Consiglio di Stato Sez. II n. 6947 del 2 agosto 2024
Ambiente in genere.Valutazione di impatto ambientale e sindacato giurisdizionale
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l'amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti. Il sindacato giurisdizionale, al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri, è consentito soltanto quando risulti violato il principio di ragionevolezza.
Pubblicato il 02/08/2024
N. 06947/2024REG.PROV.COLL.
N. 07805/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7805 del 2020, proposto da
Lipu - Associazione Italiana Lega Italiana Protezione Uccelli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Cinzia Barbetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Direzione Generale per le Valutazioni Ambientali presso il M.A.T.T.M., Direzione Generale per il Paesaggio presso il M.I.B.A.C.T., Servizio Ecologia-Ufficio Programmazione, V.I.A. e V.A.S. Area Riqualificazione presso Regione Puglia, non costituiti in giudizio;
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carmela Patrizia Capobianco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Energas S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Isabella Loiodice, Antonio Palma e Federico Mazzella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 1694/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 luglio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Barbetti Cinzia e Loiodice Isabella;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – L’associazione appellante, con ricorso straordinario poi trasposto in sede giurisdizionale avanti il Tar per la Puglia, ha impugnato il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 295 del 22.12.2015 con cui è stata rilasciata la valutazione positiva di compatibilità ambientale (VIA), con prescrizioni del progetto per la realizzazione di un deposito costiero di GPL, da costruirsi nel territorio del Comune di Manfredonia.
1.1 - Unitamente a tale atto conclusivo del procedimento di VIA, l’appellante ha impugnato anche i prodromici pareri favorevoli espressi:
- dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA/VAS, n. 1614 del 19.8.2014, nonché quelli precedenti (n. 1712 del 13.02.2015 e n. 1895 del 15.10.2015);
- dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo prot. n. 31093 del 10.11.2014;
- dalla Regione Puglia nella seduta del 25.5.2015 (Servizio ecologia - Ufficio programmazione, Politiche energetiche, VIA e VAS, Area Politiche per la Riqualificazione, la Tutela e la Sicurezza ambientale e per l'Attuazione delle opere pubbliche, presso l’Assessorato alla Qualità dell'Ambiente, recepito con deliberazione di G.R. n. 1361 del 5.6.2015).
2 - L’associazione, a sostegno dell’impugnazione, contesta che il progetto (composto da un gasdotto, opere ferroviarie e serbatoi di deposito) ricadrebbe in una zona di pregio ambientale, inserita nella rete comunitaria “Natura 2000”, di fatto coincidente con le zone SIC/ZPS denominate “Valloni e steppe pedegarganiche”. Ciò avrebbe dovuto comportare una valutazione di compatibilità ambientale negativa.
3 – Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.
4 – L’associazione ricorrente in primo grado ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati.
4.1 – Preliminarmente, considerato l’esito del giudizio come nel prosieguo illustrato, non appare necessario procedere alla riunione del presente ricorso in appello con quello portante Rg. n. 7672/2020. Per le stesse ragioni, non può essere accolta la richiesta di rinvio della trattazione della causa, non sussistendo alcuna ragione ostativa alla decisione della stessa.
5 – Prima di esaminare le singole censure giova ricordare che il ricorso dell’associazione appellante si inserisce in una vicenda, di seguito sommariamente riassunta, già portata all’attenzione del Giudice amministrativo, le cui statuizioni non possono essere rimesse in discussione nel presente giudizio.
Nel 1999 ENERGAS S.p.A. (già ISOSAR S.r.l.) ha presentato al MATTM un’istanza di compatibilità ambientale relativa al progetto per la costruzione di un deposito costiero di stoccaggio di G.P.L. nella zona di sviluppo industriale di cui al patto d’area per lo sviluppo industriale del Comune di Manfredonia, in particolare nell’area D3E (ex ID49), collegato al porto di Manfredonia tramite un gasdotto di circa 10 Km e collegato da un raccordo ferroviario, lungo circa 2Km, alla stazione di Frattarolo.
Il MATTM, sulla base dei pareri negativi espressi dalla Commissione per le valutazioni ambientali (n. 387 del 25.10.2000), del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (n. ST/403/1968/99 dei 27.01.2000) e della Regione Puglia (n. 192 del 27.09.2000), in data 22.12.2000, ha emanato decreto DEC/VIA/5673 di dichiarazione negativa di compatibilità ambientale in merito a detto impianto.
