Cass. Sez. III n. 58312 del 27 dicembre 2018 (Ud 25 ott 2018)
Pres. Ramacci Est. Reynaud Ric. Castelli
Rifiuti.Motore di veicolo fuori uso
Se il motore di un veicolo fuori uso non viene sottoposto ad una adeguata operazione di recupero e messa in sicurezza, esso non perde la sua – oggettiva – natura di rifiuto pericoloso (cfr. All. D al d.lgs. 152 del 2006, sub codice CER 16 01 04). Ed invero, a norma dell’art. 184 ter d.lgs. 152/2006 e del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209 (recante, Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) – v., in particolare, l’Allegato 1, punto 5.1., lett. e - le operazioni per la messa in sicurezza dei veicoli fuori uso, necessarie per determinare il loro recupero con conseguente cessazione della qualifica di rifiuto, prevedono la rimozione dell’olio (motore e del circuito idraulico) e, se pure può accettarsi una piccola tolleranza, vale a dire che ne rimangano tracce, certo non può ritenersi recuperato e messo in sicurezza un motore usato da cui fuoriescano cospicui spandimenti di olio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20 febbraio 2018, la Corte d’appello di Milano, dichiarando prescritti alcuni dei reati riconosciuti in primo grado, ha confermato, rideterminando la pena, la sentenza con cui il Tribunale di Busto Arsizio aveva ritenuto la responsabilità dell’odierna ricorrente per il reato di cui agli artt. 258, comma 4, d.lgs. 152 del 2006 e 483 cod. pen., per aver effettuato il trasporto e la spedizione di rifiuti speciali non pericolosi in assenza dei prescritti formulari di identificazione dei rifiuti.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo si lamenta violazione degli artt. 3 d.lgs. 209 del 2003 e 183, comma 1, lett. a), d.lgs. 152 del 2006 per aver erroneamente ritenuto che le parti di ricambio di veicoli oggetto di trasporto fossero qualificabili rifiuti speciali pericolosi, desumendo illogicamente la conclusione dal fatto che in un motore di autocarro furono trovati residui di olio idraulico, senza tener conto della testimonianza del funzionario ARPA Raggi, il quale avrebbe dichiarato che il rinvenimento di un residuo d’olio in un motore di quelle dimensioni non era prova della mancata bonifica dello stesso e che l’olio fu rinvenuto soltanto in quel componente, non essendo state riscontrate anomalie sugli altri componenti contenuti nel container.
4. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale per essere stato ritenuto ancora reato il trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario di identificazione, pur dopo la depenalizzazione intervenuta con d.lgs. 205 del 2010, erroneamente ritenendo che il d.lgs. 121 del 2011 (in vigore dal 16 agosto 2011) avesse ripristinato la rilevanza penale della condotta sino all’operatività del c.d. SISTRI, operatività ulteriormente prorogata dall’art. 1, co. 1134, della l. 205 del 2017. Mentre quest’ultima disposizione sarebbe inconferente rispetto alla soluzione del quesito, dalle disposizioni introdotte dal d.lgs. 121/2011 nel corpo dell’art. 39 d.lgs. 205 del 2010 (vale a dire i commi 2-bis e 2-ter) non potrebbe ricavarsi l’espressa reintroduzione della rilevanza penale del trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario, sicché il combinato disposto degli artt. 258, comma 4, d.lgs. 152 del 2006 e 483 cod. pen. sanzionerebbe oggi penalmente soltanto chi effettui false dichiarazioni nella predisposizione di un certificato di analisi dei rifiuti.
5. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 5 cod. pen. sul rilievo che, quand’anche non fossero accoglibili le argomentazioni di cui si è appena detto, l’oscurità del testo legislativo derivante dalle richiamate modifiche avrebbe dovuto portare a ritenere l’ignoranza scusabile della legge penale.
6. Con il quarto, il quinto motivo ed il sesto motivo – obiettivamente connessi – si lamenta, rispettivamente, la mancanza di motivazione rispetto alla doglianza specificamente devoluta con il gravame circa l’assenza dell’elemento psicologico del reato, la violazione di legge e comunque il vizio di motivazione con riguardo alla riconosciuta sussistenza del dolo, il vizio di motivazione ed il contrasto della stessa con le prove assunte circa la volontarietà della condotta che la ricorrente avrebbe tenuto. In particolare, l’elemento soggettivo sarebbe stato ricavato, in primo grado, soltanto dal laconico riferimento alle “modalità della condotta”, senza che la Corte d’appello si sia sul punto pronunciata e le prove assunte – di cui anche la sentenza di primo grado dà atto - avrebbero dimostrato come la ricorrente fosse spesso assente dall’azienda e che tutte le incombenze relative all’attività amministrativa inerente il ramo rottamazione venissero svolte dall’impiegata Crosta con l’ausilio del consulente Manfredi. Mancherebbe, inoltre, la prova che la signora Castelli abbia sottoscritto la dichiarazione di esportazione delle parti di autocarro in questione e, comunque, che abbia falsamente asserito che le stesse erano state bonificate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata (pag. 2, nt. 1), dalla deposizione resa dal teste Alessandro Raggi all’udienza del 22 maggio 2015 non può ricavarsi la natura di rifiuto di componenti diversi dal motore usato per autocarro Astra Iveco indicato nel capo A) di imputazione, ma le dichiarazioni del teste confermano invece tale qualità per il motore in questione, sicché sul punto non v’è travisamento della prova. Il teste, di fatti, ha riferito che esso conteneva ancora olio idraulico in significativa quantità, tanto che nel container in cui lo stesso era stato riposto, insieme ad altri componenti, c’era “uno spandimento abbastanza cospicuo” di olio dal medesimo fuoriuscito. Il teste ha dichiarato (pag. 5 delle trascrizioni) che “il motore doveva essere privo di olio” e, pur dando atto che “c’è sempre un po’ di tolleranza” – posto che, essendo di solito tolto per caduta, qualche traccia può rimanere – nel caso in esame la quantità ancora presente lasciava supporre che “o non è stata fatta la bonifica o è stata fatta in maniera magari parziale o con un po’ di superficialità”.
Quale che sia la corretta spiegazione, è un fatto che il motore del veicolo fuori uso in parola non era stato sottoposto ad una adeguata operazione di recupero e messa in sicurezza, sicché non aveva perduto la sua – oggettiva – natura di rifiuto pericoloso (cfr. All. D al d.lgs. 152 del 2006, sub codice CER 16 01 04). Ed invero, a norma dell’art. 184 ter d.lgs. 152/2006 e del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209 (recante, Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) – v., in particolare, l’Allegato 1, punto 5.1., lett. e - le operazioni per la messa in sicurezza dei veicoli fuori uso, necessarie per determinare il loro recupero con conseguente cessazione della qualifica di rifiuto, prevedono la rimozione dell’olio (motore e del circuito idraulico) e, se pure può accettarsi, come ha sostanzialmente dichiarato il teste Raggi, una piccola tolleranza, vale a dire che ne rimangano tracce, certo non può ritenersi recuperato e messo in sicurezza un motore usato da cui fuoriescano cospicui spandimenti di olio, come avvenuto nel caso di specie.
2. Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha già chiarito che in tema di trasporto di rifiuti pericolosi eseguito senza formulario ovvero con formulario recante dati incompleti o inesatti, la disposizione prevista dall'art. 4, comma secondo, d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, che ha differito la parziale depenalizzazione conseguente al d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 alla decorrenza degli obblighi di operatività del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti denominato SISTRI (da ultimo prorogata al 31 dicembre 2018, con art. 1, comma 1134, l. 27 dicembre 2017, n. 205, legge di bilancio), ha con efficacia innovativa reintrodotto la penale rilevanza di quelle condotte, applicandosi tuttavia – esclusa la sua natura meramente interpretativa - soltanto ai fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (16 agosto 2011), quali sono quelli di specie (Sez. F, n. 36275 del 25/08/2016, Gorzanelli e a., Rv. 268097). Nella fase transitoria è stato dunque mantenuto l’obbligo di predisporre il formulario di identificazione dei rifiuti durante il loro trasporto di cui all’art. 193 d.lgs. 152 del 2006, indicandovi dati esatti e completi, con conseguente rilevanza penale della condotta omissiva, nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi, a norma dell’art. 258, comma 4, dello stesso provvedimento nella versione vigente prima della modifica operata con d.lgs. 205 del 2010.
3. Il terzo motivo è invece inammissibile, innanzitutto per difetto di specificità, conseguenza in cui incorre il ricorso per cassazione con il quale si deducano violazioni di legge verificatesi nel giudizio di primo grado, se l'atto non procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare che l'atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch'esso già denunciato le medesime violazioni di legge (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, Carrieri, Rv. 259066). Non solo la ricorrente non muove questa specifica contestazione, ma la lettura della dichiarazione d’appello conferma che in relazione al capo E) d’imputazione non era stata dedotta la violazione dell’art. 5 cod. pen., sicché, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge non dedotta nel giudizio d’appello, il ricorso è sul punto inammissibile.
La doglianza sarebbe in ogni caso inammissibile per genericità e manifesta infondatezza, poiché, in tema di rifiuti, chi opera nel settore è gravato dell'obbligo di acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare di ignorare le previsioni di detta normativa, ma deve dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata (Sez. 3, n. 18928 del 15/03/2017, Valenti, Rv. 269911), ciò che nella specie la ricorrente non fa.
4. Sono invece fondati – nei limiti di cui infra – i restanti motivi.
La sentenza di primo grado era stata fatta oggetto di specifica censura nella parte in cui aveva genericamente ritenuto «evincibile dalle modalità della condotta» l’elemento soggettivo del reato. Nell’atto di appello, in particolare, si era rilevato – richiamando, al proposito, quanto accertato nella stessa sentenza di primo grado – che, anche per ragioni d’età, la signora Castelli (nata nel 1931) a partire dal 2008 non era più presente in azienda con assiduità e che l’attività relativa al settore Ecology era svolta in autonomia dall’impiegata Rosella Crosta, la quale si avvaleva del consulente arch. Manfredi di Milano. Né dalle prove assunte era risultato che ella avesse dato indicazioni o disposizioni con riguardo alla specifica spedizione oggetto di processo, o che avesse sottoscritto i documenti relativi all’esportazione, circostanza, quest’ultima, affermata dal giudice di primo grado ma fatta oggetto di specifiche censure (pp. 4 s. dichiarazione d’appello). Del resto – puntualizzava ancora l’appellante – non essendo state riscontrate anomalie o violazioni con riguardo a componenti diversi dal motore più sopra menzionato, né altre violazioni con riguardo ai formulari relativi alla gestione dei rifiuti redatti in azienda, la parziale o inesatta messa in sicurezza di quel pezzo poteva essere dipesa da un errore dei dipendenti rispetto al quale difetterebbe una condotta penalmente rilevante, cosciente e volontaria, della legale rappresentante Castelli circa il permanere della qualifica di rifiuto speciale pericoloso e la conseguente necessità di provvedere alla redazione del formulario d’identificazione.
La sentenza impugnata non ha in alcun modo preso in esame quelle specifiche doglianze e, trattandosi - per il rinvio operato dalla vecchia formulazione dell’art. 258, comma 4, d.lgs. 152 del 2006 all’art. 483 cod. pen. - di delitto che richiede l’accertamento del dolo, non vale, al proposito, l’integrale richiamo fatto alle motivazioni della sentenza di primo grado, che sono in parte specificamente censurate e, per altra parte, silenti sui temi devoluti. Deve, pertanto, richiamarsi il consolidato orientamento secondo cui la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e senza argomentare sull'inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi, non potendosi in tal caso evocare lo schema della motivazione per relationem (Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli e a., Rv. 254102), ricadendosi invece in ipotesi di sostanziale elusione delle questioni poste dall'appellante (Sez. 4, Sentenza n. 6779/2014 del 18/12/2013, Balzamo e a., Rv. 259316). Nel giudizio di appello, invero, è consentita la motivazione per relationem alla pronuncia di primo grado, nel solo caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autirieri e aa., Rv. 257056).
5. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
Così deciso il 25 ottobre 2018.