TAR Campania (NA) Sez. II n. 10984 del 31.05.2010
Urbanistica. Demolizioni in Campania

Decreto legge 28.04.2010, n- 62, di sospensione delle demolizioni delle opere edilizie abusive nella Regione Campania: demolizione di opera abusiva non disposta "a seguito di sentenza penale"- INAPPLICABILITA'; realizzazione dell'abuso successiva al 31.3.2003- INAPPLICABILITA'

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6771 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Castrese Pennacchio, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Bruno Molinaro – subentrato in corso di causa all’originario difensore avv. Cosmo Pellegrino – con ultimo domicilio eletto in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R.;

contro

Comune di Giugliano in Campania, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giuliano Agliata, con domicilio eletto in Napoli, alla via G. Porzio – Centro Direzionale – Isola G/8;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia:

- dell’ordinanza repressiva di lottizzazione abusiva n.126 del 14 agosto 2008;

- del provvedimento prot. n.457 del 7 gennaio 2009 con cui è stata rigettata la domanda di condono edilizio presentata in data 10 dicembre 2004.

 

Visto il ricorso coi relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Giugliano in Campania;

Visti i motivi aggiunti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2010 il dott. Pierluigi Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue..

 

FATTO

Con atto notificato in data 14 novembre 2008 e depositato il 13 dicembre seguente, il sig. Castrese Pennacchio (nato il 24.1.1927) ha premesso che, dopo aver diviso il fondo di proprietà – sito nel Comune di Giugliano in Campania, località Rannola, ricadente sotto il profilo urbanistico in zona E/1 agricola normale del vigente piano regolatore ed individuato in catasto con la particella n.75 del foglio 80 – in due particelle di identica superficie (n.675 e n.676), ciascuna con una estensione di 7484 mq., con atto per notaio Prattico del 28.5.1993, ha donato la nuda proprietà della stesse ai suoi due figli Antonio e Tommaso, riservandosi l’usufrutto.

Con l’atto introduttivo del giudizio il ricorrente ha impugnato l’ordinanza n.126 del 14 agosto 2008 con cui il competente dirigente comunale ha sanzionato, ai sensi dell’art.30 del D.P.R. n.380 del 2001, la lottizzazione abusiva asseritamente posta in essere sulla porzione di territorio ivi meglio specificata, in cui sono incluse anche le suddette particelle.

A sostegno della domanda giudiziale di annullamento del suddetto provvedimento ha dedotto i seguenti motivi di diritto :

1) Violazione dell’art.7 della legge n.241/1990 – ove lamenta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento;

2) Violazione dell’art.30, comma 10, del D.P.R. n.380/2001 – stante l’inapplicabilità della misura repressiva ai frazionamenti immobiliari eseguiti nell’ambito di una donazione tra parenti in linea retta;

3) Violazione dell’art.30, comma 10, del D.P.R. n.380/2001 – Omessa considerazione di elementi essenziali – con cui rappresenta il conseguente vizio di difetto di d’istruttoria in relazione alla circostanza sopra evidenziata;

4) Violazione dell’art.30 del D.P.R. n.380/2001 – poiché l’amministrazione, oltre ad ordinare la sospensione di ogni opera edilizia e della presunta lottizzazione, ha altresì contestualmente disposto la demolizione dei manufatti realizzati, fuoriuscendo così dallo schema tipico della potestà esercitata ai sensi della richiamata previsione normativa del T.U. sull’edilizia;

5) Ulteriore violazione dell’art.30 del D.P.R. n.380/2001 – Eccesso di potere per sviamento – stante l’inerzia dell’ente proseguita per diversi anni e la buona fede degli aventi causa;

6) Violazione sotto altro profilo della norma già richiamata – Eccesso di potere – Sviamento – Difetto assoluto di motivazione – Erroneità nei presupposti – Illogicità – ove assume l’inesistenza dei presupposti della lottizzazione abusiva ed, in particolare, di elementi precisi ed univoci che evidenzino l’intento di asservire all’edificazione, per la prima volta, un’area non urbanizzata.

