Consiglio di Stato Sez. V n. 5219 del 25 maggio 2023
Ambiente in genere.VIA e VAS

La VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l'amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l'emersione e l'evidenziazione dell'interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall'amministrazione; la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell'entità dell'impatto ambientale dell'opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all'opzione "zero", qualora l'impatto non sia evitabile neanche con l'adozione di cautele. Mentre la VAS compie una valutazione di piani e programmi in senso più in orizzontale e dunque generale su effetti negativi per l’ambiente e, soprattutto, sulle possibili misure di mitigazione, quello compiuto nella VIA sui singoli progetti ossia gli atti applicativi del piano (che debbono essere coerenti con la pianificazione oggetto della VAS) è giocoforza un giudizio più in verticale e dunque condotto con maggiore analiticità, approfondimento e specificità con riguardo non solo agli effetti ma anche – e soprattutto – alle misure di mitigazione e di compensazione da implementare con il progetto stesso


Pubblicato il 26/05/2023

N. 05219/2023REG.PROV.COLL.

N. 00369/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 369 del 2023, proposto da
Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Tommaso Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Provincia di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Claudia Domizio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Bonaccio in Roma, Piazzale Clodio n. 56;

nei confronti

Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pasquale De Bellis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Arcevia, Ristorante La Baita di Santini B. e G. Snc, Azienda Agricola Fratelli Politi S.S., Agriturismo Montefiore, Azienda Agrituristica Piccolo Ranch di Ticchi Orietta, non costituiti in giudizio;
Belfiori S.r.l., Rene' Bosselaar, Jeanette Kalfsterman, Ristorante Piccolo Ranch S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Tommaso Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 00326/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Ancona, Regione Marche, Belfiori S.r.l., Rene' Bosselaar, Jeanette Kalfsterman e Ristorante Piccolo Ranch S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Rossi, Domizio e Del Vecchio, in sostituzione dell'avvocato De Bellis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Questi gli atti oggetto di impugnativa: Deliberazione del Consiglio Provinciale di Ancona del 29 luglio 2021, n. 27, recante “Programma provinciale attività estrattive (PPAE) - Variante parziale per completamento programmazione”; Determinazione del Dirigente della Provincia di Ancona Area Valutazioni e autorizzazioni ambientali n. 853 del 28 giugno 2021, avente ad oggetto “Programma provinciale attività estrattive (PPAE) - Variante parziale per completamento programmazione e Valutazione ambientale strategica (VAS) nonché della allegata “Relazione Istruttoria Valutazione Ambientale Strategica.

Si tratta in estrema sintesi del piano provinciale di Ancona per la realizzazione di cave (PPAE, piano provinciale attività estrattive, che si basa a sua volta sul PRAE 2005, piano regionale attività estrattive).

L’area del Monte S. Angelo è stata in particolare individuata per la estrazione di maioliche e scaglie rosse (materiali rari per cui, si anticipa sin da ora, si può applicare la deroga al generale divieto di estrazione che, nell’area in questione, sussisterebbe per particolari ragioni idrogeologiche).

2. Si premette ancora in punto di fatto che, sullo stesso sito di Monte S. Angelo:

2.1. Il TAR Marche, con sentenza n. 1242 del 2009, annullava una prima versione del PPAE in quanto difettavano alcuni riferimenti cartografici in merito ai divieti sussistenti sulla stessa area (difetto di istruttoria);

2.2. Il Consiglio di Stato confermava tale decisione con sentenza n. 4557 del 2011;

2.3. Veniva dunque riavviato il procedimento di approvazione del piano provinciale con delibera n. 8 del 1° agosto 2012 anch’essa annullata dal TAR Marche, con sentenza n. 592 del 2013, in quanto non erano stati valutati gli impatti cumulativi sull’ambiente determinati da altri analoghi impianti gravanti sulla medesima area;

2.4. Tale decisione veniva riformata dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 4153 del 2014, in quanto la citata delibera n. 8 del 2012 costituiva mero avvio del procedimento di approvazione del suddetto piano attuativo, come tale priva di lesività (atto meramente propulsivo);

2.5. In seguito a tale ultima sentenza, il procedimento di approvazione è stato riavviato e concluso con determinazione dirigenziale n. 853 del 28 giugno 2021 (che approva la VAS legata al piano) e successiva deliberazione provinciale n. 27 del 29 luglio del 2021.

