N. 9311/01 R.G. notizie di reato
N. 1884/04 Reg. Sent.
N. 117/04 R.G. Tribunale
TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE
______________________
SENTENZA
(artt. 544 e segg. c.p.p.)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice dott.ssa Laura Barresi, alla pubblica udienza del 10.11.04, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento a carico di:
LONGO Fabio nato a Trieste il 23.03.67, residente a Muggia (TS) via di Trieste n. 20/C, ivi con domicilio eletto.
Libero - presente
IMPUTATO
Del reato p. ep. dall’art. 340 c.p. perché, mediante ripetute e presuntuose richieste di accesso e di estrazione di copie, mediante formulazione di domande, istanze ed interrogazioni per avere delucidazioni e chiarimenti su provvedimenti adottati o adottare e su situazioni esistenti e nelle quali non aveva interesse o aveva interesse solo apparente - spesso con prospettazione di denuncia per violazione dell’art. 328 in caso di mancata risposta ai quesiti - con richieste dirette congiuntamente ai singoli assessori, al Sindaco, ai diversi uffici del Comune di Muggia per ottenere da ciascuno una risposta, cagionava un’interruzione o comunque turbava la regolarità del servizio di detto ufficio (a titolo semplificativo, in meno di dieci mesi nel 2001 aveva presentato al Comune di Muggia - territorialmente non esteso e conseguentemente dotato di poco personale circa 100 istanze).
In Muggia (Trieste) fino al 2002.
CONCLUSIONE DELLE PARTI:
Pubblico Ministero: assoluzione con formula piena.
Parte civile: costituita all’udienza del 01.03.04 nella persona del Sindaco di Muggia Lorenzo Gasperini, nato a Trieste il 18.11.57, con domicilio eletto a Muggia in Piazza Marconi n. 1; rappresentato e difeso dall’avv. T. Benussi, come da conclusioni lette e depositate all’udienza del 10.11.04 con nota spese allegata.
Difesa: avv. Mocnik: assoluzione sia sotto il profilo del dolo che del danno amministrativo perché il fatto non sussiste; avv. Stern: assoluzione per insussistenza degli elementi anche soggettivi e assoluzione con la formula più ampia.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Tratto a giudizio per rispondere del reato a lui ascritto, Longo Fabio si presentava in dibattimento. Era presente quale parte civile anche il Comune di Muggia nella persona del Sindaco pro tempore.
Alla prima udienza utile, il Giudice disponeva la restituzione dei documenti presenti di fatto nel fascicolo del dibattimento, in ossequio al disposto di cui agli art. 431 e 491 c.p.p.
Il P.M. modificava l’imputazione contestando il fatto fino all’anno 2002 e, su richiesta della difesa, veniva concesso il termine con rinvio al 14.4.04.
In quella data, aperto il dibattimento, si dava ingresso alle prove testimoniali e documentali offerte dalle parti.
Venivano prodotte una serie di missive a firma del Longo, del carteggio tra il Comune di Muggia ed altri enti, l’estratto del registro Protocollo generale del Comune di Muggia, copia dell’art. 43 dello Statuto comunale, missive di soggetti diversi indirizzate al Longo e non, copie estratto del PEEP, oltre a memorie dell’imputato.
In quella sede, veniva sentito il Sindaco pro tempore del Comune di Muggia, il responsabile del Servizio Urbanistica, Furlan Ave ed inoltre Germani Maura e Gaburro Luciana dipendenti del Comune.
L’imputato rendeva spontanee dichiarazioni, a confutazione di parte del contenuto delle affermazioni dei testimoni.
In data 12.5.04, veniva sentito il teste Lomuscio responsabile dei Lavori Pubblici del Comune di Muggia, Cappiello Adriana, responsabile del servizio tecnico ed Ambiente, il maresciallo Tull dei Vigili del Comune, Tomasi Carlo addetto all’Ufficio della gestione dei Cimiteri e Carbone Antonio, attualmente ed a far data dal 2002, responsabile del servizio amministrativo, mentre dal 2000, dell’Ufficio Affari Economici e Commerciali sempre del Comune di Muggia. Anche in questa sede, l’imputato rendeva spontanee dichiarazioni.
All’udienza del 24.6.04, si concludeva l’esame dei testi del P.M. e della parte civile.
Il Giudice riteneva superflua ogni ulteriore attività istruttoria e revocava il provvedimento di ammissione degli ulteriori testi della difesa, nonché l’esame dell’imputato richiesta dalla p.c. e dalla difesa.
La motivazione della revoca si basava sulla considerazione che il quadro accusatorio dovevasi ritenere integrato dalle prove offerte dal P.M. e dalla p.c., posto che la difesa introduceva necessariamente delle prove a discarico. Analogamente, l’esame dell’imputato è prova nella quale il prevenuto, come peraltro già dimostrato in sede di dichiarazioni spontanee, ha tutto l’interesse a difendersi. Egli ha palesato in sede di dichiarazioni spontanee, di contestare l’impianto accusatorio e pertanto dalla sua audizione in sede di esame, non sarebbero emersi elementi diversi e maggiori rispetto a quelli fin qui raccolti. Essi inducono il Giudice a pronunciare una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto.
E’ da premettere che l’audizione dei testi, unitamente alla lettura dei documenti dimessi agli atti, aveva ad oggetto le attività della amministrazione comunale di Muggia, via via riguardanti questioni diverse e maturatesi negli anni.
E’ ancora da dire, per inquadrare la questione, che nel novembre 2003 il Comune deliberava di modificare l’art. 43 dello Statuto comunale che, nella versione precedente, prevedeva la possibilità dei cittadini di inviare interrogazioni al Sindaco su questioni relative all’attività amministrativa con correlativo obbligo di risposta entro 30 giorni. Quella attuale prevede che la risposta dell’ente venga data previa verifica dell’interesse per la collettività e con il contemperamento delle esigenze relative al buon andamento della pubblica amministrazione.
Agli atti, abbiamo una serie di missive a firma del Longo, che affrontano tutta una serie di tematiche relative all’attività del Comune di Muggia realizzata in oltre un decennio.
Osserva il Giudice che non sarà necessario ripercorrere analiticamente tutte le questioni sulle quali il Longo ha indirizzato la sua attenzione, in quanto non interessa, ai fini del decidere, il merito delle vicende su cui ha interloquito. Non interessa rievocare singolarmente tutti i procedimenti amministrativi e non, sui quali il Longo ha richiesto al Comune di fornire chiarimenti o altro. Ciò perché lo svilupparsi dell’iter del procedimento singolo e le sue peculiarità nonché le concrete fasi di attuazione, sono estranee alla ricostruzione del fatto reato. Vedremo, infatti che la decisione prescinde, né potrebbe essere altrimenti, dalle vicende relative alle questioni portate all’attenzione dal Longo, anche se non prescinde dalla natura dell’intervento e dalla posizione soggettiva fatta valere in merito ai singoli procedimenti dal prevenuto.
Solo a titolo esemplificativo, potremmo osservare che il Longo aveva avanzato richiesta di acquisto di un fondo all’interno del cimitero di Muggia con richiesta di informazioni sul rilascio di concessioni a terzi, aveva segnalato l’inedificabilità dell’area concessa alla Cooperativa 80 per presunti problemi idrogeologici, aveva indicato presunte irregolarità nelle opere eseguite dalla predetta Cooperativa nella realizzazione di alloggi, aveva segnalato la presenza di problemi geologici delle aree PEEP, aveva segnalato la contrarietà al rilascio della concessione edilizia relativa al deposito GPL, errori in perimetrazioni delle aree chiedendone reiteratamente la correzione, la presenza di massi sulla scarpata della P.C. 519/20 della Cooperativa 80, aveva indicato errori nella intavolazione di alcune PP.TT., aveva richiesto la revoca del contributo regionale concesso al Comune di Muggia per l’acquisto del Teatro Verdi, aveva segnalato le problematiche in ordine alla costruzione del parcheggio nell’area ex Caliterna, abusi edilizi nella realizzazione di Porto san Rocco, nonché problematiche relative alla sanatoria presentata dalla società Acquario. Aveva segnalato, ancora, errori nella procedura di acquisto di alcune particelle ed un rigetto del Giudice Tavolare relativo ad una domanda di intavolazione su bene per il quale è stata poi rilasciata concessione edilizia, aveva indicato la presenza di errori contenuti nelle schede allegate alla votazione per l’approvazione del Piano regolatore etc.
