Relazioni Penali della Corte di Cassazione n.1025-2004
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - REATI - IN GENERE -
Reato previsto dall\'art. 5 lett. b) della legge n. 283 del 1962 - Detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione - Natura - Reato di danno o di pericolo - Contrasto di giurisprudenza.
Testo del Documento
Rel. n. 25/04
Roma, 19 marzo 2004
OGGETTO: 588051 - Produzione, commercio e consumo - Prodotti
alimentari - Reato previsto dall\'art. 5 lett. b) della legge n. 283
del 1962 - Detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione
- Natura - Reato di danno o di pericolo - Contrasto di
giurisprudenza.
RIF. NORM. : L. 30 aprile 1962 n. 283, art.5
Con decisione n. 2067, assunta nella pubblica udienza del 16
dicembre 2003, e depositata il 27 gennaio 2004 n. 2649, rv. 226874,
la Sez. III penale di questa Corte, in proc. Gargelli A, ha
affermato il principio di diritto cosi\' massimato da questo Ufficio:
"In tema di disciplina degli alimenti, il reato di cui all\'art. 5,
lett. b), della legge 30 aprile 1962 n. 283, detenzione per la
vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione,
attesa la natura di reato di pericolo presunto, non esige per la sua
configurabilita\' un previo accertamento sulla commestibilita\'
dell\'alimento, ne\' il verificarsi di un danno per la salute del
consumatore".
Tale posizione si pone in contrasto con quanto affermato dalle
Sezioni Unite nella decisione 19 dicembre 2001, dep. 9 gennaio 2002,
n. 443, Butti ed altro, rv. 220717, per la quale "la
contravvenzione prevista dall\'art. 5, lett. b, della legge 30
aprile 1962 n. 283, che vieta l\'impiego nella produzione,
la vendita, la detenzione per la vendita, la
somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di
sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non e\'
reato di pericolo presunto, ma di danno, in quanto la disposizione
citata non mira a prevenire - con la repressione di
condotte, come la degradazione, la contaminazione o
l\'alterazione del prodotto in se\', la cui pericolosita\' e\'
presunta "iuris et de iure" - mutazioni che nelle altre parti del
citato art. 5 sono prese in considerazione come evento
dannoso, ma persegue un autonomo fine di benessere,
consistente nell\'assicurare una protezione immediata
all\'interesse del consumatore a che il prodotto giunga al
consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura."
Occorre a questo punto fare un passo indietro e ricordare come le
Sezioni Unite erano state chiamate a risolvere un contrasto di
giurisprudenza in relazione alla configurabilita\' dell\'ipotesi di
reato di cui all\'art. 5 lett. b) della legge 30 aprile 1962 n. 283
in caso di irregolarita\' delle modalita\' di conservazione delle
sostanze alimentari, a fronte della previsione normativa che vieta
l\'impiego, la vendita o la detenzione per la vendita o
somministrazione di sostanze alimentari in cattivo stato di
conservazione.
In merito le Sezioni Unite si erano gia\' pronunciate1, affermando
che per la configurabilita\' del reato de quo non si richiedeva che
le sostanze alimentari fossero state variamente alterate o
depauperate, ma era sufficiente che esse fossero state destinate o
avviate al consumo in condizioni che ne avessero messo in pericolo
l\'igiene e la commerciabilita\', specificando che il cattivo stato di
conservazione riguardava quelle situazioni nelle quali il prodotto
fosse stato messo in vendita senza l\'osservanza di quelle
prescrizioni dettate a garanzia della sua buona conservazione.
Partendo da tale dictum la sentenza Butti aveva preliminarmente
sottoposto a censura le critiche portate al precedente arresto
giurisprudenziale delle stesse SS.UU. sul presupposto che in tale
decisione sarebbe risultato trascurato il dato testuale della
disposizione, che non avrebbe potuto che collegare il cattivo stato
di conservazione ad una condizione intrinseca dell\'alimento,
rilevando che tali critiche davano per acquisito un preciso valore
semantico dell\'art. 5 lett. b) che non risultava cosi\' acclarato
come si voleva fare ritenere.
In particolare secondo la Corte il termine "conservazione" da un
lato riguarda l\'effetto del conservare, quale mantenimento delle
caratteristiche iniziali, ma dall\'altro il "modo" di conservazione,
ovvero le attivita\' dirette ad assicurare quel mantenimento. Cio\'
discendeva anche da un\'interpretazione che non puo\' prescindere da
una visione sistematica dell\'intero articolo 5, assegnando uno
spazio operativo ad ogni singola previsione in esso contenuta;
muovendo da cio\', la Corte riscontrava come le lettere a) c) e d)
ricomprendano tutti gli aspetti oggettivamente rilevabili di
degenerazione delle caratteristiche intrinseche degli alimenti,
dalla privazione degli elementi nutritivi all\'alterazione degli
stessi, con la conseguente necessita\' di riferire il reato di cui
alla lett. b) alla inosservanza delle regole di conservazione delle
sostanze alimentari. Cosi\' che il cattivo stato di conservazione va
ad essere integrato da quelle situazioni nelle quali le sostanze
alimentari, pur potendo ancora essere sane e genuine, si presentano
mal conservate.
A questo punto la decisione delle Sezioni Unite allargava il campo
delle proprie riflessioni giungendo a due ulteriori affermazioni.
Infatti la Corte testualmente riteneva: "se alla norma in esame si
riconosce il compito di tutelare l\'ethos del consumatore,
assicurando una protezione anche a quella sfera di tranquillita\' che
(egli) ritrae dalla sicurezza che il prodotto sia giunto al consumo
con le cure igieniche imposte dalla sua natura, il reato che essa
reprime e\' un reato di danno".
In realta\', in tale occasione, la Corte nel rispondere all\'obiezione
presente nell\'indirizzo minoritario precedente, secondo la quale la
norma, se non interpretata nel senso di riferirla allo stato del
prodotto invece che alle modalita\' di conservazione, avrebbe
limitato le garanzie difensive, atteso che all\'imputato non sarebbe
stato consentito di dimostrare la genuinita\' del prodotto, ed
inoltre avrebbe comportato la possibilita\' di colpire comportamenti
inoffensivi, sembra avere scelto la strada di ritenerlo un reato di
danno, per non addentrarsi nella riflessione della compatibilita\',
anche costituzionale, fra reato di pericolo presunto e principio di
offensivita\'.
Peraltro, precedentemente all\'intervento delle Sezioni Unite, la
giurisprudenza delle sezioni semplici aveva costantemente
qualificato come reato di pericolo quello in esame, ed in tal senso
fra le altre, Cass. Sez. III 15 giugno 2000 n. 9449, Campitiello,
rv. 217578 e Cass. Sez. III 4 dicembre 1997 n. 1505, Ronconi, rv.
209790.
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Giovanni Canzio)
1Sez. Un., 4 gennaio 1996, Timpanaro, rv. 203094-