Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3755, del 12 luglio 2013
Urbanistica.Parcellizzazione albergo in residenze e lottizzazione abusiva

Il venir meno delle varianti urbanistiche impone di verificare l’assentibilità degli interventi proposti alla stregua della disciplina urbanistica previgente, dunque, la modifica di destinazione d’uso di una struttura alberghiera in complesso residenziale realizzata attraverso la parcellizzazione dell’immobile in numerosi alloggi suscettibili di essere occupati stabilmente configura il reato di lottizzazione abusiva pur laddove l’area sia urbanizzata e gli strumenti urbanistici generali consentano una utilizzabilità alternativa di tipo alberghiero e residenziale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03755/2013REG.PROV.COLL.

N. 05817/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 5817 del 2012, proposto dalla SOCIETÀ COOPERATIVA EDIFICATRICE IL POGGIO D’ORO Soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Stancanelli e Claudia Molino, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via Panama, 58,

contro

il COMUNE DI CASTIGLIONE DELLA PESCAIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Daniele Falagiani, con domicilio eletto presso lo studio Lessona in Roma, via Vittorio Emanuele II, 18,

per l’annullamento e/o la riforma,

previa concessione di misure cautelari,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sezione Prima, nr. 692/2012, pubblicata il 4 aprile 2012, notificata il 22 maggio 2012, con la quale sono stati respinti il ricorso nr. 1961/2011 e i successivi motivi aggiunti.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune del Castiglione della Pescaia;

Viste le memorie prodotte dalla appellante (in data 26 aprile 2013) e dal Comune (in data 6 maggio 2013) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2013, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Stancanelli per la appellante e l’avv. Falagiani per il Comune;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La Società Cooperativa Edificatrice Il Poggio d’Oro ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Toscana, previa declaratoria di cessazione della materia del contendere sulla impugnativa del silenzio dell’Amministrazione, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti dalla predetta società proposti avverso i provvedimenti con i quali il Comune di Castiglione della Pescaia ha dapprima sospeso le varianti urbanistiche approvate con le deliberazioni consiliari nn. 54 e 55 del 2010, e quindi annullato i permessi di costruire rilasciati alla società istante sulla base delle dette varianti.

A sostegno dell’appello, sono articolati i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 25, comma 6, e 26, comma 5, della legge regionale 3 gennaio 2005, nr. 1, sotto diversi profili; eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta, violazione del giusto procedimento e contraddittorietà manifesta; violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380 (con riguardo alla reiezione delle doglianze articolate avverso la sospensione dell’efficacia delle varianti urbanistiche);

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 25, comma 6, e 26, comma 5, della l.r. nr. 1 del 2005; violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 4, del d.P.R. nr. 380 del 2001; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità manifesta; omessa pronuncia in merito al motivo B.II del ricorso principale e al motivo 2 del ricorso per motivi aggiunti (con riferimento alla reiezione e al mancato esame delle censure articolate avverso l’annullamento dei permessi di costruire);

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Convenzione stipulata dal Comune di Castiglione della Pescaia in data 1 giugno 2010; violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge nr. 241 del 1990; eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, violazione del giusto procedimento e ingiustizia manifesta (in relazione alla reiezione della censura di violazione della disciplina riveniente dalla convenzione urbanistica stipulata tra Comune e società istante);

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.P.R. nr. 380 del 2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del vigente Piano Strutturale del Comune di Castiglione della Pescaia; violazione e falsa applicazione dell’art. 78, comma 1, lettera h), della legge regionale 3 gennaio 2001, nr. 5; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria (in relazione alla reiezione delle censure mosse con riguardo al preteso contrasto con la strumentazione urbanistica vigente anteriormente alle varianti);

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 14-ter della legge nr. 241 del 1990; eccesso di potere per travisamento dei fatti (in relazione alla reiezione della censura afferente alla pretesa mancanza dell’autorizzazione paesaggistica);

6) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21-nonies della legge nr. 241 del 1990; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, travisamento dei fatti e difetto di motivazione; violazione degli artt. 2 e 3 della convenzione del 1 giugno 2010 (in relazione alla reiezione della doglianza con la quale era stata dedotta la mancata motivazione sull’interesse pubblico all’intervento in autotutela).

