 Corte Costituzionale sent. 227 del 22 luglio 2011
Corte Costituzionale sent. 227 del 22 luglio 2011
Oggetto: Ambiente - Energia - Norme della Regione Friuli-Venezia Giulia - Reiterazione delle domande di concessione idraulica di piccola derivazione finalizzate alla produzione di energia idroelettrica di potenza media installata fino a 500 Kw medi, presentate antecedentemente al 31 dicembre 1995 - Esenzione dalla procedura di VIA - Lamentato contrasto con il codice dell'ambiente che impone la verifica di assoggettabilità per gli impianti con potenza superiore a 100 KW, contrasto con la normativa comunitaria; Realizzazione di un'opera o di un intervento ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge regionale n. 43/1990 - Presentazione del progetto e dello studio di impatto ambientale - Mancata previsione che al progetto sia allegato anche "l'elenco delle autorizzazioni intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta ed assensi, già acquisiti o da acquisire ai fini della realizzazione e dell'esercizio dell'opera o intervento" - Lamentato contrasto con il codice dell'ambiente che prevede l'allegazione medesima, contrasto con la normativa comunitaria; Realizzazione di un'opera o di un intervento ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge regionale n. 43/1990 - Pubblicità del progetto e dello studio di impatto ambientale - Lamentato contrasto con il codice dell'ambiente che prevede termini più favorevoli per controinteressati, pubblico e altre Amministrazioni, contrasto con la normativa comunitaria; Caccia - Norme della Regione Friuli-Venezia Giulia - Annotazioni sul tesserino regionale di caccia relative ai capi abbattuti - Prevista compilazione al termine della giornata venatoria - Lamentata introduzione di una disciplina sulle modalità di utilizzo del tesserino venatorio tale da non consentire il necessario controllo durante l'azione di caccia - Contrasto con l'accordo internazionale AEWA per la conservazione degli uccelli acquatici migratori, con le norme statali e comunitarie; Provvedimenti di deroga per talune specie cacciabili, rilasciati direttamente dalla Regione, in relazione alla salvaguardia di urgenti interessi unitari di carattere sovraprovinciale - Non prevista acquisizione del preventivo parere dell'ISPRA - Lamentato contrasto con la normativa statale e comunitaria.
 SENTENZA N. 227 ANNO 2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:  Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo                   MADDALENA, Alfio                  FINOCCHIARO, Franco                  GALLO, Luigi                  MAZZELLA, Gaetano                 SILVESTRI, Sabino                 CASSESE, Giuseppe                TESAURO, Paolo Maria            NAPOLITANO, Giuseppe                FRIGO, Alessandro             CRISCUOLO, Paolo                  GROSSI,  Giorgio                LATTANZI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli  articoli 108, comma 1, 113, 115, commi 1, 2 e 3, 145, comma 11, punto c)  e 151 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 21 ottobre  2010, n. 17 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2010),  promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato il 22-27 dicembre 2010, depositato in cancelleria il 28  dicembre 2010 ed iscritto al n. 121 del registro ricorsi 2010. Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia; udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro; uditi l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il  Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon  per la Regione Friuli-Venezia Giulia. Ritenuto in fatto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con  ricorso notificato il 22-27 dicembre 2010 e depositato il 28 dicembre,  ha proposto questione di legittimità costituzionale in via principale  degli articoli 108, comma 1, 113, 115, commi 1, 2 e 3, 145, comma 11,  punto c) e 151 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 21  ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale  2010), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s),  della Costituzione; agli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione  Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio  1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); alle  direttive 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio  concernente la conservazione degli uccelli selvatici), 2001/42/CE  (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la  valutazione degli effetti di determinati piani e programmi  sull’ambiente) e 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la  valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e  privati); agli artt. da 13 a 18 e 23, commi 1 e 2, del decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), agli  artt. 1, comma 7-bis, 7, 10, 12, 18, comma 4, e 19-bis, comma 2, della  legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna  selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e all’art. 2 della  legge 6 febbraio 2006, n. 66 (Adesione della Repubblica italiana  all’Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori  dell’Africa – EURASIA). 1.1. – Il ricorrente censura in primo luogo l’art. 108,  comma 1, della leg. reg. n. 17 del 2010, in relazione agli artt. 4, 5 e  6 dello Statuto regionale; all’art. 117, primo e secondo comma, lettera  s), Cost. ed alle direttive 2001/42/CE del 27 giugno 2001 e 85/337/CEE  del 27 giugno 1985 e successive modificazioni. La norma censurata inserisce nella legge regionale 7  settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia  della valutazione di impatto ambientale), l’art. 5-ter, disponendo che  le domande di concessioni idrauliche di piccola derivazione per la  produzione di energia idroelettrica di potenza media installata fino a  500 Kw medi, non ricadenti in area SIC e in zone parco, «presentate  antecedentemente al 31 dicembre 1995 e il cui procedimento di rilascio  si sia concluso ovvero sia tuttora pendente, possono essere reiterate  dai richiedenti senza che le stesse siano assoggettate alla procedura di  VIA di cui alla presente legge», alle seguenti condizioni: «a)  compatibilità con le previsioni dei vigenti strumenti urbanistici dei  Comuni interessati; b) espletamento dell’attività istruttoria da parte  dei competenti uffici regionali; c) mantenimento del minimo deflusso  vitale di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006». A giudizio del ricorrente tale previsione si porrebbe  in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, che  nell’allegato IV alla parte II del codice dell’ambiente, al punto 2,  lettera m), prevede espressamente che devono essere sottoposti alla  verifica di assoggettabilità anche i progetti relativi ad impianti di  competenza regionale con potenza superiore a 100 KW. La previsione  censurata, invece, integrerebbe un’arbitraria ed ingiustificata  esclusione di tali opere dalla verifica di assoggettabilità,  sottraendole al giudizio tecnico circa la sussistenza di significativi  impatti ambientali di cui agli artt. da 13 a 18 del citato d.lgs.,  integrando quindi un’arbitraria diminuzione di tutela. Non solo, ma tale disposizione violerebbe la normativa  comunitaria ed in particolare l’art. 3, comma 2, lettera a), della  direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE, e l’allegato II, punto 3 della  direttiva 85/337/CEE e successive modificazioni, che imporrebbero di  sottoporre a valutazione ambientale tutti i progetti del settore  energetico, salvo quelli relativi a piccole aree, compresi gli impianti  industriali per la produzione di energia elettrica. 1.2. – Viene, poi, censurato l’art. 113 della legge  della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, in riferimento agli  artt. 4, 5, 6 dello Statuto regionale, all’art. 117, primo e secondo  comma, lettera s), Cost. ed agli artt. 3, 4 e 5 della direttiva europea  2001/42/CE. La norma impugnata, nel sostituire l’art. 10 della  legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43 del  1990, relativo alla presentazione del progetto e dello studio di impatto  ambientale, non prevedrebbe più che al progetto proposto per la  realizzazione di un’opera o di un intervento – da sottoporre a VIA ai  sensi dell’art. 5, comma 2, della legge regionale medesima – sia  allegato anche «l’elenco delle autorizzazioni intese, concessioni,  licenze, pareri, n.o. ed assensi comunque denominati, già acquisiti o da  acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o  intervento», come invece prescritto dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n.  152 del 2006, in relazione anche agli obblighi di cui al precedente  art. 12. Tale disciplina comporterebbe un’arbitraria diminuzione  di tutela, per impianti industriali di significativo impatto  ambientale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost., che riserva allo Stato la tutela dell’ambiente, nonché con l’art.  117, primo comma, Cost. che impone il rispetto della normativa  comunitaria, la quale, con la direttiva 2001/42/CE, demanda agli Stati  l’obbligo di accertare preventivamente se i piani e progetti del settore  energetico possano avere effetti significativi sull’ambiente (art. 3,  commi 2 e 5; art. 4, comma 1; art. 5), prescrivendo all’uopo precisi  «criteri per la determinazione dei possibili effetti significativi», che  necessitano dunque di una conoscenza di quegli elementi, eliminati  nella disposizione impugnata (all. II della direttiva). 1.3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri  censura, ancora, l’art. 115, commi 1, 2 e 3, della leg. reg. n. 17 del  2010, in relazione agli artt. 4, 5, 6 dello Statuto regionale; all’art.  117, primo e secondo comma, lettera s), Cost. ed agli artt. 3, 4 e 5  della direttiva europea 2001/42/CE. La norma, sostituendo l’art. 14 della citata leg. reg.  n. 43 del 1990, relativo alla pubblicità del progetto e dello studio di  impatto ambientale, dispone, fra l’altro, che le pubblicazioni sulla  stampa imposte al soggetto proponente siano effettuate «entro cinque  giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 10, comma  2» e che il medesimo soggetto dia notizia dell’avvenuta pubblicazione  alla struttura regionale competente e alle autorità interessate.  Siffatta disciplina differirebbe da quanto prescritto dall’art. 23,  comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, diversamente dalla  normativa impugnata, prevede che la pubblicazione degli avvisi-stampa  avvenga contestualmente alla presentazione dell’istanza, cui deve essere  allegata copia, e non successivamente entro 5 giorni, e che tutti i  termini per l’informazione, la partecipazione, la valutazione e la  decisione decorrano dalla data di presentazione e non invece da quella  di pubblicazione. Una simile “discrasia temporale”, ritardando la  partecipazione e decisione informata del procedimento, renderebbe meno  efficiente la tutela dell’ambiente, in violazione dunque sia degli artt.  4, 5 e 6 dello Statuto regionale, che non consentirebbero di  discostarsi in peius dalla normativa statale ambientale, sia dell’art.  117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., sia con la più rigorosa  normativa comunitaria, dettata dalla direttiva 2001/42/CE, ritardando  una partecipazione e decisione informata da parte delle Amministrazioni e  dei controinteressati. 1.4. – Il ricorrente assume, inoltre, che l’art. 145,  comma 11, lettera c), della legge regionale in esame, aggiungendo  all’art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008,  n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l’esercizio  dell’attività venatoria), l’art. 3-bis e disponendo con esso che «le  annotazioni sul tesserino regionale di caccia relative ai capi abbattuti  devono essere compilate al termine della giornata venatoria», non  terrebbe conto della necessità di adeguare la normativa regionale alla  legge n. 66 del 2006, finalizzata alla conservazione degli uccelli  acquatici migratori. Tale accordo, imporrebbe agli Stati contraenti una  raccolta di informazioni sui carnieri effettuati, nel mentre la prevista  annotazione al termine della giornata di caccia comprometterebbe la  possibilità di realizzare forme di controllo efficaci da parte degli  organi di vigilanza, in relazione a tutte le specie, anche quelle  stanziali, per le quali esiste un contingentamento giornaliero  stagionale. La disposizione censurata violerebbe, quindi l’art. 4,  primo comma, dello Statuto, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.  e gli artt. 18, comma 4, 19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n.  157 del 1992, che prevedono l’indicazione nel calendario regionale «del  numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata di attività  venatoria», da qualificare norme fondamentali delle riforme economico  sociali, oltre che gli obblighi internazionali già citati, fra i quali  la Convenzione di Berna, resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto  1981, n. 503 (Ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla  conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa,  con allegati, adottata a Berna il 19 settembre 1979), e comunitari, di  cui alle direttive 2009/147/CE del 30 novembre 2009 e 79/409/CEE del 2  aprile 1979 (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli  uccelli selvatici) ed alla Guida alla disciplina della caccia, redatta  dalla Commissione europea nel 2004 e aggiornata nel 2008 (punto 2.4.16). 1.5. – Infine il ricorrente dubita della legittimità  costituzionale dell’art. 151 della leg. reg. n. 17 del 2010, in  riferimento all’art. 4 dello Statuto regionale; all’art. 117, primo e  secondo comma, Cost.; agli artt. 19 e 19-bis, comma 3, della legge n.  157 del 1992 ed alla normativa comunitaria (art. 9 dir. n. 2009/147/CE e  Guida alla disciplina della caccia della Commissione Europea). La norma aggiunge, al comma 1-ter dell’articolo 11  della legge regionale 14 giugno 2007, n. 14 (Legge comunitaria 2006), la  seguente disposizione: «L’Amministrazione regionale, in relazione alla  salvaguardia di urgenti interessi unitari di carattere sovraprovinciale,  può rilasciare direttamente i provvedimenti di deroga relativi a tali  specie per le finalità di cui all’articolo 5, comma 1, lettere a), b),  d) ed e), sentite le Province interessate che forniscono l’assistenza e  la collaborazione necessarie». Siffatta disciplina, escludendo l’obbligo di acquisire  il preventivo parere dell’ISPRA, obbligatoriamente previsto dagli artt.  19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992, oltre che  dall’art. 9, comma 2, lettera d), della direttiva n. 2009/147/CE (e  della precedente n. 409/1979/CEE) avrebbe violato i limiti posti  dall’art. 4, primo comma, dello Statuto alla competenza legislativa  della Regione in materia di caccia, invadendo la competenza statale in  materia di tutela dell’ambiente, riservata allo Stato dall’art. 117,  secondo comma, lettera s), Cost. e la disciplina comunitaria, il cui  rispetto è imposto dall’art. 117, primo comma, Cost. 2. – Si è costituita nel giudizio la Regione  Friuli-Venezia Giulia, con atto depositato il 4 febbraio 2011, eccependo  per alcune censure l’inammissibilità e deducendo l’infondatezza di  altre. 2.1. – Con riferimento all’art. 108, la resistente in  primo luogo assume che la censura sarebbe inammissibile, in quanto la  violazione degli artt. da 13 a 18 del codice dell’ambiente e delle  direttive non risulterebbe indicata nella delibera del Consiglio dei  ministri che ha deciso l’impugnazione. Ulteriore motivo di inammissibilità deriverebbe, poi,  dall’inconferenza del parametro evocato, dal momento che il ricorso  richiama norme sulla verifica di assoggettabilità, laddove la  disposizione censurata riguarderebbe la VIA. Analogamente, il richiamo all’art. 3 della direttiva 2001/421CE non sarebbe pertinente, poiché essa sarebbe attinente alla VAS. Nel merito, poi, la difesa regionale assume che la  disciplina impugnata sarebbe coerente con il codice dell’ambiente di cui  al citato d.lgs. n. 152 del 2006, sia quanto alla verifica di  assoggettabilità, sia quanto alla VIA poiché le condizioni alle quali è  subordinata la conclusione senza VIA di procedimenti risalenti nel tempo  «assicurano la compatibilità ambientale dell’intervento, e danno luogo  in sostanza ad una valutazione preventiva operata dallo stesso  legislatore». 2.2. – Con riguardo all’art. 113, la censura sarebbe  del tutto infondata per inidoneità delle norme statali invocate a  fungere da parametro di legittimità. In base all’art. 7, comma 7, del  d.lgs. n. 152 del 2006, sarebbero infatti le regioni a disciplinare «con  proprie leggi e regolamenti... e) le regole procedurali per il rilascio  dei provvedimenti di VIA ed AlA e dei pareri motivati in sede di VAS»,  esercitando la propria competenza nel rispetto dei principi fondamentali  dettati. A giudizio della resistente, invece, l’art. 23, comma  2, del citato codice sarebbe «una norma di dettaglio, auto applicativa»  ed esso non potrebbe quindi «fungere da parametro interposto nel  presente giudizio». Nel merito, poi, la Regione ritiene che le censure  mosse sarebbero il frutto di «una mera interpretazione», in quanto la  mancata riproduzione della norma statale non implicherebbe affatto la  volontà di escluderne l’applicazione, che dovrebbe invece ritenersi  dovuta ove la disposizione esprimesse un principio vincolante nei  confronti della Regione. Inammissibili sarebbero, poi, le altre censure avanzate  nel presente motivo, in quanto fondate su parametri non richiamati  nella delibera del Consiglio dei ministri o su norme non pertinenti,  quali l’art. 12 e l’allegato I del codice dell’ambiente e la direttiva  2001/42/CE, che riguardano la disciplina della VAS. 2.3. – Anche quanto all’art. 115, commi 1, 2 e 3, la  Regione assume in primo luogo che la censura fondata sulla direttiva  2001/42/CE sarebbe inammissibile in quanto essa, oltre ad essere  generica e non richiamata nella delibera del Consiglio dei ministri,  riguarderebbe la VAS e non la VIA. Nel merito, parimenti si sostiene che gli artt. 23,  comma 1, e 24, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, non costituirebbero  espressione di un principio fondamentale invocabile quale parametro di  legittimità. Il principio espresso dal legislatore statale consisterebbe  piuttosto nella necessità di una «pubblicizzazione del progetto, per  consentire la presentazione di osservazioni» e la legge regionale  rispetterebbe un simile principio, differenziandosi da quella statale  solo perché, in modo del tutto ragionevole, prevedrebbe una verifica di  completezza della documentazione prima della pubblicazione, evitando  adempimenti inutili, possibile fonte di confusione. 2.4. – Quanto all’art. 145, comma 1, lettera c), la  resistente ne deduce l’inammissibilità, poiché il ricorrente non avrebbe  indicato quale specifica disposizione dell’Accordo sarebbe violata. Sarebbe poi del tutto arbitrario il richiamo a  specifiche disposizioni della legge statale n. 157 del 1992 sulla caccia  (art. 18, comma 4; art. 19, comma 2, e art. 19-bis, comma 3), in quanto  tali norme non si occuperebbero affatto di disciplinare le modalità di  compilazione del tesserino di caccia. Tale assunto sarebbe del resto  confermato dalla sentenza di questa Corte n. 332 del 2006 che, in un  caso analogo, definisce questi aspetti della materia, come «strettamente  attinenti all’attività venatoria, espressione della potestà legislativa  residuale della regione». Inoltre, sarebbero del tutto inammissibili le censure  relative a presunte violazioni di obblighi internazionali e comunitari  in quanto prive di supporto argomentativo. 2.5. – Infine, la Regione Friuli-Venezia Giulia, con  riferimento alla censura relativa all’art. 151 ed alla mancata  previsione del preventivo parere dell’ISPRA, assume che essa sarebbe  frutto di un equivoco. Il ricorrente, infatti, interpreterebbe tale  norma come elusiva del prescritto parere, laddove sarebbe pacifico che  anche nell’ipotesi di cui alla disposizione censurata troverebbe piena  applicazione l’art. 6, comma 7, della medesima leg. reg. n. 14 del 2007  il quale – nel disciplinare la procedura di deroga – prevede che  «l’Amministrazione regionale verifica l’esistenza delle condizioni  generali per l’esercizio delle deroghe e rilascia i provvedimenti di  deroga, previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica  (INFS)». La disposizione censurata non disciplinerebbe il  procedimento, ma si limiterebbe piuttosto ad attribuire la competenza al  livello regionale anziché a quello provinciale. Tale intervento, del  resto, sarebbe stato stimolato da un’epidemia di rabbia che ha  interessato il territorio regionale a partire dall’anno 2009, e sarebbe  stato finalizzato ad evitare, come accaduto in passato, che plurimi  provvedimenti di deroga adottati su base provinciale potessero generare  «un imperfetto coordinamento dei tempi e modi di effettuazione dei  prelievi in deroga fra le varie Province». 3. – In data 31 maggio 2011 l’Avvocatura dello Stato ha  depositato una memoria, nella quale ha in primo luogo contestato le  eccezioni di inammissibilità della difesa regionale, sostenendo che  quanto affermato in via preliminare nel ricorso circa la competenza  statale in materia di ambiente sarebbe in grado di elidere ogni dubbio  al riguardo. Sulle singole questioni sono, poi, sviluppate  argomentazioni varie, che in larga parte ripercorrono il tenore del  ricorso, sia quanto alla sottrazione dei rinnovi di piccola derivazione  alla procedura di VIA, sia quanto alla documentazione da allegare alla  presentazione del progetto ed alla pubblicazione degli avvisi stampa.  Inoltre, la difesa dello Stato ribadisce che l’annotazione nel tesserino  venatorio a fine giornata impedirebbe efficaci controlli sui capi  abbattuti, consentendo al cacciatore di eludere gli obblighi imposti al  riguardo. Da ultimo, quanto alla mancata previsione del parere  dell’ISPRA per le deroghe alla disciplina del prelievo venatorio,  l’Avvocatura osserva che la diversa interpretazione sostenuta dalla  Regione necessiterebbe comunque dell’autorevole avallo della Corte. Considerato in diritto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita  della legittimità costituzionale degli articoli 108, comma 1, 113, 115,  commi 1, 2 e 3, 145, comma 11, punto c) e 151 della legge della Regione  Friuli-Venezia Giulia del 21 ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione  dell’ordinamento regionale 2010), per contrasto con l’art. 117, primo e  secondo comma, lettera s), della Costituzione; con gli artt. 4, 5 e 6  dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge  costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione  Friuli-Venezia Giulia), con le direttive 2009/147/CE del Parlamento  europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli  selvatici, 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente  la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi  sull’ambiente e 85/337/CEE del Consiglio concernente la valutazione  dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati; con  gli artt. da 13 a 18 e 23, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile  2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con gli artt. 1, comma  7-bis, 7, 10, 12, 18, comma 4, e 19-bis, comma 2 della legge 11 febbraio  1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e  per il prelievo venatorio) e l’art. 2 della legge 6 febbraio 2006, n.  66 (Adesione della Repubblica italiana all’Accordo sulla conservazione  degli uccelli acquatici migratori dell’Africa – EURASIA). 2. – In via preliminare, rispetto all’esame nel merito  delle singole censure, occorre ribadire la consolidata giurisprudenza di  questa Corte, secondo la quale la questione di legittimità  costituzionale è inammissibile, allorché sia omesso qualsiasi accenno  alla stessa nella delibera di impugnazione e nell’allegata relazione del  Ministro per i rapporti con le Regioni, dovendo in questo caso  «escludersi la volontà dello Stato ricorrente di promuoverle» (ex  pluribus, sentenze n. 365 e n. 275 del 2007). Nel caso in esame, dalla delibera del Consiglio dei  ministri di autorizzazione all’impugnazione risulta evidente come i  motivi di impugnazione relativi agli artt. 108, comma 1, 113; 115, commi  1, 2 e 3 e 151, della leg. reg. n. 17 del 21 ottobre 2010, siano  diretti a denunziare esclusivamente il contrasto di tali disposizioni  con leggi statali, senza alcun accenno a violazioni di norme comunitarie  ovvero di parametri costituzionali riferibili a queste ultime. Conseguentemente, devono essere dichiarate  inammissibili le censure sollevate con riferimento a tali disposizioni  e, in specie, con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed alle  citate direttive europee n. 2001/42/CE e n. 85/337/CEE. 3. – Ciò posto, possono essere scrutinate le restanti censure, secondo l’ordine ad esse attribuito dal ricorrente. 4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri assume,  in primo luogo, che l’art. 108, comma 1 della legge della Regione  Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, disponendo che le domande di  concessioni idraulica di piccola derivazione per la produzione di  energia idroelettrica di potenza media installata fino a 500 Kw medi,  non ricadenti in area SIC e in zone parco, «presentate antecedentemente  al 31 dicembre 1995 e il cui procedimento di rilascio si sia concluso  ovvero sia tuttora pendente, possono essere reiterate dai richiedenti  senza che le stesse siano assoggettate alla procedura di VIA di cui alla  presente legge», violerebbe, fra l’altro, l’art. 117, secondo comma,  lettera s), Cost. e gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione  Friuli-Venezia Giulia. Tale disciplina si porrebbe in contrasto con  quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, che nell’allegato IV alla  parte II, al punto 2, lettera m), prevede espressamente che devono  essere sottoposti alla verifica di assoggettabilità i progetti relativi  ad impianti di competenza regionale con potenza superiore a 100 KW,  sottraendo tali opere al giudizio tecnico circa la sussistenza di  significativi impatti ambientali di cui agli artt. da 13 a 18 del citato  codice dell’ambiente. 4.1. – La questione non è fondata. 4.2. – La disposizione impugnata consente che le  domande di concessione idraulica di piccola derivazione per la  produzione di energia idroelettrica fino a 500 Kw, presentate  antecedentemente al 31 dicembre 1995, possano, alle condizioni indicate,  essere reiterate dai richiedenti senza che le stesse siano assoggettate  alla procedura di VIA. A giudizio del ricorrente, tuttavia, tale disciplina  sarebbe in contrasto con gli artt. da 13 a 18 del d.lgs. n. 152 del 2006  e con il punto 2 dell’allegato IV alla parte II, i quali si riferiscono  alla verifica di assoggettabilità e alla disciplina della VAS. Risulta  evidente quindi come, sia nell’indicazione dei parametri, sia nella  descrizione della disciplina statale, la difesa dello Stato si sia  riferita al diverso procedimento della VAS e non a quello, che avrebbe  potuto essere coinvolto, della VIA. Del resto, la VIA è istituto che si  differenzia dalla VAS non solo normativamente, ma anche concettualmente,  avendo ad oggetto, la prima, la valutazione degli impatti generati da  opere specifiche, la seconda, gli effetti indotti sull’ambiente  dall’attuazione delle previsioni contenute in determinati strumenti di  pianificazione e programmazione. A conferma di tale conclusione, ovvero  che la difesa dello Stato abbia inteso riferirsi proprio alla verifica  di assoggettabilità a VAS, depone il fatto che pure la disciplina  comunitaria indicata in ricorso (Direttiva 27 giugno 2001, n.  2001/42/CE), sia pure non evocata dalla delibera di impugnazione,  riguarda anch’essa non la VIA, ma la VAS, essendo dedicata alla  «valutazione degli effetti di determinati piani e programmi  sull’ambiente». Pertanto è palese l’inconferenza delle norme statali evocate, con conseguente infondatezza delle censure. 5. – Riguardo all’art. 113 della legge regionale n. 17  del 2010, il ricorrente assume che tale norma, la quale sostituisce  l’art. 10 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 settembre  1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della  valutazione di impatto ambientale), relativo alla presentazione del  progetto e dello studio di impatto ambientale, non prevedendo che al  progetto proposto per la realizzazione di un’opera o di un intervento –  da sottoporre a VIA ai sensi dell’art. 5, comma 2 della leg. reg. – sia  allegato anche «l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni,  licenze, pareri, n.o. ed assensi comunque denominati, già acquisiti o da  acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o  intervento», violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e  gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia,  ponendosi in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006,  che all’art. 23, comma 2, in relazione anche agli obblighi di cui al  precedente art. 12, prevede che tale documentazione debba essere  allegata. 5.1. – La questione  è fondata. 5.2. – La disposizione in esame prevede che il soggetto  proponente  presenti alla struttura regionale competente in materia di  VIA il progetto definitivo e lo studio di impatto ambientale redatto  conformemente all’art. 11, senza tuttavia prevedere, come imposto  dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, che all’istanza sia  «altresì allegato l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni,  licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti  o da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o  intervento». In proposito la Corte ha precisato più volte che la  normativa sulla valutazione d’impatto ambientale attiene a procedure che  accertano in concreto e preventivamente la «sostenibilità ambientale» e  rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, sicchè, «seppure  possono essere presenti ambiti materiali di spettanza regionale […] deve  ritenersi prevalente, in ragione della precipua funzione cui assolve il  procedimento in esame, il citato titolo di legittimazione statale»  (sentenza n. 186 del 2010, n. 234 del 2009). Le Regioni sono dunque  tenute, per un verso, a rispettare i livelli uniformi di tutela  apprestati in materia; per l’altro, a mantenere la propria legislazione  negli ambiti di competenza fissati dal c.d. codice dell’ambiente di cui  al d.lgs. n. 152 del 2006, nella specie, quanto al procedimento di VIA,  con riferimento al citato art. 23, comma 2. Conseguentemente la disposizione censurata risulta  adottata in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e  dello Statuto speciale, trattandosi della disciplina di un procedimento  che incide sulla materia «tutela dell’ambiente», di competenza  esclusiva statale, non compresa tra le materie specificamente enumerate  dallo Statuto speciale come di competenza regionale. 6. –  Il ricorrente deduce, altresì, che l’art. 115,  commi 1, 2 e 3 della leg. reg. n. 17 del 2010, sostituendo l’art. 14  della leg. reg. n. 43 del 1990, relativo alla pubblicità del progetto e  dello studio di impatto ambientale, disponendo, fra l’altro, che le  pubblicazioni sulla stampa imposte al soggetto proponente siano  effettuate «entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione di  cui all’articolo 10, comma 2» e che il medesimo soggetto dia notizia  dell’avvenuta pubblicazione alla struttura regionale competente e alle  autorità interessate, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo  comma, lettera s), Cost. e gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della  Regione, disponendo difformemente da quanto prescritto dall’art. 23,  comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che la  pubblicazione degli avvisi stampa avvenga contestualmente alla  presentazione dell’istanza, alla quale deve essere allegata copia. 6.1. – La questione è fondata. 6.2. – La norma censurata dispone che il proponente del  progetto e dello studio di impatto ambientale «entro cinque giorni dal  ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 10, comma 2,  ….fa[ccia] pubblicare sul quotidiano locale maggiormente diffuso  nell’ambito provinciale interessato, l’annuncio dell’avvenuta  presentazione …»; dia «notizia dell’avvenuta pubblicazione ai sensi del  comma 1 alla struttura regionale competente e alle autorità interessate »  e che «contestualmente alla pubblicazione di cui al comma 1, la  documentazione presentata [sia] messa a disposizione del pubblico, anche  mediante pubblicazione nel sito web della Regione …, per un periodo di  sessanta giorni, affinché chiunque ne possa prendere visione». Una simile disciplina è difforme da quella stabilita  dall’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale impone,  invece, che all’istanza presentata sia allegata copia dell’avviso a  mezzo stampa. Tale difformità, non determinando una miglior tutela  ambientale, ed anzi ritardando la pubblica conoscenza del procedimento  iniziato, è suscettibile di ritardare per ciò stesso la possibilità di  partecipazione e decisione informata del procedimento medesimo e,  quindi, di tutelare con minore efficacia il bene dell’ecosistema, a  presidio del quale il legislatore statale, nell’ambito della propria  competenza, ha dettato la menzionata disciplina. 7. – Viene poi sottoposto a giudizio di legittimità  costituzionale l’art. 145, comma 11, lettera c), della più volte citata  leg. reg. n. 17 del 2010, il quale dispone che le annotazioni sul  tesserino regionale di caccia relative ai capi abbattuti debbano essere  compilate «al termine della giornata venatoria». Secondo il ricorrente,  detta disposizione, non consentendo i necessari controlli «durante  l’azione di caccia», violerebbe l’art. 4, primo comma, dello Statuto e  l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ponendosi in contrasto con  gli artt. 18, comma 4, 19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n.  157 del 1992, che prevedono l’indicazione nel calendario regionale «del  numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata di attività  venatoria», i quali costituiscono norme fondamentali delle riforme  economico sociali. 7.1. – Inoltre, siffatta norma violerebbe pure l’art.  117, primo comma, Cost., per difformità dalla legge n. 66 del 2006, con  la quale la Repubblica italiana ha formalmente aderito all’accordo  internazionale denominato AEWA (African-Eurasian Waterbird Agreement)  finalizzato alla conservazione degli uccelli acquatici migratori, e gli  obblighi internazionali, fra i quali quelli derivanti dalla Convenzione  di Berna, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503 (Ratifica ed  esecuzione della convenzione relativa alla conservazione della vita  selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, con allegati, adottata a  Berna il 19 settembre 1979), e comunitari, di cui alle direttive  2009/147/CE del 30 novembre 2009 e 79/409/CEE del 2 aprile 1979  (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli  selvatici) nonché la Guida alla disciplina della caccia, redatta dalla  Commissione europea nel 2004 e aggiornata nel 2008 (punto 2.4.16). 7.2. – La questione non è fondata per quanto attiene al primo profilo. 7.3. – L’argomentazione sottesa alla censura, secondo  cui tale disposizione contrasterebbe con l’obbligo di indicare il numero  massimo dei capi da abbattere e con la necessità dei conseguenti  controlli, non evidenzia una difformità della disciplina tale da  integrare il vizio prospettato. Infatti, la necessità che a fine  giornata il cacciatore debba indicare il numero di capi abbattuti non  può essere ritenuta previsione che impedisca, da un lato, il rispetto  del limite dei capi da abbattere, dall’altro, lo svolgimento di efficaci  controlli. Va  in proposito ricordato quanto affermato da questa Corte,  con la sentenza n. 332 del 2006, che cioè il legislatore statale si è  limitato ad indicare all’art. 12, comma 12, della legge n. 157 del 1992,  la necessità, ai fini dell’esercizio dell’attività venatoria, del  possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla Regione di residenza,  nel quale sono indicate le specifiche norme inerenti al calendario  regionale, nonché le forme e gli ambiti territoriali di caccia ove è  consentita l’attività venatoria, senza dettare alcuna prescrizione sulle  modalità dell’annotazione del capo abbattuto. La norma regionale,  pertanto, si limita «a disciplinare aspetti strettamente attinenti  all’attività venatoria, espressione della potestà legislativa residuale  della regione». 7.4. – La censura riferita all’art. 117, primo comma, Cost., è inammissibile. Il ricorrente, infatti, si limita genericamente ad  indicare una serie di fonti internazionali e comunitarie, senza  specificare né le disposizioni che in particolare sarebbero violate, né  in quale modo la necessità di efficaci controlli sul rispetto di esse  sarebbe inficiata dalla disposizione impugnata. Pertanto, poiché «nel  giudizio di legittimità costituzionale in via principale l’esigenza di  una adeguata motivazione dell’impugnazione si pone in termini anche più  pregnanti che in quello in via incidentale» (ex plurimis: sentenza n. 88  del 2011), al difetto di una precisa indicazione delle norme  internazionali che si assumono violate, consegue necessariamente una  pronuncia di inammissibilità (sentenza n. 32 del 2011, nonché, sentenze  n. 251 del 2009; n. 250 del 2009; n. 232 del 2009; n. 38 del 2007). 8. – Infine, il ricorrente ha censurato l’articolo 151  della legge regionale in esame, in quanto tale norma, disponendo che  l’Amministrazione regionale, in relazione alla salvaguardia di urgenti  interessi unitari di carattere sovraprovinciale, possa rilasciare  direttamente i provvedimenti di deroga relativi a tali specie per le  finalità di cui all’articolo 5, comma 1, lettere a), b), d) ed e), ed  escludendo l’obbligo di acquisire il preventivo parere dell’ISPRA,  violerebbe l’art. 4, primo comma, dello Statuto e l’art. 117, secondo  comma, lettera s), Cost., ponendosi in contrasto con gli artt. 19, comma  2, e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992, che prevedono invece  come obbligatorio siffatto parere. 8.1. –  La questione non è fondata. 8.2. – Secondo il Presidente del Consiglio dei  ministri, la norma in questione, nel disciplinare  il procedimento per  il rilascio da parte dell’amministrazione regionale dei provvedimenti di  deroga relativi alla cacciabilità di cinghiali, volpi e corvidi  compresi nell’elenco di cui all’art. 3 della legge della Regione  Friuli-Venezia Giulia 17 luglio 1996, n. 24 (Norme in materia di specie  cacciabili e periodi di attività venatoria ed ulteriori norme  modificative ed integrative in materia venatoria e di pesca di  mestiere), non prevedrebbe il necessario parere dell’ISPRA. Tuttavia, la norma in questione, che modifica l’art. 11  della leg. reg. n. 14 del 2007, si limita a dettare le condizioni in  base alle quali tali provvedimenti possono essere adottati non su base  provinciale, ma su base regionale. Non può, infatti, ritenersi che la  disposizione in esame sia sufficiente a sottrarre tale procedura al  rispetto dell’art. 6, comma 7, pure contenuto nella legge regionale 14  del 2007, che – nel disciplinare la procedura di deroga – prevede che  «l’Amministrazione regionale verifica l’esistenza delle condizioni  generali per l’esercizio delle deroghe e rilascia i provvedimenti di  deroga, previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica  (INFS)» (oggi ISPRA). per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo  113 e dell’articolo 115, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione  Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione  dell’ordinamento regionale 2010); dichiara inammissibili le questioni di legittimità  costituzionale degli articoli 108, comma 1, 113; 115, commi 1, 2 e 3 e  151, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010,  proposte in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione ed  alle direttive 2001/42/CE del 27 giugno 2001 (Direttiva del Parlamento  europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di  determinati piani e programmi sull’ambiente) e 85/337/CEE del 27 giugno  1985 (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto  ambientale di determinati progetti pubblici e privati); dichiara inammissibile la questione di legittimità  costituzionale dell’articolo 145, comma 11, lettera c), della legge  della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, proposta in  relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione ed alla  Convenzione di Berna, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503  (Ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla conservazione  della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, con allegati,  adottata a Berna il 19 settembre 1979), nonché alle direttive  2009/147/CE del 30 novembre 2009 (Direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici) e  79/409/CEE del 2 aprile 1979 (Direttiva del Consiglio concernente la  conservazione degli uccelli selvatici); dichiara non fondata la questione di legittimità  costituzionale dell’articolo 145, comma 11, lettera c), della legge  della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, sollevata in  riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione  ed all’art. 4, primo comma, dello Statuto della Regione Friuli-Venezia  Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1  (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); dichiara non fondata la questione di legittimità  costituzionale dell’articolo 151, della legge della Regione  Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, sollevata in riferimento all’art.  117, secondo comma, lettera s), della Costituzione ed all’art. 4, primo  comma, dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con  legge costituzionale n. 1 del 1963. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2011. Il Direttore della Cancelleria F.to: MELATTI
 
 
 
 
                    




