La Rete Natura 2000 in Sardegna.
del Dott. Stefano DELIPERI
Natura 2000 è il nome che il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente (una "rete") di aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione stessa ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della direttiva n. 92/43/CEE, la Direttiva "Habitat", e delle specie di cui all'allegato I della direttiva n. 79/409/CEE, la Direttiva "Uccelli" e delle altre specie migratrici che tornano regolarmente in Italia.
La Rete Natura 2000, ai sensi della Direttiva "Habitat" (art. 3), è costituita dalle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS). Attualmente la "rete" è composta da due tipi di aree: le Zone di Protezione Speciale, previste dalla Direttiva "Uccelli", e i Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC); tali zone possono avere tra loro diverse relazioni spaziali, dalla totale sovrapposizione alla completa separazione.
L'individuazione dei siti da proporre è stata realizzata in Italia dalle singole Regioni e Province autonome in un processo coordinato a livello centrale. Essa ha rappresentato l'occasione per strutturare una rete di referenti scientifici di supporto alle Amministrazioni regionali, in collaborazione con le associazioni scientifiche italiane di eccellenza (l'Unione Zoologica Italiana, la Società Botanica Italiana, la Società Italiana di Ecologia).
Le attività svolte, finalizzate al miglioramento delle conoscenze naturalistiche sul territorio nazionale, vanno dalla realizzazione delle check-list delle specie alla descrizione della trama vegetazionale del territorio, dalla realizzazione di banche dati sulla distribuzione delle specie all'avvio di progetti di monitoraggio sul patrimonio naturalistico, alla realizzazione di pubblicazioni e contributi scientifici e divulgativi.

I Siti di importanza comunitaria (S.I.C.).

La normativa comunitaria concernente la salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche rappresenta sicuramente un punto fondamentale della politica ambientale europea: con la relativa direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, integrata dalla direttiva 97/62/CE del Consiglio del 27 ottobre 1997, recante adeguamento al progresso tecnico e scientifico della direttiva 92/43/CEE, l’Unione Europea ha inteso realizzare la creazione della rete europea “NATURA 2000” per la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi caratteristici del territorio comunitario. Lo scopo della direttiva "Habitat" 92/43/CEE è quello di contribuire a salvaguardare, tenuto conto delle esigenze economiche , sociali e culturali locali, la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio comunitario. I singoli Stati membri, a loro volta, devono provvedere ad individuare ed a proteggere immediatamente le aree nazionali che rispondano ai parametri comunitari della direttiva: l’Italia ha, quindi, avviato la costituzione della sua rete BIOITALY comprendente le zone di protezione speciale, Z.P.S. (ai sensi della direttiva n. 79/409/CEE sulla salvaguardia dell’avifauna selvatica, oggi esecutiva con la legge 11 febbraio 1992, n. 157) e le zone speciali di conservazione, Z.S.C. (ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, esecutiva con D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357), talvolta sovrapponibili e definibili quali siti di importanza comunitaria, S.I.C., al fine dell'inclusione nella rete europea.

Per habitat di interesse comunitario (elencati nell'allegato I della predetta direttiva) si intendono quegli habitat che rischiano di scomparire dalla loro area di ripartizione, quelli che hanno un'area di ripartizione ristretta a causa della loro regressione o che hanno l'area di ripartizione ridotta. Sono di interesse comunitario anche gli habitat che costituiscono esempi notevoli delle caratteristiche tipiche di una o più delle cinque zone biogeografiche interessate dalla direttiva tra cui si citano l’alpina, l’atlantica, la continentale e la mediterranea. All'interno di questo elenco sono individuati con un asterisco gli habitat prioritari per la cui conservazione l'Unione Europea ha una responsabilità particolare per la grande importanza che essi rivestono nell'area in cui sono presenti. Le specie di interesse comunitario (elencate nell'allegato II, IV e V della direttiva) vengono suddivise in base alla loro consistenza numerica o livello di minaccia di estinzione, e quindi la suddivisione risulta così articolata: specie in pericolo, vulnerabili, rare ed endemiche. Le specie prioritarie, individuate nell'allegato II con un asterisco, sono le specie in pericolo per la cui conservazione l'Unione Europea ha una particolare responsabilità.

I siti di importanza comunitaria vengono individuati secondo i criteri di selezione indicati nell'allegato III della direttiva. Nel mese di giugno 1995 gli Stati membri hanno trasmesso all'Unione Europea un primo elenco di questi siti. Per ogni sito lo Stato membro deve fornire, sulla base di schede predisposte dalla Commissione europea (formulario standard Natura 2000), alcune essenziali informazioni, quali la mappa del sito, la denominazione, l'ubicazione, l'estensione, le informazioni ecologiche sulla base dei criteri specificati nella stessa direttiva.
Entro sei anni dall'entrata in vigore della direttiva "Habitat", dunque il 1998, la Commissione Europea avrebbe dovuto elaborare, sulla base del precedente elenco e d'accordo con ciascuno degli Stati membri, un elenco definitivo dei siti di importanza comunitaria. Tuttavia la fase di individuazione ha reso necessario un periodo di tempo ben più lungo. Nel caso che la Commissione europea, in base ad informazioni scientifiche pertinenti e attendibili accerti che un sito in cui si riscontrano habitat o specie di cui agli allegati della direttiva, non compreso nell'elenco trasmesso, sia indispensabile per il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente di quegli habitat o quelle specie, si avvia una procedura bilaterale tra lo Stato membro e la Commissione europea. Se entro sei mesi dall'inizio della concertazione la controversia non risulta risolta, la Commissione europea procede ad una proposta (unilaterale) per indicare l'area come sito di importanza comunitaria. Una volta che un sito di importanza comunitaria viene definitivamente inserito nell'elenco lo Stato membro designa tale area come zona speciale di conservazione (Z.S.C.), il più rapidamente possibile e comunque entro il termine massimo di sei anni, stabilendo le priorità in funzione dell'importanza dei siti per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie in essi rilevati nonché alla luce dei rischi di degrado o di distruzione che incombono su detti siti.

Attuazione della direttiva habitat in Italia e, specificamente, in Sardegna.

L’Italia ha dato attuazione alla predetta direttiva comunitaria con il D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 e successive modifiche ed integrazioni (con D.M. 20 gennaio 1999 sono stati modificati gli allegati A e B, mentre con il D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120 sono state introdotte modificazioni ed integrazioni per superare le censure indicate dalla sentenza Corte di Giustizia U. E., 20 marzo 2003, causa 143/02), che, fra l’altro, prevede l’individuazione di specifiche misure di gestione per ogni sito di importanza comunitario (S.I.C.) individuato con la finalità del mantenimento dei relativi valori naturalistici ed una valutazione di incidenza ambientale, ad opera dell’autorità ambientale regionale (generalmente gli Assessorati della difesa dell’ambiente, come nel caso sardo), per qualsiasi intervento da effettuarsi in area S.I.C. La gestione dei S.I.C. è attribuita alla competenza delle Regioni e della Province autonome. Il D.P.R. n. 357/1997 è stato ritenuto costituzionalmente legittimo (sent. Corte cost. n. 425/1999).

Per l’attività di individuazione e di proposta delle aree S.I.C. alla Commissione europea lo Stato ha coinvolto pienamente le singole Regioni e le Province autonome che, sostanzialmente, hanno svolto concretamente le indagini conoscitive e la perimetrazione dei siti, grazie soprattutto alla collaborazione scientifica della Società Botanica Italiana (S.B.I.), dell’Unione Zoologica Italiana (U.Z.I.) e della Società Italiana di Ecologia (S.It.E.): la Regione autonoma della Sardegna aveva in precedenza stipulato in merito con la Commissione europea – Direzione generale XI lo specifico contratto B4-3200/95/870 del 29 dicembre 1995 per l’individuazione e la tutela delle aree sensibili e si è avvalsa anche collaborazione tecnico-scientifica delle Università degli Studi di Cagliari (botanica) e di Sassari (zoologia). L’Assessorato regionale della difesa dell’ambiente ha in corso di realizzazione un modello per il monitoraggio dei siti sensibili che prevede l’utilizzo di un G.I.S. appositamente dedicato. I proposti siti di interesse comunitario (pSIC) individuati nel territorio regionale della Sardegna sono attualmente 92 (in un primo tempo erano 114) Z.S.C. + 9 Z.P.S. (427.093 ettari di estensione complessiva, il 17,7 % del territorio regionale) nell’ambito di 199 Comuni interessati: l’individuazione sul piano tecnico-scientifico è avvenuta con determinazione Ass.to reg.le difesa ambiente – Servizio conservazione natura, habitat, ecc. n. 2689/V del 6 dicembre 2002, integrata con successiva determinazione n. 2810/V del 16 dicembre 2003, sottoposte a presa d’atto con deliberazione Giunta regionale n. 37/31 del 17 ottobre 2003. Con nota assessoriale n. 447 dell’8 gennaio 2003 l’elenco dei pSIC è stato inviato al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, il quale, in data 1 aprile 2004, l’ha trasmesso alla Commissione europea. Con deliberazione Giunta regionale n. 52/19 del 15 dicembre 2004 sono state individuate ulteriori sei Z.P.S. al fine di ovviare alla condanna della Corte di Giustizia (sentenza C-378/01) avverso l’Italia per non aver trasposto correttamente l’art. 4 della direttiva n. 79/409/CEE con un numero sufficiente di siti ed al rischio di un’ulteriore ricorso alla Corte di Giustizia da parte della Commissione europea con la conseguente pressoché certezza di nuova condanna, anche gravata di multa pari a 100.000,00 euro per giorno di violazione delle disposizioni comunitarie, esigibile mediante “taglio” di finanziamenti. Tuttavia, nel gennaio 2005 la Commissione europea ha deciso comunque di adìre la Corte di Giustizia, ritenendo non esaustiva l’attività di individuazione delle Regioni Sardegna, Lombardia, Umbria e della Provincia autonoma di Bolzano.

Il 30 giugno 1997 l’Italia, entro i termini previsti dalla direttiva, ha inviato alla Commissione europea l’elenco delle 2.413 aree che rispondono ai requisiti indicati dalla direttiva Habitat a cui si aggiungono 341 aree individuate come zone di protezione speciale, Z.P.S.. Con il D.M. Ambiente 3 aprile 2000, n. 65 è stato formalizzato, quindi, l’elenco ufficiale dei siti di interesse comunitario proposti (pSIC) alla Commissione europea – Direzione generale Ambiente (XI). La Commissione europea, con decisione 19 luglio 2006, n. C (2006) 3261, ha formalizzato l’elenco S.I.C. per la regione biogeografica mediterranea, che riguarda anche l’Italia, e la Sardegna in particolare (pubblicizzata con D.M. 5 luglio 2007, in Gazz. Uff.- serie generale – n. 170 del 24 luglio 2007), mentre, con decisioni della Commissione europea del 22 dicembre 2003 (pubblicizzata con D.M. 25 marzo 2003, in Gazz. Uff. – serie generale – n. 167 del 19 luglio 2004), è stata definitivamente approvata la lista S.I.C. per la regione alpina e con decisione del 7 dicembre 2004 è stata analogamente approvata la lista S.I.C. per la regione continentale (pubblicizzata con D.M. 25 marzo 2005, in Gazz. Uff. – serie generale – n. 156 del 7 luglio 2005).

Al 31 dicembre 2006, quindi, vi erano 2.256 aree proposte o già designate quali S.I.C. in quanto rispondenti ai criteri di cui alla direttiva Habitat (311 corrispondono a Z.P.S.), mentre le Z.P.S. designate sono 503.

La Regione autonoma della Sardegna, con deliberazione Giunta regionale n. 9/17 del 7 marzo 2007, ha ampliato numero ed estensione delle Z.P.S. Infatti, la Commissione europea, a seguito del parere motivato C(1998)2281 definitivo del 18 agosto 1998 dovuto al persistere dell’inadeguatezza delle ZPS rispetto alla copertura con le I.B.A. (Important Bird Areas) identificate sulla base di studi in proprio possesso, ha trasferito alla Corte di Giustizia europea la procedura d’infrazione, che si è conclusa il 20 marzo 2003 con la prima sentenza di condanna nei confronti della Repubblica italiana nella causa C-378/01, per essere questa venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 4 della direttiva 79/409/CEE “Uccelli”. Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha più volte sollecitato l’urgenza di porre in essere tutte le azioni necessarie al fine della classificazione di ulteriori Z.P.S. e di interrompere l’ulteriore corso del contenzioso comunitario che avrebbe comportato il pagamento di una sanzione pecuniaria, di importo inizialmente compreso tra 100.000 e 300.000 euro al giorno, per la mancata esecuzione da parte dell’Italia della sentenza di condanna della Corte di Giustizia del 20 marzo 2003; lo stesso Ministero ha inoltre evidenziato che, in caso di una seconda condanna, i relativi oneri verrebbero posti a carico delle Regioni che non hanno fornito un contributo sostanziale. Infatti, l’art. 1216 della legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006) statuisce il diritto dello Stato di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al precedente art. 1213, tra i quali le regioni, attraverso le regolazioni finanziarie operate a carico dell’Italia a valere sui diversi fondi compresi quelli strutturali.