Si è costituito in resistenza il Comune di Giugliano in Campania, che ha controdedotto in merito alla censure prospettate, concludendo con richiesta di reiezione del gravame.

Con ricorso per motivi aggiunti la domanda giudiziale è stata estesa al provvedimento prot. n.457 del 7 gennaio 2009 con cui è stata rigettata la domanda di condono edilizio presentata in data 10 dicembre 2004.

Le parti hanno presentato memorie difensive insistendo nelle rispettive richieste.

Alla pubblica udienza del 29 aprile 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via pregiudiziale deve essere esaminata la richiesta formulata oralmente dal difensore della parte ricorrente all’odierna pubblica udienza del 29 aprile 2010, diretta ad ottenere l’applicazione della deliberazione adottata dal Consiglio dei Ministri (nella riunione del 23 aprile 2010) con cui è stata disposta la sospensione delle attività di demolizione nella regione Campania.

Ad avviso del Collegio l’istanza non può trovare favorevole considerazione nel presente giudizio.

Va anzitutto osservato che le evocate previsioni normative non erano ancora vigenti al momento della domanda e del passaggio in decisione della causa, atteso che le stesse sono confluite nel decreto legge emanato in data 28 aprile 2010 e sono entrate in vigore, ai sensi dell’art.2, comma 1, dello stesso decreto, “il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”, effettuata sul n.99 del 29 aprile 2010. Va comunque aggiunto che, con tutta evidenza, non sussistono i presupposti stabiliti dall’art.1, comma 1, del citato D.L. n.62/2010, sia perché nel caso di specie non viene in rilievo una demolizione disposta “a seguito di sentenza penale” sia perché, come si chiarirà più avanti (al capo 3.2.), difetta il requisito temporale della realizzazione dell’abuso “entro il 31 marzo 2003”,

2. Passando alla trattazione del merito della controversia, va premesso che, con il provvedimento impugnato con l’atto introduttivo del giudizio, il Comune di Giugliano in Campania ha ordinato a 20 soggetti – quali proprietari o alienanti degli immobili corrispondenti alle diverse particelle catastali, ivi specificate, del foglio di mappa n.80 – l’immediata sospensione della lottizzazione abusiva asseritamente posta in essere sulla suddetta porzione di territorio, che ricade sotto il profilo urbanistico in zona E/1 agricola normale del vigente piano regolatore. L’autorità emanante ha rilevato che tutta l’area ivi individuata è stata prima frazionata ed ha poi costituito oggetto di una serie di atti di trasferimento della titolarità, con l’esecuzione di vari manufatti edilizi abusivi, che avrebbero comportato una trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni a scopo edificatorio, integrando così la fattispecie sanzionata dall'articolo 30 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Con il gravame in trattazione, il sig. Castrese Pennacchio ha contestato la legittimità del procedimento culminato nell’impugnata misura repressiva, per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, per violazione sotto diversi profili dell’art.30 del d.P.R. n.380/2001 e per eccesso di potere, nelle figure sintomatiche dello sviamento, del difetto di motivazione e di istruttoria e per illogicità.

Il ricorso è infondato.

2.1. Va precisato in fatto che, con atto per notaio Prattico del 28.5.1993, il sig. Castrese Pennacchio (nato il 24.1.1927), dopo aver diviso il fondo, individuato in catasto con la particella n.75 del foglio 80, in due particelle di identica superficie (n.675 e n.676), ciascuna con una estensione di 7484 mq., ha donato la nuda proprietà della prima al figlio Antonio e della seconda all’altro figlio Tommaso, riservandosi l’usufrutto. Dopo un ulteriore frazionamento (per quanto d’interesse nel presente giudizio, la particella n.675 ha dato origine a quelle individuate coi nn.895, 896, 897, 898, 899, 900, 901 e 902, mentre la particella n.676 ha dato origine a quelle individuate coi nn.903, 904, 905, 906, 907, 908 e 909), con atto per notaio Carbone dell’1.3.2005, i sig.ri Antonio e Tommaso Pennacchio hanno poi donato la nuda proprietà di alcune di queste ai propri congiunti, fermo restando l’usufrutto in capo all’ascendente Castrese Pennacchio, odierno ricorrente. Inoltre, come si evince dal provvedimento impugnato, alcune particelle sono state successivamente alienate a terzi e risultano interessate dalla realizzazione di vari manufatti abusivi.

