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Sez. 3, Sentenza n. 15299 del 30/03/2004 (Ud. 03/03/2004 n.00391 ) Rv. 228538
Presidente: Savignano G. Estensore: Novarese F. Imputato: Dalla Fior. P.M. Albano A. (Diff.)
(Rigetta, App.Firenze, 17 gennaio 2003).
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Distruzione o deturpamento - Reato di cui all'art. 734 cod. pen. - Accertamento - Spetta al giudice penale - Valutazione della pubblica amministrazione - Vincolatività per il giudice - Esclusione.
CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)

In tema di tutela del patrimonio paesistico ed ambientale, ai fini della applicabilità della ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 734 cod. pen., l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità è demandata al giudice penale, atteso che trattasi di reato di danno per il quale l'accertamento dell'evento concretante la contravvenzione spetta al giudice, e ciò indipendentemente da ogni valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione,il cui provvedimento può assumere rilevanza nella valutazione dell'elemento psicologico del reato.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 03/03/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - N. 391
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere - N. 22426/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DALLA FIOR RENZO n. a Trento il 5 maggio 1947;
GALLERINI FRANCO n. a Firenze il 14 agosto 1930;
DE NAT GIOVANNI n. a Foligno (P.G.) il 10 maggio 1936;
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 17 gennaio 2003;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. F. Novarese;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. ALBANO A. che ha concluso per: annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Dalla Fior Renzo, Gallerini Franco, in qualità di progettisti, Balli Sergio, De Nat Giovanni e Pani Renato, quali coordinatori e dirigenti responsabili del servizio costruzioni E.N.E.L. di Firenze, succedutesi nell'incarico durante la realizzazione dell'opera, hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, emessa in data 17 gennaio 2003, con la quale veniva dichiarata l'improcedibilità dell'azione penale per estinzione dei reati di alterazione e deturpamento di bellezze naturali (art. 734 c.p.) e di violazione delle prescrizioni cui era subordinata l'autorizzazione paesaggistica (art. 163 d.lvo n. 490 del 1999) deducendo quali motivi la violazione delle norme disciplinanti il rilascio del nullaosta paesaggistico e del procedimento amministrativo, in quanto il parere della Commissione Beni Ambientali (C.B.A.) in base alla legge regionale toscana n. 52 del 1979, prima della modifica intervenuta con l. r. n. 24 del 1993, era obbligatorio ma non vincolante, sicché le altre autorità potevano discostarsi, mentre la stessa C. B. A. aveva modificato il precedente parere del 12 febbraio 1992, contenente alcune prescrizioni, con quello successivo del 22 aprile s. a., giacché aveva ritenuto adempiute le predette senza la possibilità di configurare alcun travisamento del fatto o vizio di eccesso di potere nel procedimento seguito, la violazione degli artt. 4 e 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, poiché il giudice ordinario non poteva disapplicare un atto amministrativo, in assenza della contestazione di qualsiasi delitto da parte dei pubblici amministratori (ex. gr. art. 323 c.p.) o dei richiedenti (ex. gr. 640 c.p.), la violazione dell'art. 43 c.p. in relazione agli artt. 1 sexies l. n. 431 del 1985 e 734 c.p. in ordine alla carenza dell'elemento psicologico, e l'erronea applicazione degli artt. 129 e 530 secondo coma c.p.p., giacché detta ultima norma processuale può essere applicata, qualora dopo l'istruttoria dibattimentale, appaia incompleta la prova della responsabilità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi addotti, al limite dell'inammissibilità, sono infondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali. Infatti, in ordine alla configurabilità del reato di cui all'art. 734 c.p., è incongruo il riferimento ad una risalente pronuncia delle sezioni unite di questa Corte, relativa alla c.d. pretesa disapplicazione della concessione edilizia illegittima (Cass. sez. un. 31 gennaio 1987 n. 1, Giordano), giacché altra decisione delle sezioni unite (Cass. sez. un. 21 gennaio 1993 n. 248, P.M. in proc. Molinari rv. 193416) riguardo proprio alla su indicata contravvenzione ha affermato che "ai fini dell'applicazione dell'art. 734 c.p. è demandato sempre al giudice penale l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione". in quanto trattasi di reato di danno e non di pericolo caratterizzato dall'alterazione o distruzione della bellezza naturale, il cui accertamento dell'evento concretante la contravvenzione spetta al giudice, giacché il provvedimento della pubblica amministrazione può assumere, al limite, rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico. Nella fattispecie, la piena consapevolezza dell'inadempimento delle prescrizioni espresse con il primo parere dalla C.B.A. e dell'errata affermazione contenuta nel secondo circa l'intervenuto rispetto delle stesse, cui si riferiscono tutti gli atti amministrativi con evidente travisamento del fatto ed eccesso di potere, escludono "ictu oculi" ogni buona fede dei progettisti e dei responsabili del servizio costruzioni dell'E.N.E.L..
Rilevata la manifesta infondatezza del primo e del terzo motivo, sui quali in maniera ineccepibile motiva la Corte gigliata, per quanto attiene al potere di disapplicazione dell'atto illegittimo da parte del giudice ordinario i ricorrenti accomunano decisioni relative alla sindacabilità del permesso di costruire illegittimo con altre concernenti i requisiti da considerare in tema di ordinanza contingibile ed urgente in tema di rifiuti (Cass. sez. 3^ 2 dicembre 1998 n. 12692, Schepis rv. 212181).
Inoltre, queste ultime pronunce sono o espressione di un orientamento minoritario, resistito da altro prevalente (Cass. sez. 3^ 19 settembre 2000, Barione in Riv. giur. amb. 2001, 794 cui adde Cass. sez. 3^ 14 ottobre 2002 n. 34298, Buscarino in Rivistambiente 2003, 333) o, in alcuni casi, ammissive di detto sindacato (Cass. sez. 3^ 28 gennaio 1998, Rizzi in Foro it. 1999, 2^, 18).
Peraltro, per quanto attiene al sindacato della concessione edilizia (ora permesso di costruire), per evitare ridondanze di trattazione ed una motivazione "graforrea" sarebbe sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 3^ 3 febbraio 2003 n. 4877, Tarini per un'ampia trattazione della problematica con panorama dottrinale e giurisprudenziale), essendo ormai risalente e superata la pronuncia delle sezioni unite del 1987 (Cass. sez. un. 31 gennaio 1987 n. 1, Giordano, per un'ampia critica alla stessa, alla luce di Cass. sez. un. 21 dicembre 1993 n. 11635 in Cass. pen. 1994, 901, vedi Cass. sez. 3^ 14 luglio 1994, Cremona in Riv. giur. ed 1995, 1, 954 e Cass. sez. 3^ 24 gennaio 1994, Colazzilli ed altri rv. 196469). Tuttavia, seppure in maniera sintetica, si riassumono le varie argomentazioni.
Innanzitutto, la "disapplicazione" dell'atto amministrativo e dei limiti del sindacato del giudice penale al riguardo esula dalla questione relativa all'edificazione con atto amministrativo illegittimo, giacché la prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. 3^ 19 luglio 1994,Cremona in Riv. giur. ed. 1995, 1, 954 quale leading case cui adde Cass. sez. 3^ 30 giugno 1995 n. 17565, Di Pasquale rv. 202077 e redatte da altri estensori Cass. sez. 3^ 29 settembre 1994 n. 1822, Ruotolo rv. 200367,Cass. sez. 3^ 3 maggio 1996 n. 4421, Oberto rv. 204885, Cass. sez. 3^ 20 luglio 1996 n. 7310, Venè ed altri rv. 206028 e Cass. sez. 3^ 23 dicembre 1997 n. 11988, Controzzi ed altri rv. 209194, pur con una non condivisibile visione dell'indagine sull'elemento psicologico, Cass. sez. 5^ 22 marzo 1999 n. 736, Rubino e Cass. sez. 6^ 18 marzo 1998 n. 3396, Calisse ed altri, e da ultimo Cass. sez. 3^ c.c. 16 ottobre 2002 dep. 27 novembre 2002, Tetrarca R.G. 18746/2002) ritiene costituire la conformità della costruzione e della concessione alla normazione urbanistica elemento costitutivo o normativo dei reati contemplati dall'art. 20 l. n. 47 del 1985 in relazione all'interesse sostanziale protetto ed in conformità ad una nota decisione di queste sezioni unite (Cass. sez. un. 21 dicembre 1993 n. 11635, P.M. in proc. Borgia ed altri rv. 195359), i cui principi non sono circoscritti alla contravvenzione prevista alla lettera a) dell'art. 20 l. cit., ma valgono per ogni forma di reato urbanistico per il loro respiro generale.
Ed invero, le poche pronunce difformi, emesse negli ultimi cinque anni, o non danno neppure conto dell'orientamento contrario (Cass. sez. 3^ 7 marzo 1998 n. 2906, Bortoluzzi rv. 210406 citata in ricorso) oppure affermano alcuni assiomi, neppure più coltivati dai fautori più moderni della tesi dottrinale contraria all'esercizio di questo potere da parte del giudice penale risalente a circa trent'anni fa, (Cass. sez. 3^ 7 luglio 1998 n. 7927, Di Domenico ed altri, rv. 21154, relativa al controllo di legittimità sulla concessione in sanatoria rilasciata ai sensi degli artt. 13 e 22 l. n. 47 del 1985, ormai pacificamente ammesso), sicché si è in presenza o di contrasti inconsapevoli o di affermazioni assiomatiche e ripetitive senza vaglio critico.
Infatti, in presenza di una concessione edilizia illegittima non si tratta di disapplicare un atto amministrativo bensì di valutare la sussistenza di un elemento normativo della fattispecie penale, giacché, traendo spunto dall'interesse sostanziale protetto dalla legge n. 47 del 1985 e da alcune importantissime affermazioni di una nota pronuncia delle sezioni unite (Cass. sez. un. 21 dicembre 1993 n. 11635, P.M. in proc. Borgia rv. 195338), la prevalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 3^ 5 giugno 1998 n. 6671, Losito fra tante) ritiene essere interesse sostanziale quello della protezione del territorio e, quindi, costituire elemento normativo della fattispecie di cui all'art. 20 l. n. 47 del 1985 (ora 44 d. l.vo n. 380 del 2001 e s.m.) la legittimità dell'atto, fondandosi su una nota dottrina che individua la concessione edilizia illegittima fra gli elementi intrinseci della fattispecie e la classifica fra gli atti-presupposto.
Tralasciando un "excursus" giurisprudenziale,dottrinale e costituzionale (cfr. Cass. sez. 3^ 19 luglio 1994,Cremona cit.) dei differenti orientamenti formatisi prima e dopo la pronuncia delle sezioni unite del 1987,che ne hanno comportato una revisione critica (cfr. Cass. sez. 3^ 8 febbraio 1988, Ferrari, che ha iniziato con il ritenere sindacabile la concessione edilizia in presenza di un delitto contestato nei confronti del pubblico amministratore rilasciante, anche se dichiarato estinto per amnistia; Cass. sez. 3^ 9 gennaio 1989, Bisceglia in Riv. giur. ed. 1989, 1, 425; Cass. sez. 3^ 22 dicembre 1992, De Nuccio; Cass. sez. 3^ 22 febbraio 1993, Pozza ed altri; Cass. sez. 3^ 20 novembre 1993, Ruotalo; Cass. sez. 3^ 11 marzo 1994, Pernici), i nuclei fondamentali della decisione delle sezioni unite del 31 gennaio 1987, Giordano e, soprattutto, quelli della successiva sentenza del 21 dicembre 1993,P.M. in proc. Borgia ed altri, si rinvengono per la prima del 1987, che trascura di discutere la questione relativa all'interpretazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 all. E del 1865, oggetto di possibili differenti analisi esegetiche (cfr. Cass. sez. 3^ 9 gennaio 1989 cit.) e superata dall'impostazione della successiva decisione del 1993, nelle seguenti affermazioni:
a) "il provvedimento" illecito e non illegittimo può essere "frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato che lo consegue e,quindi,non (è) riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico";
b) "la equiparazione tra 'mancanza di concessione' e 'concessione illegittimamente rilasciata'....potrebbe ritenersi valida .... in quanto fosse possibile ritenere che la disposizione di cui al citato art. 17 lett. b) legge 28 gennaio 1977 n. 10 (ora art. 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001 sia funzionale alla tutela dell'interesse all'osservanza delle norme di diritto sostanziale che disciplinano l'attività edilizia", perché "nell'ambito dell'interpretazione ermeneutica della norma penale.. l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa stessa,come elemento essenziale della fattispecie criminosa";
c) l'individuazione dell'"interesse tutelato da tale norma (in)..quello pubblico di sottoporre l'attività edilizia al preventivo controllo della P.A...per cui il reato "de quo" sussiste anche se il privato.. abbia costruito o iniziato a costruire nel pieno rispetto delle norme sostanziali che disciplinano l'attività edilizia".
La prima di queste affermazioni consente di evidenziare come l'area della c.d. "collusione", non indicativa di uno specifico reato, perché insussistente nel codice penale comune,debba essere ampliata alle attività fraudolente del richiedente, non colpite per inerzia della P.A., e possa essere riferita genericamente alla sfera dell'illecito giuridico, che si pone in contrasto con il generale principio del "neminem ledere" e con quello di buonafede. Questa estensione appare condivisibile alla luce della disciplina delle c.d. "pregiudiziali civili ed amministrative" nel processo penale e della sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988 in tema di errore scusabile su legge penale, successive alla pronuncia delle sezioni unite,giacché il giudice può conoscere "incidentalmente" di questioni attinenti a dette controversie e l'elemento soggettivo finisce con il costituire l'effettiva verifica della macroscopicità della violazione alla normazione urbanistica e con il salvaguardare i vari valori costituzionali implicati, tutti di eguale forza,in aderenza a quella concezione del diritto penale, che attribuisce sempre maggior rilevanza alla colpevolezza ed alla buona fede,strumento indispensabile per bilanciare i vari interessi. La seconda asserzione involge un esame complessivo della n. 47 del 1985, non compiuto dalla decisione in parola, giacché il richiamo alla stessa è soltanto ai fini di un'attualizzazione del dato normativo. Detta valutazione approfondita è stata effettuata da parte della dottrina e dalla sentenza del 21 dicembre 1993 delle sezioni unite,attraverso un'analisi coordinata degli artt. 6, 11, 13 e 22 l. n. 47 del 1985, sicché si riferisce il risultato cui è
pervenuta,rinvenibile nell'emergere di un differente interesse protetto non più formale o strumentale,ma finale o sostanziale, relativo alla tutela dell'assetto del territorio in conformità alla normazione urbanistica e non al controllo dell'attività edilizia riservata in mano pubblica, che consente di ritenere l'art. 20 l. n. 47 del 1985 "funzionale alla tutela dell'interesse all'osservanza delle norme di diritto sostanziale che disciplinano l'attività edilizia", secondo quanto richiesto dalla sentenza delle sezioni unite del 31 gennaio 1987.
L'effettuata ricostruzione del dato normativo dimostra come siano superate la seconda e la terza argomentazione,basate sulla pregressa legislazione.
Individuato l'interesse tutelato dalla nuova normativa,che deve rinvenirsi in quello sostanziale alla protezione del territorio in conformità alla normazione urbanistica, la difformità dalla pianificazione e dalla normativa urbanistica costituisce il connotato essenziale di tutte le condotte sanzionate dall'art. 20 l. n. 47 del 1985, giacché appare del tutto incongruo una volta individuato l'interesse protetto sostenere che lo stesso trovi esclusiva attuazione solo nella lettera a).
Con riferimento all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985 (ora 163 d. l.vo n. 490 del 1999) la norma configura un reato di pericolo,meramente formale e c.d. di disubbidienza, voluto per una i protezione anticipata del paesaggio, ma applicabile anche in presenza di attività che comportano un'alterazione dello stato dei luoghi, sicché, per detta funzione di tutela anticipata del bene protetto, il precetto trova una sua giustificazione e razionalità, indipendentemente dalla considerazione che i anche un reato di pericolo presunto deve rispondere al principio di offensività e, quindi, non è configurabile ove non sussista un vulnus anche minimo al paesaggio.
Del resto con acute riflessioni un giovane studioso, in via definitiva, ha superato la sentenza "Giordano", poiché "ha legato l'esclusione dell'esistenza in capo al giudice penale di un generale potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi alla affermazione che tale potere sia limitato ai soli atti lesivi di diritti soggettivi; così sottraendo all'ambito applicativo del potere di disapplicazione l'insieme delle norme incriminatici nelle quali .. non si fa questione di tutela di diritti soggettivi", mentre l'art. 101 Cost. e l'art. 2 c.p.p. postulano un potere di sindacato a tutto campo del giudice penale.
Pertanto, si deve riconoscere la possibilità di sindacare la legittimità della concessione edilizia, di quella in sanatoria, del condono e di tutte le cause di giustificazione oppure di quelle speciali di estinzione dei reati, giacché, se il potere di disapplicazione deriva dall'art. 101 Cost., logicamente i termini concessione, autorizzazione, atto amministrativo in generale devono presupporre la conformità alla legge, in quanto sarebbe in contrasto con gli stessi principi costituzionali in materia penale considerare ammissibile un comportamento posto in essere in una condizione di illegittimità se non scriminato da una specifica norma. Tralasciata l'analisi di tutta la recente evoluzione normativa (dalla legge n. 662 del 1996 alla legge n. 443 del 2001 ed al d.P.R. n. 380 del 2001 e successive modificazioni) in materia urbanistica, perché propria a detto settore, si deve rilevare che non si discute più di disapplicazione di un atto amministrativo e dei relativi poteri del giudice penale, ma di potere accertativo di detto magistrato | dinanzi ad un provvedimento, che costituisce presupposto o elemento normativo di un reato, l'esame deve riguardare non l'esistenza ontologica dello stesso, ma l'integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale ... convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo" (Cass. sez. un. 21 dicembre 1993 cit.).
Orbene, nella fattispecie, proprio i vari interventi e provvedimenti della P.A. viziati dall'erroneo ritenuto adempimento delle prescrizioni impartite dalla C.B.A. ed il comportamento dei ricorrenti, consapevoli della sola parziale attuazione delle stesse, dimostrano l'assenza di qualsiasi buona fede, sicché la palese illegittimità dei provvedimenti, chiaramente evidenziata dall'impugnata sentenza con precisi e numerosi riferimenti alla situazione fattuale accertata ed alla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. 6^ 30 aprile 2002 n. 2308; Cons. Stato sez. 4^ 22 febbraio 2001 n. 938 e sez. 5^ 3 marzo 2001 n. 1231), dimostra la sussistenza del reato di cui all'art. 163 d. l.vo n. 490 del 1999 (precedentemente 1 sexies l. n. 431 del 1985), in quanto quello di cui all'art. 734 c.p. sarebbe in ogni caso configurabile in virtù dell'accertamento di merito effettuato in base alla richiamata decisione delle sezioni unite "P.M. in proc. Molinari". Dall'esame complessivo della sentenza impugnata si evince, quindi, come i giudici di merito ritengano insussistente anche l'incompletezza della prova o il dubbio sulla responsabilità e sulla colpevolezza dei ricorrenti, sicché non occorre approfondire l'ultima censura circa l'applicabilità dell'art. 530 secondo comma c.p.p. in presenza di una causa di estinzione dei reati, oggetto di contrastanti indirizzi in seno a questo giudice di legittimità. Infatti, la prevalente giurisprudenza, citata nella pronuncia impugnata (cui adde Cass. sez. 6^ 25 marzo 1999 n. 3945, P.G. in proc. Di Pinto ed altro rv. 213882; Cass. sez. 5^ 6 febbraio 1998 n. 1460, Fratucello rv. 209802 e Cass. sez. 6^ 19 aprile 1995 n. 4163, Cardillo rv. 201255) ritiene che in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p. solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento". Ed invero il concetto di "evidenza", richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato. Un recente indirizzo (Cass. sez. 5^ 8 aprile 2002 n. 13170 Scibelli rv. 221257), che riprende risalente orientamento (Cass. sez. 6^ 16 aprile 1991, Sciuto ed altri in Arch. nuova proc. pen. 1992, 268), afferma, invece, che non può farsi luogo alla declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione, qualora in sentenza si dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., atteso che, nel vigente sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato. Tale orientamento, però, ad avviso del collegio, non tiene presenti la possibilità di rinunciare alla causa estintiva (cfr. Corte Cost. n. 300 e 362 del 1991), il dettato dell'art. 129 c.p.p. e l'interesse ad una rapida definizione del processo, sicché appare in contrasto con questo principio ora costituzionalmente garantito (art. 111 Cost.) il richiedere un ulteriore approfondimento istruttorio in presenza di una causa estintiva, sicché l'unica eccezione ammissibile è quella relativa ad una precedente condanna in primo grado al risarcimento dei danni in favore della parte civile, poiché, in questo caso, deve effettuarsi un esame nel merito per confermare detta statuizione in presenza di una causa estintiva, onde il dettato del secondo comma dell'art. 530 c.p.p. prevale sull'art. 129 c.p.p. per un'espressa previsione normativa (art. 578 c.p.p.). Tuttavia, la problematica è stata affrontata solo per completezza, giacché ripetesi, l'impugnata sentenza non dimostra alcun dubbio sulla responsabilità e colpevolezza dei ricorrenti, ma richiama, in ogni caso, solo l'orientamento prevalente secondo il quale, anche nel caso di prova incompleta o contraddittoria, non può procedersi ad un'assoluzione nel merito ex art. 530 secondo comma c.p.p., poiché è necessaria l'evidenza della prova per assolvere nel merito, sicché riferisce le relative massime, ma da tutto il contesto motivazionale non emerge alcuna possibilità di applicare la norma richiamata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2004. Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2004