia adottato atti sanzionatori, diretti alla rimozione delle unità abitative ed al ripristino di precedenti destinazioni d’uso del fabbricato, atti che il Comune avrebbe dovuto, coerentemente, adottare in presenza di unità abitative illegittimamente realizzate nell’immobile.
11.12. Alla luce delle ricordate circostanze di fatto, peculiari, e tenuto conto della documentazione prodotta dalla Società appellante, nel corso del procedimento e del giudizio, non si può affermare che l’esito del procedimento fosse scontato, né che è “palesemente” corretta l’affermazione secondo cui la Società non avrebbe dimostrato la legittimità delle attuali destinazioni d’uso del fabbricato; conseguentemente non può ritenersi “palesemente” corretta la determinazione finale del 6 marzo 2018, che si fonda sul presupposto che l’attuale stato di fatto dell’immobile non è legittimo, con particolare riferimento alle unità abitative pacificamente esistenti nel fabbricato.
11.13. Le considerazioni che precedono dimostrano che nel caso di specie, a fronte della patente, e riconosciuta, violazione procedimentale posta in essere dal Comune, la quale si è compendiata nel motivare il diniego del 6 marzo 2018 facendo riferimento ad una circostanza mai prima di allora palesata alla Società, non sussistevano le condizioni per applicare l’art. 21 octies della L. n. 241/90 e per escludere l’annullamento di tale determinazione per violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/90.
12. La fondatezza della censura dianzi esaminata è da sola sufficiente a determinare la riforma dell’appellata sentenza, con assorbimento degli ulteriori motivi d’appello: la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/90, infatti, determina (i) l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, con retrocessione del procedimento amministrativo alla fase istruttoria relativa alla prima versione del progetto, nonché (ii) la declaratoria di improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, dei motivi aggiunti proposti in primo grado avverso la determinazione di diniego del 5 febbraio 2019, avente ad oggetto la seconda versione del progetto.
12.1. Questa ultima, infatti, è stata presentata dalla Società in conseguenza del diniego opposto, con la determinazione del 6 marzo 2018 sulla prima versione del progetto: ma dal momento che, in esecuzione del presente decisione, l’istruttoria sulla prima versione del progetto dovrà essere ripresa per dare modo alla Società di replicare, puntualmente, al rilievo secondo cui non sarebbe dimostrata la legittimità delle attuali destinazioni d’uso del fabbricato, deve ritenersi (quanto meno allo stato) priva di efficacia l’istanza avente ad oggetto la seconda versione del progetto e automaticamente caducata la determinazione del 5 febbraio 2019. Né la parte appellante ha indicato una graduazione diversa delle domande e dei motivi presentati.
13. La particolarità delle questioni trattate e l’esito complessivo giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie; per l’effetto, in riforma della appellata sentenza:
- accoglie il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, e annulla la determinazione del Comune di Castelrotto del 6 marzo 2018 ivi impugnata;
- accerta e dichiara la caducazione della determinazione del 5 febbraio 2019 e per l’effetto dichiara l’improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, dei motivi aggiunti.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore