Equilibrismi ed evidenze nell’accertamento tecnico in materia ambientale tra esigenze investigative complesse e rispetto del principio del contraddittorio
                                                                 
di Domenico MONCI

1. Introduzione: Le peculiarità degli accertamenti tecnici nelle investigazioni ambientali. 2. La ricerca di un delicato equilibrio procedurale nelle concrete vicende applicative 3. I chiarimenti ermeneutici della Suprema Corte. 4. L’individuazione della misura delle garanzie all’indagato nella comparazione tra gli accertamenti tecnici nei reati ambientali e il modello rituale fornito dall’art. 360 c.p.p. 5. Conclusioni.

1. Introduzione: Le peculiarità degli accertamenti tecnici nelle investigazioni ambientali

Le indagini relative ai reati ambientali si caratterizzano per una loro peculiare complessità collegata alla condizione che esse abbiano sovente ad oggetto cose e luoghi passibili di repentina modificazione per ragioni naturali, per la deperibilità della composizione chimica e fisica delle sostanze coinvolte, per l’incidenza di eventi atmosferici o ancora, a causa dell’intervento umano.

«Nel diritto penale dell’ambiente diverse fattispecie incriminatrici sono costituite facendo leva sul superamento dei limiti tabellari, cui devono sottostare le immissioni inquinanti. Più in generale per acquisire elementi di prova circa la sussistenza di reati ambientali occorre spesso procedere ad indagini tecniche, anche complesse»1.

In tale ambito gli equilibri le tra le contrapposte esigenze di ricerca efficace della prova e garanzie dell’indagato, tende ovviamente a divenire più instabile perché la ricerca delle informazioni probatorie passa attraverso la necessità di accertamenti a marcato profilo tecnico (e scientifico) che devono essere realizzati repentinamente in ragione della incalzante mutevolezza degli scenari.

La questione è estremamente rilevante sotto il profilo proprio della operatività investigativa poiché determina, tanto per gli organismi di polizia quanto, in specie, per l’autorità giudiziaria procedente, una delicata tensione in ordine alla scelta degli strumenti d’indagine e dei provvedimenti giudiziari idonei a contemperare le particolari esigenze investigative con la garanzia del diritto di difesa e il rispetto delle regole procedurali con riferimento, in particolare, al principio del contraddittorio.

2. La ricerca di un delicato equilibrio procedurale nelle concrete vicende applicative

Invero con riferimento alle investigazioni relative agli illeciti ambientali, si assiste spesso alla condizione nella quale il pubblico ministero titolare ricorra, in fase di indagini preliminari, all’adozione di atti articolati e complessi che accedendo agli strumenti messi a disposizione dal codice di rito, sono mirati al compimento di attività a «sorpresa» finalisticamente orientate ad acquisire prove ritenute, per natura e contesto, spiccatamente sfuggenti.

In un primo caso portato all’attenzione della Suprema Corte penale il pubblico ministero, al fine di compiere accertamenti sulla quantità e qualità dei reflui e fanghi prodotti dall’impianto di depurazione gestito dalla società indagata, nonché dei rifiuti prodotti dallo stesso impianto e poi conferiti presso impianti terzi, ha fatto ricorso agli istituti «dell’ispezione e del sequestro» 2 ritenendoli idonei, in assenza di altre modalità specificamente previste dal codice di rito, a garantire le esigenze di difesa degli indagati e le esigenze di indagine della Procura. Nel corpo del decreto adottato, ritualmente notificato agli indagati, è stata evidenziata l’urgenza di provvedere al compimento dell’atto in quanto un eventuale ritardo avrebbe potuto pregiudicare in origine la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova e contemporaneamente, è stata ritenuta altresì sussistente l’esigenza di un rapido accertamento dei fatti, al fine di provvedere all’adozione di eventuali provvedimenti idonei alla tutela della salute pubblica, ovvero ad ulteriori atti di indagine3.

Il provvedimento, inoltre, non si è limitato solo alla generica indicazione di tali esigenze, ma ha motivato in ordine ad ulteriori evenienze passibili di emergere all’esito dell’avvio delle attività indicate, a loro volta, come giustificative della speditezza delle operazioni.

Nonostante nel provvedimento per le ragioni indicate sia stato omesso l’avviso preventivo al difensore ai sensi dell’art. 364, comma 5, c.p.p.4, viene tuttavia precisato che lo stesso potrà comunque essere avvisato del compimento degli atti disposti con il decreto «immediatamente prima dell’esecuzione di eventuali prelievi», ma a condizione che ciò non ritardi il compimento degli atti stessi, tenendo conto delle condizioni di luogo e di tempo e della sua pronta reperibilità. Il difensore ha facoltà in ogni caso di intervenire coerentemente con le generali regole procedurali del diritto di difesa. Al compimento del primo atto di accertamento tecnico ( in primis prelievo di campioni) oltre ai difensori, è consentita anche la partecipazione dei consulenti tecnici e sono altresì invitati i soggetti, che sulla base del proprio specifico ruolo nell’organigramma aziendale, possano avere interesse a partecipare per formulare tutte le osservazioni del caso.

Nella motivazione dell’atto del pubblico ministero, sono state poi debitamente articolate le finalità che lo sorreggono. Oltre alla quantità e qualità dello scarico (e dei fanghi prodotti dall’impianto di depurazione), esso era in particolare mirato a verificare le caratteristiche dello stato dei luoghi ove lo scarico veniva effettuato, al fine di valutare la sussistenza di fenomeni di danneggiamento del corpo ricettore o di alterazione dell’originario assetto dei luoghi. Avendo disposto il prelievo e l’analisi di campioni, si prevedeva ancora che fosse fornito avviso alle persone presenti, ai responsabili dell’insediamento ed ai difensori della data e dell’ora (congruamente fissate per consentire la partecipazione degli interessati) dell’apertura dei campioni e successiva analisi degli stessi, con indicazione del luogo individuato per tali operazioni.

Coni il decreto di ispezione e sequestro così strutturato, appare chiaro come lo scopo perseguito dall’autorità giudiziaria, sia stato quello di cristallizzare a «sorpresa» lo stato dei luoghi e della cose al momento dell’accesso all’impianto della polizia giudiziaria incaricata per poi riconoscere agli indagati, solo dopo quel momento, il pieno esercizio del diritto di difesa e contraddittorio e così, impedire che l’eventuale (preventivo) avviso potesse generare un mutamento degli scenari fisici per ragioni naturali o attività umane forvianti. Si assiste ad una sorta di operazione di «sartoria procedurale», messa in atto per preservare le particolari esigenze investigative e custodire l’utilizzabilità degli atti in quel momento acquisiti anche in sede processuale, immunizzando le risultanze investigative da censure sollevate in ordine alla eventuale carenza di possibilità di difesa.

In un secondo successivo caso che ha occupato la Cassazione penale5, relativo all’imputazione per i reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, illecita gestione di rifiuti e discarica abusiva, l’atto del pubblico ministero è qualificato come «decreto di ispezione di luoghi e cose», reca l’indicazione dei fatti oggetto di incolpazione e specifica che è finalizzato alla ispezione di veicoli, siti di destinazione dei materiali, corsi d’acqua nelle aree di lavoro e punti di recapito canalizzati artificialmente o naturalmente, in esso puntualmente descritti. Il decreto nel disporre la consegna di copia del provvedimento prima dell’inizio delle operazioni all’indagato o a chi abbia la disponibilità del luogo al momento dell’ispezione, chiarisce che lo stesso costituisce anche informazione di garanzia con invito alla designazione di un difensore e indicazioni delle informazioni sul diritto di difesa di cui all’art. 369 bis c.p.p.

Anche in questo caso viene disposta ai sensi dell’art. 364, comma 5, c.p.p., l’omissione dell’avviso, giustificata dalla necessità di impedire l’alterazione delle tracce e degli altri effetti materiali del reato in quanto, trattandosi di rifiuti e reflui oggetto di ipotizzata gestione illecita, essi potrebbero essere modificati nella loro natura mediante smaltimento occulto o immissione in acque superficiali.

Dopo la dettagliata indicazione delle ragioni che rendono necessario il compimento dell’atto, viene disposta l’ispezione con delega per l’esecuzione ad ufficiali di polizia giudiziaria specificamente indicati (tra i quali personale ARPA) con facoltà di subdelega e di avvalersi ove necessario di ausiliari, nonché dei consulenti nominati. Sono indicate le attività da compiere (rilievi descrittivi e fotografici) e tra esse il prelievo di campioni per i quali, è specificata la necessità di provvedere mediante accertamenti urgenti ai sensi dell’art. 360 c.p.p. con contestuale nomina dei consulenti per l’espletamento di tale attività.

L’avviso di accertamenti tecnici non ripetibili ai sensi dell’art. 360 c.p.p. è fornito ai soggetti interessati noti ed espressamente indicati (direttori di cantieri e di impianto, legali rappresentanti delle imprese appaltatrici o subappaltatrici), al difensore di ufficio all’uopo nominato ed ai difensori di fiducia nominati da tali soggetti ed in essa, si fornisce l’indicazione del luogo, della data e dell’ora di inizio delle operazioni, riconoscendo espressamente agli interessati il diritto a partecipare anche mediante nomina di consulenti di parte e la possibilità di formulare richieste di precisazione ed integrazione del quesito. Viene altresì indicata una data successiva per l’apertura della seconda aliquota, riconoscendo ai soggetti interessati la facoltà di partecipazione e di nominare consulenti.

Anche in questo caso i contenuti del provvedimento e le esigenze investigative indicate, propongono il leitmotiv dell’adozione, in tema di reati ambientali, di provvedimenti strutturati che consentano, attraverso le loro molteplici declinazioni, di contemperare l’urgenza degli accertamenti da eseguire con le necessarie garanzie difensive.

3. I chiarimenti ermeneutici della Suprema Corte

Il doppio pronunciamento della Terza Sezione della Cassazione penale (2018 e 2021) sul tema dell’impiego, ad opera dei magistrati inquirenti, di strumenti procedurali «particolari» per complessità e articolazione per l’esecuzione di accertamenti tecnici «a sorpresa» nel corso delle indagini preliminari relative ad illeciti ambientali, ha indubbiamente fornito un consolidato e coerente orientamento ermeneutico che, oltre l’indubbia autorevolezza giurisprudenziale, appare sorretto da una essenziale logica giuridica difficilmente sindacabile.

A ben vedere, ciò che è possibile immediatamente cogliere dal ragionamento sotteso alle argomentazioni sviluppate dalla Suprema Corte, è che esso poggia su un presupposto estremamente efficace: pur nel ricorso a provvedimenti non rigorosamente inquadrati in una fattispecie procedurale definita, le garanzie di difesa e contraddittorio non sono negate agli indagati ma sono ed essi riconosciute a partire da un preciso momento: quello dell’accesso della polizia giudiziaria operante ai luoghi da ispezionare. Luoghi presso i quali devono essere compiuti gli accertamenti tecnici finalizzati a fissare lo stato delle cose e dei luoghi a quel momento. Dal momento in cui lo stato dei luoghi e delle cose è sotto il controllo degli investigatori, in entrambi i casi in esame, agli indagati sono state riconosciute tutte le garanzie di difesa (nomina e possibilità di intervento dei difensori e di consulenti tecnici) e di contraddittorio (possibilità di presenza dei difensori e dei consulenti tecnici al prelievo dei campioni, indicazione della data e dell’ora di apertura dei campioni prelevati e possibilità di partecipazione a tali operazioni, rilascio dell’aliquota del campione).

La partita della coerenza delle attività investigative con le formalità di rito nel delicato equilibrio tra le contrapposte esigenze dell’indagatore e dell’indagato si gioca allora prevalentemente nel campo dell’omesso avviso ex art. 364, comma 5, c.p.p., che involge sicuramente profili estremamente sensibili per la posizione dell’indagato e necessita di essere fondatamente motivato in ordine al rischio di alterazione del materiale probatorio, ma che la Corte ammette nel caso di indagini ambientali connotate di complessità e tecnicismo, con osservazioni che sembrano disvelare la logica plausibile, seppur taciuta, che l’avviso (preventivo) di rito potrebbe comportare la manipolazione modificativa, dello stato dei luoghi e delle cose oggetto di accertamento, ad opera di coloro che le hanno in disponibilità e sono interessati dall’indagine.

Sostiene la Corte che «deve infatti tenersi conto della particolare complessità di tali indagini, che hanno ad oggetto luoghi e cose soggetti a modifiche anche repentine per la loro natura, per cause naturali o per intervento umano. Si pensi, ad esempio, agli scarichi occasionali o discontinui; alla facilità di movimentazione o miscelazione dei rifiuti; all’incidenza degli agenti atmosferici sulla composizione chimica e fisica di sostanze da analizzare; alla necessità di effettuare campionamenti in un determinato momento o in tempi diversi, ovvero secondo le modalità di un determinato ciclo produttivo; agli innumerevoli interventi finalizzati ad alterare la consistenza di materiali da analizzare o modificare lo stato dei luoghi»6.