3. Italia Nostra Onlus ha così impugnato tale previsione (Monte S. Angelo quale area deputata alla ridetta estrazione) con ricorso che il TAR Marche ha tuttavia rigettato per le ragioni di seguito indicate:

3.1. La denunziata mancata considerazione degli impatti cumulativi sarebbe stata comunque effettuata nel provvedimento di VAS.

3.2. Non sussiste il lamentato difetto di istruttoria con riguardo ai numerosi profili (paesaggistici, archeologici, storico-artistici, botanico-vegetazionali, faunistici e idrogeologici, etc.) che in gran parte intercettano peraltro valutazioni merito come tali insindacabili in sede di giurisdizione amministrativa;

3.3. Non sussiste il difetto di istruttoria, in relazione al fabbisogno in calo di tale materiale estrattivo, e ciò dal momento che sarà il mercato ad autoregolarsi attraverso le quantità effettive da ottenere e dunque da chiedere attraverso apposita istanza di autorizzazione “a valle”;

3.4. Nessuna comparazione con altri siti doveva essere effettuata dal momento che, in occasione del precedente contenzioso, era stato affermato che su Monte S. Angelo andava effettuata soltanto una più approfondita ma comunque isolata ossia “a sé stante” istruttoria (e non una ulteriore ed eventuale comparazione con altri siti).

4. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito sintetizzati:

4.1. Erroneità laddove sarebbe stata del tutto omessa, con conseguente violazione del decreto legislativo n. 152 del 2006, ogni valutazione degli impatti cumulativi rispetto ad altri bacini e, in particolare, di quello di Monte le Cone.

4.2. Erroneità nella parte in cui non è stata rilevata la violazione delle disposizioni in tema di valutazione ambientale strategica (VAS). Ciò sulla base del rapporto ambientale di cui all’art. 13 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che sarebbe privo dei requisiti a tal fine prescritti. Più in particolare, le previste misure di mitigazione degli impatti sarebbero state solo genericamente enunciate nel suddetto rapporto;

4.3. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stato considerato, in chiave di difetto di istruttoria dei gravati provvedimenti, che “il fabbisogno estrattivo” è drasticamente calato, nelle more della approvazione del piano provinciale, rispetto ai quantitativi a suo tempo stimati dal PRAE;

4.4. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stato considerata la mancata “comparazione” tra siti tutti egualmente candidati ad ospitare simili attività estrattive;

5. Si costituivano in giudizio le appellate amministrazioni provinciali e regionali per chiedere il rigetto dell’appello. Si costituivano altresì ad adiuvandum alcuni titolari di attività turistico-ricettive gravitanti nella zona in questione. Più in particolare:

5.1. La Provincia di Ancona sollevava sostanzialmente duplice eccezione di inammissibilità dell’appello e del ricorso di primo grado per omessa previa tempestiva impugnativa, come rilevato dal TAR con pronunzia di tardività non contestata sul punto, del piano regionale cave (PRAE) n. 66 del 2002 nonché del piano provinciale attività estrattive n. 14 del 2005;

5.2. Veniva inoltre riproposta l’eccezione di inammissibilità del gravame, già sollevata in primo grado, per assenza di carattere immediatamente lesivo in capo alla delibera provinciale che approva la variante alla PPAE. Ciò in quanto atto di mera programmazione. L’eccezione veniva poi estesa anche agli intervenienti ad adiuvandum;

5.3. Con riguardo a questi ultimi veniva altresì contestata la relativa posizione legittimante.

6. Alla pubblica udienza del 20 aprile 2023 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.

7. Tutto ciò premesso le eccezioni di rito sollevate dalla amministrazione provinciale sono infondate e debbono essere rigettate dal momento che:

7.1. Il piano provinciale in variante è stato sin dall’inizio impugnato anche per vizi propri e non soltanto per vizi derivati della pianificazione regionale (PRAE) del 2002 o della precedente pianificazione provinciale (PPAE) del 2005. Si veda a titolo esemplificativo proprio la contestata mancata riduzione della stima del fabbisogno che, se ai tempi della adozione del PRAE poteva avere nella prospettiva della difesa di parte appellante una sua qualche ragion d’essere, con la approvazione del PPAE “in variante” avrebbe perso ogni suo razionale significato data la drastica riduzione della domanda. In altre parole non si discute il contenuto del PRAE quanto, piuttosto, la mancata considerazione circa il sopravvenuto disallineamento tra le previsioni in esso contenute e la mutata situazione di fatto in termini di “fabbisogno estrattivo”. Trattasi dunque, nella prospettiva della difesa di parte appellante, di vizio che sarebbe emerso proprio nella fase di approvazione dell’ultima versione del piano provinciale del 2021. Analogo discorso per i vizi relativi alla procedura di VAS che costituisce, nella fattispecie in esame, fase strettamente propedeutica al piano provinciale, pur se adottato come nella specie “in variante”. Prova ne sia, di quanto testé affermato, il fatto che il TAR Marche, con la sentenza qui gravata, pur dopo la statuizione di irricevibilità per i vizi unicamente riconducibili al PRAE ha poi comunque scrutinato i quattro motivi di ricorso che si appuntavano unicamente sul PPAE “in variante” e che qui vengono riproposti non pedissequamente ma, come già detto, con il filtro della “critica” della stessa sentenza di primo grado. Una simile autonomia tra vizi del PPAE “in variante” del 2021 e possibili vizi del PRAE 2002 o PPAE 2005 è piuttosto evidente dal primo al terzo motivo di appello, allorché si contesta la mancata valutazione degli impatti cumulativi, il difetto di istruttoria su diverse matrici ambientali e la mancata stima aggiornata del fabbisogno estrattivo. Con il ricorso da ultimo presentato si intende in altre parole contestare l’ultimo segmento procedimentale (ossia la variante al PPAE approvata nel 2021) che mai aveva formato oggetto dei suddetti precedenti giurisdizionali. Da quanto detto consegue il rigetto di tale specifica eccezione di rito;

7.2. Quanto alla seconda eccezione di inammissibilità, la lesività immediata del piano provinciale “in variante” va ricondotta alla specifica individuazione del sito di Monte S. Angelo quale area concretamente destinata alle suddette attività estrattive. Di qui la applicazione, per analogia, della giurisprudenza in tema di pianificazione urbanistica secondo cui le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie (qui tradotte in potenzialità estrattive) della porzione di territorio interessata, e dunque in sostanza la c.d. zonizzazione, impongono, in relazione all'immediato effetto conformativo dello «jus aedificandi» dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa, in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, altrimenti le regole di zonizzazione e di localizzazione versano in condizione di inoppugnabilità ed esplicano efficacia cogente per ogni avente causa (Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5258). Parimenti va dunque individuato un onere di immediata impugnazione sulla zonizzazione delle attività estrattive. E ciò anche allo scopo di salvaguardare elementari esigenze di certezza dell’azione amministrativa che risulterebbe fortemente compromessa laddove talune scelte localizzatrici di ampio respiro (riguardanti ossia un intero sito come nel caso di specie) potessero esporsi a puntuale contestazione ogniqualvolta emerga un interesse progettuale specificamente manifestato dal singolo operatore economico del settore di riferimento: in altre parole, risulterebbe assurdo che in occasione di ogni progetto di coltivazione (id est: atti applicativi del piano) potesse essere posta in radicale contestazione la scelta più generale ossia di pianificazione diretta a individuare il Monte S. Angelo alla stregua di area deputata alla suddetta attività estrattiva. Di qui il rigetto della specifica eccezione;

7.3. Generica si rivela infine la contestazione secondo cui gli intervenienti avrebbero manifestato solo un mero interesse imprenditoriale (perdita di utili a seguito delle prospettate attività estrattive), e ciò dal momento che non viene altresì evidenziata la assenza di uno stabile collegamento tra l’attività dai medesimi svolti e il territorio direttamente coinvolto dalle suddette estrazioni. Un tale “stabile collegamento” è stato piuttosto adeguatamente dimostrato con memoria degli intervenienti stessi in data 30 marzo 2023, laddove vengono specificate distanze (tra singoli esercizi e sito estrattivo), tipologia di attività svolta, volume di affari e possibile deprezzamento del valore commerciale in seguito ad eventuali attività estrattive. Di qui il rigetto altresì della suddetta eccezione.

8. Nel merito l’appello è peraltro fondato e deve essere accolto sulla base delle ragioni di seguito indicate:

8.1. Quanto al primo motivo di appello, il giudice di primo grado afferma che la mancata considerazione degli impatti cumulativi non risulterebbe in base a ciò che emerge dal provvedimento di VAS.

L’argomento è condivisibile in linea teorica (gli impatti cumulativi vanno operati nella VAS ossia “a monte” del piano provinciale delle attività estrattive) ma non nei risvolti pratici ed effettivi atteso che, da una attenta lettura della relazione VAS allegata al provvedimento dirigenziale n. 853 del 28 giugno 2021, questi impatti cumulativi (in particolare quelli che si riverberano rispetto all’impianto di coltivazione viciniore “Le Cone”) non risultano in alcun modo essere stati adeguatamente valutati. Il suddetto sito di Monte le Cone non viene infatti mai citato nell’ambito della suddetta relazione tecnica.

E tanto in aperto spregio di quanto a tal fine stabilito:

- nell’Allegato I alla parte seconda del codice dell’ambiente (Criteri per la verifica di assoggettabilità di piani e programmi) allorché si parla espressamente di “carattere cumulativo degli impatti”;

- nel successivo Allegato VI (Contenuti del rapporto ambientale) allorché si afferma apertamente che nel suddetto rapporto “Devono essere considerati tutti gli impatti significativi, compresi quelli secondari, cumulativi, sinergici”.

Impatti che nella specie, diversamente da quanto pur sostenuto dalla difesa della Provincia nella memoria in data 20 marzo 2023, sono stati invece del tutto obliterati dal momento che la richiamata relazione tecnica si occupa a vario titolo di ambito di influenza, analisi di coerenza esterna, obiettivi di protezione ambientale, possibili impatti significativi sull’ambiente, misure di mitigazione e di compensazione nonché di scelte alternative ma giammai, per l’appunto, anche di “impatti cumulativi e sinergici” rispetto ad altri simili impianti e, tra questi, di Monte le Cone. Ciò risulta piuttosto evidente alla pag. 12 della citata memoria della Provincia in data 20 marzo 2023, laddove contiene un rinvio ad un passaggio dello scoping il quale, a sua volta, non si riferisce ad uno o più siti di estrazione ma opera soltanto un più generico richiamo ad “alcuni scostamenti in difetto … per i diversi bacini estrattivi”.

La difesa della Provincia di Ancona insiste nel ritenere che la sentenza di questa stessa sezione n. 4153 del 4 agosto 2014 avrebbe escluso la necessità di valutare simili impatti cumulativi ma, in disparte ogni considerazione circa il fatto che la richiamata decisione si era pressoché esclusivamente pronunziata sulla natura endoprocedimentale dell’atto di riavvio del procedimento di pianificazione provinciale, la stessa sentenza aveva poi affermato che la presenza di due distinte graduatorie di bacino non escludesse affatto la necessità di compiere una “indagine complessiva” (id est: valutazione degli impatti per l’appunto “cumulativi”) onde garantire la legittimità dell’intero procedimento di approvazione, e tanto proprio alla luce di quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 in tema di VAS (cfr. punto 11.2 della richiamata decisione).

Alla luce di quanto sopra esposto, la specifica censura deve dunque trovare ingresso in questa sede.

8.2. Con il secondo motivo di appello si lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non sarebbe stata rilevata la violazione delle disposizioni in tema di valutazione ambientale strategica (VAS). Ciò sulla base del rapporto ambientale di cui all’art. 13 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che sarebbe priva dei requisiti a tal fine prescritti. Più in particolare, le previste misure di mitigazione degli impatti sarebbero state solo genericamente enunciate nel suddetto rapporto. Osserva al riguardo il collegio che:

8.2.1. Questa la giurisprudenza che si è espressa in materia di rapporto tra valutazione ambientale strategica (VAS) e valutazione di impatto ambientale (VIA):

- “la VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l'amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l'emersione e l'evidenziazione dell'interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall'amministrazione; la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell'entità dell'impatto ambientale dell'opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all'opzione "zero", qualora l'impatto non sia evitabile neanche con l'adozione di cautele” (Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2569);

- La valutazione ambientale strategica (c.d. v.a.s.), introdotta dal d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 è una valutazione di compatibilità ambientale relativa ai piani e ai programmi, così come stabilito dall'art. 5 comma 1 lett.a) del succitato d.lg., e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di valutazione impatto ambientale (cd. v.i.a.) [Cons. Stato, Sez. IV., 6 maggio 2013, n. 2446];

- Con particolare riguardo alla VIA, poi, essa “analizza l'impatto ambientale del singolo progetto, il che vuol dire che essa prende in esame impatti inevitabilmente più circoscritti - perché il progetto riguarda una porzione del territorio in ogni caso più ridotta rispetto a quella investita dal piano - ma maggiormente valutabili - perché il progetto, rispetto al piano, si basa su dati concreti, necessariamente definiti e più attuali rispetto a quelli avuti presenti in sede di redazione del piano e quindi di effettuazione della VAS” (T.A.R. Marche, sez. I, 6 marzo 2014, n. 291);

8.2.2. Ne deriva da quanto detto che, mentre la VAS compie una valutazione di piani e programmi in senso più in orizzontale e dunque generale su effetti negativi per l’ambiente e, soprattutto, sulle possibili misure di mitigazione, quello compiuto nella VIA sui singoli progetti ossia gli atti applicativi del piano (che debbono essere coerenti con la pianificazione oggetto della VAS) è giocoforza un giudizio più in verticale e dunque condotto con maggiore analiticità, approfondimento e specificità con riguardo non solo agli effetti ma anche – e soprattutto – alle misure di mitigazione e di compensazione da implementare con il progetto stesso;

8.2.2. A siffatte conclusioni è agevole pervenire non solo sulla base della giurisprudenza testé richiamata ma anche sulla base di una piana lettura del dato normativo di cui al codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006) da cui si ricava che:

- gli effetti e gli impatti significativi debbono essere descritti sia nel rapporto ambientale di cui all’art. 13, comma 4, del suddetto codice ambiente (VAS), sia nello studio di impatto ambientale di cui al successivo art. 22 stesso codice in materia di VIA (cfr. comma 3, lettera b);

- le misure di mitigazione debbono essere contemplate sia nel “Rapporto VAS” (cfr. Allegato VI, lettera g) sia nello “Studio VIA” (cfr. art. 22, comma 3, lettera c);

- ad ogni buon conto, con riguardo al “Rapporto VAS” le “le informazioni da fornire nel rapporto ambientale … possono essere ragionevolmente richieste … tenuto conto del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione correnti, dei contenuti e del livello di dettaglio del piano o del programma”;

- e ciò sta proprio a significare che nel “Rapporto VAS” le indicazioni su impatti negativi e correlate misure di mitigazione debbono essere sì fornite ma in modo anche più generale (e non generico) ossia con un livello di dettaglio e di approfondimento che può ben essere rinviato alla successiva ed eventuale fase di VIA sui singoli progetti che saranno poi formulati sulla base proprio delle previsioni di piano;

8.2.3. Tanto doverosamente premesso va allora evidenziato che il Rapporto VAS, nel caso di specie, prevedeva sia un intero capitolo (9.3.) dedicato alla “Valutazione degli effetti sull’ambiente” (cfr. pag 79 Rapporto, allorché si tratta di effetti su biodiversità floristica e vegetazionale, biodiversità faunistica, suolo e sottosuolo, acqua, paesaggio, aria e rumore) sia un nutrito numero di misure di mitigazione contemplate in particolare al capitolo 9.5. del rapporto. In quest’ultima parte si prevede proprio che “in questa sede (livello di pianificazione) è possibile individuare misure di carattere generale, e che pertanto occorre necessariamente rimandare alle successive fasi esecutive la definizione di puntuali misure atte a ridurre gli impatti locali”, per poi prospettare una serie di misure di mitigazione e compensazione (cfr. progressiva ricostruzione dell’habitat forestale sottratto oppure, in ordine alla possibile alterazione dell’assetto idrogeologico, la previsione di vasche di raccolta ed ancora, in ordine alla possibile alterazione dell’assetto morfologico, la prescrizione di coltivare “per stralci operativi, dalle zone a quota più elevata a quelle a quota inferiore, con contestuale recupero delle parti interessate dall’escavazione e ricostituzione dell’assetto morfologico e vegetazionale tipico del paesaggio locale”) che per contenuto e dimensione senz’altro rispondono ai criteri minimi a tal fine prescritti dalla richiamate disposizioni codicistiche (art. 13 e correlato allegato VI);

8.2.4. In questa medesima prospettiva va dunque osservato, in relazione alle specifiche contestazioni della difesa di parte appellante, che le misure di mitigazione previste per impatti negativi su componente vegetazionale (rimboschimento) e biodiversità (creazione di nuovi habitat) sono generali ma non anche generiche. Stesso discorso per gli impatti idrogeologici e geomorfologici, in ordine ai quali il Rapporto rinvia alla più specifica sede della VIA per le ragioni predette (a tale riguardo si osserva come le deduzioni di parte appellante si rivelino ancora ipotetiche, non avendo provveduto a declinare il tipo di pregiudizio che si riverberebbe). Analogamente, gli impatti paesaggistici ed archeologici andranno attentamente valutati una volta che si dovranno analizzare i singoli progetti eventualmente presentati dai privati interessati (con studio delle visuali interessate e dei saggi che si dovranno effettuare). Generica si rivela inoltre la deduzione sugli impatti da rifiuti speciali, in ordine ai quali non si evidenzia quale grado di non compatibilità sussisterebbe con la variante di piano (cfr. pagg. 26 e 27 atto di appello). Quanto poi alla omessa considerazione della c.d. “opzione zero”, trattasi di valutazione strettamente riservata alla procedura di VIA sui singoli progetti [cfr. art. 22, comma 3, lettera d), del codice ambiente]. Infine, quanto alla omessa valutazione di altri concorrenti piani e programmi va condivisa la conclusione del giudice di primo grado secondo cui alle pagg. 20 – 30 del Rapporto è contenuta ampia ed esaustiva analisi dei suddetti “piani paralleli”;

8.2.5. Alla luce delle considerazioni sopra partitamente svolte, il secondo motivo di appello deve dunque essere rigettato.

8.3. Il terzo motivo di appello è invece fondato per le seguenti ragioni:

8.3.1. Nella prospettiva della sentenza di primo grado non sussiste il difetto di istruttoria, in relazione al fabbisogno in calo di tale materiale estrattivo, e ciò dal momento che sarà il mercato ad autoregolarsi attraverso le quantità effettive da ottenere e dunque da chiedere attraverso apposita istanza di autorizzazione.

8.3.2. Il pur suggestivo argomento non risulta tuttavia condivisibile dal momento che:

a) rimettere tutto al “mercato” (che sarebbe in tale prospettiva in grado di autoregolarsi) significherebbe svilire pressoché del tutto la funzione programmatoria e regolatoria comunque posta in capo a Regione e Provincia in base alla legge regionale n. 71 del 1997 (disciplina attività estrattive);

b) del resto è lo stesso TAR ad ammettere che “attraverso il PPAE si sarebbe potuto limitare il massimo autorizzabile”. Affermazione questa ben ricavabile dalla stessa legge regionale n. 71 del 1997, laddove all’art. 8 si prevede che il suddetto piano provinciale: a) “Ha come obiettivo di soddisfare le esigenze del settore in un contesto di tutela del territorio e dell'ambiente” (comma 2); b) proprio in questa direzione, occorre individuare le “quantità … suscettibili di economica coltivazione”; c) in nessuna parte è stabilito che il PPAE deve pedissequamente replicare gli stessi quantitativi del PRAE, i quali contengono soltanto una indicazione di massima e giammai vincolante (altrimenti si azzererebbe del tutto il significato e la portata del suddetto piano provinciale). Dunque, anche e soprattutto in sede di approvazione del piano provinciale occorrerà ben valutare le effettive esigenze del mercato senza dare luogo a coltivazioni che possano rivelarsi economicamente superflue e, allo stesso tempo, comunque dannose per ambiente e paesaggio (si vedano le preoccupazioni al riguardo sollevate, dalla stessa amministrazione provinciale, in occasione della conferenza di servizi in data 15 novembre 2018). In questi stessi termini non si rivela pertanto corretta l’affermazione della Provincia, riportata dal proprio rappresentante in occasione della citata conferenza di servizi del 15 novembre 2018, secondo cui, sempre in relazione ai quantitativi di piano, “la Provincia deve rifarsi al PRAE”, non potendo dunque “modificare i quantitativi previsti”;

c) il comma 2 dell’art. 6 della Legge Regionale n. 71 del 1997 stabilisce inoltre che il PRAE debba contenere:

- l'individuazione delle aree dove è vietata l'attività estrattiva;

- la coeva indicazione delle aree dove è possibile l'eventuale esenzione ai sensi dell'articolo 60 delle NTA del PPAR ossia per quelle tipologie di materiale per le quali sia comprovata l'effettiva irreperibilità o non risulti possibile la loro sostituzione con altri materiali (c.d. materiali rari).

In particolare, da quest’ultima previsione si evince che, in relazione a materiali di particolare pregio, sarebbe possibile superare i vincoli posti a tutela dell’ambiente, e tanto in forza della necessità di declinare questa esigenza con quella di supportare le attività produttive. In siffatte ipotesi, l’attività di cava dei materiali di difficile reperibilità è nondimeno assimilata ad attività di pubblico e generale interesse.

Allo stesso tempo, pertanto, se da un lato la rarità del materiale (ed il suo pregio) possono imporre un sacrificio ai beni ambientali, dall’altro lato (atteso che si tratta pur sempre di una deroga ad un divieto di carattere generale) la stessa deve comunque essere considerata con estremo rigore, accertandone l’effettiva presenza e consistenza.

A tale stesso riguardo si consideri che l’area è sottoposta a vincolo idrogeologico (dunque vi sarebbe in ipotesi divieto di coltivazione) e che si applica la deroga a tale vincolo soltanto perché trattasi di “materiali rari” (maiolica e scaglia rossa). La deroga, come largamente anticipato, è dunque preordinata a bilanciare tutela dell’ambiente da un lato e interessi produttivi dall’altro lato, dando eccezionalmente prevalenza a questi ultimi in tale evenienza (materiali rari). E tuttavia una simile “prevalenza” deve essere pienamente giustificata anche in base ai volumi di attività che si prevede in concreto di realizzare.

Ebbene di tali volumi, pur essendo pacificamente in calo il relativo fabbisogno estrattivo (si veda la pag. 12 della relazione tecnico-illustrativa allegata al provvedimento impugnato secondo cui “la media complessiva per ogni tipologia di materiale risulta essere molto lontana … dai quantitativi assegnati dal PRAE”, e ciò secondo valori che oscillano tra il 58% ed il 70%), il provvedimento di piano avrebbe dovuto tenere debitamente conto ai fini della fissazione dei volumi effettivamente estraibili. Una simile operazione (valutazione delle effettive quantità di volume estraibile sulla base della domanda del mercato) è stata invece del tutto omessa nel procedimento in esame, come sopra appena dimostrato, e tanto in aperto spregio dei particolari valori ambientali comunque impressi sull’area di cui in questa sede si controverte;

d) va dunque condivisa la tesi della difesa di parte appellante secondo cui, in siffatte ipotesi, “gli interessi ambientali possono recedere solo in presenza di una effettiva esigenza produttiva. Esigenza che la P.A. ha il dovere di accertare preliminarmente alla luce di una valutazione che sia particolarmente rigorosa anche, e soprattutto, alla luce del fatto che trattasi di una deroga ad una regola generale”. Deroga che va pertanto valutata alla stregua di criteri di stretta interpretazione ed applicazione;

e) nei termini sopra detti il difetto di istruttoria (basata su dati obsoleti ed ormai ampiamente superati, come ben si evince dalla richiamata relazione tecnico-illustrativa allegata al gravato provvedimento) nonché il conseguente vizio di motivazione si rivelano dunque in effetti sussistenti;

8.3.3. Da quanto sopra detto consegue l’accoglimento dello specifico motivo di appello.

8.4. L’ultimo motivo di appello è invece infondato, innanzitutto, dal momento che l’affermazione del primo giudice secondo cui la suddetta comparazione era già stata effettuata nel 2005, ossia attraverso l’allora approvato PPAE, e che sul punto si era formata acquiescenza stante la mancata impugnazione di tale specifico aspetto della suddetta deliberazione n. 14 del 13 aprile 2005, non ha formato oggetto di specifica contestazione ad opera della difesa di parte appellante (cfr. pag. 35 atto di appello introduttivo). Quest’ultima si è infatti limitata a ribadire l’esigenza di rinnovare comunque, per fondamentali ragioni di trasparenza, l’anelata procedura comparativa tra siti potenzialmente estrattivi. Di qui la sua sostanziale genericità, attesa la mancanza di critica più specifica sul punto medesimo.

A ciò si aggiunga la profonda differenza tra “comparazione” (rivendicata dalla difesa di parte appellante) e “rapporto” tra diversi siti ossia bacini estrattivi, come invece richiesto dall’art. 8, comma e, lettera e), della citata legge regionale n. 71 del 1997 (norma questa che disciplina la procedura di approvazione del Piano Provinciale Attività Estrattive). Ed infatti, mentre il primo termine implica una scelta in termini di esclusività di un sito rispetto ad un altro, in modo che la decisione di coltivare un bacino ben potrebbe “graziare” un altro concorrente sito (valutazione questa peraltro già operata mediante precedenti atti ormai divenuti irricevibili, come sopra già evidenziato), l’operazione di rapporto tra siti implica una differente valutazione globale e di insieme (tra l’altro da effettuare proprio attraverso la VAS, come si è già avuto modo di osservare al punto 8.1.) con effetti eventualmente redistributivi in termini di carico estrattivo che potrà essere per tale via efficientemente ripartito, sempre “se del caso”, tra tutti i bacini interessati e con una conseguente mitigazione dei relativi impatti ambientali e paesaggistici.

In altre parole con la variante in contestazione l’amministrazione provinciale avrebbe dovuto non procedere ad una comparazione tra siti ma soltanto ad una valutazione degli impatti complessivi dai medesimi potenzialmente prodotti (aspetto questo su cui ci si è già peraltro diffusamente soffermati in occasione del primo motivo di appello).

Di qui il rigetto dello specifico motivo, attesa la ragionevole previsione della legge regionale sulla cui corretta applicazione si è già avuto modo di pronunziarsi, come appena anticipato, in occasione del primo motivo di appello.

9. In conclusione l’appello è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza qui impugnata. Per l’effetto il ricorso di primo grado deve essere parimenti accolto, nei medesimi sensi di cui sopra, con conseguente annullamento degli atti ivi specificamente gravati (determinazione dirigenziale n. 853 del 28 giugno 2021del nonché Deliberazione Consiglio Provinciale Ancona n. 27 del 29 luglio 2021) nella parte in cui: a) non hanno valutato gli impatti cumulativi con altri siti estrattivi; b) non hanno considerato l’effettivo fabbisogno estrattivo.

10. Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti costituite attesa la particolare complessità della esaminata fattispecie.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla la determinazione dirigenziale n. 853 del 28 giugno 2021 nonché la Deliberazione Consiglio Provinciale Ancona n. 27 del 29 luglio 2021.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore