Cass. Sez. III n. 44865 del 25 novembre 2022 (UP 19 ott 2022)
Pres. Ramacci Est. Semeraro Ric. Maci
Ambiente in genere.Prescrizioni e improcedibilità azione penale
In tema di reati ambientali, l'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale. Gli artt. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 non stabiliscono affatto che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria debbano obbligatoriamente impartire una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato, vuoi perché non vi è alcunché da regolarizzare, vuoi perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua, con la conseguenza che l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale. La norma, espressamente, non afferma che la procedura ex art. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 configuri una condizione di procedibilità dell'azione penale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 18 febbraio 2022 il Tribunale di Brindisi ha condannato Angelo Maci alla pena di € 10.000 di ammenda per il reato di cui al capo A), qualificato ex art. 256, comma 2, con riferimento al comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, per avere, in qualità di legale rappresentante della cooperativa Agricola «Cantina due Palme», effettuato un deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi (rifiuti da demolizione, da potature di piante, plastici), in violazione della disciplina prevista dal titolo IV d.lgs. n. 152 del 2006 (in Cellino San Marco fino al 3 luglio 2018).
È stata, invece, emessa sentenza di non doversi procedere per il reato ex art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 di cui al capo B) perché estinto ex art. 318-septies.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Dopo aver ricostruito l’iter del procedimento, con il primo motivo si deducono l’erronea applicazione dell’art. 318-sexies d.lgs. n. 152 del 2006, l’improcedibilità dell’azione penale, la nullità del decreto di citazione a giudizio per violazione dell’art. 178, comma 1, cod. proc. pen. e l’assenza di motivazione.
Ex art. 318-bis d.lgs. n. 152 del 2006, sin dal 24 luglio 2018, il ricorrente avrebbe richiesta di «risolvere il problema» mediante il prelievo e lo smaltimento del materiale di cui al capo A).
Dopo la notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., il 20 novembre 2018 il difensore depositò una memoria in cui, oltre ad esporre le ragioni di merito, si reiterò l’istanza di accesso al procedimento incidentale ex artt. 318-bis e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 per entrambi i capi di imputazione indicati nell’avviso.
Il Pubblico ministero presentò analoga richiesta, seppur riferita solo al capo B), con nota del 1 ottobre 2018, quindi antecedentemente all’emissione dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. Le due richieste non sarebbero state esitate; di conseguenza, l’imputato eccepì l’improcedibilità dell’azione penale.
Il rigetto dell’eccezione sarebbe avvenuto, da parte del Tribunale, con una motivazione non condivisibile: la procedura sarebbe attivabile anche su istanza di parte. Inoltre, il Tribunale avrebbe erroneamente sostenuto che il Pubblico ministero sia autorizzato ad esercitare l’azione penale in quanto l’art. 318-sexies d.lgs. n. 152 del 2006 consentirebbe di compiere alcune attività processuali; invece, l’elencazione delle attività consentite dall’art. 318-sexies sarebbe tassativa e non suscettibile di interpretazione estensiva.
La sospensione del procedimento, prevista dalla norma, sarebbe necessaria in base alla ratio legis ed al testo normativo, non facoltativa; la mancata sospensione del procedimento determinerebbe la nullità ex art. 178, comma 1, cod. proc. pen. del decreto di citazione a giudizio.
La motivazione sarebbe, poi, viziata nella parte in cui ha ritenuto che l’imputato non avrebbe subito un vulnus, essendo stata ammessa la procedura con riferimento al capo B); invece, la richiesta di sospensione sarebbe stata proposta per entrambi i capi di imputazione e l’imputato sarebbe stato sottoposto ad un inutile dibattimento. Non sarebbe condivisibile la tesi sul rigetto implicito della richiesta della difesa da parte del Pubblico Ministero che avrebbe l’obbligo di risposta.
2.2. Con il secondo motivo si deducono l’erronea applicazione dell’art. 318-sexies d.lgs. n. 152 del 2006, l’omessa dichiarazione di estinzione del reato di cui al capo A) e l’assenza di motivazione.
A seguito della richiesta di adesione alla procedura ex artt. 318-bis ss. d.lgs. n. 152 del 2006, il 20 gennaio 2020 il Tribunale emanò un’ordinanza in cui chiariva che la procedura era ammessa anche con riferimento al capo A), salvo poi limitarla al solo capo B) a seguito di un’informativa del 2 marzo 2020, da cui sarebbe generato un altro procedimento, non ancora deciso.
Il Tribunale non avrebbe considerato che l’accertamento del rispetto delle prescrizioni impartite sul capo B), avrebbe prodotto i suoi effetti anche per il capo A), poiché la bonifica avrebbe riguardato lo stesso suolo ed i rifiuti già presenti.
2.3. Con il terzo motivo si deducono l’erronea applicazione dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 sulla qualificazione quali rifiuti del materiale sequestrato e l’assenza di motivazione sul punto.
Alcuni materiali (raspi, fecce e vinacce) indicati nel capo di imputazione non sarebbero rifiuti, sicché non si configurerebbe il reato ex art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006; altri materiali non sarebbero riconducibili al ricorrente (residui di ristrutturazione e plastica). Sarebbe stata depositata all’udienza del 18 febbraio 2022 una memoria, trasmessa anche al Pubblico Ministero nell’ambito di un secondo procedimento, sulla natura dei raspi e fecce in base alla normativa regionale.
Il Tribunale avrebbe ritenuto la natura di rifiuti perché relativi all’attività imprenditoriale, mentre avrebbe dovuto valutare tutto il materiale ai fini della rilevanza penale; inoltre, i materiali di plastica e di ristrutturazione non sarebbero riconducibili alla produzione vinicola, sicché rispetto a questi o non vi sarebbe la condanna o mancherebbe la motivazione.
2.4. Con il quarto motivo si deducono l’erronea applicazione dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 e l’assenza di motivazione sull’ascrivibilità della condotta. La responsabilità dell’imputato sarebbe stata ritenuta perché il suolo era di proprietà della società, perché parte dei rifiuti sarebbero derivati dal processo produttivo dell’azienda e sulla mancanza di diligenza nella gestione dei rifiuti aziendali. Tale conclusione contrasterebbe con la giurisprudenza che affermerebbe che, ai fini della configurazione del reato, non sia sufficiente solo una colpevole inerzia o una condotta omissiva.
Inoltre, i rifiuti per cui è intervenuta la condanna sarebbero estranei al ciclo produttivo. Il ricorrente, una volta constatata la rottura del lucchetto di accesso, avrebbe sporto immediatamente denuncia, inserita nel fascicolo del Pubblico Ministero: sul punto si deduce il travisamento della prova per omissione.
Il teste Locorotonda avrebbe confermato tale ricostruzione dei fatti.
Pertanto, mancherebbe la motivazione sull’attribuzione della responsabilità per i materiali estranei al ciclo produttivo, tenuto conto anche che sul suolo sarebbe stato trovato un documento (foto n.30) da cui emergerebbe che i rifiuti sarebbero stati collocati da altri.
2.5. Con il quinto motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di mancanza della motivazione sul rigetto della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Il Tribunale non avrebbe motivato sulle modalità della condotta ostative al riconoscimento del beneficio; eccessivo sarebbe il riferimento al pericolo cagionato, trattandosi di materiale biodegradabile spostato dal sito e stoccato in cassoni; mancherebbe la motivazione sulla gravità della lesione del bene giudico.
Sarebbe irrilevante il riferimento alla reiterazione del reato, atteso che il reato di cui al capo b) è stato estinto con apprezzabile condotta; l’altro procedimento ascritto all’indagato sarebbe in una fase embrionale.
Il Tribunale avrebbe dovuto applicare la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. poiché il materiale rilevante sarebbe solo quello costituito da residui di demolizione e plastica, per circa due metri cubi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato perché contrario al costante orientamento della giurisprudenza - cfr. da ultimo Sez. 3, n.19666 del 27/04/2022, Ahmetovic, non massimata – secondo cui in tema di reati ambientali, l'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale (si veda anche Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Fulle, Rv. 277468; Sez. 3, n. 38787 dell'08/02/2018, De Tursi, non massimata).
1.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, gli artt. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 non stabiliscono affatto che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria debbano obbligatoriamente impartire una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato, vuoi perché non vi è alcunché da regolarizzare, vuoi perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua, con la conseguenza che l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale.
La norma, espressamente, non afferma che la procedura ex art. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 configuri una condizione di procedibilità dell'azione penale.
1.2. La sentenza Ahmetovic ha, altresì, fatto riferimento anche alle sentenze della Corte costituzionale; con la n. 76 del 2019 è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 318-septies, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che l'adempimento tardivo, ma comunque avvenuto in un tempo congruo a norma dell'art. 318-quater, comma 1, d.lgs. n. 152 n. 2006, ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza, sono valutati ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis cod. pen., e determinano una riduzione della somma da versare alla metà del massimo dell'ammenda prevista per il reato in contestazione, anziché a un quarto del medesimo ammontare massimo, come invece disposto dall'art. 24, comma 3, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 nel caso di contravvenzione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Con la sentenza n. 238 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 318-octies d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui prevede che la causa estintiva del reato, contemplata nel precedente art. 318-septies, non si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel codice dell’ambiente, dall'art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68.
La Corte costituzionale ha compiutamente analizzato la procedura disegnata dagli artt. 318-ter ss. d.lgs. n. 152 del 2006 evidenziandone gli stringenti punti di contatto con disciplina prevista dagli artt. 20 ss. d.lgs. n. 758 del 1994 per la violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro – e non risulta che sia stato affermato che il previo esperimento della procedura relativa all'oblazione amministrativa ambientale si ponga quale condizione di procedibilità dell'esercizio dell'azione penale.
1.3. Come afferma la sentenza Ahmetovic, l’interpretazione che esclude trattarsi di una condizione di procedibilità è in linea con la giurisprudenza sulla speculare disciplina antinfortunistica che ha costantemente affermato che l'omessa indicazione, da parte dell'organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 3671 del 30/11/2017, dep. 2018, Vallone, Rv. 272454; Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140).
2. Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. in quanto deducono il vizio di violazione di legge processuale ex art. art. 606, lett. c), cod. proc. pen. con riferimento a questioni sostanziali.
Tali motivi sono, altresì, manifestamente infondati laddove deducono il vizio di motivazione mancante o apparente avendo il Tribunale, con ampia motivazione, analizzato tutti i punti dedotti nel ricorso.
3. Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge sostanziale, è manifestamente infondato: il Tribunale ha correttamente spiegato le ragioni per le quali per il reato di cui al capo a) la procedura estintiva non è stata dichiarata: in particolare, (cfr. pag. 12-13 della sentenza) il Tribunale ha rappresentato che risulta provato che l’eliminazione delle conseguenze del reato non era avvenuta, poiché, al contrario, erano emersi altri fatti reato a carico dell’imputato. La decisione si fonda, pertanto, su un accertamento di merito qui non rivalutabile.
4. Il terzo motivo, con cui si deduce il vizio ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. con riferimento alla qualificazione del materiale sequestrato di cui al capo a) quale rifiuto, è inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca poiché non si confronta con la motivazione della sentenza che nelle pagine 13 e 14 ha correttamente indicato perché i materiali ritrovati costituiscono dei rifiuti.
I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). L'atto di impugnazione non può infatti ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
5. Il quarto motivo, sulla ascrivibilità della condotta, prospetta nella prima parte questioni di merito ed in fatto con cui si critica l'adeguatezza della valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito proponendo alla Corte una lettura alternativa; la rilettura delle fonti di prova è estranea al sindacato di legittimità.
Il motivo è, poi, inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca laddove afferma che il Tribunale avrebbe condannato l’imputato per la responsabilità oggettiva. Sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato il Tribunale ha argomentato a pagina 18 e con tale motivazione il ricorso non si confronta in alcun modo.
La tesi difensiva, sull’apposizione del lucchetto, è stata esplicitamente analizzata dal Tribunale, così come non sussiste il dedotto travisamento della prova per omissione avendo il Tribunale valutato la deposizione del teste Locorotondo.
Quanto al citato documento, va ricordato che il vizio della motivazione per il travisamento della prova sussiste solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato.
Nel ricorso non si dimostra in alcun modo perché il ritrovamento di un foglio proveniente da terzi sul posto renderebbe del tutto illogica l’ampia motivazione del Tribunale sulla responsabilità dell’imputato.
6. Il quinto motivo è infondato.
6.1. Va ribadito il principio per cui – cfr. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647 – 01 - ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti.
Si è affermato, altresì, che ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 – 01).
6.2. Il Tribunale ha indicato gli elementi di fatto (a pag. 18, ma la motivazione sul punto richiama la ricostruzione del fatto) in base ai quali ha ritenuto la gravità della condotta: il rigetto della richiesta difensiva è avvenuto, pertanto, in base ad uno degli elementi di valutazione dell’art. 133 cod. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/10/2022.