Cass. Civile SS.UU. sent. n. 14878 del 25 giugno 2009
Pres. Vittoria Rel. Oddo
Ambiente in genere. Violazione obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo
Facendo per la prima volta applicazione dell\'art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, le S.U., pronunciandosi in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione dell\'obbligo di comunicazione dell\'avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti e ai soggetti che per legge debbono intervenirvi (art. 7 della stessa legge), hanno distinto a seconda che il provvedimento finale sia o meno vincolato. Per i provvedimenti di natura vincolata, l\'annullabilità è esclusa nel caso di evidenza della inidoneità dell\'intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto; per quelli di natura non vincolata, subordinatamente alla prova, da parte dell\'Amministrazione, che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessa (fattispecie relativa a ordine di demolizione di immobili occupanti un’area demaniale senza titolo)
— l’illegittimità dell’ordinanza derivata dai vizi di un precedente provvedimento di demolizione, notificato il 5 luglio 2004 all’Associazione ed a sua volta impugnato;
— l’incompetenza dell’A.RDI.S. ad adottare provvedimenti repressivi di abusi edilizi ed in materia di concessioni del demanio idrico;
— il difetto di legittimazione passiva, e, in subordine, di contraddittorio, dovendo i provvedimenti demolitori essere assunti nei confronti dell’ente concedente;
— l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo;
— l’indeterminatezza dell’oggetto dei provvedimenti, non indicando le ordinanze gli immobili da demolire e gli abusi commessi, ed il difetto di legittimazione passiva, essendo ciascuno di essi legittimo detentore di uno soltanto dei capanni concessi in uso all’Associazione;
— la mancata redazione e comunicazione del verbale di accertamento delle violazioni e l’omessa preventiva notifica della diffida a demolire;
— la legittimità dei capanni, trattandosi dì costruzioni realizzate talora in epoca anteriore al 1942, la cui superficie e volumetria non erano state modificate nel tempo, e la presentazione di domande di sanatoria degli abusi edilizi eventualmente commessi con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria;
— l’omessa indicazione delle ragioni di pubblico interesse che avevano giustificato l’emanazione delle ordinanze a distanza di svariati decenni dalla realizzazione dei manufatti;
— la preesistenza dei capanni ai vincoli di inedificabilità imposti dal Piano stralcio di Assetto Idrogeologico (P.A.I.) e la previsione nel suo art. 22 della salvaguardia degli edifici esistenti, nonché l’illegittimità del Piano ove la norma avesse dovuto essere diversamente interpretata:
— l’assenza nelle ordinanze di una congrua motivazione sulla necessità di tutelare la pubblica incolumità.
Si costituirono l’A.RDI.S., lamentando l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, ed il Ministero, che eccepì il difetto di giurisdizione del giudice adito e la carenza di legittimazione passiva
Con sentenza del 22 giugno 2007, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigettò l’impugnazione.
Premesso che l’ordinanza di demolizione era motivata con l’assunto che i manufatti erano costruiti in zona esondabile e costituivano un grave pericolo per la pubblica e privata incolumità e che i ricorrenti occupavano un’area demaniale senza titolo legittimo, non essendo contestato che la concessione rilasciata alla loro associazione era scaduta il 30 aprile 1979 e non era stata rinnovata in quanto i capanni erano realizzati ad una distanza dalla sponda del fiume inferiore a quella di l0 m., prescritta dall’art. 96, lett. f), r.d. 25 luglio 1904, n. 523, osservarono i giudici, per quello che ancora rileva, che:
— l’impugnazione delle ordinanze di demolizione, essendo i provvedimenti finalizzati alla tutela delle aree appartenenti al demanio idrico a salvaguardia della pubblica e privata incolumità, rientrava nella giurisdizione devoluta al TSAP dall’art. 143, 1° co., lett. a), r.d. n. 1775/1933;
- l’A.RDI.S., quale ente strumentale della Regione, era competente, ai sensi degli artt. 8, 2° co., lett. a), e 19, L.r. Lazio n. 53/1998, ad esercitare tutte le funzioni proprie della Regione in materia di tutela di beni demaniali e di polizia idraulica e delle acque;
- la sponda sinistra del fiume Mignone, in prossimità della cui foce erano realizzati i manufatti, era totalmente mancante di argini dimensionati alla normale portata del fiume e priva di difesa in caso di un aumento della stessa ed era stata inserita dalla Autorità di Bacino con l’ultimo emendamento al P.A.I. nella fascia di pericolosità A (zona ad alta probabilità di inondazione o che possono essere inondate con frequenza media non superiore alla trentennale);
— la natura vincolata delle ordinanze escludeva la necessità della comunicazione ai destinatari dell’avvio del procedimento diretto alla loro emissione;
— gli intimati erano passivamente legittimati agli ordini di demolizione in quanto occupanti senza titolo dell’area golenale di natura demaniale;
— l’onere di accertamento e di specificazione del fatto era stato soddisfatto dalla redazione il 14 novembre 2005 di un verbale di sopralluogo della g.d.f. e dalla indicazione nel provvedimento notificato a ciascuno degli intimati della descrizione catastale del manufatto oggetto di demolizione e ripristino;
— nell’esercizio del potere di autotutela l’A.R.DI.S. non era tenuta a far precedere l’ordine di demolizione da una diffida;
— l’incompatibilità dei manufatti con il regime del demanio fluviale e la conseguente impossibilità di rilascio di qualsiasi autorizzazione o concessione edilizia escludevano la sanabilità degli abusi;
- la salvaguardia delle costruzioni già realizzate prevista dal Piano di Assetto Idrogeologico si riferiva ai soli interventi assentibili e regolari e non era applicabile ai manufatti realizzati in aree ad alto pericolo d’inondazione;
— il pericolo per la pubblica incolumità era sorretto dal mutamento delle situazioni geomorfiche ed idrografiche della zona, anche per effetto dell’elevato livello di inurbamento delle aree e delle esondazioni verificatesi nelle zone limitrofe nell’autunno 2005, nonché dalla mancanza di argini nel lato sinistro del fiume.
Avverso la decisione gli intimati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione con nove motivi, l’A.RDI.S. ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno resistito con controricorsi, formulando quest’ultimo due contestuali motivi di ricorso incidentale condizionato, e la Regione Lazio e l’Autorità per i Bacini non hanno svolto attività difensiva: i ricorrenti principali e I’A.RDI.S. hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A norma dell’art. 335, c.p.c., va disposta la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza..
Il ricorso principale denuncia, con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell’art. 19, L.r. Lazio n. 53/1998, e per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo e formula, a norma dell‘art. 366-bis, c.p.c., il quesito di diritto: “se l’art. 19, 2 comma, della legge reg. Lazio n. 53/ 1998 attribuisca all’ARDIS la competenza in ordine alla adozione di atti che dispongono la demolizione dei beni concessi in uso dall’Amministrazione finanziaria alla Associazione Pesca Sportiva Foce del Mignone, in forza dì concessione amministrativa scaduta”.
Preso atto che gli artt. 86, 1° co., e 89, 1° co., lett. f, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, hanno trasferito alle Regioni ed agli enti locali le funzioni relative alla gestione dei beni del demanio idrico, ivi comprese quelle relative alle concessioni di pertinenze idrauliche e di aree fluviali, deducono i ricorrenti che erroneamente il TSAP ha riconosciuto all’A.R.DI.S. il potere di esercitare in detta materia funzioni amministrative e, in particolare, di ordinare la demolizione di manufatti oggetto di una concessione, ancorché il rapporto concessorio si trovi in una situazione di proroga per non avere ancora provveduto la competente autorità sulla istanza di rinnovo, giacché:
— l’art. 19, 20 co., L. r.. Lazio n. 53/1998, aveva delegato a detta Agenzia unicamente lo svolgimento di “attività tecnico-operative connesse con le funzioni pubbliche relative alla realizzazione, gestione e manutenzione delle opere di difesa del suolo di competenza (della Regione) ai sensi dell’art. 8, comma 2, lettera a), ed alla realizzazione di cui all’art. 8, comma 2, lett. e)”;
— l’art. 27, 1° co., l.r. Lazio n. 3/2004 (regolamento di disciplina delle procedure per il rilascio delle concessioni di pertinenze idrauliche, aree fluviali, spiagge lacuali e di superfici e pertinenze dei laghi), aveva disposto che, in presenza di abusi o violazioni delle disposizioni in materia, alla tutela dei beni demaniali, “si procede in via amministrativa intimando, con provvedimento del direttore del Dipartimento Territorio, da notificarsi ai soggetti interessati, il ripristino della situazione di diritto o di fatto”;
— l’ordine di demolizione dei manufatti esorbitava dall’esercizio dello jus possidendi spettante al concedente.
il motivo è inammissibile.
Il TSAP, evidenziato che gli intimati occupavano un’area golenale di proprietà demaniale senza alcun titolo, non essendo stata rinnovata alla scadenza del 30 aprile 1979 la concessione rilasciata alla loro associazione, in quanto su di essa erano stati realizzati manufatti ad una distanza inferiore ai 10 mt. dalla sponda del fiume, imposta dall’art 96, r.d. 25 luglio 1904, n. 523, e che le ordinanze di demolizione erano state emesse perché “i manufatti costruiti in area esondabile costituiscono un grave pericolo per la pubblica e privata incolumità”, ha individuato negli artt. 19, 20 co., ed 8, 20 co., lett. a), L.r.. Lazio n. 53/1998, e nell’art. 3 dello statuto dell’AR.DI.S. un duplice fondamento al potere da questa esercitato con l’emissione del provvedimento impugnato.
Il primo, desunto dall’attribuzione all’Agenzia di tutte le funzioni proprie della Regione in tema di difesa del suolo e, quindi, anche di quella di ripristinare la demanialità violata dagli intimati, essendo l’occupazione dell’area golenale divenuta priva di titolo dopo il mancato rinnovo della concessione in uso alla loro associazione per l’impossibilità del rilascio del nulla osta idraulico.
Il secondo, tratto dallo specifico conferimento all’Agenzia delle funzioni di polizia idraulica, previste dal r.d. n. 523/1904 e dal r.d. 9 dicembre 1937, n. 2669, e di quelle di polizia delle acque, di cui al t.u. approvato con r.d. dicembre 1933, n. 1775, nelle quali è ricompresa la facoltà di ordinare la riduzione delle cose al primitivo stato nel caso di opere realizzate in violazione delle prescrizioni in materia, essendo finalizzato lo sgombero alla tutela delle aree appartenenti al demanio idrico a salvaguardia della pubblica e privata incolumità.
Le censure che il motivo rivolge al riconoscimento della competenza dell’A.R.DI.S. ad emettere le ordinanze di demolizione muovono, invece, dal presupposto che l’Agenzia abbia agito esclusivamente nel suo potere di tutelare il possesso dell’area demaniale interessata dai capanni occupati dai singoli associati e non anche di quello di ordinare la demolizione e riduzione in pristino per ragioni dì polizia idraulica in quanto i capanni costituivano un pericolo non solo per i loro occupanti, ma anche per i terzi, potendo la loro presenza modificare il regime delle acque durante gli eventi di piena.
Ne consegue la carenza d’interesse dei ricorrenti alla proposizione ed all’esame della questione di competenza così come prospettata, giacché la non pertinenza dì essa al secondo concorrente fondamento ad essa riconosciuto esclude che la verifica dei poteri di gestione dei beni demaniali attribuiti dalla Regione all’AR.DI.S. possa di per sé comportare l’assenta invalidità dei provvedimenti di demolizione emessi anche per la violazione delle disposizioni disciplinanti la polizia idraulica e la connessa tutela dell’integrità delle persone.
Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell’art. 36, c.c., e degli arti.. 100 e 101, c.p.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo e formula i quesiti di diritto: a) “se, in relazione al disposto dell’art. 36 cod. civ., le ordinanze aventi ad oggetto lo sgombero di un’area pubblica già concessa in uso ad un’Associazione regolarmente costituita e (aventi ad oggetto) la demolizione dei manufatti presenti nell’area medesima debbano essere adottate e notificate nei confronti dell’Associazione, e per essa del suo legale rappresentante, ovvero se esse possono legittimamente essere adottate nei confronti degli associati”; b) “se siano o meno violati gli artt. 100 e 101 cod. proc. civ., nel caso in cui l’autorità concedente adotti nei confronti 1ei soci l’ordinanza avente ad oggetto lo sgombero di un’area pubblica già concessa in uso ad un’associazione e la demolizione dei manufatti presenti nell’area medesima”.
Lamentano i ricorrenti che i giudici abbiano ravvisato la loro legittimazione passiva ai provvedimenti notificati, nonostante essi fossero esclusivamente gli utilizzatori dei capanni concessi in uso alla loro associazione ed in qualità di occupanti senza titolo delle aree golenali non avessero “alcun titolo in ordine alla demolizione dei bevi”.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza del TSAP ha negato una proroga di fatto della concessione dell’area demaniale all’associazione successivamente alla scadenza del suo termine, che il motivo ha genericamente contestato con la sola contrada affermazione della sua esistenza, ed alla automatica cessazione del rapporto concessorio e riacquisizione dello jus possidenti da parte dell’amministrazione concedente ha correttamente ricollegato l’infondatezza dell‘eccezione dei ricorrenti dell’esistenza di un titolo derivato ad occupare gli immobili.
Non ha, tuttavia, individuato la legittimazione degli intimati alla demolizione soltanto nell’assenza di un titolo all’occupazione, bensì anche nella disponibilità che essi avevano dei manufatti, ed ha ravvisato nella loro concorrente qualità dì occupanti senza titolo dell’area golenale e di utilizzatori dei manufatti realizzati in contrasto con le norme di polizia idraulica le condizioni necessarie e sufficienti a giustificare un loro obbligo di porre fine alla situazione antigiuridica e l’emissione nei loro confronti degli ordini di rimessione in pristino.
L’omessa censura del secondo argomento, oltre che quella generica del primo, sui quali è autonomamente basato il riconoscimento della legittimazione passiva, esclude, prima che la fondatezza, I’ idoneità della doglianza che la concerne a contestarne l’esistenza.
Con il terzo motivo, in relazione all’art.360, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 7, L. 7 agosto 1990, n. 241, avendo ritenuto che la natura vincolata delle ordinanze di demolizione escludesse l’obbligo della previa comunicazione dell’avvio dei relativi procedimenti, e formula il quesito di diritto: “se, nel caso in cui l’Amministrazione ordini la demolizione di manufatti da essa già concessi in uso in forza di regolare atto concessorio, debba trovare applicazione l’ari 7 della legge 241/1990, in forza del quale la p.a. procedente deve comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti del quale il provvedimento è destinato a produrre effetti”.
Assumono i ricorrenti che, essendo stati i manufatti concessi in uso ad un soggetto diverso dai destinatari degli ordini di demolizione, la partecipazione degli intimati al procedimento ed il loro apporto collaborativo erano necessari per l’acquisizione da parte dell’amministrazione degli elementi di fatto indispensabili al conseguimento con essi dell’interesse pubblico.
Il motivo è infondato.
L’art. 21-octies, L n. 241/1990, aggiunto dall’art. 14 L. 11 febbraio 2005, n. 15, dispone che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
In base a tale nonna, entrata in vigore anteriormente all’emissione delle ordinanze impugnate, l’annullabilità di un provvedimento amministrativo per la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio di procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, prescritto dall’art. 7 della stessa legge - salvo il caso in cui sussistano “ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento” - è esclusa: a) quanto ai provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la violazione delle altre norme del procedimento, per la sola evidenza della inidoneità dell’intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto; b) quanto ai provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova da parte dell’amministrazione che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessati.
Nella specie. la natura vincolata del provvedimento di demolizione di un manufatto realizzato a meno di dieci metri di distanza dalla sponda di un corso d’acqua, in quanto l’amministrazione non può recedere da un atto destinato a ripristinare la legalità violata da una attività materiale del privato ed a porre termine all’abuso, è stata già condivisibilmente affermata da questa Corte (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 1 aprile 2000, n. 82) e, avendo la sentenza adeguatamente argomentato sull’evidenza dell’inutilità in concreto di un eventuale contributo istruttorio degli intimati e sulla non prospettabilità di una loro partecipazione al procedimento idonea ad incidere sull’emissione e sul contenuto dei provvedimenti, non è ravvisabile il vizio denunciato nel diniego dei giudici che gli atti potessero essere annullati per l’omessa comunicazione dell’avvio di esso.
All’affermazione dell’infondatezza del motivo segue per il disposto dell’art. 384. c.p.c., l’affermazione del principio di diritto: “a norma dell’art. 21-octies, L. n. 241/1990, aggiunto dall’art. 14, L .11 febbraio 2005, n. 15. l’annullabilità di un provvedimento amministrativo per violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio di procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, prescritto dall’art. 7 della stessa legge, è esclusa: a) quanto ai provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la violazione delle altre norme del procedimento, per la sola evidenza della inidoneità dell‘intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto; b) quanto ai provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova da parte dell’amministrazione che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessati.”
Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo che “l’area su cui insistono gli immobili di cui è stata ordinata la demolizione è stata concessa in uso alla Associazione, unitamente a detti immobili”, giacché 1’A.R.DI.S. non poteva ordinare agli “occupanti senza titolo delle aree golenali” la demolizione di manufatti che non potevano essere considerati abusivi.
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP ha esaminato e motivatamente disatteso i rilievi dei ricorrenti che, pur in assenza di un formale provvedimento della p.a., l’occupazione delle aree golenali e la presenza dei manufatti fosse sorretta da una proroga della scadenza della concessione rilasciata alla loro associazione e che l’esistenza di un titolo all’occupazione non giustificava la notifica ai ricorrenti delle ordinanze di demolizione e nessuna censura è stata argomentatamente rivolta avverso l’affermazione dell’infondatezza di essi.
E’ peraltro assorbente, perché vale ad escludere l’interesse al motivo, la circostanza che la sentenza ha rimarcato, anche in questo caso senza censura dei ricorrenti, che l’ordinanza di sgombero delle aree e di ripristino della demanialità violata era finalizzata alla salvaguardia della pubblica e privata incolumità, pregiudicate dalla presenza di manufatti in zona sottoposta a rischio di inondazione e ad una distanza dal fiume che, in quanto inferiore a quella imposta dalla legge, non aveva consentito il rinnovo della concessione, ed ha notificato i provvedimenti agli occupanti dei capanni in applicazione non tanto delle norme a tutela dei beni del concedente, quanto di quelle di polizia idraulica.
Con il quinto motivo, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell’art. 35, 1° co, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, e per o-messa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo dell’insussistenza nell’ordinanza della “descrizione catastale del manufatto oggetto di demolizione e ripristino” e formula il quesito di diritto: “se, in relazione a quanto disposto dall’art. 35, comma 1, del d.P.R. 380/2001, la ordinanza con cui la P.A. procedente ordina la demolizione di pretesi abusi edilizi debba contenere, a pena di illegittimità, la descrizione degli abusi contestati”.