Si è costituito il Comune di Castiglione della Pescaia, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello e dell’istanza cautelare e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

Alla camera di consiglio del 18 settembre 2012, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

Entrambe le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 28 maggio 2013, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. La Società Cooperativa Edificatrice Il Poggio d’Oro è proprietaria di un ex complesso alberghiero sito in territorio del Comune di Castiglione della Pescaia, in relazione al quale, dopo aver ottenuto nel 2008 il rilascio di un permesso di costruire per la sua conversione in “residenza turistico-alberghiera”, ha proposto un intervento edilizio inteso alla sua trasformazione in edifici per civili abitazioni.

Quest’ultimo intervento è seguito a bando emanato dall’Amministrazione comunale, in adesione al quale la società istante ha accettato di provvedere gratuitamente a progettazione, costruzione e cessione di ulteriori unità immobiliari, da destinare a civili abitazioni, su un’ulteriore porzione di suolo di proprietà comunale.

Pertanto, in data 1 giugno 2010 è stata stipulata tra le parti una convenzione contenente, da un lato, l’impegno della società a realizzare gli alloggi suindicati, e dall’altro lato l’impegno del Comune ad adottare e approvare le varianti al vigente P.R.G. necessarie a rendere possibile l’intervento de quo.

In effetti, con le deliberazioni del Consiglio Comunale nn. 54 e 55 del 29 ottobre 2010 sono state approvate le varianti relative, rispettivamente, ai suoli di proprietà comunale ed al suolo su cui sorgeva il complesso alberghiero di proprietà della società istante.

Sono seguiti poi, in date 3 e 28 gennaio 2011, i permessi di costruire che autorizzavano l’esecuzione degli interventi concordati.

Tuttavia, in relazione alle varianti urbanistiche la Provincia di Grosseto, che già nel corso dell’iter finalizzato alla loro approvazione aveva proposto osservazioni, ha adito la conferenza paritetica interistituzionale di cui all’art. 24 della legge regionale della Toscana 3 gennaio 2005, nr. 1, ipotizzando contrasti rispetto alla disciplina riveniente dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.

Detta conferenza, rilevando che i possibili profili di contrasto avrebbero potuto essere risolti in sede di definitiva approvazione del Regolamento Urbanistico che il Comune risultava aver già adottato, ha invitato le parti ad una “verifica tecnica” in tale sede.

Successivamente, in sede di conferenza tecnica convocata ai sensi dell’art. 27 della medesima l.r. nr. 1 del 2005, sono state impartite prescrizioni, da osservare in sede di definitiva approvazione del Regolamento Urbanistico comunale, in ordine alla necessaria verifica del “dimensionamento turistico-ricettivo” rispetto anche al Piano Strutturale.

All’esito di tutto ciò, con due coeve delibere consiliari, il Comune ha sancito la perdurante sospensione delle precedenti delibere di approvazione delle due varianti, dovendo attendersi l’attuazione delle suddette prescrizioni, e comunque non essendosi verificata alcuna delle ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 26 della l.r. nr. 1 del 2005 in presenza delle quali, superato il contrasto fra Enti sulla variante urbanistica, quest’ultima avrebbe potuto riacquistare efficacia.

Subito dopo, sono stati avviati procedimenti intesi alla rimozione in autotutela dei permessi di costruire già rilasciati, poi effettivamente annullati (il primo di essi, solo in parte) con provvedimenti anch’essi oggetto di impugnazione dinanzi al T.A.R. della Toscana.

Con l’odierno appello, la società originaria concessionaria ha impugnato la sentenza con la quale il predetto T.A.R. ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti avverso le determinazioni comunali da ultimo richiamate.

2. Tutto ciò premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

3. Principiando con l’esame del primo motivo d’appello, che investe le delibere consiliari con cui il Comune ha preso atto della perdurante sospensione delle due varianti urbanistiche in precedenza approvate, questo richiede preliminarmente una disamina più ravvicinata del particolare meccanismo introdotto dalla legislazione regionale toscana per risolvere i possibili conflitti tra Enti territoriali in materia di governo del territorio.

3.1. A questo scopo, l’art. 24 della già citata l.r. nr. 1 del 2005 ha istituito la conferenza paritetica interistituzionale, composta da rappresentanti di Regione, Province e Comuni, col precipuo compito di dirimere i conflitti suindicati; a norma del successivo art. 25, la conferenza può essere adita da qualsiasi soggetto istituzionalmente competente per il governo del territorio, il quale rilevi situazioni di contrasto o incompatibilità tra strumenti urbanistici territoriali, entro il termine perentorio di sessanta giorni dall’avvenuta approvazione dell’atto che fa insorgere il contrasto o l’incompatibilità.