La peculiarità delle esigenze investigative nei reati ambientali, connaturate di un marcato tecnicismo non solo sotto il profilo propriamente scientifico (prelievo e analisi di campioni con l’impiego di parametri chimici) ma anche, squisitamente ingegneristico (valutazione della coerenza delle strutture degli insediamenti con le autorizzazioni o gli strumenti di pianificazione territoriale) richiede indubbiamente la partecipazione di professionalità dotate di particolari competenze specifiche e la facoltà di disporre di consulenti tecnici deve essere riconosciuta anche agli indagati, sicché risulta evidente la necessità di contemperare tali particolari esigenze investigative con l’imprescindibile diritto di difesa e rispetto del principio del contraddittorio assicurati dal codice di rito con riferimento ai singoli atti di indagine. Tuttavia ritiene ancora la Suprema Corte che «l’armonizzazione di tali esigenze non può, però, trovare un limite in un rigido formalismo, tale da comportare la individuazione di un preciso ed unico istituto processuale tra quelli offerti dal codice di procedura penale, da utilizzare nel caso specifico, perché ciò, spesso, non é possibile o non é sufficiente e non risulta, inoltre, che lo richieda la legge, perché ciò che effettivamente rileva é che l'attività di indagine, comunque denominata o posta in essere, non pregiudichi i diritti dei soggetti interessati. Ne consegue che nulla impedisce al pubblico ministero di fare ricorso, nel rispetto delle norme processuali, a più istituti contestualmente, assicurando il più ampio diritto di partecipazione e difesa agli interessati».

Il principio unico, sancito nelle due sentenze relative ai casi in esame è in definitiva quello per il quale «la particolarità degli accertamenti richiesti in tema di reati ambientali, specie nei casi cui l’oggetto della verifica é suscettibile di repentini mutamenti, richiede modalità operative talvolta particolarmente complesse, non soltanto sotto il profilo meramente tecnico, che giustificano l’adozione di provvedimenti articolati, i quali, facendo contemporaneo ricorso a più istituti disciplinati dal codice di rito, assicurino comunque le garanzie di difesa, garantendo, nel contempo, le esigenze investigative»7.

4. L’individuazione della misura delle garanzie all’indagato nella comparazione tra gli accertamenti tecnici nei reati ambientali e il modello rituale fornito dall’art. 360 c.p.p.

Il tema mediato che emerge dai pronunciamenti in esame è quello che suggerisce che nel caso di accertamenti tecnici relativi a reati ambientali in definitiva, il metro per valutare la coerenza dell’iniziativa investigativa del pubblico ministero con le formalità di garanzia previste dal codice di rito, è rinvenibile nell’art. 360 c.p.p., passando attraverso una sorta di preliminare operazione selettiva che qualifichi gli accertamenti eseguiti per stabilire se si tratti di accertamenti «ripetibili» o «non ripetibili».

Come è noto, il caso di accertamenti non ripetibili e non rinviabili involge, come regola generale, la facoltà concessa al pubblico ministero dall’art. 360 c.p.p. di procedere, nella fase delle indagini preliminari, ad effettuare gli accertamenti in assenza di contraddittorio pur se, in ogni caso, sviluppate attraverso un confronto con gli indagati utile a generare una dialettica processuale necessaria a fornire le irrinunciabili garanzie di difesa8.

La ratio sottesa alla norma nella volontà del legislatore, è stata quella della ricerca di un punto di equilibrio

tra le esigenze di procedere rapidamente agli accertamenti ed il rispetto della garanzia dei principi del giusto processo, pur nelle dinamiche di un procedimento di acquisizione di dati tecnici indifferibili esercitato nel corso delle indagini preliminari.

L’art. 360 c.p.p. prevede in sostanza, un caso di formazione anticipata della prova, in assenza di contraddittorio formale, attraverso la creazione di atti destinati a confluire, ex art. 431 c.p.p. nel fascicolo del dibattimento sino a costituire una eccezione al principio della formazione della prova in contraddittorio9, che conduce al venir meno della «autonomia gnoseologica del giudizio rispetto alle attività che lo precedono»10.

Da tale regola generale, ne discende che nel caso in cui (come nei casi in esame) agli indagati siano fornite «comunque» (specialmente ove trattasi di accertamenti tecnici anche ripetibili) le garanzie di difesa e contraddittorio «irrinunciabili» messe a loro disposizione dal codice per il caso di accertamenti tecnici «non ripetibili», difficilmente potrebbe sollevarsi una apprezzabile doglianza sulla inosservanza delle formalità di rito, anche se ciò sia avvenuto facendo ricorso a più istituti processuali contemporaneamente confluiti in un provvedimento giudiziario articolato e complesso.