Il Longo aveva reiterato le sue richieste e segnalazioni, non limitandosi ad un’unica missiva e spesso aveva aggiunto che in caso di risposta non esauriente o mancante, la condotta tenuta avrebbe potuto integrare gli estremi di reato. In alcuni casi, le missive erano mere riproposizioni di segnalazioni già avanzate in passato, tant’è che il numero di missive allegato agli atti è indubbiamente considerevole.
Ciò posto, osserva il Tribunale di non poter condividere l’assunto del P.M. laddove ritiene assolutamente impossibile la realizzazione del reato de quo, attraverso la presentazione di istanze reiterate ed immotivate. Sostiene il P.M. che, nel caso in specie, trattasi di un esercizio di un diritto che, come tale, non può mai trasformarsi nella commissione di un reato a prescindere dalle modalità con le quali viene realizzato.
Ritiene di andare di contrario avviso lo scrivente. Si ricorda, a conforto, l’orientamento espresso dalla S.C. nella nota sentenza 13451/00.
In quella sede, censurando la mancata valutazione da parte del Giudice di merito della sussistenza o meno in capo al ricorrente dell’interesse all’accesso, si valutava la fattispecie concreta portata alla attenzione del giudice di merito: trattavasi di soggetto, rappresentante sindacale, che aveva presentato, anche due volte la settimana, richieste di visione e copia di più disparati atti amministrativi.
La Corte, nell’affermare la mancata valutazione dell’interesse, precisava, tuttavia, la possibilità che la condotta incriminata integrasse il reato di cui all’art. 340 c.p., sia in relazione all’alterazione del servizio derivante da una discontinuità parziale delle singole attività, sia in considerazione, ed è ciò che qui interessa, del fatto che la norma era posta a presidio del buon andamento della P.A. mentre in caso contrario, avrebbe avuto una “solo parziale protezione e non una garanzia di capillare osservanza (cfr: Cass, Sez. VI 28.10.94, Maione)”.
In tale senso, la richiesta era destinata ad essere soddisfatta solo nei confronti di chi vi avesse interesse. Con la conseguenza, potremmo aggiungere, che a fronte di una reiterata richiesta di visione di atti amministrativi da parte di soggetto non legittimato e riconosciuto espressamente tale, richiesta che poteva portare una alterazione del servizio, il reato dovevasi ritenere integrato.
L’esempio avanzato dal P.M. , a conforto della sua tesi ossia dell’accesso dell’utente al servizio di trasporto pubblico a mezzo rotaia indiscriminato e senza motivazione effettiva, non appare calzante. Afferma il P.M. che il caso oggi a giudizio non potrebbe essere dissimile dal caso di chi usufruisca del mezzo pubblico di trasporto senza averne effettivo bisogno o interesse. In ogni caso, afferma il P.M., non potremmo censurare il comportamento contestando l’ipotesi di cui all’art. 340 c.p., in quanto tale soggetto esercita un suo diritto. Tuttavia sussiste una difformità tra l’esempio riferito dal P.M. ed il caso di cui oggi questo Tribunale si occupa: infatti l’utente del servizio pubblico è chiamato, per accedere allo stesso, unicamente a pagare il costo del servizio reso. Nel caso de quo oltre all’eventuale rimborso del costo di produzione ed eventuali spese di bollo (articolo 25 l. 241/90), si richiede, la presenza dell’interesse, ossia un quid pluris rispetto ai requisiti richiesti per l’accesso al servizio pubblico di trasporto.
Ma tornano al caso in specie, si osserva che di tutta la miriade di missive inviate dal Longo, può effettuarsi una distinzione tra atti che fanno una mera segnalazione di situazioni ritenute dal dicharante “anomale” ed atti che avanzano una vera e propria istanza da parte di chi afferma di averne diritto, ossia fanno valere una posizione giuridica soggettiva. La richiesta di Longo di ottenere una concessione cimiteriale rappresenta l’istanza capace di dare impulso al procedimento amministrativo. In tale caso, come in altri casi in cui il richiedente fa valere una posizione giuridica soggettiva, deve darsi avvio al procedimento amministrativo per la verifica delle condizioni legittimanti il rilascio della concessione o della autorizzazione.
In tutti gli altri, trattasi di mere segnalazioni non ricollegate all’affermazione della posizione giuridica soggettiva, all’esercizio di diritti previo rilascio di autorizzazione o concessione di facoltà.