Il comma 5 dello stesso art. 25, di poi, stabilisce che l’efficacia delle parti oggetto di contestazione dello strumento o atto di governo del territorio è sospesa dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della richiesta di convocazione della conferenza paritetica (nel caso di specie, detta richiesta è stata ritualmente pubblicata in data 2 febbraio 2011).

Le decisioni della conferenza sono disciplinate dal successivo art. 26, secondo cui essa esprime il proprio parere e lo comunica al soggetto richiedente entro 120 giorni, potendo o rilevare l’insussistenza del contrasto denunciato o – al contrario – la sua sussistenza: nel primo caso, l’amministrazione che ha approvato l’atto oggetto di contestazione ne dà avviso sul Bollettino Ufficiale, e da tale ulteriore pubblicazione l’atto medesimo riacquista efficacia (art. 26, comma 2); nell’opposta ipotesi, può accadere che il soggetto emanante prenda atto del contrasto e provveda ad adeguare lo strumento urbanistico alle decisioni della conferenza, dandone avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione (comma 3), ovvero che ritenga di non adeguarsi e quindi di confermare il proprio atto nella versione originaria, e anche di ciò va dato avviso sul Bollettino (comma 4).

Nelle ultime due ipotesi considerate, è espressamente previsto che gli atti o strumenti oggetto di contestazione riacquistino efficacia decorsi quarantacinque giorni dalla pubblicazione (art. 26, comma 5).

3.2. Tanto premesso, si è già sinteticamente ricostruito sub 1 quello che è stato, nella presente fattispecie, lo svolgimento del conflitto innescato dalla Provincia di Grosseto con riguardo alle varianti urbanistiche approvate dal Comune di Castiglione della Pescaia con le deliberazioni consiliari nn. 54 e 55 del 2010.

L’odierna appellante assume l’illegittimità delle ulteriori delibere con le quali l’Amministrazione comunale, all’esito delle decisioni della conferenza paritetica e della conferenza tecnica di cui all’art. 27 della stessa l.r. nr. 1 del 2005, ha dato atto della perdurante sospensione dell’efficacia delle variantide quibus, non essendosi verificata alcuna delle situazioni alle quali l’art. 26 ricollega la ripresa dell’efficacia dell’atto o dello strumento contestato; secondo la società istante, in estrema sintesi, nel caso di specie dovrebbe ricadersi nella previsione del comma 2 dell’art. 26, atteso che le prescrizioni impartite dalla conferenza tecnica non comportavano la necessità di apportare alcuna modifica alle varianti in questioni, risolvendosi in disposizioni da seguire in sede di predisposizione del Regolamento Urbanistico comunale in itinere.

3.3. Tale impostazione, che in sostanza vorrebbe assimilare quanto verificatosi nella presente fattispecie all’ipotesi di accertata insussistenza di alcun contrasto tra strumenti urbanistici, non persuade il Collegio.

Ed invero, da una piana lettura delle norme che si sono sopra richiamate emerge, innanzi tutto, che con le stesse il legislatore regionale ha inteso predisporre un meccanismo destinato a operare per tutte le possibili ipotesi di “contrasto” o di “incompatibilità” tra un nuovo atto o strumento di governo del territorio (nella specie, le varianti approvate con le ricordate delibere nn. 54 e 55 del 2010) e un qualsiasi strumento di pianificazione previgente (nella specie, il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale).

Tale natura generale del rimedio deve essere tenuta presente nell’esegesi delle disposizioni specifiche in cui esso si articola, con la conseguenza che non è possibile una lettura restrittiva del comma 3 dell’art. 26, nel senso di circoscrivere l’ “adeguamento”, cui deve procedere il soggetto responsabile dell’atto oggetto di contestazione al fine di farne cessare la sospensione, alle sole modifiche direttamente incidenti sull’atto stesso, lasciando al di fuori della previsione le ipotesi nelle quali il contrasto possa essere risolto altrettanto o più agevolmente intervenendo su altri atti di governo del territorio (e, in ipotesi, su quelli con i quali il nuovo atto contrasti).

Al contrario, nella stessa previsione devono intendersi senz’altro ricompresi tutti i casi in cui le misure di adeguamento adottabili possano consistere in provvedimenti incidenti su altri aspetti della più generale disciplina del territorio, e che comunque siano tali da far venire meno i profili di contrasto o di incompatibilità rilevati dalla conferenza paritetica.

È quanto verificatosi nel caso che occupa, laddove non può certo dirsi che la conferenza adita dalla Provincia di Grosseto non abbia ravvisato alcun profilo di contrasto, essendosi però questa limitata a evidenziare che detti profili avrebbero potuto essere agevolmente affrontati e risolti in sede di definitiva approvazione del Regolamento Urbanistico da parte del Comune.

Ne discende che risulta del tutto condivisibile l’avviso dell’Amministrazione comunale, condivisa anche dal primo giudice, secondo cui nella specie la sospensione dell’efficacia delle varianti in questioni non è mai cessata, essendo ancora in corso le preannunziate attività di adeguamento come suggerite dalla conferenza paritetica (e dalla conferenza tecnica ex art. 27, l.r. nr. 1 del 2005).

4. Una volta chiarito quanto sopra, è agevole rilevare l’infondatezza anche del secondo motivo di appello, col quale si ripropongono le doglianze articolate in prime cure avverso l’annullamento in autotutela dei permessi di costruire già rilasciati alla società istante.

Sul punto, al di là delle articolate argomentazioni giuridiche svolte dalla appellante, è innegabile che il permesso di costruire debba necessariamente essere conforme alla disciplina urbanistica retrostante: pertanto, una volta venuta meno l’efficacia delle varianti per effetto dell’operato della conferenza, la legittimità dei permessi rilasciati alla società istante non poteva che essere valutata alla stregua della disciplina urbanistica previgente (donde la pertinenza delle valutazioni di merito operate dal Comune negli atti di annullamento, sulle quali di seguito si tornerà).

A fronte di tale piano principio, è del tutto inconferente il rilievo che i permessi di costruire fossero stati rilasciati prima della sospensione delle varianti, essendo incontestabile – anche alla stregua dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241 – che l’annullamento d’ufficio in autotutela può essere determinato anche da un’illegittimità del provvedimento dovuta a circostanze fattuali o normative sopravvenute, purché siano presenti le altre condizioni richieste dal medesimo art. 21-nonies (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, nr. 5328; Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, nr. 7342).

5. Col terzo mezzo, parte appellante reitera la doglianza di violazione dell’art. 3 della convenzione urbanistica stipulata il 1 giugno 2010, nel quale era previsto – fra l’altro – l’impegno del Comune ad adottare e approvare le varianti urbanistiche necessarie a rendere fattibile l’intervento edilizio richiesto dalla società istante.

Anche tale censura è destituita di fondatezza, dovendo condividersi l’avviso del primo giudice secondo cui il predetto impegno è stato pienamente assolto dall’Amministrazione comunale.

Infatti, le varianti de quibus sono state effettivamente adottate e approvate, mentre la successiva attivazione del meccanismo di cui agli artt. 25 e segg. della l.r. nr. 1 del 2005, con effetti negativi per la società contraente, costituisce evenienza del tutto estranea al sinallagma contrattuale e discendente dall’applicazione della normativa primaria (la cui validità e applicabilità alla fattispecie, è quasi superfluo osservarlo, non poteva certo essere esclusa dall’accordo intervenuto tra le parti).

Se poi si volesse sostenere che l’impegno di cui all’art. 3 della convenzione comportasse una sorta di implicita garanzia della non sollevazione di conflitti da parte di altri soggetti istituzionali (quasi una sorta di promessa del fatto altrui ex art. 1381 cod. civ.), ovvero imponesse al Comune di attivarsi tempestivamente per il superamento dei profili critici rilevati dalla conferenza, ciò in ogni caso non potrebbe determinare l’elisione della potestà di autotutela costituente attribuzione originaria dell’Amministrazione, e che nella specie è stata esercitata – come meglio appresso si dirà – anche per ragioni diverse e ulteriori dall’intervenuta sospensione dell’efficacia delle varianti, potendo al più comportare un’eventuale responsabilità risarcitoria o indennitaria dell’Amministrazione comunale: quest’ultimo è però, con ogni evidenza, tema del tutto estraneo al presente giudizio.

6. Del pari privo di pregio è il quarto mezzo, col quale si riproduce la censura di illegittimità della valutazione compiuta dal Comune, che ha ravvisato nell’operazione di modifica della destinazione d’uso dell’immobile da albergo a edificio per civili abitazioni una lottizzazione non consentita, in assenza di apposito strumento attuativo, dalla strumentazione urbanistica vigente in loco.

