L’intervento di ristrutturazione edilizia nel Testo Unico dell’Edilizia (gli interventi sul patrimonio edilizio esistente all’indomani dell’entrata in vigore delle N.T.C. approvate con D.M. 14 gennaio 2008)
di MASSIMO GRISANTI
Il Testo Unico dell’Edilizia, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 06 giugno 2001, n.
230, contiene – all’art. 3, comma 1, lettera d) – la definizione dell’intervento di “ristrutturazione
edilizia”.
Secondo tale definizione, modificata dall’art. 1, lettera a) del D. Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 prima che
il Testo Unico entrasse in vigore, nella “ristrutturazione edilizia” è ricompresa la “demolizione e
ricostruzione dell’edificio con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Il Testo Unico – all’art. 1, comma 2 – fa salve le speciali normative di settore che incidono sulla disciplina
dell’attività edilizia, con la conseguenza che:
- ne condizionano l’applicazione;
- le definizioni dell’art. 3 sono recessive dinanzi alle normative speciali.
Un esempio è la definizione di restauro contenuta nell’art. 29 del D. Lgs. n° 42/2004 che prevale sulla
diversa definizione contenuta nell’art. 3.
E’ notorio che rientrano nelle discipline settoriali le norme tecniche per le costruzioni, la cui competenza
esclusiva è dello Stato. Le vigenti norme tecniche speciali sono state approvate con il Decreto Ministeriale
14 gennaio 2008 e sono entrate in vigore il 1° luglio 2009: per la loro corretta applicazione il Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici ha emanato l’apposita Circolare 2 febbraio 2009, n. 617.
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Occorre domandarsi se le NTC, e precisamente il Capitolo 8 dedicato alle “Costruzioni esistenti”, abbiano
o meno inciso sulla definizione di “ristrutturazione edilizia” contenuta nell’art. 3 del D.P.R. n° 380/2001.
A mio avviso, alla domanda deve darsi una risposta affermativa: sì, la “ristrutturazione edilizia” non ha
più la portata iniziale. Vediamo perché.
Sin dall’entrata in vigore dell’art. 3 T.U.E. – sulla scorta, anche, del contenuto della Circolare del
Ministero delle infrastrutture 7 agosto 2003, n. 4174 – è stato da più parti sostenuto che il mancato
richiamo – nella nuova definizione voluta dal legislatore della Legge n. 443/2001 – al parametro “dei
materiali edilizi” non ponesse più alcun ostacolo alla ricostruzione con materiali diversi.
Ciò è vero in parte, in quanto è indiscutibile che la ricostruzione con materiali diversi da quelli
originariamente costitutivi l’edificio è senza dubbio un’innovazione: certamente non in termini di
parametri urbanistici, sicuramente in termini di tipologia di materiali impiegati e quindi di qualità della
costruzione.
Su tale linea si pose anche il legislatore dell’epoca, dal momento che – con disposizione derogatoria al
principio dell’invarianza tout court del manufatto e quindi da interpretarsi in via eccezionale – ammise le
innovazioni solamente qualora fossero “necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” e cioè
solamente a tutela del valore primario costituzionale della pubblica incolumità.
E’ del tutto evidente che l’innovazione ammessa in via eccezionale debba rispettare simultaneamente il
duplice limite:
- di essere necessaria;
- di essere volta, unicamente, al conseguimento di un maggior grado di sicurezza statica attraverso
l’intervento di adeguamento alla normativa antisismica.
E’ lapalissiano che l’innovazione non è necessaria qualora la demolizione e ricostruzione sia integrale, dal
momento che – stando alle definizioni contenute nel Capitolo 8 delle NCT – non siamo più in presenza di
un intervento di adeguamento di una “costruzione esistente”, ma di una nuova costruzione.
Peraltro, il legislatore statale aveva già individuato nell’impossibilità della demolizione delle strutture
esistenti il limite all’intervento di adeguamento delle strutture inidonee degli edifici in occasione della
speciale legislazione del condono edilizio. Si riporta, a tal riguardo, quanto contenuto nel punto 3.6 della
Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 17 giugno 1995, n. 2241-UL:
“Quando il professionista incaricato di rilasciare la certificazione statica non ritenga l'opera
"collaudabile",
l'interessato deve presentare un progetto di adeguamento, anch'esso redatto da un tecnico abilitato.
Tale progetto può essere presentato anche separatamente dalla domanda: ma, comunque, entro
centoventi giorni da questa.
Il dodicesimo comma dell'art.35 precisa, infatti, che entro tale termine "l'interessato integra, ove
necessario, la domanda a suo tempo presentata". Pertanto, nell'ipotesi ora fatta l'interessato dovrà, nel
presentare la domanda, dichiarare la inidoneità statica della costruzione, ed il proprio intendimento di
presentare nei centoventi giorni successivi il progetto di adeguamento; al momento della ultimazione
dell'intervento di adeguamento presenterà la certificazione di idoneità statica; il rilascio della
concessione seguirà la presentazione della detta certificazione.
Quanto al progetto in questione, deve precisarsi che la sua qualificazione "di adeguamento" sta a
significare che esso deve prevedere interventi sulle strutture, che non modifichino l'edificio nella sua
consistenza volumetrica e di superficie: e che, anzi, conservi le strutture già realizzate, pur rendendole
staticamente idonee in relazione alla loro funzione.
Non è, quindi, ammissibile non solo un ampliamento dell'esistente, ma neppure una demolizione e
ricostruzione, quando le strutture fossero talmente inidonee, da non poter essere rese staticamente
collaudabili mediante opere di adeguamento.”.
Ecco che, a mio sommesso avviso, la demolizione e ricostruzione dell’edificio è consentita nell’ambito
della categoria d’intervento della “ristrutturazione edilizia” solamente se il risultato finale
dell’operazione non sia una “nuova costruzione”, ricomprendendo in quest’ultima categoria quell’edificio
rinnovato nelle strutture portanti per oltre il 50%.
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Peraltro soggiungo che le NTC pongono ulteriori limiti all’intervento di adeguamento alla normativa
antisismica.
La costruzione su cui si interviene, per essere qualificata come “costruzione esistente” deve avere, alla
data della redazione della valutazione di sicurezza e/o del progetto d’intervento, la struttura
completamente realizzata (Capitolo 8 delle NCT), anche riguardo ad elementi strutturali portanti interni
(quali muri di spina, solai intermedi, ecc.).
A maggior ragione, quindi, non si può più parlare di “costruzione esistente” quando siamo in presenza di
un fabbricato mancante – anche parzialmente – degli elementi strutturali (copertura, solai intermedi, muri
in parte crollati): in tal caso si tratta di “nuova costruzione”.
Su tale posizione si è attestato il Consiglio di Stato, anche di recente con la pronuncia n. 7476 del 13
ottobre 2010.
Di conseguenza, anche il mero ripristino di un elemento strutturale (come un solaio intermedio crollato)
rientra non più tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente (restauro e risanamento
conservativo) bensì siamo in presenza di una species di “nuova costruzione”.
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In conclusione ritengo che:
- non è classificabile come ristrutturazione edilizia la demolizione e ricostruzione di un edificio che
manchi, in tutto o in parte, degli elementi costitutivi: in tal caso deve parlarsi di nuova
costruzione;
- non è classificabile come ristrutturazione edilizia la demolizione e ricostruzione di una
“costruzione esistente” che necessiti di interventi di adeguamento strutturale alla normativa
antisismica per oltre il 50% del volume delle strutture portanti: in tal caso deve parlarsi di nuova
costruzione;
- rientra nella classificazione di ristrutturazione edilizia il rinnovo, anche integrale, delle strutture
di una “costruzione esistente”, senza alterazione dei materiali impiegati, trattandosi, in sostanza
di un intervento di carattere manutentivo di un fabbricato già sismicamente riconosciuto come
idoneo, laddove la modalità esecutiva (della demolizione e ricostruzione) consente all’interessato
di perseguire la limitazione dei costi di costruzione nonché la migliore sanità degli ambienti.
Dall’entrata in vigore del D.M. 14 gennaio 2008 – ossia dal 1° luglio 2009 – le “costruzioni esistenti” sono
solamente quelle integre (ancorché con diverso grado di manutenzione) dal punto di vista strutturale: le
rimanenti sono variamente classificabili come “ruderi”, la cui ricostruzione – totale o parziale – integra la
categoria di intervento della nuova costruzione.
Si consideri, peraltro, che le definizioni contenute nell’art. 3 del T.U.E. sostituiscono ex lege quelle
differenti contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi (Cons. Stato, n. 678 del 28
gennaio 2011), con la conseguenza che è opportuna una rimodulazione degli strumenti urbanistici
comunali laddove il redattore del piano voleva consentire – definendoli come interventi di ristrutturazione
edilizia, da qualificarsi, invece per quanto sopra, come nuova costruzione – il recupero del patrimonio
edilizio esistente finanche attraverso un’operazione di ricostruzione su ruderi.