In tali casi, la segnalazione poteva avvenire ad opera di quivis de populo, in quanto atteneva alla realizzazione di interessi generali o diffusi, privi di una tutela soggettivamente riconosciuta in capo al singolo.
Sono indicazioni relative alla verifica generica del buon andamento dell’amministrazione della cosa pubblica, il cui contenuto non cambia unicamente per il fatto che il soggetto minacci di rivolgersi, in caso di non evasione della segnalazione, all’Autorità giudiziaria.
Tali segnalazioni non impongono l’avvio di un procedimento amministrativo sol perché vengono avanzate, ma rappresentano la facoltà del singolo di interloquire con la P.A., senza che per ciò solo nascano obblighi di specifica attivazione per la controparte.
E di questo la pubblica amministrazione pare chiaramente consapevole. Infatti, nel corso della sua deposizione e anche su specifica domanda del Giudice l’architetto Furlan responsabile dell’ambiente ed urbanistica a cui, pertanto, venivano indirizzate o girate molte delle missive del Longo per competenza, dopo aver ricordato le varie segnalazioni e le conseguenti iniziative del Comune, dichiara che a prescindere dalla presenza o meno di un interesse del Longo e quindi della necessità di rendere allo stesso risposta, si è effettuata una verifica su tutte le segnalazioni (pag. 71 trascrizione udienza 14.4.04).
Ancora la teste riferisce che le segnalazioni venivano comunque controllate in quanto potevano avere fondamento (“.. si poteva comunque sbagliare...” Furlan pag. 102 trascriz. cit.), anche se poi vi era il timore di ritorsioni del Longo con iniziative presso l’autorità giudiziaria.
Ma come detto, la minaccia di ricorrere all’autorità giudiziaria, non comporta che per ciò solo si debba iniziare un procedimento amministrativo su indicazioni del cittadino, mentre la verifica della fondatezza o meno della segnalazione sul presupposto che la stessa potesse essere effettivamente fondata, appare una iniziativa dell’amministrazione comunale non collegata ad alcun obbligo nascente dalla missiva Longo. Ossia, verificato icto oculi l’assenza di interesse, per la presenza di questioni generali non ricollegabili a posizioni giuridiche soggettive del Longo (per mero esempio la richiesta di revoca di contributi a soggetti terzi), l’iniziativa di dar corso ad una verifica, che abbia impegnato le forze municipali, anche se non la successiva comunicazione degli esiti al Longo, era ricollegabile unicamente alla volontà del Comune, come anche espressa nella formulazione originaria dell’articolo dello Statuto non necessariamente in linea con la normativa a livello legislativo statale (tant’è che, sia pure con un certo ritardo, l’articolo è stato modificato). Era una autonoma scelta del Comune quella di dar corso alle verifiche sulle segnalazioni del Longo, (ovvero di qualsiasi richiedente), peraltro in alcuni casi fondate, e pertanto non può riportarsi all’attività dello stesso un eventuale disservizio cagionato dall’impiego di risorse umane nella predetta verifica, dai ritardi ricollegati all’iter amministrativo, ovvero dalla necessità di sanare posizioni errate comunque rilevate.
In altri casi, le missive erano semplici reiterazioni di altre di natura analoga, già presentate, ovvero di richieste di chiarimenti da parte di diversi organi territoriali (es. Regione) a cui il Longo aveva segnalato delle presunte irregolarità del Comune di Muggia: anche in tal caso, le richieste degli organi competenti sorte su sollecitazione del Longo avrebbero potuto rapidamente essere evase sulla base della corretta regolarità dell’operato della P.A., regolarità che deve accompagnarne l’operato a prescindere dal controllo effettuato da organi deputati e soggetti non legittimati.
Correttamente ha argomentato la difesa dell’imputato laddove distinguendo tra istanze e segnalazioni, ha ricordato che queste ultime sono una manifestazione del diritto ad interloquire con la P.A. in merito alla sfera pubblica e non, non direttamente riferibile al segnalante. Dalla presentazione dell’istanza, invece, nascono obblighi per l P.A. (comunicare il responsabile dell’istruttoria, attivazione dell’istruttoria ed emanazione, in un certo termine, del provvedimento) cosa che non avviene per la mera segnalazione.
Parimenti viene regolato anche il diritto di accesso, semplice o rinforzato, che tuttavia non riguarda il mero segnalante.
Peraltro, da una verifica di tutte le missive acquisite agli atti è facile verificare che trattasi per la quasi totalità di mere segnalazioni, fatta salva sporadica istanza e richiesta di accesso.
Quanto allora a queste ultime, ed in particolar modo alle istanze, da cui potrebbero nascere gli obblighi di attivazione per la P.A., esse si riducono ad un numero talmente esiguo da escludere che possano aver cagionato disservizi al Comune (richiesta di Concessione cimiteriale).
Con specifico riferimento al diritto di accesso, anche in tal caso devasi preliminarmente valutare l’interesse del richiedente, con facoltà per il Comune di negare l’accesso a soggetto non legittimato.
Sul punto è interessante leggere le dichiarazioni della teste Germani segretaria amministrativa: la stessa ha riferito che era il Segretario Generale ad autorizzare l’accesso ai documenti. Quindi un primo sbarramento per l’accesso al soggetto sarebbe dovuto giungere dalla verifica della sua legittimazione.
Ancora, in tal senso è la testimonianza della teste Gaburro responsabile della segreteria. Essa afferma che a fronte delle richieste del Longo (così genericamente indicate senza distinzione tra vere e proprie istanze o segnalazioni) si doveva comunque rispondere perché “... il dottor Reggio ci teneva che comunque, anche se molto spesso so che il dottor Reggio rispondeva che non era magari interesse giuridicamente rilevante, però voleva che noi andassimo a vedere gli atti, verificassimo; prendevamo le copie, controllavamo, comunque una perdita di tempo...Gaburro”.
Allora a ben vedere è lo stesso Comune che, a fronte di richiesta che sa per la maggior parte di non dovere evadere (rectius sa di non dover iniziare un procedimento verifica della fondatezza o meno di quanto rappresentato dal Longo), comunque si attiva ricercando atti, facendo accertamenti e realizzando quella che la teste definisce la “perdita di tempo”.
Se quindi qualche disagio vi è stato sia per il personale obbligato ad un surplus di lavoro, sia per gli altri utenti (non pare integrata nella fattispecie invece un vero e proprio disservizio), ciò è dipeso da una scelta autonoma del Comune e non certo dal Longo.
Questi, dal canto suo, pur essendo assiduamente presente in Comune e rappresentando la sua urgenza di ottenere risposte, a fronte della incapacità di evadere le sue richieste “non creava alcuna difficoltà” (Germani pag. 161 trascrizione udienza 14.4.04).
Oltre a ciò è da dire che indiscriminatamente autorizzato ad accedere agli atti, veniva inoltre, aiutato a ricomporre le varie parti dei documenti fotocopiati, in virtù unicamente dalla gentilezza, cordialità e professionalità del personale addetto ai rapporti con il pubblico (“Giudice: poi, l’effettivo assemblaggio chi lo faceva? Germani: eh, lo mettevamo noi. Perché in ufficio, magari con lo scotch. Giudice: Per gentilezza? Germani: si, diciamo si. Prodotto finito, ecco:”) Quindi colui che erroneamente veniva ritenuto responsabile dell’impiego di risorse del Comune (perché come detto, in realtà l’iniziativa dipendeva da scelta indipendente ed il più delle volte non dovuta del Comune), in realtà veniva assistito dal personale del Comune anche in attività che andavano ben oltre il rilascio di copia di atti (attività di ricostruzione ed incollatura di parti di atti)!
Ritiene, allora, il Giudice che nel caso in specie il Longo ha certamente riversato una serie di segnalazioni al Comune dalle quali non nasceva, se non sporadicamente, alcun obbligo e che, pertanto, la difficoltà della quale il personale ha dato atto dipendeva dalla scelta effettuata di dar corso alle verifiche, nel timore di un errore o di una denuncia all’autorità giudiziaria.
Ma come detto il semplice rappresentare la possibilità di ricorrere all’Autorità giudiziaria non comporta l’obbligo della P.A. di attivarsi, mentre a fronte della consapevolezza da parte degli organi comunali di una generalizzata attività dell’ente comunque improntata al rispetto del principio del buon andamento della amministrazione, nessun dubbio di sorta sarebbe dovuto sorgere.
P.Q.M.
Il Tribunale di Trieste, visti gli artt. 530 c.p.p.
ASSOLVE
l’imputato dal reato ascritto perché il fatto non sussiste.
Motivazione riservata ex art. 544 co III c.p.p. nel termine di gg. 80
Così deciso in Trieste il 10.11.04.
Il Giudice
Dott. Laura Barresi
ESPOSTI, DIRITTO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE E
GIUSTIZIA PENALE
La sentenza del Tribunale penale di Trieste n. 1884/04 del 20 dicembre 2004 merita di essere segnalata perché costituisce una delle poche pronunce giurisprudenziali in campo penalistico riguardo i delicati rapporti tra diritto all’informazione ambientale, facoltà del cittadino di segnalazione di fatti alla pubblica amministrazione e relativa valutazione del giudice penale sulla rispondenza a criteri di legalità.
La fattispecie concreta riguarda il procedimento penale n. 9311/01 R.G. notizie di reato intentato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste nei confronti di F. L., attivista ecologista degli Amici della Terra “colpevole”, a detta della querelante Amministrazione comunale di Muggia (TS), di aver ritardato l’ordinaria attività amministrativa avendo presentato numerose istanze (circa un centinaio) alle varie articolazioni politiche ed amministrative del Comune giuliano su varie tematiche ambientali ed amministrative nel corso dell’anno 2001. L’esponente ecologista veniva rinviato a giudizio con l’imputazione di “interruzione di pubblico servizio” (art. 340 cod. pen.) e, in sede dibattimentale, l’Amministrazione comunale di Muggia presentava anche richiesta di costituzione di parte civile (accolta). Il giudice penale triestino ha assolto F. L. perché il fatto non sussiste, accogliendo le conclusioni della difesa e della stessa pubblica accusa. E’ stato, infatti, acclarato in sede dibattimentale sia dall’esame degli atti che dalle testimonianze rese che la gran parte delle istanze presentate riguardavano “segnalazioni” (spesso reiterate) di fatti e situazioni potenzialmente pregiudizievoli per l’ambiente e per la corretta attività amministrativa, facoltà riconosciuta dal medesimo art. 43 dello statuto comunale (modificato solo nel corso del 2003) che, addirittura, prevedeva la possibilità per i cittadini residenti nel Comune giuliano di presentare “interrogazioni” al Sindaco su questioni relative all’attività amministrativa con correlativo obbligo di risposta entro i successivi trenta giorni. In un numero minore di casi si trattava di richieste di informazioni a carattere ambientale. Il giudice triestino, tuttavia, non ha accolto la prospettazione del pubblico ministero laddove riteneva “assolutamente impossibile la realizzazione del reato de quo attraverso la presentazione di istanze reiterate ed immotivate” trattandosi, comunque, di “esercizio di un diritto che, come tale, non può mai trasformarsi nella commissione di un reato a prescindere dalle modalità con le quali viene realizzato”. Ha ritenuto, invece, necessaria la valutazione della sussistenza o meno in capo al soggetto istante dell’interesse all’accesso agli atti, così come osservato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 13541 del 2000. Infatti, la disposizione di cui all’art. 340 cod. pen. risulta comunque posta “a presidio del buon andamento della pubblica amministrazione” (vds. Cass. pen., sez. VI, 28 ottobre 1994, ric. Maione): in questo senso la richiesta di accesso agli atti sarebbe da soddisfare soltanto nei confronti di chi vi abbia interesse. Ma nel caso specifico si rinveniva, in realtà, una serie predominante di mere “segnalazioni”, non tanto di richieste di accesso agli atti, esistenti, sebbene minoritarie: si trattava, secondo il giudice triestino, di segnalazioni “relative alla verifica generica del buon andamento dell’amministrazione della cosa pubblica, il cui contenuto non cambia unicamente per il fatto che il soggetto minacci di rivolgersi, in caso di non evasione della segnalazione, all’Autorità giudiziaria”. Tali “segnalazioni” non implicano un dovere di avviare uno specifico procedimento amministrativo “e di questo la pubblica amministrazione pare chiaramente consapevole”. Se, quindi, un qualche disagio poteva essersi verificato nell’ordinaria attività amministrativa a causa di un surplus lavorativo, esso era dovuto a scelta autonoma del personale dell’Amministrazione comunale. Non certo determinato dall’attività del soggetto istante.
In proposito alcune osservazioni possono essere comunque svolte. In primo luogo è bene evidenziare che tali iniziative ecologiste hanno, tra l'altro, portato all'accertamento di diverse situazioni di degrado ambientale e di grave inquinamento, fra cui la discarica abusiva di rifiuti pericolosi (piombo, mercurio, idrocarburi, provenienti dalla Marina di Porto S. Rocco per complessivamente circa 160.000 metri cubi su 28.800 metri quadrati) nella località costiera Punta Ronco - Punta Sottile e nel tratto di mare prospiciente realizzata da parte della Soc. Acquario s.r.l., secondo le indagini dei Carabinieri del N.T.A. Tali rinvenimenti hanno portato gli Organi comunitari (DG Ambiente e DG Politiche regionali) a sospendere i relativi co-finanziamenti previsti nell'ambito dei programmi dell'Obiettivo 2, mentre la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste otteneva l’apposizione di sequestro penale (procedimento n. 498/2003 R.G.). Il Comune di Muggia nei confronti delle suddette azioni illecite di degrado ambientale, si distingueva, invece, per non assumere fino al 2003 alcuna iniziativa tecnico-amministrativa di rilievo nel campo della bonifica ambientale, nonostante fossero passati circa 4 anni dalla realizzazione della discarica abusiva ed inquinata. In merito venivano presentate anche interrogazioni presso il Parlamento europeo da parte dell’on. Monica Frassoni e presso la Camera dei Deputati da parte dell’on. Luana Zanella.
In secondo luogo, sul piano più strettamente giuridico, non può che osservarsi che il diritto all’informazione in materia ambientale costituisce “norma speciale” rispetto all’ordinario diritto all’accesso agli atti, per normativa comunitaria (direttive n. 90/313/CEE e n. 2003/4/CE) e nazionale (art. 14, comma 3°, della legge n. 349/1986 e decreto legislativo n. 39/1997), secondo giurisprudenza amministrativa costante (vds. Ad esempio Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2003, n. 816; T.A.R. Sicilia, PA, sez. I, 12 marzo 2003, n. 348; T.A.R. Veneto, sez. III, 28 ottobre 2002, n. 6118; T.A.R. Toscana, sez. III, 19 dicembre 2000, n. 2731; T.A.R. Lombardia, BS, 30 aprile 1999, n. 397; T.A.R. Emilia – Romagna, BO, sez. II, 20 febbraio 1992, n. 78; T.A.R. Sicilia, CT, sez. II, 9 aprile 1991, n.118), comportando, quindi, la non necessità di dimostrare un interesse specifico all’acquisizione delle informazioni richieste (art. 3 del decreto legislativo n. 39/1997), purchè pertinenti alla materia “ambiente”. Inoltre, si deve ricordare che “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento” (art. 9 della legge n. 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni) ed ancora, “i soggetti … intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento … b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento” (art. 10 della legge n. 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni). Nel caso in cui il soggetto istante abbia effettuato la sua attività di segnalazione per conto dell’Associazione ecologista di appartenenza (gli Amici della Terra, associazione di protezione ambientale riconosciuta ex art. 18 della legge n. 349/1986) non poteva che svolgere attività lecita in quanto tutelata dall’ordinamento. Non solo: è, inoltre, obbligo dell’autorità amministrativa procedente valutare motivatamente (artt. 3 e 10 della legge n. 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni) gli atti ed i fatti “introdotti” nel procedimento amministrativo qualora siano pertinenti (vds. Cons. Stato, ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24; Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 223; Cons. Stato, sez. VI, 27 ottobre 1982, n. 407; T.A.R. BA, sez. I, 19 aprile 2000, n. 1637; T.A.R. Lazio, RM, sez. I, 21 marzo 1997, n. 471; T.A.R. Umbria, 19 agosto 1996, n. 304). Appare quindi di sensibile interesse segnalare in materia l’opinabilità delle iniziative del dal P.M. che richiedeva il rinvio a giudizio senza aver fatto proprie argomentazioni giuridiche che depongono verso un’evidente liceità, se non meritorietà, dell’attività di segnalazione e di acquisizione delle informazioni a carattere ambientale proprie dell¹associazionismo ecologista e dei numerosi aderenti. Argomentazioni, recepite invece dal giudice penale, che comunque dovrebbero ormai essere di patrimonio comune in una società che si definisce civile
Dott. Stefano Deliperi
ESPOSTI, DIRITTO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE E GIUSTIZIA PENALE
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