Consiglio di Stato Sez. IV n. 5377 del 31 maggio 2023
Ambiente in genere.Principio di precauzione

Nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione europea, il principio di precauzione costituisce non solo un presupposto di legittimazione ma anche un vero e proprio parametro di validità per tutte le politiche e azioni europee in materia di ambiente, salute e sicurezza e, pertanto, anche in forza dell’efficacia trasversale del principio di integrazione delle esigenze di tutela dell’ambiente in tutte le politiche e azioni dell’Unione, si configura ormai come parametro generale di legittimità non solo della funzione normativa esercitata dalle istituzioni dell’Unione ma anche di quella amministrativa.

Pubblicato il 31/05/2023

N. 05377/2023REG.PROV.COLL.

N. 03157/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3157 del 2017, proposto da Provincia di Brescia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Storace, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Crescenzio, 20,e dall'avvocato Magda Poli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Sistina, n. 42;

contro

Ecocalvina S.r.l., non costituito in giudizio;

nei confronti

ARPA Lombardia, Comuni di Visano e Calvisano, W.T.E. S.r.l., non costituiti in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. 01613/2016, resa tra le parti, concernente il provvedimento della Provincia di Brescia n. 5822 del 18.8.2015 con il quale è stato disposto l’ordine di svuotamento delle vasche dell’impianto di smaltimento di rifiuti della Ecocalvina S.r.l.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società Ecocalvina svolge attività di produzione compost mediante recupero di rifiuti agroalimentari.

L’impianto aziendale della Ecocalvina è stato sottoposto a plurime visite ispettive da parte di ARPA, all’esito delle quali la Provincia di Brescia ha ritenuto sussistere le condizioni per avviare un procedimento di sospensione dell’AIA, ai sensi dell’art. 29 decies, comma 9, lett. B) del d. lgs. 152/06.

Con maggiore dettaglio, Ecocalvina è stata destinataria del provvedimento della provincia di Brescia n. 5822 del 18 agosto 2015 avente a oggetto:

a) da un lato la sospensione dell’attività di ritiro e trattamento di rifiuti allo stato liquido e/o fangoso autorizzata nel 2011, a causa delle inottemperanze e delle criticità rilevate nei sopralluoghi effettuati da ARPA;

b) dall’altro, la comunicazione di avvio del procedimento di sospensione dell’attività di compostaggio, con connessa richiesta di svuotamento delle vasche di stoccaggio entro trenta giorni per consentire di verificare l’integrità strutturale delle vasche, con particolare riferimento alla verifica dello stato di conservazione del rivestimento interno dell’impianto biologico e all’ effettuazione dei necessari interventi di manutenzione.

Contro il provvedimento in esame, la società Ecocalvina ha proposto ricorso per annullamento, previa sospensiva, al Tar per la Lombardia, sezione di Brescia che, con ordinanza, ha sospeso l’efficacia del provvedimento di svuotamento delle vasche.

Successivamente, e segnatamente in data 18 settembre 2015, il Gip presso il Tribunale di Brescia, su richiesta della locale Procura, disponeva il sequestro dell’impianto e il conseguente svuotamento delle vasche, avendo ravvisato la sussistenza di gravi indizi di reati ambientali.

Data la natura strettamente tecnica delle questioni sollevate, il Tar per la Lombardia, Sezione di Brescia, ha ritenuto necessario disporre una verificazione in contraddittorio tra ARPA, i Comuni resistenti, la Provincia e la ricorrente, al fine di stabilire quali fossero le misure da ritenersi ancora necessarie al fine di garantire la sicurezza dell’ambiente e il rispetto delle autorizzazioni concesse.

È stata, dunque, incaricata la Provincia di produrre una relazione, da predisporre, all’esito di apposito sopralluogo svolto in contraddittorio tra tutte le parti del giudizio e all’acquisizione delle osservazioni di tutte le parti interessate.

In data 20 novembre 2015, il GIP del Tribunale di Brescia ha respinto l’istanza di revoca del sequestro dell’impianto, anche rispetto alla domanda subordinata di sospensione dell’ordine di svuotamento delle vasche.

A tale proposito, il GIP ha rilevato che le analisi effettuate il 27 ottobre 2015 avevano evidenziato valori tali per cui, nonostante l’inoculamento di nuova carica batterica e di ossigeno, non era stato possibile ottenere il risultato del ripristino della funzionalità dell’impianto.

Ciò anche alla luce della relazione di ARPA, del 9 novembre 2015, che, secondo la lettura fattane dal giudice penale, avrebbe individuato quale unica misura idonea a tutelare la salubrità dell’ambiente interessato dalla condotta lesiva della ricorrente lo svuotamento delle vasche di trattamento dei reflui.

Ciò premesso, il giudice di primo grado ha preliminarmente respinto l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla provincia di Brescia per il tramite della memoria con la quale si è costituita in giudizio.

La provincia di Brescia, nella memoria menzionata, ha posto in particolare l’accento sul fatto che, in data 18 maggio 2016, Ecocalvina ha prodotto integrazioni documentali finalizzate in parte a conformarsi a quanto disposto dalla Provincia e, per altra parte, ad ottenere l’autorizzazione di una variante, non essenziale, all’AIA, comportante la parziale modifica dell’attività svolta.

Queste sopravvenienze, ad avviso della Provincia, avrebbero fatto venire meno l’interesse al puntuale rispetto delle prescrizioni impugnate, in quanto i quesiti in odine al chiarimento delle ragioni che hanno determinato lo sversamento (connesse al già evidenziato guasto della pompa), alla dimostrazione di aver superato le criticità evidenziate da ARPA, all’indicazione delle modalità di verifica dell’integrità delle vasche e alla dimostrazione di essere in grado di trattare adeguatamente i reflui, non avrebbero più rilevanza, a fronte delle condivisibili proposte di varianti all’AIA formulate.

Cionondimeno, il giudice di primo grado ha ritenuto che non fosse venuto meno l’interesse, sul piano processuale, alla pronuncia sulla legittimità degli atti impugnati.

Ad avviso del Tar per la Lombardia, Sezione di Brescia, sebbene, infatti, a seguito del provvedimento prot. n. 5702/2016, approvato in data 12 ottobre 2016 e contenente le prescrizioni inerenti alle modifiche impiantistiche chieste dalla società ricorrente, Ecocalvina non abbia più interesse all’annullamento della sospensione dell’attività (in quanto la sua ripresa, così come autorizzata nel 2011 non potrebbe più avvenire) non può parimenti escludersi la sussistenza dell’interesse di Ecocalvina all’accertamento dell’asserita illegittimità della sospensione dell’attività, nell’ottica di una possibile azione risarcitoria ex art. 34 comma 3 c.p.a, nei confronti dell’Amministrazione provinciale (evenienza peraltro anticipata dalla Società Ecocalvina nei propri atti difensivi).

Ciò premesso il giudice di primo grado ha reputato illegittimo l’impugnato provvedimento nella parte in cui ha disposto l’ordine di svuotamento delle vasche, nell’ambito del procedimento avviato in vista di una possibile sospensione anche dell’attività di compostaggio. Nel dettaglio, la prescrizione ritenuta illegittima è quella di cui al punto 4 dell’impugnato provvedimento, il quale ha imposto a Ecocalvina: “che le vasche di stoccaggio e trattamento dei rifiuti liquidi e/o fangosi vengano svuotate e che i rifiuti in esse contenuti vengano avviati ad impianti autorizzati per il trattamento, entro 30 giorni dal ricevimento del presente provvedimento; dopo lo svuotamento dovranno essere effettuate verifiche di integrità strutturale delle vasche, con particolare attenzione alla verifica dello stato di conservazione del rivestimento interno dell’impianto biologico, ed effettuati i necessari interventi di manutenzione, trasmettendo copia degli interventi svolti entro i successivi 60 giorni”.

Appare utile ripercorrere, nei suoi tratti essenziali, i principali passaggi logico-argomentativi attraverso i quali il giudice di prime cure ha ritenuto illegittimo il provvedimento di svuotamento delle vasche. In particolare, la traiettoria argomentativa del TAR si fonda sull’assunto per cui la necessità dello svuotamento delle vasche (strumentale a consentire la verifica delle reti di connessione e segnatamente dei tubi di carico e scarico dell’impianto di trattamento dei rifiuti liquidi) risulta per la prima volta affermata solo nella nota del 9 ottobre 2015.

Da tale premessa il TAR ricava la conclusione per cui nel delineato quadro manca “l’elemento essenziale che avrebbe giustificato l’adozione del provvedimento censurato e cioè l’indicazione delle motivazioni, dei risultati di analisi e/o degli indizi che potevano giustificare l’affermazione della sussistenza di una situazione di pericolo di inquinamento ambientale in qualche modo riconducibile alla presenza nelle vasche in questione dei reflui”.

Mancherebbero, in particolare, ad avviso del Collegio di primo grado, “ le “evidenze” scientifiche e/o tecniche che avrebbero potuto giustificare l’avversato ordine e che mancano completamente nel provvedimento impugnato. A fronte dell’indisponibilità di dati idonei ad indurre il sospetto che le vasche in questione potessero essere causa, in ragione di una supposta carente manutenzione, di un inquinamento ambientale, la misura dell’obbligo di svuotamento risulta, nell’ottica qui in esame, abnorme e sproporzionata.

Contro quest’ultima decisione la Provincia di Brescia ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato.

La società Ecocalvina non si è costituita nel presente giudizio nonostante la regolarità della notifica nei suoi confronti dell’atto di impugnazione promosso.

In via preliminare la provincia di Brescia osserva che l’interesse a ricorrere in appello è legato alle possibili conseguenze risarcitorie cui si esporrebbe laddove Ecocalvina decidesse di agire nei suoi confronti in via risarcitoria, così come dalla stessa anticipato nei propri atti difensivi in primo grado.

L'appello viene, pertanto, dichiaratamente proposto in via cautelativa.

Con il primo motivo di appello, la Provincia censura la statuizione del giudice di prime cure che ha ritenuto procedibile il ricorso di primo grado in relazione al giudizio di annullamento del predetto provvedimento di svuotamento delle vasche.

Il ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ad avviso della parte appellante, andrebbe riformato in quanto erroneo.

La Provincia di Brescia assume in senso contrario che lo svuotamento delle vasche sarebbe stato effettuato non già in seguito all'ordine della Provincia, tempestivamente sospeso dal Giudice amministrativo, ma sulla base del sequestro preventivo disposto dalla Gip presso il Tribunale di Brescia, su richiesta della locale Procura.

La stessa Procura, inoltre, si sarebbe mossa autonomamente, dopo aver ricevuto segnalazioni e denunce da ARPA (in particolare nel luglio del 2015), nelle quali si era evidenziato, tra le altre irregolarità, che l'impianto non fosse in grado di gestire la depurazione dei fanghi.

Da questa diversa premessa ricostruttiva discenderebbe, ad avviso della Provincia di Brescia, la conclusione per cui il ricorso in primo grado, relativo all’annullamento del provvedimento di svuotamento delle vasche, avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile.

Sarebbe, infatti, evidente, nella prospettiva in esame, che anche qualora l’ordine della Provincia fosse ritenuto immotivato o illegittimo lo stesso non è comunque stato eseguito né dal ricorrente, né dalla Provincia, ma da distinti organi giudiziari (Procura e Gip), che sono pervenuti ad una siffatta decisione sulla base delle valutazioni tecniche di ARPA, e che hanno vagliato in diverse fasi di giudizio tale scelta, confermandola in più occasioni.

Di qui la conclusione per cui, contrariamente a quanto opinato dal giudice di prime cure, alcun interesse può permanere, nemmeno a fini risarcitori, in capo alla originaria ricorrente.

Il motivo non è fondato.

L’argomentazione della Provincia, pur in parte condivisibile per quanto si dirà oltre, risolvendosi nell’identificare una spiegazione causale alternativa rispetto alla realizzazione dell’ evento potenzialmente dannoso, attiene, infatti, al merito dell’accertamento della responsabilità risarcitoria, e segnatamente al giudizio sul nesso di causalità.

Da ciò discende la reiezione del primo motivo di appello.

Con il secondo motivo di appello, la Provincia censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto l’insussistenza di adeguate evidenze scientifiche che giustificassero l’adozione del provvedimento svuotamento delle vasche, ai fini della tutela dei valori ambientali, potendo e dovendo, invece, la provincia effettuare ulteriori accertamenti.

L’assunto sarebbe smentito, a parere della Provincia, sulla base di una piana applicazione del principio di precauzione alla concreta fattispecie in esame.

Deduce la parte appellante che, se valutato al metro del principio di precauzione, l’ordine di svuotamento dovrebbe considerarsi congruamente motivato, sia avuto riguardo all'aspetto più direttamente afferente alla tutela ambientale, ovvero alla necessità di smaltire, quanto prima, i rifiuti liquidi depositati nell'impianto che non era in grado di depurarli, che a quello più specificamente progettuale-impiantistico.

Ad avviso della Provincia, in particolare, il Tribunale amministrativo regionale sarebbe giunto alla conclusione oggetto di impugnazione, in ragione della mancata adeguata valutazione del complesso delle risultanze istruttorie, le quali, ove attentamente esaminate, dimostrerebbero la legittimità del provvedimento di svuotamento delle vasche, oggetto di contestazione.

Con un terzo motivo di appello la provincia lamenta la violazione o errata interpretazione di legge in relazione all’art. 3 ter del D.Lgs. 152/06, dell’art. all’art. 174 del Trattato CE e all’ art. 301 del D.Lgs. 152/06.

A sostegno della propria impostazione la Provincia, in particolare, evidenzia che l’operatività del principio di precauzione non interviene, infatti, solo nell’ipotesi in cui ricorra una minaccia di danni “gravi e irreversibili”, essendo sufficiente la semplice situazione di pericolosità presunta.Nel doveroso bilanciamento degli interessi che sempre deve presiedere l'operato dell'amministrazione, anche in suddetta materia (cfr. Tar Trento n. 93/10), pare del tutto proporzionato il “sacrificio” imposto ad Ecocalvina, che in quella situazione si era messa per negligenza e che, non a caso, è stata oggetto anche di un ordine di analogo contenuto proveniente dall'autorità giudiziaria penale. D'altro canto, sotto il profilo della possibilità di dilatare, con ragionevolezza, il principio di precauzione, non possono ignorarsi le dinamiche che scaturiscono dagli episodi di inquinamento, in cui sovente il responsabile non interviene, costringendo quindi gli enti preposti (comuni e regione) a sobbarcarsi la messa in sicurezza e bonifica, con costi che così si riversano sulla collettività incolpevole. E non può non aggiungersi, per il caso concreto, come dato il quadro complessivo emergente dalle relazioni ispettive dell’organo di controllo, ovvero la gestione da parte di un soggetto che aveva realizzato numerose modifiche dell'impianto, senza acquisire alcuna autorizzazione e che si era reso già inottemperante sotto vari profili, non si imponesse un alto livello di attenzione e di controllo, anche a fini preventivi.”

I motivi di impugnazione secondo e terzo possono essere trattati congiuntamente attesa la loro evidente connessione.

Essi sono fondati per le ragioni che seguono.

Conviene premettere all’esame del merito delle questioni prospettate un breve inquadramento del principio di precauzione.

Il principio di precauzione consiste, come noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica.

Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”.

Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”. Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza «di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili», la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.

Ne deriva che al concetto di precauzione è connaturata una intrinseca funzione di anticipazione della soglia di intervento dell’azione preventiva.

Il fondamento concettuale della logica precauzionale, come osservato in dottrina, può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.

La mancanza di certezza scientifica in ordine alle conseguenze dannose di determinati comportamenti o attività non può giustificare il rinvio di un’azione preventiva adeguata all’entità dei possibili rischi.

Da ciò consegue che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.

L’atto di nascita del principio di precauzione, sul piano del diritto positivo, viene comunemente individuato nella Dichiarazione di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo del 14 giugno 1992, all’interno della quale, nell’ambito del principio n. 15, è stabilito che “Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati debbono applicare intensamente misure di precauzione a seconda delle loro capacità. In caso di rischio di danni gravi o irreversibili, la mancanza di un’assoluta certezza scientifica non deve costituire un pretesto per rimandare l’adozione di misure efficienti in rapporto al loro costo volte a prevenire il degrado ambientale».

Il principio è ripreso in termini analoghi anche nel preambolo della Convenzione sulla diversità biologica (1992) e nell’art. 3 della Convenzione sui cambiamenti climatici (1992), nonché nella Convenzione di Parigi per la protezione dell’ambiente marino per l’Atlantico Nord-Orientale (settembre 1992).

Nello stesso anno della Dichiarazione di Rio, il principio di precauzione ha avuto ingresso anche nell’ordinamento comunitario europeo, per il tramite del trattato di Maastricht, il quale lo introdusse all’interno dell’art. 130R (poi art. 174), par. 2, del trattato CE tra i princìpi sui quali avrebbe dovuto essere fondata l’azione (poi la politica) delle istituzioni comunitarie nel settore della tutela dell’ambiente. Oggi il principio si trova menzionato, nei medesimi termini e nel medesimo contesto, all’interno del par. 2 dell’art. 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.Grazie all’elaborazione della giurisprudenza dell’Unione Europea, il principio di precauzione ha trovato una esplicita qualificazione giuridica quale “principio generale del diritto comunitario”. Nella prima pronuncia significativa in tema (c.d. sentenza Artegodan , Tribunale CE, Seconda Sezione ampliata, 26 novembre 2002, in cause riunite T-74/00 e altre, Artegodan GmbH e aa. c. Commissione delle Comunità europee, punto 184) il giudice europeo ha affermato che il principio di precauzione costituisce «il principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici».

Quanto ai presupposti di fatto per la concreta operatività del principio in questione, la definizione citata si limita a menzionare l’esigenza di «prevenire taluni rischi potenziali» senza ulteriori precisazioni. In altre importanti e ben note pronunce giurisprudenziali, tuttavia, i giudici europei hanno avuto modo di individuare gli elementi da considerare decisivi per fondare correttamente l’applicazione del principio di precauzione, affermando a chiare lettere, innanzitutto, che «la valutazione del rischio non può basarsi su considerazioni puramente ipotetiche» e che deve sussistere comunque la «probabilità di un danno reale» (Così Tribunale CE, Seconda Sezione ampliata, 26 novembre 2002, in cause riunite T-74/00 e altre, Artegodan GmbH e aa. c. Commissione delle Comunità europee, punto 184) . Proprio in relazione ai “connotati” di fatto che deve assumere il rischio da fronteggiare, risultano estremamente significativi i passaggi argomentativi della c.d. “sentenza Pfizer”( Cfr. Tribunale CE, Sez. III, 11 settembre 2002, in causa T-13/99, Pfizer Animal Health SA c. Consiglio dell’Unione europea)nella quale si legge : «Nel contesto dell’applicazione del principio di precauzione – che è per definizione un contesto d’incertezza scientifica – non si può esigere che una valutazione dei rischi fornisca obbligatoriamente alle istituzioni comunitarie prove scientifiche decisive sulla realtà del rischio e sulla gravità dei potenziali effetti nocivi in caso di avveramento di tale rischio. (..) Tuttavia, (..) una misura preventiva non può essere validamente motivata con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. (..) Dal principio di precauzione, come interpretato dal giudice comunitario, deriva, al contrario, che una misura preventiva può essere adottata esclusivamente qualora il rischio, senza che la sua esistenza e la sua portata siano state dimostrate pienamente” da dati scientifici concludenti, appaia nondimeno sufficientemente documentato sulla base dei dati scientifici disponibili al momento dell’adozione di tale misura. (..) Il principio di precauzione può, dunque, essere applicato solamente a situazioni in cui il rischio, in particolare per la salute umana, pur non essendo fondato su semplici ipotesi non provate scientificamente, non ha ancora potuto essere pienamente dimostrato. In un tale contesto, la nozione di “rischio” corrisponde dunque ad una funzione della probabilità di effetti nocivi per il bene protetto dall’ordinamento giuridico cagionati dall’impiego di un prodotto o di un processo. La nozione di pericolo è, in tale ambito, usata comunemente in un’accezione più ampia e definisce ogni prodotto o processo che possa avere un effetto negativo per la salute umana (..). Di conseguenza, in un contesto come quello del caso di specie, la valutazione dei rischi ha ad oggetto la stima del grado di probabilità che un determinato prodotto o processo provochi effetti nocivi sulla salute umana e della gravità di tali potenziali effetti».

Alla luce di siffatto formante giurisprudenziale, appare evidente che, nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione europea, il principio di precauzione costituisca non solo un presupposto di legittimazione ma anche un vero e proprio parametro di validità per tutte le politiche e azioni europee in materia di ambiente, salute e sicurezza e che, pertanto, anche in forza dell’efficacia trasversale del principio di integrazione delle esigenze di tutela dell’ambiente in tutte le politiche e azioni dell’Unione, si configuri ormai come parametro generale di legittimità non solo della funzione normativa esercitata dalle istituzioni dell’Unione ma anche di quella amministrativa.