2.2. Giova poi premettere che l’articolo 30 del T.U. sull’edilizia – che riproduce le disposizioni contenute nel previgente articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 – distingue due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio. La prima, cd. lottizzazione materiale o reale, ricorre “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”. La seconda, cd. formale, negoziale ovvero cartolare, si delinea “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.

Va osservato che ai fini della configurazione di una lottizzazione cd. negoziale non è sufficiente che il terreno sia frazionato e venduto o comunque attribuito ad una pluralità di soggetti, in quanto la norma richiede un terzo requisito ossia la non equivocità della destinazione a scopo edificatorio abusivo sia del frazionamento che della vendita (cfr. Consiglio Stato, Sezione V, 20 ottobre 2004, n. 6810; T.A.R. Campania, Sezione VI, 20 gennaio 2005, n.261). È stato altresì precisato che, se è vero che in tema di lottizzazione abusiva per mezzo di frazionamento e vendita di terreno l'accertamento della fattispecie implica la ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi suindicati, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca "la destinazione a scopo edificatorio" degli atti posti in essere dalle parti (Consiglio di Stato, Sezione V, 20 ottobre 2004, n. 6810), d'altra parte non è necessario che sia dimostrata l'esistenza di tutti gli indici rilevatori indicati nella citata norma, ma è sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo indizio (Consiglio di Stato, Sezione V, 14 maggio 2004, n. 3136 e 2 dicembre 2008, n.5930).

2.3. Venendo al caso in esame, ritiene il Collegio che il Comune di Giugliano in Campania ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, evidenziando come sulla suindicata porzione di territorio sono stati compiuti, nel corso degli anni, non solo il frazionamento di un più ampio fondo (la ex particella n.75 del foglio n.80, di 14.599 mq.) in più lotti e la compravendita di questi ultimi, ma anche realizzate attività materiali indubbiamente idonee ad attuare una trasformazione urbanistica ed edilizia in violazione delle prescrizioni del P.R.G. dirette a salvaguardare la destinazione agricola dell’area.

Il disegno lottizzatorio emerge chiaramente ove si considerino unitariamente, nel loro sviluppo cronologico, le circostanze fattuali poste a base dell’iter logico seguito dall’organo emanante, come esplicitate nell’atto in discussione e confermate dalla complessiva documentazione depositata in giudizio. Ed invero:

a) dopo il primo frazionamento dell’originario fondo (la suindicata particella n.75) in due nuove particelle di identica superficie (n.675 e n.676, ciascuna con una estensione di 7484 mq.), il sig. Castrese Pennacchio (nato il 24.1.1927) ha donato (con atto del 28.5.1993) la nuda proprietà delle stesse ai suoi due figli Antonio (la n..675) e Tommaso (la n.676);

b) dopo un ulteriore frazionamento (per quanto d’interesse nel presente giudizio, la particella n.675 ha dato origine a quelle individuate coi nn.895, 896, 897, 898, 899, 900, 901 e 902, mentre la particella n. .676 ha dato origine a quelle individuate coi nn.903, 904, 905, 906, 907, 908 e 909), i sigg. Antonio e Tommaso Pennacchio hanno donato la nuda proprietà di alcune di queste ai propri congiunti (con atto dell’1.3.2005), fermo restando l’usufrutto in capo all’ascendente Castrese Pennacchio, odierno ricorrente;

c) con successivi atti di compravendita stipulati in un breve arco temporale (dal 6.4.2005 al 19.5.2005), diversi lotti sono stati poi alienati a terzi (particelle n.895, 896, 897, 898, 903, 904);

d) dagli accertamenti compiuti dall’amministrazione comunale, risultano eseguite costruzioni abusive sulle particelle nn. 892, 896, 898, 899, 903, 904, 905, 907;

e) sulla base dei suindicati presupposti e tenuto conto delle dimensioni, della destinazione urbanistica, del numero e dell’ubicazione dei lotti, l’amministrazione ha quindi sanzionato la lottizzazione abusiva emettendo, in data 14.8.2008, l’ordinanza n.126 impugnata con il ricorso in trattazione.

