La prospettiva filosofica e dell’etica dell’ambiente

di Cristian ROVITO

Gli studiosi delle scienze ambientali sostengono che accanto al mondo naturale, costituito dagli animali, dalle piante, dal suolo, dall’aria e dall’acqua, nel quale è inevitabilmente immerso l’uomo, si affianchi quello delle “istituzioni sociali e dei manufatti”. Quella seconda forma di mondo cioè che l’essere umano, nella sua evoluzione antropologico – sociale, nel suo essersi costituito, manifestandosi come tale con le sue capacità intellettive e creative, ha realizzato con l’ausilio dei progressi discendenti dalla scienza, dalla tecnologia e, non meno importante, dall’organizzazione politica 1. Contrariamente agli uomini primitivi, che disponevano indubbiamente di elevate quantità di risorse, molte peraltro sconosciute e non sfruttate per mancanza di adeguate cognizioni tecnologiche, gli attuali abitanti della terra, potendo contare su un vasto background scientifico e tecnologico, estraggono enormi quantità di risorse, producendo altrettante enormi quantità di rifiuti (risultato dei processi industriali e delle attività antropiche), modificando l’ecosistema al punto da minacciarne la sua stessa sopravvivenza.

Agli occhi di chiunque appare chiaro come non potrebbe registrarsi un qualsiasi elemento, una qualsiasi cosa, pur insignificante economicamente, che abbia perso o perda d’importanza per l’ambiente. Tra l’altro, gli uomini abitano e vivono il mondo naturale, quello “costruito” o “tecnologico”, e non ultimo quello “sociale e culturale”. Iniziare pertanto ad inquadrare il vasto e complesso concetto di «ambiente» partendo dal paradigma ecologico, rappresenta un preliminare delineamento del percorso d’indagine seguito, essendo fondamentale «capire come funzioni il nostro pianeta, che cosa possiamo fare per esso e come possiamo proteggerlo e conservarlo» 2 .

Una riflessione in tale prospettiva può prendere spunto dal simbolico dialogo tra un islandese e la natura di Giacomo Leopardi nelle “ Operette morali”:

«Natura . Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?

Islandese . Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa.

Natura . Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quella che tu fuggi.

Islandese . La Natura?

Natura . Non altri.

Islandese . Me ne dispiace fino all'anima; e tengo per fermo che maggior disavventura di questa non mi potesse sopraggiungere.

Natura . Ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove non ignori che si dimostra più che altrove la mia potenza. Ma che era che ti moveva a fuggirmi?

Islandese . Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze, fui persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali combattendo continuamente gli uni cogli altri per l'acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto; tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, […] se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. […]. Quasi tutto il mondo ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature, se non il meno che io potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal caldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall'incostanza dell'aria, infestato dalle commozioni degli elementi in ogni dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì senza temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli abitanti, non rei verso te di nessun'ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di tutto il paese. Venti e turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori dell'aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico della neve, tal altra, per l'abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena dai fiumi, che m'inseguivano, come fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria. Molte bestie selvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato poco che gl'insetti volanti non mi abbiano consumato infino alle ossa. In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non posso numerare quelli che ho consumati senza pure un'ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d'incalzarci, finché ci opprimi.

Natura . Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. […]».

In tutte le attività umane, molto spesso, la natura, quindi tutto ciò che è circondato3, non rappresenta una forza oscura o un semplice fondale, ma piuttosto è la destinataria degli effetti antropici. I «suoi figlioli» spesso prendono di mira l’ambiente attraverso modalità certamente sconosciute al Leopardi ed al suo tempo, al punto che se volesse ridisegnare il dialogo cui supra si è accennato, quasi sicuramente esiterebbe dal rappresentare l’uomo come vittima di quella natura brutale e indifferente 4.

Per Andreozzi, l’etica (anche nella nuova disciplina «ambientale») è «quella branca della filosofia che si occupa di definire e indagare i principi che reggono l’azione volontaria soggetta al dovere, distinguendo le azioni giuste da quelle sbagliate, mentre l’ambiente è un complesso sistema dotato di proprietà autoregolative ed emergenti e costituito non soltanto dagli enti organici e inorganici, ma anche dalle dinamiche che condizionano e/o caratterizzano il loro continuo relazionarsi co – evolversi e co – adattarsi»5. Il concetto del «giusto» e dello «sbagliato», si inseriscono in un’ottica metaetica perché dipendono direttamente dalla possibilità per il soggetto umano (quindi il cittadino, l’amministratore, l’imprenditore, in generale l’uomo, il figliolo leopardiano) di agire nel mondo in modo giusto o sbagliato. Le azioni, gli atteggiamenti ed i comportamenti presi in considerazione sono però solo quelli posti in essere da soggetti moralmente capaci di esercitare la propria volontà attraverso la manifestazione della propria libera autodeterminazione (le azioni di un soggetto incapace di intendere e di volere non potrebbero chiaramente essere prese in considerazione).