Il punto dunque non è tanto valutare la censurabilità dei congegni procedurali scelti dal magistrato inquirente, ma la commensurabilità degli stessi all’art. 360 c.p.p., strumento di elezione scelto dal legislatore nel codice di rito quale mezzo di «compromesso» per garantire l’ingresso nel processo di dati tecnici acquisibili solo indifferibilmente durante la fase delle indagini preliminari, nel rispetto dei limiti invalicabili posti a tutela della regola generale per cui la prova si forma solo nel confronto delle parti difronte ad un giudice terzo.

Per quanto di interesse in questa sede, in altre parole nell’art. 360 c.p.p. il legislatore sembra aver trovato il punto fermo oltre il quale il principio del contraddittorio non è più derogabile e quando, in caso di accertamento tecnico (sia esso ripetibile o non ripetibile), sono fornite le garanzie di difesa uguali o equiparabili a quelle in esso riconosciute, la formazione della prova durante le attività investigative non appare più censurabile sotto i profili della carenza delle facoltà difensive.

Anche nel caso in cui infatti i provvedimenti del pubblico ministero, dopo il prelievo di campioni, dispongono l’analisi dei medesimi con precise modalità, è evidente come seppur senza una specifica denominazione qualificante, quel provvedimento abbia «comunque» rispettato le formalità indicate dall’art. 360 c.p.p. (avviso, senza ritardo, alla persona sottoposta alle indagini ed ai difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici), ove abbia messo l’indagato in condizione di partecipare alle attività che con il provvedimento sono state disposte.

Tanto più che in particolare, con riferimento poi alle attività ispettive, l’unica garanzia indeclinabile è quella prevista dall’art. 223 disp. att. c.p.p. che impone il preavviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni11.

La medesima osservazione vale con riferimento alla possibilità per l’indagato di formulare riserva di incidente probatorio ex art. 360, comma 4, c.p.p., che non pare preclusa né contratta nei protocolli investigativi complessi adoperati nelle fattispecie in esame.

Come supra si accennava, più problematica e potenzialmente foriera di sindacabilità è la questione relativa all’omissione dell’avviso all’indagato (prima dell’accesso della polizia giudiziaria e dei consulenti all’insediamento oggetto di indagine) che, sulla scia della lettura fornita dalla stessa Cassazione appare, anche in questo caso, giustificata dalla complessità dell’indagine ambientale, riferita sovente a soggetti da indentificare in ragione del loro diverso statusrivestito all’interno di strutture societarie complesse: legale rappresentante, responsabile tecnico o altro ruolo, attribuito sulla base di precisa delega o del potere di spesa.

Sebbene infatti tanto l’art. 360 c.p.p. quanto l’art. 364 c.p.p. prevadono l’avviso alla persona sottoposta alle indagini, è tuttavia evidente che, se il soggetto destinatario dell’avviso non risulta compiutamente identificato al momento nel quale deve darsi esecuzione alle attività, ciò non impedisce il compimento dell’atto in quanto «in tema di accertamenti tecnici irripetibili, l’obbligo dell’avviso sussiste nel caso in cui al momento del conferimento dell'incarico al consulente sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede, mentre tale obbligo non ricorre nel caso che la persona indagata sia stata individuata solo successivamente all’espletamento dell’attività peritale»12.

5. Conclusioni

Le investigazioni ambientali connotate, per le ragioni più volte richiamate, di una intrinseca complessità, abilitano a loro volta i magistrati inquirenti ad accedere all’utilizzo di provvedimenti altrettanto complessi, non riconducibili ad un unico modello formale ma finalizzati, nella loro articolazione, a perseguire seppur attraverso un delicato «equilibrismo» un unico scopo evidente: assicurare il materiale probatorio da ogni alterazione naturale o indotta dall’uomo13. L’imputabilità degli autori dei reati ambientali, è innegabile, dipende spesso proprio dal tempismo con il quale si riesce a «fotografare» una condizione che, in quanto ambientale, è naturalmente (e nel caso dell’intervento dell’uomo agevolmente) mutevole.

Gli interessi in equilibrio non sono solo le esigenze investigative e il diritto di difesa e di contraddittorio ma anche la tutela dell’ambiente e delle libertà degli indagati. Tutti valori di severo rilievo costituzionale, che rendono la ricerca del giusto punto di compromesso particolarmente sensibile all’ombra delle insuperabili regole del codice rito.

La Cassazione penale ha validato l’adoperabilità di modelli provvedimentali articolati secondo una logica che potrebbe essere definita a «due tempi»: un tempo nel quale, giustificando l’omissione dell’avviso (exart. 360 c.p.p. e 364 c.p.p.) con la complessità dell’indagine, si cristallizza a «sorpresa» lo stato dei luoghi e delle cose nell’inconsapevolezza dell’indagato di essere tale e un tempo, quello dell’esecuzione degli accertamenti tecnici, nel quale all’indagato sono riconosciute con diversi istituti processuali (ispezione, sequestro, etc.) tutte le garanzie e il terreno diviene neutro per l’esperimento del contraddittorio difensivo.

Lo stesso legislatore ha avvertito in fondo l’esigenza di preservare le indagini ambientali dall’attività distorsiva dell’uomo, con l’introduzione del delitto di «impedimento di controllo» di cui all’art. 452 septies c.p. conseguita con la legge n. 69 del 201514.

1 Cosi RAMACCI, Tutela dell’ambiente e sequestri nella giurisprudenza di legittimità, LEXAMB RTDPA, 3, 2019.

2 Il sequestro processuale penale con il quale si pongono vincoli di indisponibilità su beni, assume diverse forme nel corso del procedimento secondo le finalità che persegue. Si presenta nella forma del sequestro probatorio (art. 253 c.p.p.) che è un mezzo di ricerca della prova, del sequestro conservativo (316 c.p.p.) finalizzato a preservare le garanzie patrimoniali per il pagamento della pena e del sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) volta ad evitare che il reato possa essere aggravato dalla libera disponibilità del bene.

3 Cass. Pen., Sez. III, 20 novembre 2018, n. 4238, non massimata.

4 Art. 364, comma 5, c.p.p. «nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può procedere a interrogatorio, a ispezione, a individuazione di persone o a confronto anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente. L'avviso può essere omesso quando il pubblico ministero procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati. È fatta salva, in ogni caso, la facoltà del difensore d'intervenire».

5 Cass. Pen., Sez. III, 19 gennaio 2021, n. 9954 in CEDCass. pen. 2021.

6 Punto n. 15 della sentenza Cass. Pen., Sez. III, 19 gennaio 2021, n. 9954, cit.

7 Punto n. 16 della sentenza Cass. Pen., Sez. III, 19 gennaio 2021, n. 9954, cit. e punto n. 6 della sentenza Cass. Pen., Sez. III, 20 novembre 2018, n. 4238.

8 L’art. 360 c.p.p. rappresenta sicuramente uno del più difficili momenti di «compromesso» raggiunti nel codice di rito del 1988, nella misura in cui la disciplina ivi prevista tenta, da un lato, di garantire l’ingresso nel processo di dati tecnici acquisibili solo indifferibilmente durante la fase delle indagini preliminari e, dall’altro, di rispettare con i limiti previsti dall’impostazione «derogatoria» il principio accusatorio che prevede che la prova si formi solo nel confronto delle parti difronte ad un giudice terzo. In argomento APRILE, Le indagini tecnico scientifiche: problematiche giuridiche sulla formazione della prova penale , in Cass. pen. 2003, 4034; BELLUTA, Irripetibilità congenita degli atti di indagine e poteri istruttori del giudice: dalle Sezioni Unite un intervento (non proprio) chiarificatore , in Cass. pen. 2008, 1079.

9 In argomento KASTORIS, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993, 135 ss.

10 Così: CESARI, L’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, Milano 1999, 6 ss. In argomento si veda anche: GAETA, sub. art. 360 , in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA- G. SPANGHER, II, Milano, 2010, 4346.

11 Cass. Pen., Sez. III, del 29 gennaio 2003 n. 15170, Piropan M, Rv. 224456.

12 Cass. Pen, Sez. I, del 12 ottobre 2018 n. 52872 P, Rv. 275058; Cass. Pen, Sez. I, del 25 febbraio 2015 n. 18246, B, Rv. 263858; Cass. Pen., Sez. II, del 24 novembre 2011 n. 45929, Cocuzza, Rv. 251373; Cass. Pen., Sez. IV, del 23 febbraio 2010, n. 20591 Colesanti e altro, Rv. 24732701.

13 In argomento per tutti: RAMACCI, Reati ambientali e indagini di polizia giudiziaria, Santarcangelo di Romagna, 2021.

14 Legge 27 maggio 2015, n. 69, disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio.