Presidente: Papadia U. Estensore: De Maio G. Relatore: De Maio G. Imputato: Di Cosimo. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Latina, 8 Aprile 2004)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - CAMPIONI (PRELIEVO E ANALISI) - Avviso del risultato delle analisi - Mancanza - Violazione del diritto di difesa - Esclusione - Fondamento.
In materia alimentare, il mancato invio dell'avviso del risultato delle analisi effettuate sul campione di sostanza alimentare non integra una violazione del diritto di difesa, atteso che tale comunicazione rileva al solo fine della decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di revisione, decorrente, in assenza del predetto avviso, dall'atto successivo avente valore equipollente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 08/03/2006
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 00416
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 044575/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) DI COSIMO ANTONIO N. IL 16/04/1958;
avverso SENTENZA del 08/04/2004 TRIBUNALE di LATINA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE
MAIO GUIDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PASSACANTANDO G. che
ha concluso: rigetto del ricorso.
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 8.4.2004 del Giudice monocratico del Tribunale di
Latina, Di Cosimo Antonio fu condannato alla pena di giustizia
perché riconosciuto colpevole del reato di cui alla L. n.
283 del 1962, art. 5, lett. d), ("per avere, nella qualità
di legale rappresentante della ditta Bonoil s.r.l., prodotto, detenuto
e commercializzato una partita di olio di sansa di oliva contenente
I.P.A. superiori ai limiti previsti nell'ordinanza del 18.9.2001 del
Ministero della Salute, in Cisterna di Latina in epoca antecedente al
31.1.2002").
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato,
il quale denuncia con il primo motivo erronea applicazione dell'art. 8
c.p.p. e vizio di motivazione per avere il primo Giudice,
sull'eccezione di incompetenza territoriale ritualmente prospettata
dalla difesa, ritenuto la propria competenza in relazione al luogo di
commercializzazione del prodotto, individuato in Cisterna di Latina,
laddove: "a) il prelievo di campione è stato effettuato in
Roma; b) sull'etichetta ... vi era la seguente dicitura: olio di sansa
di oliva. Oleificio Luciano di Paolo ..."; c) il primo Giudice ha
utilizzato, richiamandola in sentenza, una fattura allegata all'atto di
costituzione di parte civile, estromessa per eccezioni sollevate dalla
difesa, e che pertanto andava ... espunta dal fascicolo processuale
...". La censura - che, così come prospettata, ha una
duplice valenza: processuale, nella prospettiva della determinazione
della competenza per territorio; sostanziale, ai fini della
riferibilità del fatto alla società dell'attuale
ricorrente - non merita accoglimento. Va rilevato, sotto il profilo
processuale, che l'individuazione del locus commissi delicti era
avvenuta, indipendentemente dalla fattura in questione e ben prima
della costituzione di parte civile, sulla base delle dichiarazioni rese
dal Di Paolo già all'atto del prelevamento del campione (v.
il relativo verbale) e della procedura dei relativi accertamenti
pre-processuali;
sotto il profilo sostanziale, che l'eventuale questione di merito in
ordine alla riferibilità del fatto alla Bonoil s.r.l. andava
prospettata ex professo (il che non è stata fatto) e, in
conseguenza di tale omissione, deve ritenersi che la questione della
competenza sia stata esattamente risolta, sulla base degli atti
indicati e ab initio acquisiti al processo, individuando, in aderenza
alla norma incriminatrice, in Cisterna di Latina, sede della
società produttrice, il luogo in cui l'olio era stato
detenuto per la vendita e commercializzato con la fornitura al Di
Paolo. Su tale basi stesse esattamente sono stati ritenuti irrilevanti,
sempre ai fini della competenza territoriale, il luogo del prelevamento
del campione e l'etichetta apposta sulla cisterna.
Con il secondo motivo viene denunciata erronea applicazione della L. n.
283 del 1962, art. 1 e D.P.R. n. 327 del 1980, art. 18 in comb. disp.
con l'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 3, e vizio di motivazione sul
punto, non essendovi, contrariamente a quanto ritenuto dal primo
Giudice, "alcuna prova che l'imputato abbia ricevuto gli avvisi
prescritti (dell'analisi effettuata), in quanto vi è agli
atti una cartolina non riferibile, con assoluta certezza, ad alcuna
comunicazione" e, "peraltro, anche qualora l'avviso fosse stato
ricevuto ... la comunicazione risulterebbe comunque carente della
metodica seguita ai sensi del D.P.R. n. 327 del 1980, art. 18". La
censura è infondata, in quanto è principio
pacifico (tra le molte, Cass. sez. 3^, 20.5.2003 n. 22035, Scollo;
21.12.2001 n. 45551, rv. 220843) che il mancato invio a mezzo posta
dell'avviso del risultato delle analisi effettuata sul campione della
sostanza alimentare da parte della competente autorità
sanitaria non costituisce violazione del diritto di difesa (con
conseguente esclusione della nullità ex art. 178 c.p.p.,
lett. c)), atteso che tale comunicazione rileva solo ai fini della
decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di revisione,
termine che in mancanza di tale invio, decorre dall'atto successivo
avente valore equipollente. Comunque, in atti esiste la comunicazione
in questione (prot. 15340/UD/7232) con allegato l'avviso di ricevimento
di raccomandata. In base a un principio generalissimo, riaffermato
nell'art. 54 disp. att. c.p.p., comma 2, avrebbe dovuto essere
l'interessato a dare la prova rigorosa di aver ricevuto un atto diverso
dall'originale acquisito agli atti. Quanto alla mancata indicazione,
nella comunicazione stessa, della metodica utilizzata, risulta evidente
che la stessa non determina nullità alcuna, così
come l'uso da parte del laboratorio incaricato di metodi di analisi
diversi da quelli ufficiali non costituisce causa di nullità
dell'analisi medesima, salvo che non ne sia stata contestata
l'esattezza scientifica (il che nella specie non è
avvenuto). Con il terzo motivo viene denunciata erronea applicazione
della L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. d) nonché mancanza o
manifesta illogicità della motivazione, avendo la sentenza
affermato che "l'accertamento dei valori IPA ... presenti nell'olio
analizzato dalla USL consentono di ritenere accertati gli elementi del
reato ascritto", mentre, ai fini della configurabilità del
reato previsto dalla norma incriminatrice, "è necessaria
l'attitudine delle sostanze nocive ad arrecare concreto pericolo alla
salute dei consumatori". Tale motivo è inammissibile per
manifesta infondatezza e genericità, dal momento che la
frase della sentenza sopra riportata in corsivo, è stata
citata dal ricorrente in modo incompleto, contenendo, laddove sono
stati inseriti i punti sospensivi, l'inciso secondo cui i valori IPA
sono "relativi a prodotti chimici di idrocarburi aromatici notoriamente
pericolosi per la salute, si pensi al benzene". Tale proposizione
esprime la valutazione, compiuta dal primo Giudice in precisa
correlazione con la contestazione del superamento dei valori-limite,
della nocività della sostanza. In relazione a tale
valutazione la censura manca della necessaria specificità,
che avrebbe richiesto l'indicazione delle ragioni per le quali quei
determinati "valori IPA" riscontrati non avrebbero dovuto essere
ritenuti pericolosi per la salute. Deve, pertanto, concludersi che,
essendo infondate le censure mosse, il ricorso va rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2006