La designazione di 6 nuove ZPS disposta con deliberazione Giunta regionale n. 52/19 del 15 dicembre 2004 non è stata valutata sufficiente a sanare la situazione regionale per cui, con atto GAB/2006/11672/B07 del 7 dicembre 2006 il Ministro dell’ambiente, considerato l’alto rischio di deferimento alla Corte di Giustizia per l’imposizione di sanzioni economiche allo Stato inadempiente, diffidava la Regione ad adempiere, entro quaranta giorni dal ricevimento della stessa, agli obblighi della direttiva comunitaria, decorsi i quali, configurava l’adozione degli atti sostitutivi al fine di adeguarsi al parere motivato del 14 dicembre 2004 emesso dalla Commissione ai sensi dell’art. 228 del Trattato CE a seguito della sentenza di condanna della Corte del 20 marzo 2003. Con nota GAB/2006/10003 del mese di novembre 2006, il Capo di Gabinetto del Ministro dell’ambiente riteneva assai probabile, nel suddetto caso di deferimento, la proposizione da parte della Commissione del pagamento sia di una penalità di mora che di una sanzione forfetaria; la prima potrà oscillare tra un minimo di 11.904,00 ed un massimo di 714.240,00 euro per ogni giorno successivo alla nuova eventuale sentenza, mentre la seconda non sarà in ogni caso inferiore a
9.920.000,00 euro.

Quindi, con la citata deliberazione Giunta regionale n. 9/17 del 7 marzo 2007, è stato ampliato numero ed estensione delle Z.P.S., anche se in vari casi si tratta di aree già designate quali S.I.C. (deliberazione G.R. n. 9/17 del 7 marzo 2007, allegato 2), con l’individuazione di altre 22 (ora sono 37) ed indicando una serie di norme di salvaguardia provvisoria nelle more della previsione dei singoli piani di gestione: tali norme di salvaguardia temporanee costituiscono oggetto di un’intesa fra Regione autonoma della Sardegna e Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare (deliberazione G.R. n. 9/17 del 7 marzo 2007, allegato B).

Siti di importanza comunitaria e parchi naturali.

I siti di interesse comunitario (S.I.C.) e le zone di protezione speciale (Z.P.S.) rientrano nella classificazione delle aree naturali protette previste dalla normativa nazionale (artt. 2 e 3 della legge n. 394/1991 e successive modifiche ed integrazioni, così come integrata dalla deliberazione Min. ambiente 2 dicembre 1996) dopo una serie di infinite vicissitudini. Infatti, con Il D.M. Ambiente 25 marzo 2005 tale classificazione era stata modificata, escludendovi S.I.C. e Z.P.S., ed era stato previsto che, entro sei mesi dalla trasmissione dell’elenco dei pSIC alla Commissione Europea, le misure di conservazione (direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE e art. 4 del D.P.R. n. 357/1997 e successive modifiche e integrazioni) venissero specificamente indicate nei decreti ministeriali di designazione delle Z.P.S. e Z.S.C. d’intesa con le Regioni competenti e conformemente agli indirizzi espressi nel decreto 3 settembre 2002 recante le linee guida per la gestione dei siti Natura 2000. Entro i successivi sei mesi, le Regioni avrebbero dovuto individuare le modalità di attuazione delle predette misure di conservazione. Nelle more della definizione, da parte delle Regioni, delle misure di conservazione per le Z.P.S. di propria competenza, esse avrebbero dovuto assicurare per le Z.P.S. le opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonche' per evitare la perturbazione delle specie per cui dette Z.P.S. sono state classificate ovvero istituite.

In sostanza, con il D.M. 25 marzo 2005, Il Ministero dell'ambiente cercava di stabilire regole un po’ piu' certe per la gestione e la conservazione delle zone di protezione speciale (Z.P.S.) e per le Zone speciali di conservazione (Z.S.C.), annullando la deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette, ora soppresso poichè le sue competenze rientrano tra quelle attribuite alla Conferenza Stato-Regioni. Il provvedimento rientrava nell'ambito di applicazione della direttiva 92/43/CEE, in particolare l'articolo 7 che stabilisce che gli obblighi derivanti per le Z.S.C., circa l'adozione di opportune misure di conservazione, debbano essere applicati anche alle Z.P.S. La deliberazione del 2 dicembre 1996 (annullata dal successivo decreto ministeriale) include nella classificazione delle aree protette le Zone di protezione speciale (Z.P.S.) ai sensi della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e le Zone speciali di conservazione (Z.S.C.) ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Secondo la diversa attribuzione delle funzioni spetta ora alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano assicurare per i Siti di importanza comunitaria (S.I.C.) opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonche' la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate; e l’adozione per le Z.S.C. entro sei mesi dalla loro designazione delle misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali presenti nei siti.

La deliberazione del dicembre 1996, che includeva Z.P.S. e Z.S.C. nella classificazione delle aree naturali protette, con la conseguente necessità di applicazione anche ai siti Natura 2000 delle misure di salvaguardia e dei divieti previsti dalla legge n. 394/1991, aveva, secondo il Ministero, alimentato una conflittualità interpretativa che ha ostacolato la realizzazione gli obiettivi previsti dalla direttiva 79/409/CEE e dalla direttiva 92/43/CEE e dalla relativa normativa di recepimento. Le misure di conservazione previste dalla direttiva 79/409/CEE e dalla direttiva 92/43/CEE e dall'articolo 4 del D.P.R. n. 357/1997 si applicano alle Z.S.C. entro sei mesi dalla loro designazione con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, e alle Z.P.S. dalla loro istituzione, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della direttiva 79/409/CEE, cosi' come recepito dall'articolo 6 del medesimo D.P.R. n. 357 del 1997 che estende i medesimi obblighi anche alle Z.P.S. Le Z.P.S. si intendono classificate, ovvero istituite, dalla data di trasmissione alla Commissione europea da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio dei formulari e delle cartografie delle medesime Z.P.S. individuate dalle Regioni, ovvero dalla sola data di trasmissione alla Commissione europea dei formulari e delle cartografie delle Z.P.S. da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali, precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 11 febbraio 1992, n. 157. Nei decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di designazione delle Z.S.C., adottati d'intesa con ciascuna Regione interessata, sono indicate le misure di conservazione necessarie a mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente gli habitat e le specie per il quale il sito e' stato individuato, conformemente agli indirizzi espressi nel decreto 3 settembre 2002 recante le linee guida per la gestione dei siti Natura 2000. Entro sei mesi dalla designazione delle Z.S.C. le Regioni definiscono le modalita' di attuazione delle misure di conservazione e comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il soggetto affidatario della gestione e si impegnano a definire le misure di conservazione per le Z.P.S. di propria competenza, per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie e la perturbazione delle specie per cui dette Z.P.S. sono state classificate ovvero istituite. Fra le varie misure di conservazione e gestione delle Z.P.S. vi è il divieto di caccia (vds. Corte Giust. U.E., sez. II, 13 luglio 2006, causa 191/05).
Tuttavia, L'ordinanza del TAR Lazio (n. 6856, 24 novembre 2005, Sez. II Bis, Roma) che ha sospeso il Decreto del 25 marzo 2005 del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio con cui si annullava detta Delibera, considerava che le misure di tutela introdotte da tale decreto apparivano meno incisive di quelle previste dalla ricomprensione di ZPS e ZSC/SIC nella categoria delle aree protette, e quindi dalla delibera del CNAP, ordinando il ripristino di quest'ultima per evitare il verificarsi di "danno grave e irreparabile" alle aree naturali interessate.
Nel confermare l'ordinanza n. 6856 del TAR Lazio, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 783/06 del 14 febbraio 2006, ne riteneva "condivisibili" le "motivazioni", "ancor prima dell'individuazione da parte della Regione delle misure di conservazione più adeguate" e comunque non potendosi sostituire a quello in atto un regime di tutela meno rigoroso.
Ricordiamo anche che sul tema si è più volte pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, stabilendo: "In proposito deve evidenziarsi che, a norma dell'art. 11, 3° comma, della legge 6.12.1991, n. 394, (...) 'nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora ed alla fauna protette e ai rispettivi habitat'. Segue, nel testo normativo, un'elencazione di divieti specifici (...). In tutto l'art. 11 (...) il riferimento testuale è soltanto ai parchi, dei quali si delineano i contenuti del regolamento, con individuazione delle attività consentite e vietate nei relativi territori. L'elencazione delle attività vietate, però, non deve considerarsi inoperante per le altre aree protette (diverse dai parchi nazionali), poiché il 4° comma dell'art. 6 dispone che 'dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'art. 11" e nella nozione di "area protetta" (secondo la più recente classificazione operata, ai sensi dell'art. 2, comma 5, della legge n. 394/1991, con deliberazione 2.12.1996 del Ministero dell'ambiente, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17.6.1997) rientrano - oltre ai parchi nazionali - i parchi naturali interregionali e regionali, le riserve naturali statali e regionali, le aree protette marine, le zone umide di importanza nazionale ai sensi della convenzione di Ramsar di cui al D.P.R. n. 448 del 13.3.1976, le zone di protezione speciale degli uccelli selvatici ai sensi della direttiva 79/409/CEE, le zone speciali di conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche ai sensi della direttiva 92/43/CEE. (...) pertanto, i divieti di cui all'art. 11, quali misure minime di salvaguardia generica nell'ipotesi in cui tuttora manchi un regolamento, trovano applicazione dalla vigenza della legge-quadro e fino all'approvazione del regolamento. ".(Cass. pen., sez. III, 05-01-2000 (22-10-1999), n. 30).
Ed ancora la Corte di Cassazione ha stabilito che "Il concetto di 'aree naturali protette' è più ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette." (Cass. pen., sez. III, 22 novembre 2003, n. 44409). Se ne evince, quindi, che allo stato dei fatti, essendo decaduto il decreto-legge n. 251/2006 in materia di conservazione della fauna selvatica che, all'articolo 6, comma 2, sostituiva tutte le precedenti misure di conservazione con quelle recate nel testo del medesimo, è tornata pienamente in vigore la Delibera del 2 dicembre 1996 del Comitato Nazionale Aree protette (CNAP), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 1997.
Tale delibera, comprendendo i siti della Rete Natura 2000 di cui alla Direttiva 92/43/CEE, vale a dire le Zone di Protezione Speciale (ZPS) e le Zone Speciali di Conservazione (ZSC, ovvero i Siti di Importanza Comunitaria, SIC), nella categoria delle aree protette, pone queste aree sotto il regime della "Legge quadro sulle aree protette" n. 394 del 1991 e le relative misure di salvaguardia e tutela. Quindi risultano attualmente in vigore le misure e i divieti previsti nella legge n. 394/1991, in combinato disposto con quelli previsti nella legge n. 157/1992 in materia di tutela della fauna e disciplina dell'attività venatoria.
In particolare, l'articolo 6 comma 4 della legge 394/1991 prevede che "dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11", tra i quali "la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; (...), l'introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l'equilibrio naturale (art. 11, comma 3, lettera a) e "l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati" (art. 11, comma 3, lettera f). Se ne deduce che l'attività venatoria, nei siti della Rete Natura 2000, siano essi ZPS che SIC/ZSC, risulta vietata e costituisce condotta penalmente rilevante, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 30, comma 1 lettera d, della legge n. 157/1992 e 30 della legge n. 394/1991. Tale divieto sarà vigente fino all'approvazione di specifici regolamenti recanti misure di conservazione che peraltro, così come si evince dalle citate ordinanze di TAR Lazio e Consiglio di Stato, non potranno risultare meno rigorose e adeguate di quelle in vigore, pena la grave compromissione delle aree naturale interessate.
E' inoltre opportuno ricordare come la costante e consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione penale abbia evidenziato la sussistenza del reato di caccia in area protetta anche in mancanza di tabelle perimetrali (Cass. pen., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4756; Cass. pen., sez. III, 19 marzo 1999, n. 5457; Cass. pen. , sez. III, 6 giugno 2003, n. 24786; Cass. pen., sez III, 26 gennaio 2005, n. 5489). Va infine ricordato che i piani faunistici regionali e provinciali, nonché i calendari venatori, in assenza di previsioni specificamente volte alla tutela di tali siti e delle specie animali alla cui protezione essi sono destinati, non possono essere considerati conformi alle sopra citate leggi e sentenze.

Obblighi di conservazione e valutazione di incidenza ambientale.

Fin dal momento della proposta nazionale i pSIC sono beneficiari dell’obbligo di conservazione delle proprie caratteristiche ambientali (art. 4, paragrafo 5, della direttiva n. 92/43/CEE, vds. Corte Giust. U.E., sez. II, 14 settembre 2006, causa 244/05) ed ogni progetto di intervento rientrante nelle aree designate deve essere sottoposto ad una valutazione preventiva (screening) finalizzata ad accertare se siano prevedibili effetti negativi sul suo stato di conservazione (art. 6 del D.P.R. n. 120/2003). Nel caso l’intervento in progetto (compresi gli atti di pianificazione) comporti prevedibilmente modifiche significative delle caratteristiche dei siti, deve essere sottoposto a adeguata valutazione di incidenza ambientale (artt. 6 della direttiva n. 92/43/CEE e 5 con allegato G del D.P.R. n. 357/1997 e successive modifiche ed integrazioni), se non già soggetto alla normativa sulla valutazione di impatto ambientale – V.I.A. (direttive n. 85/337/CEE e n. 97/11/CE; D.P.C.M. n. 377/1988 e 27 dicembre 1988 e successive modifiche ed integrazioni, D.P.R. 12 aprile 1996 e successive modifiche ed integrazioni, art. 31 della legge regionale Sardegna n. 1/1999 e successive modifiche ed integrazioni).

La valutazione di incidenza ambientale deve estendersi agli effetti diretti ed indiretti sull’area pSIC, trattandosi fondamentalmente di uno strumento di prevenzione diretto ad analizzare gli effetti di un intervento in un contesto ecologico dinamico: se il giudizio finale da parte dell’Autorità ambientale regionale (in Sardegna l’Assessorato regionale della difesa dell’ambiente) è negativo, l’intervento proposto non può essere realizzato a meno che non sussistano rilevanti motivi di ordine pubblico (anche motivi di natura socio-economica) e vengano adottate opportune misure di compensazione ambientale previo parere della Commissione Europea.
La Commissione Europea – Direzione generale Ambiente ha prodotto opportunamente una Guida metodologica alla valutazione di piani e progetti che possono avere incidenze significative (art. 6 della direttiva n. 92/43/CEE) sui siti Natura 2000, pubblicata in http://europa.eu.int/comm/environment/eia/home.htm .

Per la gestione delle zone speciali di conservazione – Z.S.C. devono essere predisposte specifiche “misure di conservazione necessarie” (art. 4 del D.P.R. n. 357/1997mediante adeguati piani di gestione singoli o integrati con altri strumenti di pianificazione e di governo del territorio (art. 6 della direttiva n. 92/43/CEE) finalizzati al mantenimento delle caratteristiche ecologiche dell’area: tali compiti sono estesi anche alle zone di protezione speciale – Z.P.S. (art. 7 della direttiva n. 92/43/CEE). Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio – Dipartimento per l’assetto dei valori ambientali del territorio (Direzione per la conservazione della natura), grazie ad un progetto Life Natura 1999 (NAT/IT/006279 “verifica della rete Natura 2000 in Italia: modelli di gestione”), ha predisposto le Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000, emanate con D.M. Ambiente 3 settembre 2002, indirizzi e principi per la redazione e la cura degli strumenti di gestione delle aree S.I.C. All’agosto 2007 non risultava formalmente vigente alcun piano di gestione. Con deliberazione Giunta regionale n. 30/41 del 2 agosto 2007, è stato conferito mandato all’Assessore regionale della difesa dell’ambiente per l’approvazione dei piani di gestione dei S.I.C. e delle Z.P.S. predisposti ed approvati dai Comuni (singoli o associati) interessati, nonché valutati positivamente dal competente Servizio assessoriale per la conservazione della natura e habitat. Nel caso di mancata approvazione definitiva da parte dei Comuni interessati pur in presenza di valutazione tecnica positiva, l’Assessorato è stato incaricato di provvedere a sollecitare tale approvazione entro 60 giorni.

Misure minime di conservazione.

Con il decreto del Ministro per l’ambiente, la tutela del territorio e del mare del 17 ottobre 2007 sono state disposti i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative alle Zone speciali di conservazione (ZSC) ed alle Zone di protezione speciale (ZPS). Tali criteri, da applicarsi da parte delle Regioni e Province autonome entro nove mesi dall’emanazione del decreto ministeriale, rappresentano gli indirizzi inderogabili per la predisposizione delle misure di conservazione di ZPS e ZSC e riguardano le pratiche agricole, le limitazioni all’esercizio venatorio ed all’attività di pesca, i divieti di modifica del paesaggio agrario e boschivo, le attività per la salvaguardia delle popolazioni faunistiche, ecc. con la specifica considerazione degli ambienti (es. costiero, montano, steppico, ecc.) nei quali sono ubicate le aree tutelate.

Siti di importanza comunitaria e misure di sostegno finanziario.

Sembra, inoltre, opportuno ricordare i fondamentali strumenti economico-finanziari di contribuzione comunitaria attualmente attivabili per garantire una migliore salvaguardia e gestione dei siti di importanza comunitaria (S.I.C.): il regolamento (CEE) n. 1973/92 del Consiglio del 21 maggio 1992 che istituisce il fondo finanziario per l’ambiente LIFE e, per quanto concerne le regioni (fra cui la Sardegna) comprese nell’obiettivo 1 (regioni che non raggiungono il 75 % della media P.I.L. europea), il regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 sui fondi strutturali 2000-2006. Quest’ultimo ha avuto attuazione – per quanto riguarda la Regione autonoma della Sardegna – con il piano operativo regionale (P.O.R.), approvato con decisione della Commissione Europea C (2000) 2359 dell’8 agosto 2000, e con il relativo complemento di programmazione: la misura 1.5 “rete ecologica regionale” è finalizzata esclusivamente al sostegno di interventi gestionali dei S.I.C. che possono giovarsi di una serie di misure connesse, in particolare dell’asse I – risorse naturali (es. misura 1.1 “ciclo integrato dell’acqua”, misura 1.3 “difesa del suolo”, misura 1.7 “monitoraggio”, misura 1.8 “formazione per le misure dell’asse I”).
La misura 1.5 “rete ecologica regionale” è suddivisa in azione 1.5.a (predisposizione degli strumenti di gestione con la partecipazione delle comunità locali), azione 1.5.b (interventi di tutela, valorizzazione e salvaguardia ambientale individuati negli strumenti di gestione); azione 1.5.c (interventi economici sostenibili di valorizzazione delle attività locali e delle iniziative imprenditoriali sostenibili, coerenti con gli strumenti di gestione. Riguardo l’attuazione della misura 1.5 “rete ecologica regionale”, alla data del 31 dicembre 2007 risultavano in corso 90 progetti selezionati, relativi a 82 S.I.C., attraverso bandi ovvero progetti coerenti di prima e seconda fase selezionati con atti di programmazione, 6 dei quali tuttora assolutamente inattuati o con informazioni frammentarie. Il relativo stanziamento risulta pari a euro 49.327.000,00. Sono in corso di esame da parte del competente Servizio regionale gli interventi presentati (azioni 1.5.a e 1.5.b) in base alle procedure previste dal bando pubblicato in data 21 ottobre 2005 (scadenze a febbraio 2006, giugno 2006 e novembre 2006) per la predisposizione da parte degli Enti locali interessati (167 Comuni in forma singola o associata) ed Enti gestori di aree protette (sono 63 le convenzioni stipulate fra Enti gestori e Comuni territorialmente interessati da aree protette) dei piani di gestione di 84 fra Z.P.S. e S.I.C. della rete Natura 2000. Il bando relativo all’azione 1.5.c (euro 6.000.000,00) riguarda aiuti (fino a euro 250.000,00) alle imprese operanti nelle aree della rete Natura 2000 (dotate di piano di gestione) per attività economiche ambientalmente sostenibili e per il rafforzamento delle attività tradizionali compatibili con il patrimonio naturalistico. E’ stato pubblicato il 16 aprile 2007: alla scadenza del 31 agosto 2007 erano pervenute ben 236 istanze di sostegno da parte di altrettante piccole e medie imprese, ora in fase di esame istruttorio. Il finanziamento della misura 1.5 “rete ecologica regionale” è sostenuto con complessivi 15 milioni di euro di fondi P.O.R. Sardegna, 21 milioni di euro di fondi regionali (legge regionale n. 1/2006, finanziaria 2006) e 11 milioni di fondi provenienti da provvedimenti C.I.P.E.

dott. Stefano Deliperi