Esposto che, ai sensi dell’art. 35, 1° co., cit., i provvedimenti con cui si irrogano sanzioni edilizie ripristinatore devono contenere una sufficiente descrizione degli abusi riscontrati, in modo da evitare qualsiasi incertezza nella loro identificazione, deducono i ricorrenti che, contrariamente a quanto affermato dal giudice delle acque, le ordinanze impugnate non riportano affatto la descrizione catastale dei singoli manufatti oggetto dell’intimazione di demolizione e di ripristino.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza ha ritenuto soddisfatto l’onere di accertamento della esistenza dei manufatti nell’area demaniale dalla redazione il 14 novembre 2005 di un verbale di sopralluogo, nel quale la G.d.F dava atto della presenza in serie consecutiva di diversi fabbricati sulla foce del Mignone, e quello di comunicazione del fatto accertato dalla descrizione catastale del capanno oggetto dell’ordine dì demolizione e ripristino riportata in ciascuno dei provvedimenti notificati ai singoli occupanti.
L’affermazione degli intimati che “contrariamente a quanto affermato dal TSAP” le ordinanze di demolizione “non riportano la descrizione catastale del manufatto oggetto dì demolizione e ripristino” si risolve conseguentemente, come dagli stessi evidenziato, nella denuncia del travisamento di una circostanza presupposta dal giudice a fondamento della sua pronuncia, che integra l’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, previsto dall’art. 395, n 4, c.p.c., quale motivo di revoca di una sentenza, e non un vizio della decisione riconducibile alle previsioni dell’art. 360, ti. 5, c.p.c. (cfr.: da ultimo: Cass. civ., sez. I, sent. 3 agosto 2007, n. 17057; Cass. civ., sez. III, sent. 9gennaio 2007, n. 213).
La preclusione della prospettazione della doglianza quale motivo di cassazione della sentenza comporta, altresì, la non pertinenza della denuncia di violazione della norma che avrebbe dovuto essere applicata e del quesito formulato a sua illustrazione, non avendo la sentenza fatto una applicazione dell’ad. 35, 1° co, d.p.r. 6 giugno 2001, o. 380, diversa da quella sollecitata dai ricorrenti.
Con il sesto motivo, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell’art. 35, 20 co., d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, avendo escluso l’obbligo dell’amministrazione di fare precedere la demolizione da una “diffida non rinnovabile” sull‘erroneo presupposto che i ricorrenti avessero “realizzato una qualche abusiva costruzione”, e formula il quesito di diritto: “se nel caso in cui l’autorità preposta disponga. a carico dei soci dell’associazione concessionaria lo sgombero di un’area già concessa in uso c la demolizione dei soprastanti manufatti pure oggetto di concessione, debba o meno seguire il procedimento di cui all’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001”.
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP ha rigettato il corrispondente motivo di impugnazione dell’ordinanza di demolizione, evidenziando che l’art. 35, d.p.r. n. 380/2001, concernente gli interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici, dispone al suo 3° co. che “resta fermo il potere di autotutela dello Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici, previsto dalla normativa vigente” e che nell’ambito di tale potere, che I’A.RDI.S aveva in concreto esercitato, non è posto a carico dell’ente che procede al ripristino della legalità l’onere di inviare la “diffida non rinnovabile” prescritta dal 20 co., art. cit.
Da un lato, quindi, il motivo di ricorso è privo di attinenza, in quanto non indica le ragioni per le quali sarebbero erronee le affermazioni della sentenza che l’Agenzia aveva fatto legittimamente ricorso allo strumento dell’autotutela e che nell’esercizio del relativo potere non era tenuta a fare procedere l’ordine di demolizione da una diffida e, dall’altro, il quesito genericamente formulato con riferimento all’applicabilità al procedimento della disciplina prevista dall’art. 35, del d.P.R. n. 380/2001, al cui terzo comma ha invece fatto riferimento la sentenza, non è idoneo ad illustrare il fondamento del motivo di ricorso, come prescritto dall’art. 366-bis, c.p.c.
L’inammissibilità della denuncia di violazione di legge, pur a prescindere dall’ interesse ad essa non essendo stato impugnato il concorrente esercizio dei poteri di polizia idraulica, assorbe l’esame di quella di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella ricostruzione del fattispecie alla quale la norma violata sarebbe stata erroneamente applicata.
Con il settimo motivo, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione degli artt. 31, 32, 33 e 44, L. 28febbraio 1985, n. 47, e formula i quesiti di diritto: a) “se l’art. 33 della legge n. 47 del 1985 comporti un regime di inedificabilità assoluta nel caso in cui il vincolo di inedificabilità sia imposto successivamente alla realizzazione dell’opera per cui è stata presentata domanda di sanatoria ai sensi della medesima legge”; b) “se, in caso di contrasto con il vincolo di inedificabilità imposto successivamente alla costruzione dell’opera per cui è stata presentata domanda di sanatoria ai sensi della legge n. 47 del 1985, trovi applicazione la sospensione dei procedimenti amministrativi prevista dall’art. 44, primo comma, della legge n. 47 cit.”
Si dolgono i ricorrenti che la decisione, sul rilievo dell‘inserimento dell’area sulla quale i capanni erano edificati tra quelle sottoposte a tutela per il pericolo d’inondazione, abbia negato che l’emissione dell’ordinanza di demolizione fosse preclusa in pendenza della definizione delle domande di condono da essi cautelativamente presentata, benché l’art. 22 del P.A.I, che aveva imposto il vincolo di inedificabilità, salvaguardasse i manufatti già esistenti alla sua adozione in data 12 dicembre 2005 e, a nonna degli artt. 31 e 32, i. n. 47/1985 cit., alla sanatoria delle opere abusive ostassero unicamente i vincoli imposti prima della loro realizzazione, potendo quelli successivi essere derogati con il parere favorevole delle amministrazioni preposte alla loro tutela.
Il motivo è inammissibile.
Il TSAP, ha negato la violazione da parte dell’A.R.DI.S. dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 (interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali), profilata per essere stati i manufatti realizzati anteriormente al 1942 ed essere stata richiesta la sanatoria degli interventi di manutenzione or1i- nana e straordinaria eseguiti dai loro occupati, ponendo in rilievo, da un lato, la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela di beni appartenenti al demanio successivamente alla scadenza del termine della loro concessione in uso ad un privato e, dall’altro, l’impossibilità del rilascio di una autorizzazione o concessione edilizia re1atva- mente a manufatti incompatibili con il regime del demanio fluviale e l’operatività della salvaguardia prevista dall’art. 22 del P.A.I., soltanto agli interventi assentibili e regolari e non anche a quelli non ancora autorizzati al momento della approvazione del Piano e ricompresi in area soggetta ad inondazione ed inclusa in fascia di pericolosità A).
La prima osservazione, di per sé idonea ad escludere l’asserita preclusione all’emissione dell’ordinanza di demolizione prevista dall’art. 44, 1. n. 47/1985, e conforme al principio già affermato da questa Corte che la sospensione contemplati da detta norma non trova applicazione laddove l’amministrazione pubblica agisca nei confronti dei privati per la riduzione in pristino stato ed il rilascio di beni demaniali abusivamente occupati (cfr.: Cass. civ., sez. 1, sera. 8 settembre 1995, n. 9476), non è stata censurata dai ricorrenti e la definitività della pronuncia sul punto che ne segue esclude l’interesse all’esame della doglianza formulata avverso la seconda.
Va osservato, in ogni caso, che, l’assoluta impossibilità del rilascio del nulla osta idrogeologico per opere realizzate in violazione dell’art. 96, lett. f, r.d. n. 523/1904, e del divieto posto dal P.A.I. di edificazione nella fascia di pericolosità A) ostava a che potesse costituire impedimento all’emissione di un provvedimento di demolizione dato per motivi di polizia idraulica la presentazione di una domanda di sanatoria di abusi edilizi, anche senza considerare l’evidente inidoneità della richiesta di condono di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione a sospendere la demolizione di un immobile di per sé stesso illegittimo.
Con l’ottavo motivo, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art.. 112, c.p.c., non essendosi pronunciata sulla domanda subordinata di annullamento del P.A.I. nel caso in cui il suo articolo 22 fosse stato interpretato nel senso che nella fascia A) dovessero essere demolite anche le costruzioni esistenti, e formula il quesito di diritto: “se l’omessa pronuncia sulla richiesta di annullamento di un atto presupposto di quello impugnato in via principale, ed in relazione al quale è stato formulato uno specifico motivo d’impugnazione, costituisca violazione dell’art 112 cod. proc. civ., e comporti la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.”
Il motivo è inammissibile.
La censura incorre, da un lato, nella medesima carenza di interesse evidenziata per la declaratoria di inammissibilità del settimo motivo che la precede e, dall’altro, è illustrata da un quesito di diritto, richiesto anche nel caso di denuncia della violazione dell’art. 112, c.p.c. (cfr.: Cass. civ., sez. III, ord. 23 febbraio 2009, n. 4329), che si limita alla pura e semplice richiesta di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (cfr.: Cass. civ., sez. III, sent. 17 luglio 2008, n. 19769).
Con il nono motivo, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la decisione ravvisato il grave pericolo all’incolumità pubblica e privata nelle mutate condizioni geomorfiche e idrografiche della zona e nella mancanza di argini sul lato sinistro della foce del fiume, benché che tali circostanze, peraltro neppure provate, non risultassero affatto menzionate nell’ordinanza impugnata, la quale si limitava a rilevare che i manufatti erano costruiti in area esondabile.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti, nell’impugnare le ordinanze di demolizione, emesse perché “i manufatti costruiti in area esondabile costituiscono un grave pericolo per la pubblica e privata incolumità” avevano denunciato che i provvedimenti, “per quanto attiene alla assenta necessità di tutelare la pubblica incolumità, sono illegittimi in quanto privi di motivazione, per travisamento e difetto di istruttoria”.
Non soltanto, quindi, non avevano censurato l’asserito pericolo per la privata incolumità, ma neppure avevano contrastato l’affermazione della insistenza dei manufatti in zona esondabile, e sulla idoneità del richiamo di tale circostanza a giustificare il provvedimenti di demolizione per il pericolo derivante alla pubblica incolumità dalla presenza dei capanni il TSAP si è specificamente pronunciato, evidenziando in più parti della sentenza: a) il mancato rinnovo della concessione d’uso in quanto l’allocazione dei capanni violava le distanze prescritte dall’art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904, per garantire il regola re deflusso delle acque in caso di esondazioni del fiume; b) l’inclusione dell’area occupata nella fascia di pericolosità A); c) l’assenza di argini sul lato sinistro della foce del fiume nel quale i manufatti erano realizzati; d) il mutamento delle situazioni geomorfiche ed idrogeografiche della zona, anche per effetto dell’elevato livello di inurbamento delle aree; e) le esondazioni verificatesi nelle zone limitrofe nell’autunno 2005.
Non soltanto, quindi, la sentenza ha dato conto della presenza nei provvedimenti di una motivazione idonea a giustificarli, ma anche della concreta esistenza del pericolo menzionato con argomenti materialmente e ideologicamente congrui, logicamente formulati e sonetti da precisi riscontri in fatto.
All’inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso principale e la declaratoria di assorbimento dell‘esame del ricorso incidentale, benché con esso il ricorrente abbia riproposto la questione di giurisdizione del TSAP già sollevata nel grado predente (cfr.: Cass. civ., sez. un. sent. 6 marzo 20099 n, 5456). Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate in dispositivo.