Cass. Sez. III n. 4344 del 8 febbraio 2022 (PU 21 dic 2021)
Pres. Di Nicola Est. Galterio  Ric. Tari
Rifiuti.Reato di traffico illecito

Ai fini della configurabilità del reato di traffico illecito di rifiuti, non rilevi la qualifica soggettiva dell'agente, bensì la concreta attività posta in essere, ovverosia il trasporto di rifiuti in assenza, come nel caso di specie, della prescritta documentazione concernente il carico trasportato e dunque in violazione degli specifici obblighi di informazione, ovvero la spedizione illegale di rifiuti che impone per i rifiuti destinati allo smaltimento ovvero al recupero un’apposita procedura di notificazione e dunque in violazione delle prescritte autorizzazioni preventive, o che abbia ad oggetto rifiuti di cui è vietata la spedizione alla radice, a prescindere dalla circostanza che l’attività di spedizione sia svolta dall’agente in forma professionale o soltanto di fatto o in modo secondario.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 9.11.2020 la Corte di Appello di Lecce ha integralmente confermato la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Brindisi che ha dichiarato Giovanni Tarì responsabile del reato di cui all’art. 259, primo comma d. lgs. 152/2006 per aver effettuato la spedizione transfrontaliera di 20 tonnellate di rifiuti in plastica destinati alla Grecia in violazione dell’art. 26 Reg. CE 1013/2006 in assenza della prescritta documentazione, condannandolo alla pena di sei mesi di arresto ed € 8.000 di ammenda e disponendo altresì la confisca del mezzo di trasporto
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo contesta la configurabilità del reato attesa la sua veste di mero vettore e non già di spedizioniere, puntualizzando come l’impiego del pronome “chiunque” nel precetto del reato in contestazione andasse comunque riferito all’effettuazione di una spedizione, il che, avendo egli agito quale vettore nonché dipendente della ditta, peraltro, proprietaria del mezzo di trasporto, escludeva la sua responsabilità anche a titolo di concorrente. Lamenta conseguentemente tanto l’illogicità della motivazione resa quanto il vizio di violazione di legge stante l’applicazione di una fattispecie astratta di reato ad un caso concreto del tutto divergente.
2.2. Con il secondo motivo si duole dell’eccessiva severità del trattamento sanzionatorio applicatogli in ragione del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, senza che né il diniego del beneficio, né il discostamento dai minimi edittali fosse assistito da alcuna motivazione.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la conferma della confisca dell’autoarticolato utilizzato per il trasporto che al di là di ogni automatismo previsto per la misura, non poteva essere disposta nei confronti di chi, come l’imputato, non era di proprietà del contravventore
    3. Con successiva memoria in replica alla requisitoria scritta del Procuratore Generale, il difensore dell’imputato ha ulteriormente sviluppato il primo motivo di ricorso, concludendo per l’accoglimento dell’impugnativa

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo non può ritenersi ammissibile.
L’assunto in forza del quale il ricorrente sostiene di non poter essere destinatario del precetto contenuto nell’art. 259 d. lgs. 152/2006, che sanziona chiunque effettui una spedizione costituente traffico illecito ai sensi dell’art. 26 del Regolamento CEE 1° febbraio 1993 n. 259, ora sostituito dal Regolamento 1013/2006 in stretta continuazione normativa con il precedente, deve ritenersi oltre che intrinsecamente contraddittorio, manifestamente infondato. Ove, infatti, si consideri che con la qualifica di vettore si designa, a norma del codice civile, colui che abbia stipulato un contratto di trasporto obbligandosi verso un corrispettivo a trasportare merci da un luogo ad un altro, balza evidente come la veste imprenditoriale asseritamente ricoperta dal Tarì mal si concili con la posizione dal medesmo contemporaneamente rivendicata di dipendente, riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato di cui peraltro neppure risulta essere stato mai dedotto il nominativo del datore di lavoro, né tantomeno documentata l’esistenza, rapporto che comunque non ne esclude affatto la veste di soggetto incaricato dello specifico trasporto transnazionale di cui all’imputazione.
Muovendo dalla premessa univocamente riconosciuta in sede di interpretazione giurisprudenziale secondo cui l’art. 259 d. lgs. 152/2006 si configura come una norma penale in bianco, integrata dal richiamo al Regolamento comunitario (Sez. 3, Sentenza n. 8153 del 30/01/2015 - dep. 24/02/2015, Church, Rv. 262520), regolamento che il ricorrente, limitandosi a richiamare la fattispecie astratta della norma che prevede il reato, si guarda bene dal contestare, va infatti rilevato che l’allegato VII, la cui violazione figura nel capo di imputazione, è costituito da un documento contente la richiesta di specifiche informazioni, da compilarsi a cura di chi è incaricato del trasporto transfrontaliero: orbene la circostanza che le informazioni richieste, relative alle generalità, al mezzo di trasporto utilizzato e alla data della spedizione - dati questi ultimi riferiti alla quantità ed alla tipologia di rifiuti trasportati - riguardino non solo il soggetto che organizza la spedizione e l’importatore finale, ma altresì il vettore dimostra in termini inequivoci come anche quest’ultimo (soggetto altresì distinto, nel formulario in esame, dal produttore dei rifiuti) sia il destinatario degli obblighi imposti dalla normativa comunitaria al fine di rendere tracciabile il carico trasportato così come il suo oggetto.
Deve conseguentemente ritenersi che, ai fini della configurabilità del reato di traffico illecito di rifiuti, non rilevi la qualifica soggettiva dell'agente, bensì la concreta attività posta in essere, ovverosia il trasporto di rifiuti in assenza, come nel caso di specie, della prescritta documentazione concernente il carico trasportato e dunque in violazione degli specifici obblighi di informazione, ovvero la spedizione illegale di rifiuti che impone per i rifiuti destinati allo smaltimento ovvero al recupero un’apposita procedura di notificazione e dunque in violazione delle prescritte autorizzazioni preventive, o che abbia ad oggetto rifiuti di cui è vietata la spedizione alla radice, a prescindere dalla circostanza che l’attività di spedizione sia svolta dall’agente in forma professionale o soltanto di fatto o in modo secondario. Il termine impiegato dal legislatore “chiunque effettua una spedizione” non lascia, invero, spazio, al pari di quanto già affermato in relazione al reato di gestione illecita di rifiuti, anch’esso diretto a sanzionare “chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione” in assenza dei prescritti titoli abilitativi, ad interpretazioni fondate sulla qualifica soggettiva dell’agente, non essendo invocabile l’errore sulla legge che integra il precetto penale da parte di chi svolgendo attività di trasporto di rifiuti è tenuto ad un "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, tanto più rigoroso per tutti coloro, come nel caso del vettore, che svolgono professionalmente tale attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica.
Né ha senso addentrarsi, a fronte della tecnica ingiunzionale seguita dal legislatore con l’impiego della locuzione “chiunque effettua una spedizione”, nella problematica relativa alla configurabilità del reato in esame, riguardata dalla parte del soggetto attivo, come comune ovvero proprio posto che l’effettuazione di una spedizione transnazionale di rifiuti implica di per sé l’adozione di specifici moduli organizzatori che escludono che possa trattarsi di un’attività occasionale, la quale soltanto, a fronte di un reato istantaneo, lascia aperti spazi per un’eventuale irrilevanza penale della condotta come accade per il reato di cui all'art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs 152 del 2006.
Deve perciò ritenersi che la Corte territoriale, diversamente da quanto afferma il ricorrente, abbia correttamente risposto alla specifica doglianza, escludendo che la normativa in esame si applichi solo allo spedizioniere, essendo invece diretta a sanzionare chiunque si trovi ad effettuare il trasporto dei rifiuti in violazione delle prescrizioni dettate dal regolamento comunitario richiamato dall’art. 259 d. lgs. 152/2006.
2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il secondo motivo con cui si censurano il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena al di sopra del minimo edittale.
Il diniego delle attenuanti generiche, motivato dalla Corte distrettuale in ragione dell’assenza di elementi di segno favorevole che consentissero una mitigazione del trattamento sanzionatorio determinato dal primo giudice, non risulta adeguatamente contrastato dal ricorrente che si limita a lamentare un deficit argomentativo sul punto senza tuttavia indicare fattori positivi addotti con l’atto di appello indebitamente pretermessi o illogicamente disattesi, risultando pertanto insindacabile il relativo giudizio da parte di questa Corte di legittimità; con riferimento, invece, alla dosimetria della pena, comunque contenuta al di sotto del limite edittale ed ampiamente motivata dal Tribunale pugliese che aveva dato conto sia della gravità del reato alla luce dell’ingente quantitativo dei rifiuti trasportati e della conseguente gravità del pericolo cagionato al bene giuridico tutelato, sia della capacità a delinquere dell’imputato desunta dai suoi plurimi precedenti penali, è sufficiente rilevare che nessuna contestazione al riguardo risulta essere stata devoluta ai giudici di secondo grado, i quali non avrebbero potuto perciò estendere la propria cognizione a questioni mai sottopostegli con l’atto di gravame.
3. Il terzo motivo deve essere dichiarato inammissibile stante la mancanza di un interesse attuale e concreto in capo al ricorrente che, escludendo di essere il proprietario del mezzo oggetto della disposta confisca, che lui stesso assume nella titolarità di un terzo, non può ritenersi legittimato a dolersi della misura, il venir meno della quale non gli consentirebbe in ogni caso, non avendo alcun titolo alla sua restituzione, di conseguire alcun risultato utile.
4. Deve pertanto concludersi per l’inammissibilità del ricorso con conseguente preclusione, non essendosi formato un valido rapporto di impugnazione, al rilievo di cause di non punibilità a norma dell'art.129 c.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463). Segue a tale esito la condanna del ricorrente a norma dell'art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21.12.2021