E difatti, ribadito che il venir meno delle retrostanti varianti urbanistiche imponeva di verificare l’assentibilità degli interventi proposti alla stregua della disciplina urbanistica previgente, la Sezione ritiene di condividere il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui la modifica di destinazione d’uso di una struttura alberghiera in complesso residenziale realizzata attraverso la parcellizzazione dell’immobile in numerosi alloggi suscettibili di essere occupati stabilmente configura il reato di lottizzazione abusiva pur laddove l’area sia urbanizzata e gli strumenti urbanistici generali consentano una utilizzabilità alternativa di tipo alberghiero e residenziale (cfr. ex plurimis Cass. pen., sez. III, 6 giugno 2012, nr. 27289; id., 17 marzo 2009, nr. 17865).

Nel caso che qui occupa, la circostanza che l’edificazione sia divenuta abusiva, nel senso testé precisato, a seguito del venir meno delle varianti che ne costituivano la base giuridica potrebbe semmai rilevare ai fini di eventuali valutazioni da compiere in sede penale, nel senso di deporre in assenza di ulteriori elementi per una possibile buona fede del soggetto costruttore, ma non esclude il potere-dovere dell’Amministrazione di prendere atto di tale sopravvenuta illegittimità ed adottare le consequenziali determinazioni.

Inoltre, parte appellante non risulta aver svolto specifici rilievi avverso l’ulteriore profilo di illegittimità posto dal Comune a base dell’intervento in autotutela, con riferimento alla ravvisata violazione dell’art. 45 del Piano Strutturale, che imponeva una superficie minima per unità immobiliare di mq 65.

7. Infondato è anche l’ulteriore motivo col quale si denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il vizio di mancata acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, tornando parte appellante a insistere nella propria tesi secondo cui tale assenso sarebbe implicito nella mancata partecipazione della competente Soprintendenza alla conferenza di servizi che ha istruito il permesso di costruire de quo.

Al riguardo, in disparte i rilievi svolti dal primo giudice in ordine alla non significatività di tale mancata partecipazione anche per le circostanze di tempo e di luogo in cui si è verificata, la Sezione non ritiene di doversi discostare dal consolidato indirizzo secondo cui il modulo della conferenza di servizi c.d. decisoria, applicato alle vicende di autorizzazione paesaggistica, per quanto possa essere utile a un esame contestuale e sollecito dell’istanza e possa comportare il raccordo con gli altri procedimenti, non è ex se idoneo a legittimare dal punto di vista paesaggistico l’intervento, se non è seguito da un autonomo, espresso e puntuale provvedimento autorizzatorio da parte dell’Ente competente e se la Soprintendenza non ha poi esercitato in senso favorevole all’istanza stessa la sua conseguente funzione di co-gestione del vincolo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, nr. 2378; id., 11 dicembre 2008, nr. 5620).

8. Infine, va disatteso l’ultimo motivo di impugnazione, col quale la appellante reitera le proprie censure di insussistenza dei presupposti normativi per l’esercizio della potestà di autotutela da parte del Comune.

Ed invero, gli atti di annullamento dei permessi di costruire risultano congruamente e sufficientemente motivati sotto il profilo della sussistenza di un interesse pubblico attuale all’intervento demolitorio, in considerazione da un lato di quanto si è fin qui esposto in ordine ai vizi ravvisabili nei provvedimenti in questione, e dall’altro del decisivo rilievo in ordine al carattere doveroso e sostanzialmente vincolato che assume l’esercizio dei poteri del Comune in materia di governo del territorio, sotto il profilo della repressione delle attività edificatorie non consentite dalla strumentazione urbanistica vigente.

Né, a fronte di ciò, è possibile ipotizzare in contrario un legittimo affidamento in capo alla società istante, la quale doveva ragionevolmente essere consapevole che il proprio intervento, pur concordato con l’Amministrazione comunale, restava soggetto alla disciplina generale riveniente dalle leggi nazionali e regionali, e pertanto esposto alla possibilità di instaurazione di conflitti ai sensi dei più volte richiamati artt. 25 e segg. della l.r. nr. 1 del 2005.

9. Alla luce delle superiori considerazioni, s’impone una decisione di reiezione dell’appello e di integrale conferma della sentenza impugnata.

10. Tenuto conto della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)