Ad avviso del Collegio, tutte le suesposte circostanze, unitariamente intese, contrariamente all’assunto formulato dalla parte ricorrente, sono tali da evidenziare congruamente il disegno lottizzatorio abusivo non solo nella forma negoziale ma anche materiale. Sussistono, infatti, univoci indici rivelatori da cui emerge l’illecito scopo edificatorio, risultando accertato per tabulas che all’atto di suddivisione dell'area in lotti di dimensione inferiore al minimo prescritto dal P.R.G. è seguita, prima, la stipula di atti di trasferimento della loro proprietà a terzi e, successivamente, anche la costruzione in breve tempo di opere abusive destinate ad abitazione.

2.4. Contrariamente a quanto prospettato (con il secondo e terzo motivo), non è applicabile al caso in trattazione la previsione contenuta nel comma 10 dell’art.30 d.P.R. n.380/2001 – in base al quale le precedenti disposizioni non si applicano tra l’altro “alle divisioni ereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti” – considerato che, come si è poc’anzi chiarito, dopo l’iniziale suddivisione all’interno dello stesso nucleo familiare, numerose particelle (ivi comprese la n.903 e la n.904, di cui il ricorrente è stato nudo proprietario) sono poi state trasferite a titolo oneroso a terzi con distinti contratti di compravendita; d’altra parte, la fattispecie non si limita all’ipotesi di mera lottizzazione cartolare, essendo stati realizzati numerosi manufatti abusivi.

2.5. Né vale obiettare (quarto motivo) che l’autorità emanante sarebbe fuoriuscita dallo schema tipico della potestà esercitata, ai sensi dell’art.30 del T.U. sull’edilizia, avendo non solo ordinato la sospensione di ogni opera edilizia e vietato di disporre dei suoli con atto tra vivi ma altresì contestualmente ingiunto la demolizione dei manufatti realizzati. Osserva, anzitutto, il Collegio che l’interesse pubblico volto ad assicurare la doverosità dell’attività ripristinatoria non è estraneo all’istituto in esame, stante anche il chiaro disposto dell’art.30, comma 8, del d.P.R. n.380/2001, laddove precisa che “[…]le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all'articolo 31, comma 8”. Va inoltre rilevato che la prescrizione in contestazione è inserita in un provvedimento che assume oggetto plurimo, non essendo preclusa l’evenienza – soprattutto nei casi, come quello in esame, caratterizzati da una consistente attività di abusiva trasformazione del territorio – di concentrare in un solo atto le esigenze di prevenzione e repressione, attraverso un’autonoma disposizione sanzionatoria nei confronti delle costruzioni realizzate senza titolo, con la diffida a demolirle entro il termine di 90 giorni previsto dall’art. 31 del d.P.R. n.380 del 2001. In definitiva, non si ravvisa una inedita commistione di provvedimenti sanzionatori nella riunione in un unico atto dei provvedimenti ex artt. 30 e 31 d.P.R. 380, in ragione della sussistenza del contenuto minimo essenziale di entrambi e del fatto che l’ingiunzione a demolire non può essere esclusa dalla pendenza del procedimento volto a reprimere una fattispecie lottizzatoria abusiva, rappresentando al contrario un quid pluris necessario nell’ipotesi di lottizzazione materiale con stadio avanzato di realizzazione di immobili abusivi.

2.6. Priva di pregio si rivela, inoltre, l’ulteriore doglianza (5° motivo) di difetto di motivazione circa l’interesse pubblico alla repressione dell’attività abusiva e la mancata comparazione con l’interesse privato sacrificato, in relazione al tempo decorso, atteso il carattere doveroso e vincolato della potestà esercitata, in presenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie della lottizzazione abusiva, fermo restando che la tutela dei terzi acquirenti di buona fede, estranei all’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante.

2.7. Può procedersi ora all’esame della residua censura con cui si lamenta la violazione dell’art.7 della legge n.241/1990 per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Non ignora il Collegio che la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato come il procedimento di verifica degli elementi che caratterizzano la lottizzazione abusiva, lungi dall'avere uno sbocco necessitato, richiede un accertamento complesso di circostanze di fatto, non contraddistinte da significati unidirezionali, basato su molteplici elementi, al quale i soggetti interessati possono, con le loro osservazioni critiche e deduzioni in punto di fatto, utilmente cooperare, facendo eventualmente anche rilevare circostanze ed elementi tali da indurre la p.a. stessa ad orientarsi diversamente (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 23 febbraio 2000, n. 948; 29 gennaio 2004, n. 296; 11 maggio 2004, n. 2953; T.A.R. Campania Napoli, Sezione IV, 10 novembre 2006, n. 9458).

Il suesposto indirizzo va tuttavia rivisitato e precisato alla luce delle novità normative introdotte con la legge 11 febbraio 2005 n.15, avendo il legislatore inteso far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio, a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'amministrazione. E’ noto che l'art. 21 octies della L. n.241/1990, aggiunto dall'art. 14 della L. n.15/2005, ha espressamente sancito che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" e che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Orbene, nella fattispecie in esame, le circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione amministrativa, come sopra descritte, non risultano contestate dalla parte ricorrente né questa ha dimostrato la concreta utilità della sua partecipazione, sicché la misura repressiva adottata assumeva carattere dovuto e contenuto vincolato in relazione ai presupposti acclarati. In definitiva, nella vicenda in esame una specifica comunicazione dell'avvio del procedimento era oggettivamente superflua poiché il contenuto dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

3. Passando all’esame del ricorso per motivi aggiunti, giova rammentare che con lo stesso è stato impugnato il provvedimento di rigetto della domanda di condono edilizio (presentata ai sensi della legge n.326/2003) individuato in epigrafe, basato (oltre che sulla carenza della documentazione necessaria) sulla seguente ragione ostativa: “[…]dal confronto dei verbali citati e del rilievo aerofotogrammetrico del 06.11.2003 le opere realizzate risultano in contrasto con quanto previsto dalla legge n°326/2003, sia per epoca di realizzazione sia per consistenza”.

3.1. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame delle eccezioni in rito sollevate al riguardo dal comune resistente, poiché le censure dedotte si rivelano infondate nel merito, a cominciare dal primo mezzo difensivo, con cui si prospetta la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di condono, ai sensi dell’art.32, comma 37, del D.L. 30 settembre 2003 n.269, convertito con modificazioni con L. 24 novembre 2003 n.326, stante l’inutile decorso del termine di ventiquattro mesi dalla sua presentazione.

Osserva, anzitutto, il Collegio che il termine di due anni previsto dall’art.35, comma 18, della L. 28 febbraio 1985, n.47, per la formazione del silenzio-assenso in materia di sanatoria di costruzioni abusive, presuppone, oltre al pagamento integrale dell’oblazione, che la domanda sia stata corredata dalla prescritta documentazione (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 17 ottobre 1995, n.1440; 14 ottobre 1998, n.1468; 25 giugno 2002, n.3441; T.A.R. Campania, IV Sezione, 12 marzo 2002, n.1282). Nel caso in esame, secondo quanto indicato nel provvedimento, non smentito sul punto dal ricorrente – che non ha esibito in giudizio i documenti eventualmente allegati all’istanza – la domande non era corredata dalla documentazione richiesta essendo sfornita di tutti gli elaborati indispensabili per identificare compiutamente le stesse opere oggetto della richiesta di sanatoria.

In disparte il rilievo che precede (sul quale ci si soffermerà più oltre, al capo 3.3.), è comunque dirimente osservare che l’istituto del silenzio-assenso, in Campania, non può trovare applicazione con riferimento all’ultimo condono, ostandovi le contrarie previsioni contenute nella L.R. 18 novembre 2004 n.10.

E’ noto che la Corte Costituzionale, con la sentenza 28 giugno 2004 n.196, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.32, comma 37, del D.L. 30 settembre 2003 n.269, convertito con modificazioni con L. 24 novembre 2003 n.326, per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., “nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa disciplinare diversamente gli effetti del silenzio, protratto oltre il termine ivi previsto, del Comune cui gli interessati abbiano presentato la documentazione richiesta”. In tale prospettiva, la L.R. Campania 18 novembre 2004 n.10, all’art.7, dispone testualmente che: “1. Le domande di sanatoria sono definite dai comuni competenti con provvedimento esplicito da adottarsi entro ventiquattro mesi dalla presentazione delle stesse. Il termine può essere interrotto una sola volta se il comune richiede all'interessato integrazioni documentali e decorre per intero dalla data di presentazione della documentazione integrativa. 2. Decorso il termine di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui alla legge regionale 28 novembre 2001, n. 19, articolo 4 che disciplinano l'esercizio dell'intervento sostitutivo da parte dell'amministrazione provinciale competente”.

Osserva il Collegio che il chiaro tenore letterale della norma regionale non lascia dubbi sulla qualificazione del comportamento inerte tenuto dal comune nella fattispecie come mero silenzio-inadempimento (cfr. in termini T.A.R. Campania, Sezione II, 15 maggio 2008, n.4528; 25 febbraio 2009 n.1057). Infatti, stante l’inezia dell'amministrazione comunale, alla scadenza del termine biennale, è stata espressamente prevista l'applicazione dell’articolo 4 della L.R. n. 19/2001, che disciplina l'esercizio dell'intervento sostitutivo da parte dell'amministrazione provinciale competente. Dunque, nella Regione Campania, le domande di condono presentate ai sensi della legge n. 326 del 2003, a differenza di quelle presentate ai sensi delle leggi n.47 del 1985 e n.724 del 1994, sono assoggettate al regime di cui all’art.7 della L.R. n.10 del 2004, sicché devono essere definite con un provvedimento espresso entro il termine di 24 mesi dalla presentazione, il cui decorso non equivale a titolo abilitativo in sanatoria ma configura un mero inadempimento, avverso il quale, oltre al rimedio amministrativo già descritto, è azionabile la tutela giurisdizionale ai sensi dell’art.21-bis della legge n.1034 del 1971.

Va poi rilevato che l'art. 7 della L.R. n.10/2004 non è stato travolto dalla parziale dichiarazione di incostituzionalità di tale legge da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 10 febbraio 2006. Anzi, proprio con tale sentenza, la Corte ha dichiarato l'incostituzionalità di altre disposizioni della citata L.R., perché adottate oltre il termine di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito nella legge n. 191 del 2004, osservando che il limite temporale all'esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni in questa particolare materia concerne esclusivamente le disposizioni che, specificando l'ambito degli interventi condonabili sul versante amministrativo, si discostano dalla disciplina nazionale. La questione di costituzionalità non si pone, invece, con riguardo alle disposizioni regionali, quali gli artt. 7 e 9 della L.R. n. 10/04, che concernono non la tipologia degli interventi condonabili, ma i tempi del procedimento amministrativo di condono e, quindi, aspetti rientranti nell'ambito della competenza legislativa della Regione (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 20 luglio 2006, n.4609).

Da tutto quanto osservato discende l’inconfigurabilità nel caso di specie del silenzio-assenso.

3.2. Con riguardo alla ragione sostanziale del diniego, osserva il Collegio che il ricorrente si è limitato a dedurre, con il quarto mezzo difensivo, un presunto difetto di motivazione, nella specie insussistente, atteso che il principale motivo ostativo al conseguimento della sanatoria edilizia è chiaramente evidenziato nell’atto in discussione e consiste nella mancata ultimazione delle opere alla data di riferimento per usufruire del beneficio del condono (31 marzo 2003) di cui al D.L. 30 settembre 2003 n.269, convertito in L. 24 novembre 2003 n.326, provata dal fatto che l’immobile non risulta presente nel rilievo aerofotogrammetrico del 6 novembre 2003.

