L'istanza di permesso a sanatoria non sospende l'efficacia dell'ordinanza di demolizione
(Commento a TAR Campania, NA, sentenza n. 6024 depositata il 23/12/2013)

di Massimo GRISANTI

Con la sentenza in commento, riportata in appendice, il TAR Campania, Napoli (Pres. Guadagno, Est. Cons. Carpentieri) ha ribadito la posizione della III^ Sezione (recentemente condivisa anche da TAR Lazio, RM, n. 11171 depositata il 30/12/2013) in ordine agli effetti della presentazione dell'istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 nei sull’ordinanza di demolizione precedentemente emessa.

 

Ha statuito il TAR:

“[...] Corollario applicativo dei principi ora enunciati è che l’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali, non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o caducazione, o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione, ma provoca esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea non esecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato l’eventuale atto tacito di diniego, ragion per cui, una volta decorso tale termine e in mancanza di impugnazione giurisdizionale tempestiva di tale diniego taciuto, l’ingiunzione di demolizione riprende ipso facto vigore e non occorre in nessun caso una riedizione del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione procedente. [...]”.

 

Le conclusioni a cui è giunto il TAR non sono pienamente condivisibili, e ciò in ragione delle disposizioni – di natura eccezionale e pertanto di stretta interpretazione – che disciplinano il rilascio del permesso a sanatoria e, di conseguenza, le condizioni per l'ottenimento dei relativi benefici.

 

Invero, così dispone l'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001:

“1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. [...]”.

 

Come è chiaramente evincibile:

  1. il legislatore non ha disposto alcunché circa gli effetti specificamente collegabili alla mera richiesta del permesso a sanatoria, con la conseguenza che alla presentazione dell'istanza non è stata attribuita alcuna conseguenza in ordine all'efficacia e all'esecutività dell'ordinanza di demolizione;

  2. in ogni caso (“comunque”) non è più ottenibile il permesso a sanatoria una volta che le sanzioni amministrative siano state irrogate.

 

Non si dimentichi, inoltre, che la funzione dell'ingiunzione di demolizione “[...] è quella di provocare la tempestiva demolizione del manufatto abusivo ad opera del responsabile rendendogli noto che il mancato adeguamento spontaneo determina sanzioni più onerose della semplice demolizione ed essendo perciò sufficiente, a tale scopo, che l’atto indichi il tipo di sanzioni che la legge collega all’abuso senza puntualizzare le aree eventualmente destinate a passare nel patrimonio comunale; l’interessato può infatti così compiere le proprie valutazioni le quali non possono essere influenzate dalla semplice non conoscenza delle aree di cui il Comune disporrà concretamente l’acquisizione. [...]” (Cons. Stato, Sez. V, n. 341/2000). Una funzione che verrebbe meno se con artifizi oppure con un'errata applicazione delle disposizioni di legge la demolizione fosse procrastinata.

 

Orbene, la Corte Costituzionale (v. sentenza n. 345/1991) ebbe a stabilire che l'acquisizione gratuita dell'acquisizione dell'immobile abusivo e dell'area di pertinenza costituisce una sanzione amministrativa, che viene irrogata de iure ed automaticamente per effetto della volontaria inottemperanza (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, n. 718/2013; Sez. V, n. 3834/2013 - TAR Lombardia, MI, n. 3368/2011 - TAR Puglia, BA, n. 714/2013 - TAR Campania, NA, n. 2583/2012; n. 2565/2012 – TAR Veneto, n. 1059/2011 – TAR Piemonte, n. 639/2011 – Cass. Penale, Sez. III, n. 21926/2013; n. 21924/2013; n. 8082/2011; n. 40924/2010; n. 20564/2010; n. 2912/2010; n. 48031/2008).

 

E' quindi evidente che non esiste, nella legge, alcun effetto sospensivo dell'efficacia e dell'esecutività dell'ordine di demolizione per effetto della mera presentazione dell'istanza di accertamento di conformità.

 

Anzi, vi è di più!

 

Il richiedente può ottenere il permesso a sanatoria (che impedisce la demolizione) solo fino al 90° giorno, giacché da quello successivo ciò gli è impedito proprio dal fatto che non è più giuridicamente proprietario del bene (cioè su di esso non vanta più diritti reali) per effetto dell'acquisizione automatica gratuita e di diritto a favore del Comune, rimanendone esclusivamente possessore fintanto che il Comune non effettui la notifica all'interessato del verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione (v. art. 31, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001).

 

Senza contare che “[...] decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni dalla notificazione dell'ordinanza di demolizione della costruzione abusiva, se l'inottemperanza non sia giustificata, si verifica automaticamente l'acquisizione al patrimonio del comune di tale costruzione, nonché dell'area di sedime e di quella ulteriore necessaria ai fini urbanistico-edilizi, cosi' che la demolizione che il proprietario abbia realizzato successivamente, anche dopo l'accertamento della inesecuzione operato dai vigili urbani, e' non solo irrilevante, ma anche illegittima, illecita e arbitraria; [...]” (Cons. Stato, Sez. V, n. 341/2000), in quanto il responsabile dell'abuso demolisce un bene, che non è più suo, senza il consenso del Comune quale nuovo proprietario.

 

Pertanto, nel caso in cui il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario avanzino l’istanza di permesso a sanatoria trascorsi i primi trenta giorni dalla notifica dell’ingiunzione a demolire, il tempo a disposizione dell’interessato per ottenere il permesso a sanatoria si riduce automaticamente di un egual numero di giorni rispetto ai sessanta giorni a disposizione dell’amministrazione comunale trascorsi i quali si forma il silenzio rigetto.

Diventa così inutile – mediante richieste di integrazione documentale o artifizi amministrativi – la procrastinazione della durata del procedimento avviato a seguito dell’istanza di accertamento di conformità, giacché “comunque” dopo il 90° giorno dalla notifica dell’ingiunzione l’acquisizione automatica de iure del bene al patrimonio rende improcedibile l’istanza – qualora su di essa non si sia già formato il silenzio rigetto o sia stata espressamente rigettata – per sopravvenuta impossibilità ad “ottenere” (ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001) il titolo a sanatoria.

 

Concludendo, solo l'ordinanza sospensiva cautelare dei Giudici amministrativi (o un decreto presidenziale cautelare in attesa della pronuncia sulla richiesta sospensiva), adottata nel termine di novanta giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, può impedire l'automatica acquisizione de iure del bene abusivo al patrimonio comunale nel caso in cui il permesso a sanatoria non venga ottenuto entro il medesimo termine e non sia stato ottemperato all'ordine impartito dal dirigente comunale.

 

E' quindi auspicabile che i Giudici amministrativi inizino a dare piena applicazione alle ottime disposizioni di legge finalizzate a reprimere duramente, mediante la confisca, lo scorretto utilizzo del territorio (spesso occasione per il reimpiego di denari di provenienza illecita).

 

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Scritto il 6 gennaio 2014

 

APPENDICE

 

N. 06024/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03356/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 3356 del 2009, proposto da:

Prisco Pasquale, rappresentato e difeso dagli avv. Gianluca De Lorenzo e Mariarosaria Ranieri, con domicilio eletto presso Gianluca De Lorenzo in Napoli, via dei Fiorentini n. 21, scala A, int. 59;

contro

Comune di San Giuseppe Vesuviano in persona del Sindaco p.t., non costituito;

per l'annullamento

dell'ordinanza n. 51 del 31/03/2009, notificata il 03/04/2009, emessa dal Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di San Giuseppe Vesuviano, con la quale si ordina la demolizione delle opere edili realizzate alla via Nappi III trav. dx., nel Comune di San Giuseppe Vesuviano, di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale, comunque lesivo dei diritti del ricorrente.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

 

Viste le memorie difensive;

 

Vista l’ordinanza n. 1253/2011 del 21 luglio 2011, con la quale la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Paolo Carpentieri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

Con il ricorso in esame, notificato il 29 maggio 2009 e depositato in segreteria il 17 giugno 2009, il sig. Prisco Pasquale, proprietario di un immobile sito in San Giuseppe Vesuviano alla Via Nappi III trav. dx, ha impugnato, deducendo plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, il provvedimento, indicato in epigrafe, con il quale il Comunesuddetto gli ha ingiunto, sulla base del verbale di accertamento della polizia municipale del 23 ottobre 2006, la demolizione delle opere abusivamente realizzate sull’immobile di sua proprietà, pure sopra indicato, e consistite "nella costruzione in ampliamento a un vecchio fabbricato a lato est di un piano terra composto da n. 4 pilastri imbullonati su basamento in conglomerato cementizio, con copertura in lamiere grecate, occupante una superficie di mq 33 circa e una volumetria di 149 mc circa, ampliamento all'abitazione a primo piano, insistente sull'ampliamento del piano terra, formato da prosieguo dei n. 4 pilastri in ferro, copertura con lamiere coibentate a falda inclinata, getto di conglomerato cementizio a calpestio del primo piano, sulle lamiere di cui sopra, e costruzione di parziali tompagnature in blocchi di lapilcemento ai lati nord e sud con posa in opere di ringhiera in ferro a lato est, il tutto sulla stessa superficie del piano terra”, il tutto per una volumetria aggiuntiva di circa 269 mc.

 

Il Comune di San Giuseppe Vesuviano non si è costituito in giudizio.

 

Con ordinanza n. 1253/2011 del 21 luglio 2011 la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati.

 

Alla pubblica udienza del 21 novembre 2013 nessuno è comparso per le parti e la causa, ritualmente chiamata, è stata trattenuta per la decisione.

 

Il ricorso è infondato e non può pertanto ricevere accoglimento.

 

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente sostiene che, nella fattispecie in esame, attese le caratteristiche della struttura oggetto della demolizione e la asserita finalità della stessa, non sarebbe stato applicabile il regime sanzionatorio di cui all'art. 31 del testo unico in materia edilizia del 2001, ma, a tutto concedere, avrebbero al più potuto trovare “applicazione esclusivamente le disposizioni sanzionatorie pecuniarie pari al doppio del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse e comunque in misura non inferiore a £. 500.000 cinquecentomila) ".

 

La censura è del tutto infondata.

 

Le caratteristiche e l’entità dell’opera, come sopra indicate e pacificamente accertate in atti (non vi è, invero, alcuna contestazione sul punto delle risultanze degli accertamenti della polizia locale), costituiscono senza dubbio opere richiedenti il permesso di costruire e, dunque, integrano una tipologia di abuso conseguentemente sanzionabile senz’altro con la misura demolitoria assunta dall’amministrazione intimata.

 

Con il secondo mezzo di gravame parte ricorrente invoca l’intervenuta richiesta di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (istanza del 6 maggio 2009, assunta al protocollo del Comune di San Giuseppe Vesuviano al n. 2426).

 

Anche tale deduzione è inconferente e non può valere a inficiare la validità degli atti demolitori qui impugnati.

 

Come la Sezione ha avuto modo in più occasioni di statuire (sentenze 27 gennaio 2010, n. 327, 29 marzo 2010, n. 1712, 17 settembre 2010, n. 17440, 2 settembre 2011, n. 4317), merita adesione l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo il quale la disposizione normativa recata dall’art. 36, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, già art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (in base al quale “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”), configura a tutti gli effetti un’ipotesi di tipizzazione legale del silenzio serbato dall’amministrazione. Con la conseguenza che, una volta inutilmente decorso il suddetto termine, sulla domanda di sanatoria si forma a tutti gli effetti un atto tacito di diniego, con il conseguente onere della parte

interessata di agire in sede impugnatoria nel termine di legge di sessanta giorni decorrente dalla data di formazione dell’atto negativo tacito (Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 401; sez. V, 11 febbraio 2003, n. 706; sez. II, par. 12 aprile 2006, n. 7375/2004; Id., par. 7 maggio 2008, n. 4581/20077; CGA, 14 settembre 2009, n. 792; Tar Piemonte, sez. I, 8 marzo 2006, n. 1173; Id., 27 novembre 2007, n. 3508; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 21 marzo 2006, n. 642; Tar Lazio, Latina, 9 ottobre 2006, n. 1044; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 2006, n. 7960 e 12 febbraio 2008, Id., sez. II, 21 novembre 2006, n. 10061, 23 settembre 2008, n. 10619; 8 giugno 2009, n. 3139; Id., sez. VII, 5 dicembre 2006, n. 10401; Id., sez. II; Tar Campania, Salerno, Sez. II, 7 marzo 2008, n. 257).

 

Questa soluzione, oltre che rispondente in tutta evidenza alla lettera del disposto normativo (in claris non fit interpretatio), risulta coerente anche con i criteri ermeneutici finalistico e sistematico, atteso che, da un lato, corrisponde al fine di legge di assicurare prontamente e tempestivamente il ripristino dell’interesse pubblico prioritario al corretto assetto urbanistico edilizio del territorio violato dall’abuso, evitando il protrarsi di situazioni di incertezza tali che possano premiare e incentivare l’abusivismo, dall’altro lato esprime – del tutto logicamente – una presunzione relativa di non conformità urbanistico-edilizia dei lavori realizzati senza titolo, ponendo ragionevolmente a carico del soggetto che ha violato la legge e versa in una condizione illecita l’onere di attivarsi prontamente, anche nelle sedi giudiziarie, affinché sia dimostrato il contrario (ossia la natura solo formale e non sostanziale dell’abuso). La soluzione “attizia” della tipizzazione del silenzio come atto tacito di diniego risulta inoltre congruente con la natura vincolata dell’accertamento di conformità.

 

La Sezione dissente dal diverso orientamento, pure seguito da talune pronunce di altra Sezione di questo Tar (ad es., sez. IV, dec. in forma abbreviata 25 maggio 2006, n. 6134), secondo cui la tesi “comportamentale” del silenzio-inadempimento avrebbe trovato formale consacrazione nella previsione dell’art. 43 della legge regionale della Campania sul governo del territorio n. 16 del 2004 (peraltro, nel senso, qui preferito, della ininfluenza sulla questio juris qui discussa del citato art. 43 della legge regionale n. 16 del 2004, cfr. di questo Tar , sez. VI, dec. 17 marzo 2008, n. 1366).

 

L’art. 43 ora citato, rubricato Accertamenti di conformità delle opere edilizie abusive, prevede quanto segue: “1. I responsabili dei servizi comunali competenti in materia di vigilanza sugli abusi edilizi trasmettono al presidente della giunta regionale l'elenco, corredato della relativa documentazione, delle opere abusive per le quali è stato richiesto l'accertamento di conformità previsto dal D.P.R. n. 380/01, articolo 36. 2. Il presidente della giunta regionale, trascorso il termine di cui al D.P.R. n. 380/01, articolo 36, comma 2, diffida il comune a pronunciarsi con provvedimento espresso sulla richiesta di accertamento di conformità entro i termini di cui alla legge regionale n. 19/01, articolo 1. 3. In caso di protratta inerzia del comune, il presidente della giunta regionale richiede l'intervento sostitutivo della provincia, da espletarsi nei termini e con le modalità di cui alla legge regionale n. 19/01, articolo 4. 4. La provincia trasmette i provvedimenti adottati in ordine all'accertamento di conformità al presidente della giunta regionale, al comune inadempiente ed all'interessato. 5. Se l'accertamento di conformità dà esito negativo, si applicano le disposizioni di cui alla legge regionale 18 novembre 2004, n. 10, articolo 10. 6. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i responsabili dei servizi comunali competenti in materia di vigilanza sugli abusi edilizi trasmettono al presidente della giunta regionale l'elenco delle opere abusive per le quali è stato richiesto e non ancora compiuto l'accertamento di conformità previsto dal D.P.R. n. 380/01, articolo 36, corredato della relativa documentazione”.

 

Ora, la disposizione citata – che non qualifica in modo espresso il silenzio serbato dall’autorità comunale come inadempimento, ma si limita a predisporre e disciplinare un apposito meccanismo sostitutorio volto a provvedere sulla domanda in caso di silenzio comunale – deve essere interpretata – ad avviso del Collegio - in modo costituzionalmente orientato, nel senso della sua neutralità sul tema, qui in discussione, della qualificazione del silenzio nell’ambito del meccanismo dell’accertamento di conformità. Ed invero, la scelta del legislatore nazionale, chiaramente volta a qualificare il silenzio come atto tacito negativo, esprime (per le ragioni sistematiche e finalistiche sopra accennate) un principio fondamentale della materia urbanistica (“governo del territorio”), come tale non derogabile dalla legislazione regionale. La diversa interpretazione – che invece attribuisce alla norma regionale una portata qualificatoria del silenzio, in contrasto con il principio fondamentale della legge “quadro” nazionale – esporrebbe la disposizione regionale medesima a non infondati dubbi di costituzionalità. Non vi è peraltro nessuna contraddittorietà – sussistendo, invece, complementarietà e compatibilità logica – tra la qualificazione “attizia” negativa del silenzio e la previsione di meccanismi sostitutori – quali quelli introdotti dal citato art. 43 della legge regionale del 2004 – volti a provocare comunque una pronuncia amministrativa sulla domanda del privato. Ed invero, resta pacifica (a partire dalle note pronunce dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 16 e 17 del 1989 in tema di silenzio-rigetto) la giurisprudenza – del tutto condivisibile – che riconosce il potere di decisione postuma dell’amministrazione ed esclude la consumazione del potere di pronuncia sulla domanda pur dopo scaduto e inutilmente trascorso il termine di legge e ancorché con ciò sia maturata la pronuncia negativa tacita. Nulla osta, dunque, a che al meccanismo acceleratorio della tipizzazione legale del silenzio in senso negativo si affianchi un meccanismo volto ad assicurare in ogni caso una pronuncia, ancorché in via sostitutoria, sul merito della domanda. Né contrasta con questa soluzione l’onere di impugnativa giurisdizionale che incombe sulla parte, poiché nulla vieta che, una volta proposto ricorso innanzi al Tar avverso il diniego tacito, l’eventuale pronuncia dell’autorità sostituita determini (a seconda se favorevole o sfavorevole e confermativa del diniego) la sopravvenuta carenza d’interesse all’impugnativa giurisdizionale o l’onere di proposizione, in quella sede, di appositi motivi aggiunti.

 

La diversa soluzione, pur da taluna giurisprudenza propugnata, nel senso della natura non significativa del silenzio e nel senso, dunque, della inefficacia (o successiva invalidità) dell’ingiunzione di demolizione, onde l’improcedibilità del ricorso giurisdizionale avverso la misura sanzionatorio ripristinatoria, sol che la parte abbia depositato una qualche domanda di sanatoria, rimasta inevasa, condurrebbe, d’altro canto, all’esito aberrante di paralizzare la reazione sanzionatoria dell’ordinamento avverso gli abusi edilizi, così di fatto facilitando il consolidamento degli abusi e incentivando la prosecuzione dell’abusivismo edilizio, con sostanziale svuotamento delle finalità dichiaratamente perseguite dal legislatore (non deve dimenticarsi in proposito che l’originario art. 13 della legge n. 47 del 1985 era contenuto nel capo primo di quella legge, destinato all’inasprimento della reazione sanzionatoria avverso l’abusivismo edilizio, in contrappeso dialettico al capo quarto di quella stessa legge, introduttivo, come è noto, del condono edilizio per il passato). In questo senso – sia pur con riferimento ad analoga previsione della legislazione regionale pugliese – si è espresso di recente anche il Giudice d’appello (Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 100, che ha annullato Tar Puglia, Bari, sez. III, 25 giugno 2005, n. 3035) affermando il principio per cui la legge regionale che prevede un potere sostitutivo nel caso in cui il sindaco omette di pronunciarsi entro sessanta giorni sulla domanda in sanatoria, essendo norma di organizzazione, non è incompatibile con l’art. 13 della legge n. 47 del 1985, a norma della quale la detta omissione comporta il rigetto della domanda.

 

Corollario applicativo dei principi ora enunciati è che l’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali, non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o caducazione, o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione, ma provoca esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea non esecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato l’eventuale atto tacito di diniego, ragion per cui, una volta decorso tale termine e in mancanza di impugnazione giurisdizionale tempestiva di tale diniego taciuto, l’ingiunzione di demolizione riprende ipso facto vigore e non occorre in nessun caso una riedizione del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione procedente.

 

Da tutto quanto ora esposto deriva la conseguenza applicativa, venendo alla fattispecie concreta qui all’esame del Collegio, che la mancata prova dell’impugnazione vittoriosa, da parte del ricorrente, dell’atto tacito di diniego formatosi sulla sua domanda di accertamento di conformità presentata il 6 maggio 2009 rende a questo punto, ad oggi, del tutto irrilevante e definitivamente superata la contestazione mossa nel motivo di censura in esame.

 

Sotto un ulteriore profilo parte ricorrente contesta il fatto che il provvedimento impugnato contenesse il preannuncio dell'automatica acquisizione al patrimonio disponibile del Comune delle opere oggetto di sanzione, senza – a suo dire – che fosse in alcun modo identificata e/o identificabile l'area interessata da tali acquisizioni. Anche questa contestazione è priva di pregio e va respinta, atteso che, come chiarito dalla prevalente giurisprudenza, condivisa dalla Sezione, tali specificazioni e puntuali indicazioni degli immobili e delle aree acquisibili al patrimonio comunale costituiscono elemento integrante ed essenziale del successivo atto di acquisizione, che segue, nella sequenza procedimentale, l’eventuale verbale di accertamento di inottemperanza, ma non devono fare parte, invece, del contenuto minimo e necessario dell’ingiunzione di demolizione.

 

Parimenti priva di fondamento è l’ulteriore prospettazione di parte ricorrente secondo cui le opere oggetto dell'impugnata ordinanza sarebbero del tutto prive di qualsiasi propria autonoma identità e perciò sarebbero insuscettibili di una separata e autonoma utilizzazione. Anche tale doglianza, a prescindere in questa sede dalla sua rilevanza e con divisibilità nel merito, risulta non pertinente alla fase della demolizione, essendo tutt’al più riferibile alla sola fase successiva dell’eventuale acquisizione.

 

Appaiono infine manifestamente infondate, per oramai stabile giurisprudenza, le contestazioni di asserita incostituzionalità della legge nella parte in cui è prevista l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'area su cui insiste la costruzione abusiva (per asserite finalità espropriative senza indennizzo).

 

Infondato si appalesa altresì il quarto motivo di ricorso, diretto a lamentare la violazione del principio del giusto procedimento e di partecipazione degli interessati (nella fattispecie, secondo parte ricorrente, l'amministrazione avrebbe completamente disatteso la fase istruttoria del procedimento amministrativo e, in particolare, l'attività relativa all'acquisizione degli interessi coinvolti).

 

Al riguardo il Collegio, in linea con la prevalente giurisprudenza amministrativa e con il consolidato orientamento interno, giudica priva di fondamento siffatta doglianza, posto che gli atti di repressione degli abusi edilizi, in quanto dovuti (nell’an) e interamente vincolati (nel quid), non richiedono apporti partecipativi del soggetto destinatario. Questa posizione, ancorché messa in dubbio da altra parte della giurisprudenza, in relazione alla possibile utilità della partecipazione del privato ai fini del completamento dell’istruttoria e della migliore focalizzazione dei presupposti di fatto del provvedimento, trova oggi conforto e sostegno ulteriori nella disposizione contenuta nell’art. 21-octies, secondo comma, secondo periodo, inserito nella legge n. 241 del 1990 dalla legge n. 15 del 2005. Alla stregua di questa disposizione deve comunque escludersi l’annullabilità dell’ingiunzione o dell’ordine di demolizione allorquando il ricorrente non fornisca elementi di prova rilevanti e significativi idonei a contestare e a mettere in dubbio la verità dei fatti posti dall’amministrazione a base del provvedimento sanzionatorio. In mancanza di tale prospettazione e documentazione probatoria idonea, la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento resta comunque ininfluente e non consente l’annullamento dell’atto impugnato. Nel caso di specie parte ricorrente non ha contestato il fatto della realizzazione abusiva, così come rilevata dall’amministrazione, e non ha fornito alcun elemento utile al fine di infirmare in punto di fatto gli accertamenti istruttori richiamati dal Comune procedente quali presupposti di fatto giustificativi del provvedimento sanzionatorio adottato. La censura è dunque infondata e comunque inammissibile.

 

La mancata indicazione, di cui pure si è doluta parte ricorrente, della figura del responsabile del procedimento ai sensi degli artt. 4 ss. della 1egge n. 241 del 1990, costituisce, come è noto, una mera irregolarità non viziante, che non menoma in alcun modo la validità dell’atto.

 

Infondato, alla stregua della costante giurisprudenza, anche della Sezione, deve inoltre giudicarsi il quinto motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente ha contestato un preteso difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata. Pacifica giurisprudenza – cui la Sezione aderisce – ha invero ormai affermato il principio secondo cui i provvedimenti sanzionatori e ripristinatori di abusi edilizi non abbisognano di una particolare motivazione, e ciò sia in relazione alla già evidenziata natura dovuta e interamente vincolata dell’atto sanzionatorio, sia in ragione del fatto che l’interesse pubblico all’adozione della misura repressiva è in re ipsa (cfr. di questa Sezione, dec. 9 ottobre 2007, n. 9134, nonché, della Sez. VI, 9 gennaio 2008, n. 53).

 

Per tutti gli esposti motivi il ricorso in esame deve giudicarsi infondato e va, come tale, rigettato. La mancata costituzione del Comune intimato esime il Collegio dal regolamento delle spese di causa, restando irripetibili quelle sostenute dalla parte ricorrente, che devono dunque restare a suo carico.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

 

Nulla in ordine alle spese.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Sabato Guadagno, Presidente

Paolo Carpentieri, Consigliere, Estensore

Paola Palmarini, Primo Referendario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/12/2013