A conclusioni sostanzialmente analoghe è giunta la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6655/2019).

Nel campo specifico dell’azione amministrativa a tutela dell’ambiente, l’attuazione del principio di precauzione è garantita dall’art. 301 del d.lgs. n. 152 del 2006 espressamente rubricata «Attuazione del principio di precauzione», nella quale si fa riferimento all’«alto livello di protezione» che «deve essere assicurato» nei casi «di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente», precisandosi che l’applicazione di tale principio «concerne il rischio che comunque possa essere individuato a seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva».

Sempre nel d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 3-ter, si stabilisce, in via generale, che «la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale».

La valutazione scientifica del rischio deve essere preceduta – logicamente e cronologicamente – dall’«identificazione di effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno» e comprende, essenzialmente, quattro componenti: l’identificazione del pericolo, la caratterizzazione del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio. Essa consiste, dunque, in un processo scientifico che deve necessariamente spettare a esperti scientifici, cioè agli scienziati.

La valutazione scientifica deve fondarsi su «dati scientifici affidabili» e su un ragionamento logico «che porti ad una conclusione, la quale esprima la possibilità del verificarsi e l’eventuale gravità del pericolo sull’ambiente o sulla salute di una popolazione data, compresa la portata dei possibili danni, la persistenza, la reversibilità e gli effetti ritardati». Il principio di precauzione consente, quindi, di adottare, sulla base di conoscenze scientifiche ancora lacunose, misure di protezione che possono andare a ledere posizioni giuridiche soggettive, sia pure nel rispetto del principio di proporzionalità inteso nella sua triplice dimensione di idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250).

Se, dunque, la fase della valutazione del rischio è caratterizzata prevalentemente (anche se non esclusivamente) dalla “scientificità”, la fase di gestione del rischio si connota altrettanto prevalentemente (anche se non esclusivamente) per la sua “politicità”.

È sulla base delle predette coordinate ermeneutiche relative al principio di precauzione che deve pertanto essere valutata la legittimità del provvedimento di svuotamento delle vasche oggetto della sentenza di annullamento di primo grado.

In base ad esse, la Sezione reputa che la sentenza di primo grado meriti di essere riformata non essendo condivisibile l’assunto di fondo secondo cui sarebbero mancate, al momento dell’emissione del provvedimento di svuotamento delle vasche, attendibili evidenze scientifiche che ne giustificassero l’adozione ai fini di tutela ambientale.

Contro questa conclusione depongono, alla luce del delineato principio di precauzione, plurimi argomenti non adeguatamente valorizzati dalla sentenza impugnata.

In primo luogo occorre considerare che lo svuotamento delle vasche è stato effettuato non già in seguito all’ordine impartito della Provincia, i cui effetti sono stati tempestivamente sospesi dal Giudice amministrativo, ma sulla base del sequestro preventivo disposto dalla Gip presso il Tribunale di Brescia, su richiesta della Procura della Repubblica di Brescia. Occorre ulteriormente considerare che la Procura si è determinata in tale direzione autonomamente, dopo aver ricevuto denunce da parte di ARPA, nelle quali si evidenziava, tra le altre irregolarità, che l'impianto non fosse in grado di gestire la depurazione dei fanghi; in particolare tali criticità erano indicate nella denuncia di reato presentata nel luglio 2015 nell’ambito della quale si richiedeva anche di valutare lo svuotamento delle vasche.

Già questo primo elemento di valutazione, non adeguatamente considerato dal giudice di prime cure, mina l’attendibilità dell’assunto, posto a base della sentenza appellata, dell’assenza di evidenze scientifiche a supporto del provvedimento adottato dalla Provincia di Brescia, atteso che, sulla base delle irregolarità denunciate da ARPA già nel luglio del 2015, sia la procura sia il Gip hanno ritenuto che lo svuotamento delle vasche rappresentasse una soluzione adeguata rispetto alle problematiche dell’impianto di depurazione della società Ecocalvina. Entrambe hanno, inoltre, ribadito a distanza di tempo la medesima valutazione in occasione del respingimento delle richieste di revoca del sequestro;

Milita a sostegno della ragionevole adozione dell’ordine di svuotamento delle vasche la relazione di ARPA del giugno 2015 nella quale si dà atto che i “fanghi“ stoccati (peraltro illegittimamente, non essendo Ecocalvina autorizzata a farlo) siccome non depurabili per le carenze impiantistiche dello stesso, avrebbero dovuto essere smaltiti come rifiuti e che l'impianto non era, innanzitutto, in grado di trattare convenientemente i reflui in ingresso.

Nella medesima direzione depone la relazione di ispezione straordinaria redatta da ARPA nel mese di agosto 2015 nella quale ARPA, dopo aver rilevato un conclamato processo di ossidazione dell’impianto e la mancata sufficienza delle vasche di omogeneizzazione a garantire la costanza quali-quantitativo del refluo avviato al trattamento, conclude nel senso che Dall'esame microscopico dei fanghi prelevati nella vasca di ossidazione dell'impianto “fanghi attivi” si rileva l'assoluta mancanza della microfauna caratteristica ed indispensabile per il suo funzionamento; inoltre non risulta presente alcuna altra forma vivente(...). Il rapporto di prova riporta “nessun organismo vivo(...)”.

Analoghe e ancora più stringenti considerazioni a supporto delle scelta di procedere allo svuotamento delle vasche della società Ecocalvina si traggono dalla medesima relazione dell’agosto 2015 nella parte in cui ARPA rileva che le vasche presentavano già numerose criticità, evidenti all'esterno già nel precedente sopralluogo del maggio 2015 : “In ordine allo stato delle strutture in cemento armato si riporta una delle fotografie relative a trasudamenti delle vasche stesse. Si ritiene necessario provvedere alla manutenzione delle vasche al fine di garantire la tenuta idraulica in considerazione della prossimità al reticolo idrico minore, possibile via di dispersione in caso di incidente”

Relativamente all'altro presupposto ritenuto insussistente dal Tar (o meglio, insufficiente a giustificare il provvedimento adottato), ovvero la necessità di verificare tutte le reti tecnologiche (e quindi anche quelle poste all'interno delle vasche), va in senso contrario evidenziato come lo stesso fosse stato chiaramente rilevato da ARPA nella relazione di luglio 2015 all'esito della visita ispettiva determinata proprio da scarichi anomali nel vaso Palpice ed in occasione della quale è stato accertato un nuovo scarico anomalo,(come emerge dalla lettura del verbale di sopralluogo del 23 luglio 2015).

A tal riguardo, in quest’ultima relazione, ARPA rilevava la presenza anomala di liquido scuro e maleodorante in pozzetti destinati alla raccolta delle acque meteoriche dal che appunto ARPA faceva discendere la necessità di procedere con la verifica di tutte le reti tecnologiche.

Sulla base delle considerazioni svolte, reputa la Sezione che sussistevano, al tempo dell’adozione del provvedimento contestato, adeguate evidenze scientifiche, puntualmente documentate da ARPA, che militavano a sostegno della scelta compiuta dalla Provincia di adottare il provvedimento di svuotamento delle vasche, specie se valutate alla luce delle delineate coordinate ermeneutiche relative al principio di precauzione.

In considerazione dell’analisi di contesto e della ponderazione dei rischi, il provvedimento di svuotamento delle vasche si pone anche in linea con il principio di proporzionalità rappresentando, al tempo della sua emissione, l’unico strumento in grado di scongiurare un concreto rischio per l’ambiente, da considerarsi non eccessivamente gravoso per la società Ecocalvina, specie se raffrontato al concreto pericolo di cedimento strutturale delle vasche dell’impianto di depurazione.

Gli esiti dell’istruttoria condotta dalla Provincia giustificano, allora, in termini di idoneità, adeguatezza e proporzionalità in senso stretto la decisione concretamente assunta di procedere allo svuotamento delle vasche dell’impianto di depurazione della società Ecocalvina.

Le considerazioni che precedono conducono, pertanto, all’accoglimento dell’appello e alla riforma della sentenza impugnata nei sensi indicati in motivazione.

La complessità e parziale novità delle questioni affrontate impongono di procedere alla compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere, Estensore

Ofelia Fratamico, Consigliere