Ritiene il Collegio che il suddetto elemento di fatto posto a base del provvedimento impugnato non è stato contestato e non risulta comunque smentito dalle generiche deduzioni attoree.

Al riguardo è sufficiente il richiamo al pacifico orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi nel caso in esame, in base al quale l’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori entro la data utile per l’ottenimento del condono edilizio spetta al richiedente (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 1 dicembre 1999 n.2034 e 14 marzo 2007 n.1249; T.A.R. Campania, Sezione II, 28 aprile 2008 n.2591; VII, 24 luglio 2008 n.9347; T.A.R. Lazio, Sezione II, 3 marzo 2006, n.1645), che nel caso di specie non ha fornito al riguardo neanche un inizio di prova.

3.3. Ancorché l’evidenziata ragione sia da sola sufficiente a giustificare il diniego, il Collegio ritiene di convalidare anche il secondo elemento ostativo individuato dall’autorità amministrativa, riferito alla mancata allegazione dei documenti necessari per la valutazione della domanda. Vero è che, come rilevato dal ricorrente nel secondo motivo, la sola carenza documentale non può di regola costituire valida ragione per il rigetto dell’istanza, tuttavia il suesposto principio va precisato nel senso che l’autorità procedente, nella suddetta ipotesi, può respingere la domanda solo dopo aver inoltrato una richiesta di integrazione della pratica o un preavviso di diniego, tali da porre l’instante in grado di corredarla con l’allegazione degli atti necessari per il suo esame. Infatti, come chiarito in giurisprudenza, in ossequio al principio di leale collaborazione della pubblica amministrazione con il privato, desumibile dagli artt.2 e 6 della legge n.241 del 1990, oltre che dall’art.97 Cost., l’autorità amministrativa, nel caso in cui riscontri l’eventuale incompletezza della documentazione offerta in comunicazione dal richiedente, prima di adottare l’atto finale, è tenuta ad invitare l’interessato a porvi rimedio, individuando puntualmente gli atti mancanti ed assegnando un congruo termine per ottemperare alla richiesta istruttoria (cfr. in termini, tra le tante, Consiglio di Stato, V Sezione, 16 ottobre 1998 n.1306; T.A.R. Campania, II Sezione, 25 febbraio 2009 n.1057; IV Sezione, 5 agosto 2009 n.4730; T.A.R. Lazio, Roma, II Sezione, 10 maggio 2004 n.4098).

Nel caso di specie, il competente dirigente comunale ha spedito all’interessato una dettagliata nota (prot. n.41753 del 25.9.2008, notificata l’1.10.2008), con cui ha individuato gli atti mancanti – grafici dello stato dei luoghi, perizia giurata, visura catastale, certificato idoneità statica, rilievo fotografico, titolo di proprietà, atti notori o autocertificazione, acconto oblazione, acconto oneri concessori – ed invitato il destinatario a provvedere all’integrazione, senza tuttavia ottenere alcun riscontro.

3.4. Non merita favorevole considerazione neanche la residua censura, formulata con il terzo motivo, in quanto l’eventuale inosservanza del criterio cronologico nell’esame delle istanze di condono non determina l’illegittimità dei provvedimenti assunti, ferma restando, in caso di ritardo, la facoltà dei soggetti interessati il di azionare il rimedio previsto dall’art.21 bis della L. n.1034 del 1971 avverso il comportamento omissivo dell’amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 15 dicembre 2005, n. 7126; T.A.R. Lazio, Sezione II, 2 aprile 2008, n.2821; T.A.R. Campania, Sezione II, 21 settembre 2006, n.8203).

4. In conclusione, alla stregua di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso va respinto siccome infondato.

Le spese e gli onorari di causa seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Sezione Seconda – respinge il ricorso in epigrafe R.G. n.6771/2008.

Condanna la parte ricorrente a rimborsare al Comune di Giugliano in Campania le spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in € 1.500,00 (euro millecinquecento/00); il contributo unificato resta a carico della parte soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Carlo D'Alessandro, Presidente

Dante D'Alessio, Consigliere

Pierluigi Russo, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/05/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO