Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1480, del 12 marzo 2013
Urbanistica.Autorimesse e parcheggi realizzati nel sottosuolo per l'intera altezza

La realizzazione di autorimesse e parcheggi, ai sensi dell'art. 9, 1° comma, della L. n. 122/1989 è condizionata dal fatto che questi siano realizzati nel sottosuolo per l'intera altezza, opera cioè solo nel caso in cui, i parcheggi da destinare a pertinenza di singole unità immobiliari, siano totalmente al di sotto dell'originario piano naturale di campagna. Qualora invece non si rispetti tale condizione, la realizzazione di un'autorimessa non può dirsi realizzata nel sottosuolo, per cui in tali casi si applica la disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra dal P.R.G., anche per quanto concerne il pagamento dei contributi concessori. Per la esatta interpretazione della “ratio” della L. n. 122/1989, il riferimento ivi contenuto al “piano terreno” dei fabbricati erigendi si spiega agevolmente con la circostanza che neppure in detta ipotesi, come anche nel caso di parcheggio completamente interrato, vi è alcun aumento di volumetria. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 01480/2013REG.PROV.COLL.

N. 02805/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2805 del 2008, proposto da: 
Euro Park Box Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Alberto Vitale, Camillo Speltra, con domicilio eletto presso Carlo Sarro in Roma, piazza di Spagna, 35;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Dardo, Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Miele Cira, Miele Maria, Miele Alessandro, rappresentati e difesi dall'avv. Biagio Capasso, con domicilio eletto presso Carlo Sarro in Roma, piazza di Spagna, 35;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI- SEZIONE IV n. 00368/2008, resa tra le parti, concernente diniego concessione in sanatoria ed ordine di demolizione di opere abusive



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Consigliere Fabio Taormina e rilevata l’assenza delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli - ha respinto il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto dalla società odierna appellante EURO PARK BOX s.r.l volto ad ottenere (con il ricorso principale)l’annullamento della disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n. 235 del 4.4.2000 recante diniego di concessione in sanatoria di opere abusive e, (con i motivi aggiunti depositati il 26.4.2006) della disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n. 2012 del 30.12.2005 recante ordine di demolizione.

Il primo giudice ha partitamente esaminato tutte le censure proposte (difetto di motivazione, in quanto era evidente la sanabilità dell’intervento edilizio eseguito; violazione e falsa applicazione dell’art. 17 della variante di salvaguardia approvata con DPGRC n. 9297 del 29.6.1998 e del regolamento edilizio approvato con decreto n. 604 del 6.8.1999; mancata applicazione dell’art. 9 della legge 24.3.1989, n. 122; eccesso di potere; erronea determinazione dei presupposti di fatto e di diritto, e , quanto all’ordine di demolizione illegittimità derivata e violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990) e le ha respinte in quanto infondate.

In particolare, il Tribunale amministrativo ha in primo luogo escluso la fondatezza della tesi per cui il contestato intervento edilizio, (avente ad oggetto una struttura prefabbricata destinata ad ospitare 50 box auto, da realizzare a servizio dei fabbricati circostanti) poteva essere realizzato ai sensi dell’art. 9 della legge n. 122/1989, con regime autorizzatorio gratuito, trattandosi di opere pertinenziali.

Ciò perché, la invocata previsione di cui all’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (con la relativa esenzione dal pagamento dei contributi in questione) spiegava la evidente funzione di agevolare i proprietari di alloggi, nel presupposto, (ritenuto implicito dal Legislatore) che gli interventi edilizi sugli stessi non avessero carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.

Inoltre, per consolidata giurisprudenza detta esenzione si applicava unicamente alle autorimesse interrate mentre quelle fuori terra – come la struttura prefabbricata per cui si controverteva – dovevano restare assoggettate alla disciplina urbanistica come ordinarie nuove costruzioni, (e conseguenzialmente al pagamento dei contributi concessori).

Quanto alla seconda censura (con cui si sosteneva l’erroneità dei presupposti su cui il provvedimento gravato era basato, in quanto il diniego era da porre in relazione con la mancata adozione, nella zona in cui era situato l’immobile in questione, degli strumenti urbanistici secondari, pur essendo decorso il termine di cui all’art. 2 della legge n. 1187/1968 e trattandosi di zona già interamente urbanizzata) il primo giudice ne ha affermato la infondatezza in quanto la contestata reiezione era motivata, (contrariamente a quanto affermato dalla società originaria ricorrente) in relazione alla circostanza che l’intervento in questione non era comunque assentibile per contrasto con l’art. 17 della variante di salvaguardia del 29 giungo 1998, la quale nel prevedere, per le aree ricadenti in zona B, centro storico – come l’area in questione – il vincolo di conservazione, escludeva la realizzazione di opere, quali quelle oggetto della richiesta di sanatoria, che costituivano nuove superfici e nuove volumetrie.

Anche il terzo motivo postulante i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione doveva essere disatteso in quanto le opere in questione, puntualmente descritte nella disposizione gravata, comportando la realizzazione di nuovi volumi - attraverso la realizzazione di una struttura prefabbricata destinata a 50 box auto – si ponevano in contrasto con l’art. 17 della variante di salvaguardia, approvata con DPGRC n. 9297 del 29 giugno 1998, e il diniego era stato adottato, conformemente al parere contrario espresso dalla Commissione edilizia nella seduta del 2 marzo 2000, sulla base della relazione istruttoria del responsabile del procedimento, dalla quale si evinceva che l’intervento “non può essere ammesso in quanto la realizzazione di nuovi volumi non è consentita a norma dell’art. 17 della variante citata, che prescrive in zona B solo opere di restauro e risanamento conservativo, lettera c) comma 1 dell’art. 31 l. 457/78 sulle volumetrie esistenti”.

Alla reiezione del mezzo introduttivo il Tribunale amministrativo ha fatto conseguire il rigetto della censura di invalidità derivata asseritamente attingente l’ordinanza di demolizione (primo motivo del ricorso per motivi aggiunti) e della seconda doglianza relativa alla pretesa violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, richiamando l’orientamento per cui i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non dovevano essere preceduti dall'avviso dell'inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati e considerato che i provvedimenti sanzionatori presupponevano un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate, nonchè sul carattere non assentito delle medesime.

Per lo stesso principio, anche il provvedimento di rigetto dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria non doveva essere preceduto dall'avviso dell'inizio del procedimento, essendo questo iniziato ad istanza di parte.

Il gravame è stato pertanto integralmente disatteso.

La società odierna appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso con il comune ed ha sostenuto che il provvedimento gravato era illegittimo in quanto reso in violazione del principio del “clare loqui” di cui alla legge n. 241/1990 posto che era stato unicamente evidenziato che le opere si ponevano in contrasto con l’art. 17 della variante di salvaguardia, approvata con DPGRC n. 9297 del 29 giugno 1998, senza indicare a quale specifica previsione contenuta nella detta disposizione si facesse in effetti riferimento.

Il secondo motivo di ricorso ha riproposto la tesi secondo la quale la invocata previsione di cui all’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 si poteva applicare alle autorimesse non interrate affermando che ciò che rilevava era, unicamente, il vincolo pertinenziale con le unità immobiliari prossime al parcheggio , tanto più se preesistenti alla edificazione di quest’ultimo (ed ancorchè non di pertinenza del titolare del parcheggio medesimo né a quest’ultimo riconducibili) .

Anche l’ordine di demolizione era illegittimo a cagione del lungo lasso temporale intercorso tra la edificazione dell’immobile, il diniego di sanatoria (anno 2000) e la irrogazione della sanzione, peraltro emessa senza preventivo inoltro dell’avviso di avvio del procedimento.

Gli intervenienti ad adiuvandum, nella spiegata qualità di comproprietari dell’area ove erano stati realizzati i box hanno chiesto di accogliere l’appello perché fondato.

L’appellata amministrazione comunale di Napoli ha depositato una articolata memoria chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’intervento spiegato nel giudizio in quanto volto ad ampliare il thema decidendi veicolando nel processo temi e censure non contenuti nel ricorso in appello. Ha poi chiesto la reiezione dell’appello perché palesemente infondato, facendo presente che la costante giurisprudenza amministrativa concordava con la tesi secondo la quale i parcheggi non interrati non rientrassero nel paradigma normativo “di favore” di cui all’art. 9 della legge n. 12271989

All’adunanza camerale del 22 Aprile 2008 la Sezione con la ordinanza n. 2136/2008 ha accolto parzialmente l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “ritenuto che l’intervenuta presentazione, da parte dei soggetti proprietarii, di istanza di accertamento di conformità, tra l’altro, dei corpi di fabbrica oggetto degli atti impugnati con il ricorso originario, valga a comportare la sospensione dell’efficacia dell’ordine di demolizione per tutto il tempo necessario all’Amministrazione per pronunciarsi sull’istanza stessa, comunque non superiore a 60 giorni decorrenti dalla data del 18 aprile 2008;”.

L’efficacia della sentenza impugnata, è stata pertanto sospesa nei limiti oggettivi e temporali, di cui in motivazione.

Alla odierna pubblica udienza del 5 febbraio 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio

DIRITTO

1. l’appello è palesemente infondato e va pertanto respinto, il che consente di prescindere dalle problematiche relative alla ammissibilità dell’intervento spiegato nella causa da parte dei comproprietari dell’area ove erano sorti i box (l’amministrazione comunale appellata si richiama alla giurisprudenza pacifica, secondo cui sono inammissibili gli atti di intervento ad adiuvandum proposti da soggetti che, subendo effetti negativi immediati e diretti dall'adozione di un provvedimento amministrativo, possono proporre un'autonoma impugnazione e comunque non può essere ampliato il perimetro delle censure prospettato dall’appellante principale. L’intervento del terzo deve pertanto essere preordinato alla difesa di un suo interesse derivato o non ancora attuale, in caso contrario eludendosi la perentorietà del termine per la proposizione di autonomo ricorso -C.S. Sez. VI 6.9.2010 n. 6483- ).

1.1. Ciò premesso, è certamente inaccoglibile la prima doglianza contenuta nel ricorso in appello e tesa ad evidenziare la asserita erroneità della impugnata decisione laddove non aveva colto l’assenza di motivazione che connotata il diniego gravato in primo grado.

Al contrario di quanto sostenutosi nell’appello, infatti, la disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n. 235 del 4.4.2000 recante diniego di concessione in sanatoria di opere abusive faceva espresso riferimento alla circostanza che le opere di pertinenza di parte appellante comportavano la realizzazione di nuovi volumi - attraverso la realizzazione di una struttura prefabbricata destinata a 50 box auto – e si ponevano pertanto in contrasto con l’art. 17 della variante di salvaguardia, approvata con DPGRC n. 9297 del 29 giugno 1998.

Peraltro il diniego era stato adottato, su conforme parere contrario espresso dalla Commissione edilizia nella seduta del 2 marzo 2000 dal quale si evinceva che l’intervento non poteva essere ammesso in quanto la realizzazione di nuovi volumi non era consentita a norma dell’art. 17 della variante citata, “che prescrive in zona B solo opere di restauro e risanamento conservativo, lettera c) comma 1 dell’art. 31 l. 457/78 sulle volumetrie esistenti”.

Non è dato riscontrare alcuna oscurità testuale o difetto motivazionale pertanto e, per altro verso, non ricadendo all’evidenza l’intervento contestato in alcuna delle categorie contemplate nel predetto art. 17 l’appellante era ben in grado di comprendere le ragioni dell’insanabile contrasto ravvisato dall’amministrazione appellata.

Per altro verso, e per quanto di seguito immediatamente si chiarirà, non sussisteva né la pertinenzialità né le condizioni oggettive per la concedibilità della sanatoria.

2.Contrariamente a quanto sostenutosi nell’appello, infatti, il Collegio rammenta che per condivisibile quanto pacifica giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato “la realizzazione di autorimesse e parcheggi, ai sensi dell'art. 9, 1° comma, della L. n. 122/1989 è condizionata dal fatto che questi siano realizzati nel sottosuolo per l'intera altezza, opera cioè solo nel caso in cui, i parcheggi da destinare a pertinenza di singole unità immobiliari, siano totalmente al di sotto dell'originario piano naturale di campagna. Qualora invece non si rispetti tale condizione, la realizzazione di un'autorimessa non può dirsi realizzata nel sottosuolo, per cui in tali casi si applica la disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra dal P.R.G., anche per quanto concerne il pagamento dei contributi concessori.” (Cons. Stato Sez. IV, 13-07-2011, n. 4234).

Tale approdo – dal quale non si ravvisano motivi per discostarsi - è stato condiviso dalla uniforme giurisprudenza di merito (tra le tante T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 14-06-2006, n. 316 T.A.R. Piemonte, 27-11-2002, n. 1982) ed è appena il caso di precisare che non si pone- come inesattamente segnalato dall’appellante- alcuna problematica di interpretazione “restrittiva” della norma.

Semmai, l’approdo cui è giunta l’evoluzione giurisprudenziale si segnala per l’aderenza rispetto al testo di legge, e per la esatta interpretazione della “ratio” di quest’ultima, in quanto il riferimento ivi contenuto al “piano terreno” dei fabbricati erigendi si spiega agevolmente con la circostanza che neppure in detta ipotesi (come anche nel caso di parcheggio completamente interrato) vi è alcun aumento di volumetria.

2.1. Quanto sopra rilevato risulta decisivo e troncante al fine della reiezione del mezzo.

Si rileva peraltro, ad abundantiam che nel caso di specie neppure pare sussistere alcun (del pari richiesto alla luce della ratio della disciplina) legame pertinenziale: trattasi infatti di parcheggio edificato e utilizzato nell’ambito di una ordinaria attività commerciale e non vincolato all’utilizzo da parte dei titolari di unità immobiliari specifiche.

Il concetto di “pertinenzialità” viene inammissibilmente dilatato dall’appellante (ma sarebbe meglio dire addirittura stravolto) sino a farlo coincidere con quello di contiguità spaziale: di guisa che la circostanza che vi siano immobili adibiti ad uso abitativo nel raggio di 50 metri viene “elevato” a requisito comprovante l’interesse pubblicistico alla sanatoria del prefabbricato predetto (il che, avuto riguardo al dato letterale contenuto nella L. n. 122/1989 ovviamente, non è).

3. Eguale sorte merita l’ultima doglianza, attingente l’ordine di demolizione, del quale si assume la illegittimità per non essere stato preceduto dall’espletamento degli incombenti ex art. 7 della legge n. 241/1990.

La tesi dell’appellante collide con i più recenti approdi di avveduta giurisprudenza amministrativa secondo cui “l'ingiunzione di demolizione di un manufatto abusivo, emessa successivamente all'adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente consequenziale, nell'ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario.” (ex multis, si veda T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, 11-07-2012, n. 694,T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 04-07-2012, n. 691 ).

Ciò in quanto- è stato condivisibilmente rimarcato dalla giurisprudenza- trattasi di attività che comporta un mero accertamento di natura tecnica sulla consistenza delle opere, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario (TAR Campania, Napoli, sez. III, 6 dicembre 2011, n. 5668; TAR Lazio, Roma, sez. I, 7 ottobre 2011, n. 7815; TAR Campania, Napoli, sez. II, 3 ottobre 2011, n. 4608; TAR Campania Salerno, sez. II, 27 giugno 2011, n. 1179; TAR Liguria, sez. I, 22 gennaio 2011, n. 150; TAR Puglia Lecce, sez. I, 17 novembre 2010, n. 2660; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10 novembre 2010, n. 23762).

4.Conclusivamente l’appello va integralmente disatteso (è evidente che non possono essere neppure presi in esame in via autonoma i motivi del ricorso di primo grado riproposti comunque nell’ appello posto che gli stessi contengono le stesse valutazioni espresse nelle singole doglianze contenute nell’appello, ed in ogni caso sono privi di qualsivoglia valutazione critica alle argomentazioni utilizzate nella motivazione). Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. Le spese del procedimento, seguono la soccombenza e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle stesse in favore dell’ appellata amministrazione comunale nella misura che appare congruo determinare in Euro tremila (€ 3000//00) oltre accessori di legge, se dovuti mentre per il resto devono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 2805 del 2008come in epigrafe proposto,lo respinge.

Condanna l’appellante società al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio nella misura di Euro tremila (€ 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti, in favore dell’appellata amministrazione comunale, e le compensa per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)