L’etica è sostanzialmente (e non potrebbe non esserlo) una questione umana ancorata alla libertà di cui gli esseri umani godono di poter scegliere di adottare taluni comportamenti piuttosto che talaltri. Rimane certo tuttavia che l’etica non potrà mai stabilire cosa sia giusto o sbagliato per un agente non umano (ad es. un animale). Cosi come è altrettanto certo che taluni comportamenti adottati dai cittadini non coinvolgono sempre e soltanto altri cittadini, né hanno sempre ripercussioni dirette e immediate su di essi.

Appare definitorio quindi asserire che l’etica dell’ambiente altro non è che una forma di riflessione filosofica 6 che, estendendo il più possibile il proprio campo di interesse alle dimensioni spaziali e temporali dell’intero ambiente in cui e su cui agisce l’essere umano, e decentrando (anche solo parzialmente) il discorso degli agenti umani, si interroga sull’eticità del nostro relazionarci direttamente o indirettamente con gli enti non umani e/o le dinamiche naturali e, quindi, sul loro status morale e sulla possibilità che questi posseggano un valore indipendente dal nostro giudizio o, quantomeno, dalla nostra utilità.

1 W.P.Cunningham, M.A. Cunningham, B. Woodworth Santiago, Fondamenti di Ecologia, McGraw – Hill, 2007, Milano, pag. 19.

2 Ibidem .

3 Ambiènte s. m. [dal lat. ambiens - entis, part. pres. di ambire «andare intorno, circondare», in origine usato come agg. riferito all’aria o ad altro fluido]. Spazio che circonda una cosa o una persona e in cui questa si muove o vive:alcuni animali vivono in un a. caldo; con frase ellittica, è frequente nel linguaggio scientifico l’espressione temperatura a., la temperatura propria e normale di un ambiente determinato: reazione chimica che avviene a temperatura a.; talora anche nel linguaggio com.: il vino rosso si beve a temperatura a., non rinfrescato; meno com., secondo l’uso aggettivale originario, l’aria a., l’aria che circola in un ambiente.

fig. Complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale una persona si trova e sviluppa la propria personalità, o in cui, più genericamente, si trova a vivere: ragazzi cresciuti in ambienti degradati; il collegio fu per lui un a. sano e accogliente; trovarsi nel proprio a., o fuori del proprio a.; risentire le influenze dell’a. esterno; cambiare ambiente ; anche, l’insieme delle persone da cui si è abitualmente circondati: l’a. domestico, l’a. di lavoro; un a . allegro, simpatico, antipatico; se ne andò di lì per levarsi da quell’ambiente. In senso più ampio, insieme di persone aventi comuni interessi, idee, tendenze, o svolgenti una stessa attività: un a. conservatore, tradizionalista; nel linguaggio giornalistico, a. politico, centro, luogo, organo in cui si svolge attività politica (e le persone che ne fanno parte), soprattutto in quanto siano fonti d’informazione (in tale caso, l’aggettivo può anche mancare: la notizia proviene da a. bene informati).

http://www.treccani.it/vocabolario/ambiente/

4 Cfr. M. Andreozzi (a cura di), Etiche dell’ambiente. Voci e prospettive, LED Edizioni universitarie, Milano, 2012.

5 M. Andreozzi (a cura di), Op. cit. pag. 22.

6 Il fine della filosofia è il raggiungimento della felicità, identificata col piacere, inteso come assenza di dolore fisico e turbamento dell’animo. Il saggio, pertanto, elimina tutti i bisogni che non possono essere soddisfatti e allontanerà per mezzo del sapere i timori che impediscono la ricerca della serenità, conducendo un’esistenza frugale e coltivando l’amicizia, considerata il bene più grande.

Cfr. S. Carluccio, Pensieri e riflessioni filosofiche di un terrone salentino, Gpp Editore Salento, Lecce, 2010.