Tale decreto è stato impugnato innanzi al Tar per la Puglia che, con la sentenza n. 3456/2001, ha accolto il ricorso annullando il provvedimento ministeriale. Avverso tale sentenza, la Regione Puglia ha proposto appello al Consiglio di Stato che lo ha respinto con la decisione n. 3975/2002. La Regione ha avanzato anche ricorso per la revocazione della predetta sentenza, ma anch’esso è stato rigettato, con la sentenza n. 5499/2003 di questo Consiglio.
ENERGAS S.p.A., con separati atti stragiudiziali, datati 16/09/2002 e 2/10/2002, ha invitato il Ministero dell'Ambiente ed il Ministero dei Beni Culturali ad ottemperare alle decisioni del Consiglio di Stato, provvedendo alla emanazione di una positiva pronuncia di compatibilità ambientale del progetto.
Il Ministero dell’Ambiente, in riscontro ai predetti atti stragiudiziali, con nota prot. n.1084/VIA/A.O.13.N del 3 febbraio 2003, ha avviato nuovamente l’istruttoria evidenziando, tuttavia, la necessità di un aggiornamento delle informazioni ambientali, oltre che una nuova pronuncia del MIBACT e della Regione Puglia.
La Commissione di Valutazione dell’Impatto Ambientale si è espressa sul progetto con due distinti pareri positivi n. 601 del 15.07.2004 e n. 643 del 22.12.2004. Diversamente dalla Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale, il MIBACT ha confermato, con nota prot 07.08.403/1295/2005 del 16.02.2005, il proprio pronunciamento negativo in merito al progetto di cui trattasi.
ENERGAS S.p.A. ha promosso contro la nota del Ministero ricorso per l’ottemperanza innanzi al Tar per la Puglia che, con la sentenza n. 3751/2004 (confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5123/2009) ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, stante il carattere di autoesecutività della decisione del Consiglio di Stato che non lasciava alle amministrazioni competenti altra possibilità che quella di procedere alla emanazione di una positiva pronuncia di compatibilità ambientale del progetto, senza alcuna rinnovazione del procedimento di V.I.A., previa verifica della mancanza di elementi di fatto o di diritto nuovi e impeditivi.
Infine, a seguito dell’istruttoria tecnica svolta ed acquisito il parere del competente Comitato regionale V.I.A. del 25.05.2015, ai sensi del comma 6, art. 4 e del comma 4, art. 11 del Regolamento Regionale 10/2011, esaminata e valutata la documentazione progettuale, la Giunta Regionale, con la deliberazione n. 1361 del 5.06.2015, ha espresso parere tecnico favorevole di compatibilità ambientale, condizionato all’aggiornamento dell’istanza di V.I.A.
5.1 - In riferimento alle ultime pronunce giurisdizionali innanzi citate giova richiamare i seguenti passaggi motivazionali particolarmente significati anche ai fini del presente giudizio:
- il Tar per la Puglia, con la sentenza n. 3751/2004, ha rilevato che il giudicato formatosi sui fatti esaminati ed accertati dallo stesso Tar con la sentenza n. 3456/2001, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3975/2002 (“e cioè il fatto che gli insediamenti produttivi realizzati nella zona industriale hanno ormai alterato l’ecosistenza; che la vasta area industriale – sulla quale insiste il sito Isosar - non può costituire di certo un habitat appropriato per le specie rare di fauna selvatica e soprattutto che il sito Isosar insiste in un’area di dichiarato modesto pregio ambientale”) vincolano le Autorità statali e regionali nelle loro successive determinazioni. Pertanto, si è affermato che “il vincolo che da tale giudicato deriva non lasci alle Amministrazioni coinvolte alcun margine di discrezionalità in ordine ai provvedimenti da adottare…In sostanza il giudice amministrativo, ritenendo accertate le circostanze di fatto in ordine allo stato dei luoghi per come riportare nel predetto parere, ha affermato che la conclusione a cui si doveva giungere non poteva essere certo quella della pronuncia negativa di compatibilità ambientale dell’opera, ma al contrario, quella della sua compatibilità. Segue da ciò che la pronuncia del giudice di primo grado, confermata in sede di appello, assume efficacia autoesecutiva, immediatamente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio e preclude alle Amministrazioni coinvolte l’emanazione di provvedimenti che trovino fondamento in quelli annullati, nonché di atti contrari alle statuizioni contenute nella sentenza…Ritiene peraltro che il Collegio che qualora, come nel caso di specie, la situazione di fatto non sia ancora conforme a quella di diritto definita dal giudicato, l’Amministrazione sia tenuta ad adeguarsi senza che peraltro ciò comporti l’esercizio di alcun potere di amministrazione attiva discrezionale”;
- nella sentenza n. n. 5123/2009 il Consiglio di Stato “ritiene che la sentenza n. 5499/2003, nel respingere il ricorso per revocazione avverso la precedente sentenza n. 3975/2002, non ne abbia modificato l’effetto conformativo, ma anzi lo abbia ribadito. Anche in questa seconda decisione, invero, la Sezione, pur riconoscendo che l’area interessata dal progetto Isosar non fosse completamente edificata, ha, tuttavia, ribadito che sulla stessa esistono numerosi insediamenti produttivi che danno vita ad una profonda alterazione ambientale, con conseguentemente illegittimità dei provvedimenti impugnati perché affetti da contraddittorietà e travisamento di fatto. Non si tratta, quindi, di un semplice annullamento per difetto di motivazione, ma del riconoscimento di un completo travisamento dei fatti e della palese contraddittorietà ravvisata tra la determinazione di incompatibilità ambientale e la situazione fattuale dell’area interessata. Rispetto a quella statuizione non sono emersi fatti nuovi che posano ora giustificare una diversa conclusione in merito all’incompatibilità ambientale dell’intervento”.
5.2 - Alla luce della complessa vicenda che interessato l’impianto ed in particolare delle pronunce del Giudice amministrativo innanzi richiamate, la prospettazione di LIPU va disattesa, poiché, come già correttamente rilevato dal Tar, “solo sopravvenienze in fatto o in diritto avrebbero consentito di pronunciare nuovamente un parere negativo”.
6 – Fermo quanto innanzi precisato, può ora passarsi all’esame dei motivi di appello dedotti da LIPU.
Con il primo motivo (“Error in iudicando del Giudice di prime cure in merito al primo motivo del ricorso. Carenza e/o insufficiente motivazione. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 19 e ss. del D.lgs. 3 aprile 2006 n°152, nonché violazione dell’art. 6 della legge 8 luglio 1986 n° 349. 2 Violazione delle direttive 92/43/CEE “Habitat” e 79/409/CEE “Uccelli”, nonché dell’art.5 del d.p.r. 8 settembre 1997 n°357”) l’appellante deduce che l’area DI49, all’interno della quale insiste il sito del realizzando progetto di deposito GPL de quo, sarebbe stata sottratta dalla programmazione urbanistica comunale di ampliamento della zona PIP (che invece riguarderebbe solo ed esclusivamente l’area DI46 posta a nord della SS.89); la medesima area, quindi, ricadrebbe nelle zone e aree naturali protette (SIC/ ZPS “ Valloni e Steppe Pedegarganiche” di cui alla rete ecologica europea di zone speciali di conservazione denominata “Natura 2000”).
Per l’appellante sarebbe evidente il difetto di istruttoria e il travisamento dei fatti in cui sarebbero incorsi la Commissione Tecnica di verifica dell’impatto ambientale e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nelle motivazioni del decreto di compatibilità ambientale, dal momento che, del tutto erroneamente, hanno ritenuto che l’archiviazione della procedura di infrazione 2001/4156 fatta dalla Commissione europea abbia di fatto regolarizzato l’insediamento della zona industriale di Manfredonia entro cui è localizzato il progetto di cui trattasi, prevedendo come rimedio la compensazione attraverso la ricostruzione all’interno dell’area di circa 500 ha a sud del Lago Salso.
6.1 – La censura è infondata.
In primo luogo, l’assunto che la misura compensativa prevista dalla Convenzione Regione – Comune (ratificata con DGR n.917/2006) non riguardi l’insula DI/49 non risulta provato in quanto la Convenzione non è stata versata in atti, da cui il rigetto della censura.
Va comunque osservato che il Giudice di prime cure ha correttamente evidenziato che, anche a voler considerare il contenuto di tale Convenzione (in quanto depositata nel diverso procedimento n. 261/2016 promosso dal Comune di Manfredonia) in alcun punto di siffatto accordo è contenuta l’esclusione dell’insula DI/49 dalla misura compensativa. Il Tar ha altresì osservato che nell’articolato della pattuizione emerge chiaramente che il rimedio (principale) previsto è rappresentato dalla misura di compensazione (ossia individuazione di un’area a sud del Lago Salso, di circa 500 ha, di proprietà comunale, da destinare alla rinaturalizzazione ed a forme di conduzione dei fondi coerenti con le finalità della direttiva “Habitat” v. art. 4), non essendo, invece prevista alcuna esclusione dalla misura della insula DI/49.
Per tali ragioni la censura va respinta.
7 – Con il secondo motivo (“Error in iudicando del Giudice di prime cure in merito al secondo motivo del ricorso. Carenza e/o insufficienza della motivazione della decisione. Violazione a delle direttive 92/43/CEE “Habitat” e 79/409/CEE “Uccelli”, nonché dell’artt. 1,3,5,6 punto 6 e dell’allegato I punto 6 del D.M. 17 ottobre 2007 del d.p.r. 8 settembre 1997 n°357. Violazione degli artt. 2,5 e 6 punto 3 del Regolamento della Regione Puglia del 22 dicembre 2008 n°28, nonché dell’art. 12 del Piano di gestione dei SIC/ZPS del Comune di Manfredonia”) l’appellante deduce l’erroneità delle valutazioni operate dal Giudice di primo grado, il quale ha ritenuto che la valutazione di incidenza dell’intervento sugli Habitat protetti è stata compiutamente operata e non vi sarebbero, nell’attività istruttoria ministeriale, degli elementi di contraddittorietà, dal momento che la Commissione stessa avrebbe dettagliatamente motivato le ragioni per cui, pur risultando l’area inserita nelle zone di protezioni, l’intervento non avrebbe determinato la loro complessiva compromissione.
Al riguardo, anzitutto l’appellante ritiene non vera la circostanza rilevata dalla Commissione secondo cui l’area SIC “Valloni e steppe pedegarganiche” e ZPS “Promontorio del Gargano” sarebbe fortemente degradata, sebbene trattasi di un’area di forte pregio naturalistico.
In secondo luogo, l’appellante sostiene che, anche qualora la situazione di fatto dell’Habitat all’interno del SIC “Valloni e steppe pederganinche” possa essere definita come “degradata”, la stessa Commissione tecnica non avrebbe impedito l’ulteriore degrado dell’area, ritenendo non significativa l’incidenza dell’opera progettuale della società Energas ed esprimendo in ultimo una valutazione complessiva positiva di sostenibilità grazie alle prescrizioni di mitigazione imposte al soggetto proponente.
L’appellante sostiene che il contenuto delle prescrizioni di mitigazione imposte al soggetto proponente le renderebbe di difficile se non impossibile attuazione e quindi tali da non consentire il raggiungimento dello scopo dell’effettiva tutela e conservazione delle zone protette a cui l’opera progettata arrecherà un grave pregiudizio.
7.1 – La censura è infondata.
La Commissione ha operato la ricognizione dell’area di intervento di cui ha rilevato l’inserimento nelle aree SIC e ZPS, sostanzialmente coincidenti; ne ha evidenziato i plurimi vincoli ambientali di derivazione europea; ha giustificato la non significativa incidenza dell’intervento a realizzarsi in ragione: a) dell’esiguità dell’interferenza dell’opera in progetto con l’habitat protetto (in misura pari allo 0,13%; b) della previsione di opere di mitigazione da parte del proponente e di misure di compensazione già contemplate dalla convenzione tra il Comune di Manfredonia e la Regione Puglia a seguito della procedura di infrazione comunitaria; c) della previsione di ulteriori prescrizioni di mitigazione imposte dalla Commissione; d) conclusivamente della complessiva sostenibilità quali-quantitativa dell’opera “in quanto la stessa, oltre che interessare una superficie assolutamente non significativa (dell’ordine dello 0,13% del totale), si colloca nei tratti più periferici del sito estremamente frammentati, tenuto conto anche delle misure di mitigazione richieste nel quadro prescrittivo”.
Dagli elementi innanzi riportati si desume, quindi, che la valutazione di incidenza dell’intervento sugli Habitat protetti è stata compiutamente operata. Né possono dirsi presenti elementi di contraddittorietà nella valutazione operata, in quanto la Commissione ha dettagliatamente motivato le ragioni per cui, pur risultando l’area inserita nelle zone di protezione, l’intervento non avrebbe determinato la loro complessiva compromissione, facendosi carico di applicare il criterio secondo cui lo stato di degrado dell’Habitat prioritario 6220 nell’area interessata dall’opera non giustifichi la motivazione di “ulteriore degrado”.
Contrariamente a quanto asserito dall’appellante, la Commissione non ha affermato il pregio ambientale dell’area di intervento, ritenendola contestualmente degradata. Infatti, nel corposo parere, la Commissione ha chiarito che la zona di intervento (molto ridotta) si inserisce in un’area complessiva (molto più estesa) SIC/ZPS oggetto di tutela ambientalistica, ma essa (la zona di intervento), “per le sue concrete caratteristiche”, non è interessata da “tratti salienti di pregio”.
L’opinione di segno contrario dell’appellante, secondo cui quanto affermato dalla Commissione non corrisponde alla realtà dei fatti, non viene supportato da alcun elemento di prova. Al contempo va ricordato che il parere reso dalla Commissione è espressione dell’esercizio di discrezionalità tecnica.
Al riguardo, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l'amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 maggio 2022, n. 4355).
Il sindacato giurisdizionale, al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri, è consentito soltanto quando risulti violato il principio di ragionevolezza.
Nello specifico, la giurisprudenza ha osservato che “la valutazione di incidenza ambientale, similmente alla valutazione di impatto ambientale, è espressione dell'esercizio di discrezionalità tecnica, oltre che amministrativa, ed è sindacabile da parte del giudice amministrativo soltanto nell'ipotesi in cui l'istruttoria sia mancata o sia stata svolta dall'Amministrazione in modo inadeguato; tale giudizio, inoltre, può legittimamente avere esito negativo nell'ipotesi in cui l'Amministrazione ritenga, sulla base di una valutazione discrezionale ancorata agli elementi in suo possesso, che nessuna misura di mitigazione o alternativa sia in grado di attenuare in modo soddisfacente le criticità accertate ed evidenziate" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 marzo 2024, n. 2044; Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 giugno 2023, n. 633).
Nel caso in esame, va rimarcato che la valutazione positiva operata dalla Commissione è ancorata alla previsione di misure di mitigazione al fine di ridurre al minimo l’impatto negativo dell’opera sull’Habitat, sia in fase di esecuzione che in fase di esercizio.
Al riguardo, l’appellante non indica alcun elemento al fine di dimostrare l’assunta difficile o impossibile attuazione delle prescrizioni di mitigazione imposte al soggetto proponente.
Al contrario, la lettura delle opere di mitigazione sembra smentire la tesi dell’appellante, trattandosi di misure di non difficile attuazione, quali ad esempio: l’utilizzo di macchine e mezzi di cantiere tecnologicamente avanzati per prevenire e/o contenere le emissioni inquinanti; l’installazione di corpi illuminanti speciali con emissione zero sopra un angolo 90° per evitare l’inquinamento luminoso; per le sistemazioni a verde l’utilizzo di specie arbustive della flora locale al fine di agevolare il ripopolamento faunistico dell’area oggetto d’intervento ecc.
8 – Con il terzo motivo (“Error in iudicando del Giudice di prime cure in merito al terzo motivo del ricorso. Erroneità, carenza, insufficienza della motivazione della decisione. Violazione dell’art 6 della legge 349 del 1986. Violazione dell’art. 3 e dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241”) l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto vincolanti le precedenti pronunce passate in giudicato del Giudice amministrativo sulla vicenda in esame in punto di rilascio della V.I.A. e ha ritenuto che l’esito processuale avrebbe impedito alle pubbliche amministrazioni coinvolte ogni margine residuo di discrezionalità nell’esercizio del potere V.I.A., vale a dire salvo sopravvenienze di fatto o di diritto non sarebbe stato più possibile emanare valutazioni di incompatibilità ambientale.
L’appellante sostiene che né la sentenza del Tar pe la Puglia n. 3456/2001, né quella confermativa del Consiglio di Stato hanno mai statuito in merito all’esercizio del potere di valutazione in capo alle amministrazioni competenti a seguito dell’annullamento del provvedimento di V.I.A. negativo.
Al contrario, per l’appellante, il Giudice si sarebbe limitato semplicemente ad annullare tale provvedimento perché illegittimo sotto il profilo dell’eccesso di potere per contraddittorietà e travisamento dei fatti. Di conseguenza, l’ottemperanza a tale giudicato non comporterebbe alcun obbligo di emanare una V.I.A. positiva.
Inoltre, il Giudice di primo grado avrebbe omesso di esaminare la questione censurata dalla stessa appellante, concernete la classificazione della sentenza di annullamento come auto-esecutiva effettuata dal Giudice dell’ottemperanza.
8.1 La censura è infondata.
La tesi dell’appellante secondo cui i precedenti giudicati del Giudice amministrativo non vincolano le amministrazioni procedenti in tema di rilascio di V.I.A. è smentita da quanto affermato dalla sentenza di ottemperanza n. 3751/2004 alla pronuncia del Tar Puglia n. 3456/2001, secondo cui “Ritiene pertanto il Collegio che il giudicato formatosi sui fatti esaminati ed accertati dal giudice amministrativo (e cioè il fatto che gli insediamenti produttivi realizzati nella zona industriale hanno ormai alterato l’ecosistema; che la vasta area industriale – sulla quale insiste il sito Isosar - non può costituire di certo un habitat appropriato per le specie rare di fauna selvatica e soprattutto che il sito Isosar insiste “in un’area di dichiarato modesto pregio ambientale) vincoli le Autorità statali e regionali nelle loro successive determinazioni. Ritiene in particolare il Collegio, contrariamente a quanto prospettato dal Ministero dell’Ambiente nella nota del 3/2/2003 citata nella esposizione in fatto, che il vincolo che da tale giudicato deriva non lasci alle Amministrazioni coinvolte alcun margine di discrezionalità in ordine ai provvedimenti da adottare. Infatti, l’annullamento del d.m. 21/12/2000 non è avvenuto per difetto di motivazione, ma per eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà del parere negativo espresso dalla Commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale in data 25/10/2000, parere riportato nel decreto ministeriale conclusivo del procedimento, di cui ha costituito la motivazione. In sostanza il giudice amministrativo, ritenendo accertate le circostanze di fatto in ordine allo stato dei luoghi per come riportare nel predetto parere, ha affermato che la conclusione a cui si doveva giungere non poteva essere certo quella della pronuncia negativa di compatibilità ambientale dell’opera, ma al contrario, quella della sua compatibilità”.
Alla luce di quanto statuito nella pronuncia sopra richiamata, come correttamente ritenuto dalle amministrazioni procedenti (v. soprattutto il parere favorevole del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo prot. n. 31093 del 10.11.2014 e la relazione difensiva dello stesso Ministero, depositata telematicamente il 17.9.2019), solo sopravvenienze in fatto o in diritto avrebbero consentito di pronunciare nuovamente un parere negativo.
Tali sopravvenienze non sono emerse, come evidenzia anche la relazione ministeriale sopra richiamata, in quanto lo stato dei luoghi è rimasto sostanzialmente immutato e anche la pianificazione (PUTT e successivo PPTR) non ha introdotto elementi di novità rispetto alla tutela dell’area, sicché le Amministrazioni non hanno potuto che adeguarsi alle decisioni del Tar per la Puglia.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il Giudice di primo grado, aderendo alla sentenza di ottemperanza n. 3751/2004 e riportando fedelmente il passaggio in cui tale pronuncia ha affermato l’auto-esecutività della sentenza di primo grado n. 3456/2004, si è pronunciato anche su tale questione.
Sul punto. la sentenza di ottemperanza n. 3751/2004, alla luce di quanto sopra premesso circa il vincolo delle amministrazioni procedenti a non poter emettere un parere negativo salvo sopravvenienze in fatto o diritto, statuisce che “la pronuncia del giudice di primo grado, confermata in sede di appello, assume efficacia autoesecutiva, immediatamente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio e preclude alle Amministrazioni coinvolte l’emanazione di provvedimenti che trovino fondamento in quelli annullati, nonché di atti contrari alle statuizioni contenute nella sentenza”.
9 – Con il quarto motivo (“Error in iudicando del Giudice di prime cure in merito al quarto motivo del ricorso. Erroneità della motivazione della decisione. Violazione dell’art. 142 comma 1 e 2 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n°42 nonché dell’art.1.03.5 delle NTA del PUTT-P, approvato dalla regione Puglia con delibera n°1748 del 15/12/2000, e dell’art.38 e 91 del PTTR approvato con delibera n° 176 del 16/2/2015. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto assoluto di istruttoria e dei presupposti”) l’appellante sostiene che il Tar abbia erroneamente ritenuto che la insula DI/49, Zona D8, rientrasse nella categoria “territori costruiti” non soggetti alla disciplina paesaggistica di cui all’art. 1.03 delle NTA del PUTT/p Regione Puglia, richiamato dall’art. 91.9 del PTTR Regione Puglia.
L’art. 1.03.5 elle NTA del PUTT/p della Regione Puglia disciplina i c.d. territori costruiti, cioè quelle aree per le quali, pur rientrando nei beni paesaggistici tutelati per legge, non si applica la relativa disciplina.
In particolare, la norma del piano paesaggistico della Regione Puglia in questione stabilisce la non applicazione della disciplina di tutela paesaggistica ai “territori costruiti” definiti come: aree tipizzate dagli strumenti urbanistici come zone omogenee di tipo “A” e “B”; aree tipizzate come zone omogenee di tipo “C” oppure di tipo turistiche, direzionali, artigianali, industriali e miste che, alla data del 6/6/1990, siano incluse in strumenti urbanistici esecutivi( p.p. o p.l.) regolarmente presentati o in Programmi Pluriennali di Attuazione approvati; e infine aree non tipizzate come “B”, ma che di fatto ne abbiano le caratteristiche.
Pertanto, per l’appellante, non sarebbero contemplate dalla suddetta norma le zone “D”, tipologia dell’area su cui dovrebbe essere realizzato il sito di GPL in questione, come previsto dalla variante al PRG del 1998.
Inoltre, l’appellante evidenzia che la zona DI49, alla data dell’anno 1990, non sembrerebbe inclusa in uno strumento urbanistico di dettaglio, così come invece prescritto dall’art.1.03.5 del PUTT come condizione perché un’area possa rientrare nei territori costruiti e, quindi, non essere assoggettata alla disciplina di tutela paesaggistica.
9.1 – La censura è infondata.
L’art. 1.03.5 delle NTA del PUTT/p della Regione Puglia disciplina i cd. territori costruiti, cioè quelle aree per le quali, pur rientrando nei beni paesaggistici tutelati per legge, non si applica la relativa disciplina. Tale previsione di piano non è altro che una specificazione di quanto già previsto all’art. 146 del d.lgs. n. 450/1999 oggi confluito nell’art.142, comma 2, del d.lgs. 22/1/2004 n. 42.
La disposizione invocata contempla nella nozione di “territori costruiti” anche le zone industriali, come è qualificabile la zona D (cioè l’insula DI/49).
Inoltre, come illustrato nella relazione difensiva MIBAC n. 19761 del 30.11.2016 occorre dare evidenza del fatto che “… la zona industriale D149 (relativa all’area d’intervento) alla data del 6 giugno 1990, come prescritto dal predetto art. 1.03, punto 5.2 delle NTA del PUTT/p, era inclusa in un piano di lottizzazione regolarmente presentato: la Società Energas, nell’Aggiornamento dello Studio di Impatto Ambientale dichiara e documenta che con Delibere C.C. n. 69 del 29 marzo 1982 e n. 152 del 13 luglio 1984 è stato approvato il progetto di lottizzazione, di iniziativa pubblica, dell’insula D149, in attuazione del Programma di fabbricazione vigente all’epoca (pag. 66 del Documento di aggiornamento dello Studio d’impatto Ambientale). Corretto, pertanto, è l’inserimento dell’area deposito costiero nei cosiddetti territori costruiti, riportato dal Comune di Manfredonia nella Delibera n. 125 del 2004”.
10 – Con il quinto motivo (“Error in iudicando del Giudice di prime cure in merito al quinto motivo del ricorso. Erroneità della motivazione della decisione. Omessa motivazione. Violazione dell’art.6 legge 8 luglio 1986 n°349 nonché degli artt.1,2,5 e degli Allegati I e II del D.P.C.M. 27 dicembre 1988. Violazione dell’art.35 2 comma ter del D.lgs. 3 aprile 2006 n°152.Violazione dell’art. 5 comma 1 del D.M. 10 agosto 2012 n°161, nonché del D.lgs. 17 agosto 1999 n°334 (c.d. Seveso II) e del D.lgs. 26 giugno 2015 n° 105 (c.d. Seveso III). Violazione del principio di precauzione. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà ed illogicità manifesta”) l’appellante lamenta che il Giudice di prime cure abbia erroneamente applicato, alla fattispecie in esame, il D.P.C.M. del 10/8/1988, in base al quale sarebbe sufficiente solo uno studio-progetto di massima.
Per l’appellante, al contrario di quanto statuito nella pronuncia impugnata, avrebbe dovuto applicarsi, in virtù del principio tempus regit actum, la normativa di cui al d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il cui art. 22 prescrive che il progetto da sottoporre alla V.I.A. deve essere definitivo.
Infatti, ai fini della determinazione della normativa applicabile, per l’appellante occorrerebbe prendere a riferimento il momento in cui la società Energas S.p.a. ha ripresentato lo studio di impatto ambientale nell’ottobre del 2013 a seguito dell’archiviazione della procedura di infrazione.
L’appellante precisa che anche sotto la vigenza della legge 8 luglio 1986 n. 349, ai sensi degli artt. 1, 2, 5 nonché degli allegati I e II del D.PC.M. del 27 dicembre 1988, era prevista la presentazione di un progetto che doveva essere il più dettagliato possibile in riferimento proprio agli elementi e ai fattori ambientali indicati dalla legge.
Al contrario, lo studio di impatto ambientale (S.I.A.) presentato dalla società Energas S.p.a. (sia quello originario del 1999 all’epoca del primo procedimento di V.I.A. sia quello “aggiornato” nell’anno 2013) sarebbe carente sotto innumerevoli aspetti.
Nel caso di specie, per l’appellante sarebbe del tutto assente il piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo (PUT), il quale ai sensi dell’art. 5, comma 1, del D.M. 10 agosto 2012 n. 16 dovrebbe essere obbligatoriamente presentato all’Autorità competente prima dell’espressione del parere di valutazione di impatto ambientale, così come mancherebbe l’analisi dei rischi e dei possibili eventi incidentali, in violazione delle direttive Seveso (I,II e III), nonché dei relativi provvedimenti di recepimento (d.lgs. 334/1999 e d.lgs. 105/2015).
10.1 – La censura è infondata.
In base all’art. 35, comma 2 ter, del d.lgs. n. 152/2006, vigente ratione temporis, “Le procedure di VAS, VIA ed AIA avviate precedentemente all'entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell'avvio del procedimento”.
Nel caso di specie, come ben chiarito dalla Commissione VIA/VAS nel parere n.1614/2014, essendo stata avviata la procedura di VIA con istanza del 10.11.1999, prot. n.1217/VIA/A.1.27, la normativa applicabile (in particolare il DPCM del 10.08.1998) richiedeva l’esame del “progetto di massima” (v. art. 2 DPCM 10.08.1998 n. 377), sicché non avrebbe potuto pretendersi un diverso criterio progettuale.
Non rileva, ai fini invocati dall’appellante, la circostanza che nell’ottobre 2013 la società abbia presentato nuovamente il proprio studio di impatto ambientale, consentendo l’esame del progetto sospeso dopo la vicenda giudiziaria e la procedura di infrazione comunitaria. Infatti, tali circostanze evidenziano solo il superamento di cause di sospensione dell’iter procedimentale, la cui data di avvio è rappresentata, tuttavia, dal primo atto da cui è scaturito il procedimento, ossia, l’istanza originaria del 10.11.1999.
Tale ricostruzione è del resto la più coerente con il contenuto di tutti i pareri favorevoli impugnati nel giudizio di primo grado i quali richiamano espressamente la domanda di compatibilità ambientale presentata il 10/11/1999, potendosi quindi concludere che il procedimento di V.I.A. è stato attivato anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006, con quanto ne consegue circa la normativa allo stesso applicabile.
11 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.
Come già anticipato, tale esito rende superfluo il rinvio della discussione della causa richiesto da Energas, così come l’ulteriore istanza di riunione della causa ad altre pendenti ed aventi ad oggetto la medesima vicenda.
11.1 – Le spese di lite, ad una valutazione complessiva della vicenda, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) respinge l’appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2024, tenutasi con collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere