I soggetti responsabili dei reati ambientali all’interno delle organizzazioni imprenditoriali e degli enti.

di Claudio Sabbatini.

 

NOTA: la sentenza commentata è leggibile in questo sito qui

 

La sentenza che si commenta (Cass.pen. sez. III, 15.6.2010, n. 22765) offre lo spunto per delineare i criteri di imputazione della responsabilità penale, nell’ambito delle organizzazioni imprenditoriali e degli enti.

Riportiamo, per quel che qui maggiormente interessa, la parte motiva nel punto in cui si afferma:…Il ricorrente non ha contestato la qualità di legale rappresentante della società che, in materia di smaltimento dei rifiuti, è l’amministratore della società che gestisce un impianto produttivo ed è destinatario degli obblighi previsti dalle norme di settore.. E’ infatti configurabile una posizione di garanzia nei confronti del produttore dei rifiuti il quale è tenuto a vigilare che propri dipendenti od altri sottoposti o delegati osservino le norme ambientalistiche…L’osservanza delle norme in questione consegue, quindi, ope legis e chi è destinatario di esse, legale rappresentante di una società è tenuto ad osservarle..Peraltro, in tema di rifiuti, la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda.

Pertanto, in applicazione dei su richiamati principi è stata ritenuta la penale responsabilità del legale rappresentante della impresa produttrice del rifiuto per non aver vigilato sui propri dipendenti, sottoposti o delegati affinché osservassero le norme ambientalistiche[1].

Il nostro ordinamento è improntato al principio del carattere personale della responsabilità penale ex art. 27 Cost., inteso principalmente come responsabilità per fatto proprio colpevole, nel senso cioè che l’applicazione della pena presuppone l’attribuibilità psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del soggetto[2].

Ecco perché- a differenza dei paesi anglosassoni, dove esistono i corporate crime- noi ignoriamo forme di responsabilità penale della persona giuridica, non essendo questa capace di un atteggiamento volitivo colpevole (doloso ovvero colposo) che può essere riferito naturalisticamente soltanto alla persona fisica che è dietro lo “schermo” dell'organizzazione e che sola potrà rispondere, se ne ricorrono gli estremi, di comportamenti penalmente rilevanti[3].

In particolare, l’attenzione si focalizza sul soggetto che all’interno della organizzazione è titolare di funzioni di gestione ovvero che esprime la volontà dell’ente in quanto legato ad esso da un rapporto organico (amministratore e/o legale rappresentante)..

Con la conseguenza che, taluni reati ambientali vengono annoverati tra i reati propri[4] (o a soggettività ristretta) pur se il legislatore li riferisce (in astratto) a qualsiasi soggetto, attraverso l’uso del termine “chiunque”.

A conferma di quanto appena detto, in materia di inquinamento idrico, ad es., è stato affermato[5] che l’art. 21 della legge n. 319/1976 (oggi tale normativa è stata abrogata ma le argomentazioni sono ancora valide con riferimento al d.lgs n.152/2006), configura una ipotesi di reato a soggettività ristretta, sia per la natura burocratico formale delle contravvenzioni, sia per il dovere implicitamente imposto di conformazione finale degli effluenti a determinati limiti di accettabilità, il cui adempimento presuppone precise scelte di politica aziendale. A ben vedere, infatti, secondo questo indirizzo, ciò che viene sanzionato non è la condotta materiale di rilascio dello scarico, bensì l’apertura di nuovi scarichi senza la preventiva autorizzazione, l’inadempimento delle relative prescrizioni, l’inosservanza dei limiti di accettabilità.

E’ evidente che il destinatario di tali obblighi non può che identificarsi nel titolare dello scarico e, nel caso di impresa o ente, nel legale rappresentante di questi ultimi[6].

A livello dell’ente Comunale il primo destinatario della norme ambientalistiche è il Sindaco, rappresentante dell’ente e responsabile dell’amministrazione[7].

Bisogna tuttavia tenere a mente che il testo unico degli enti locali (n. 267 del 2000) all’art. 107 attribuisce agli organi di governo poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo mentre ai dirigenti la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica. Dunque, l’organo di governo, il Sindaco, potrà rispondere nel caso in cui un inquinamento si sia verificato per scelte generali, di politica ambientale, mentre se l’evento è riconducibile a cause tecnico gestionali, saranno responsabili i dirigenti che siano stati delegati (rectius, preposti al settore di riferimento) dal Sindaco a garantire il rispetto delle normativa ambientale[8].

Tornando al testo della sentenza, i giudici di legittimità, nell'indagine volta all'attribuzione della penale responsabilità per i fatti di causa, hanno, in primo luogo, individuato chi rivestiva la qualità, che non era stata contestata, di legale rappresentante (nella specie, l'amministratore della società che gestisce l'impianto produttivo).

In secondo luogo hanno rinvenuto in capo allo stesso organo di vertice, una c.d. posizione di garanzia[9], in forza della quale egli era tenuto a vigilare che propri dipendenti od altri sottoposti o delegati osservassero le norme ambientalistiche.

Infatti, il titolare di una posizione di garanzia è colui sul quale incombe l'obbligo, previsto per legge, di tutelare beni giuridici da possibili fonti di pericolo che possono minarne l'integrità[10].

In materia di rifiuti, l’art. 178 d.lgs 152/2006 responsabilizza tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei rifiuti e, a salvaguardia del bene ambiente, ne impone la cooperazione per una corretta gestione degli stessi.

In particolare, è in primo luogo il produttore dei rifiuti a ricoprire il ruolo di garante del rispetto delle prescrizioni ambientali.

Nel caso che ci occupa la posizione di garanzia non era stata diligentemente ricoperta da parte dell'amministratore (produttore del rifiuto) - che non aveva adottato tutte le misure necessarie per evitare (che i suoi dipendenti commettessero) illeciti nella predetta gestione.

Egli pertanto non si è potuto sottrarre al giudizio di responsabilità che, sotto il profilo del rapporto di causalità, trova fondamento nella disposizione di cui all'art. 40, secondo comma, cod. pen., il quale stabilisce: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

Per teoria generale infatti, se il reato descrive una condotta attiva, il soggetto non potrà rispondere di questo a titolo di omissione, salvo che la legge, nell'enucleare una posizione di garanzia, non gli imponga un obbligo (appunto giuridico) di attivarsi per impedire pregiudizi al bene che la norma vuole tutelare (ovvero per impedire reati altrui).

Nella fattispecie, come abbiamo visto, l'amministratore della società non si era diligentemente attivato per impedire che i suoi dipendenti effettuassero condotte consistite nell'abbandono dei rifiuti.

La sentenza che si commenta presente inoltre altro profilo di interesse, laddove afferma che sussiste responsabilità penale quantomeno per colpa se il legale rappresentante non assolva l'onere di provare che il servizio di prevenzione sia funzionante e che ad esso sia preposto un dirigente responsabile.

Riecheggia in tale passaggio della motivazione il richiamo a quelle tesi, per vero minoritarie, che, ai fini della individuazione del responsabile, incentrano l'indagine sulle mansioni in concreto svolte all'interno della azienda.

Al di là cioè della (formale) titolarità della carica di legale rappresentante, qualora nel giudizio emerga che la società è stata suddivisa in rami o servizi ed ad essi siano stati preposti soggetti qualificati, su costoro -titolari dei poteri effettivi legati allo svolgimento concreto di talune attività- dovrebbe in primo luogo focalizzarsi l'addebito di responsabilità per fatti penalmente rilevanti[11].

Da questa angolazione, la predeterminazione dei servizi e la suddivisione dei compiti, renderebbe superfluo il ricorso alla delega di funzioni.

Come è noto con l'atto di delega di funzioni[12] l’amministratore della società -primo destinatario della osservanza delle norme ambientalistiche- può trasferire ad altro soggetto gli obblighi ad esso originariamente facenti capo con le connesse responsabilità, divenendo il delegato titolare di una posizione di garanzia (derivata) che si aggiunge a quella del dante causa.

La delega perciò non libera completamente il delegante perché la sua posizione (di garanzia ) assume un nuovo contenuto, essendo tenuto ad una attività di vigilanza e controllo sull’operato dell’ “incaricato”; e se non vi adempie correttamente può essere ritenuto penalmente responsabile, unitamente a quest'ultimo, ai sensi dell’art. 40, primo capoverso c.p..

Perché la delega possa essere ritenuta valida ed efficace è necessario che siano rispettati determinati requisiti ed in particolare:

- le dimensioni dell’impresa, tali da giustificare il trasferimento di compiti e responsabilità;

- l’effettivo trasferimento dei poteri in capo al delegato con completa attribuzione di autonomia decisionale e piena disponibilità economica;

- l’esistenza di precise norme interne o disposizioni statutarie atte a disciplinare il conferimento della delega e adeguata pubblicità della stessa;

- uno specifico e puntuale contenuto della delega;

- la capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato il quale deve espressamente accettare la delega. Con l’ulteriore precisazione che il dovere di vigilanza e controllo che incombe sul dante causa non può trasmodare in una ingerenza sull’attività del delegato perché altrimenti ciò equivarrebbe ad una revoca di fatto dell’atto di delega.

Mentre invece non sono delegabili quelle funzioni che sottendono scelte generali, di politica imprenditoriale che incombono comunque sugli organi di vertice (ad. es. adozione di adeguato impianto di depurazione).

 

Prima di concludere ci sia consentita una riflessione.

 

A nostro sommesso avviso, desta una qualche perplessità la circostanza che -alla presenza di una delega rispettosa di tutti i requisiti e le condizioni previsti dalla legge- il titolare originario della posizione di garanzia debba sopportare il rischio dell’inadempimento del delegato, nella misura in cui non vigili e controlli l’operato di quest’ultimo.

 

E’ proprio la imposizione del residuo obbligo di sorveglianza in capo al delegante che sembra configgere con la ratio dell’istituto che è quella di sollevare l’organo di vertice dalle incombenze burocratiche e tecnico gestionali di volta in volta necessarie ai fini dell’attuazione delle normativa ambientale di settore.

 

Una volta che il titolare dell’azienda abbia effettuato correttamente le scelte strategiche aziendali e adottato un valido atto di delega, non appare logico e coerente sollevarlo soltanto “parzialmente” dalle predette incombenze, pretendendo che esse assumano una nuova fisionomia, consistente nel dovere di “sorvegliare” l’attività del delegato, al quale il primo si affida scegliendo una persona di elevato profilo professionale.

 

Si potrebbe mediare tra quelle tesi “sostanzialistiche”, sopra richiamate, e quelle “formalistiche”, queste ultime comunque incentrate sulla titolarità delle cariche sociali e, quindi, sulla necessità della esistenza di validi atti di delega per il “trasferimento” della penale responsabilità.

 

Al contempo, però, andrebbe maggiormente circoscritto il contenuto dell'obbligo di vigilanza del delegante ad ipotesi veramente marginali.

 

De jure condendo tale contenuto potrebbe essere espressamente tipizzato dal legislatore, in aderenza al principio di legalità e tassatività in materia penale, ovvero essere delimitato attraverso una rigorosa attività ermaneutica dei Giudici di legittimità.

 

 

 

 

 


[1] Nella specie il legale rappresentante non aveva impedito (attraverso l’adozione di adeguate misure atte ad assicurare il corretto smaltimento dei rifiuti) la formazione di un deposito incontrollato da parte dei menzionati soggetti.

[2] Cfr G.Fiandaca-E.Musco Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2009, pag. 314.

[3] Il d.lgs n. 231/2001 ha configurato una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in conseguenza di condotte di rilievo penale. Infatti, per alcune tassative ipotesi di reato in esso previste, oltre alla responsabilità penale dell’organo persona fisica che ha agito nell’interesse o a vantaggio della società, può trovare luogo una responsabilità dell’ente stesso che, in caso, verrà colpito da sanzioni di natura amministrativa, quale ad es., il pagamento di una somma pecuniaria, ovvero l’interdizione dall’esercizio dell’attività. Nell’elenco dei reati che danno luogo a tale tipo di responsabilità non figurano (ancora) quelli ambientali. La Direttiva 2008/99/CEE sulla tutela penale dell’ambiente impone però agli Stati membri di colpire con sanzioni penali proporzionali, efficaci e dissuasive i crimini ambientali e le persone giuridiche che li hanno commessi. La  legge n. 96/2010 (legge comunitaria 2009) ha delegato il governo ad adottare la direttiva entro il 10 aprile 2011. La stessa legge n. 96 prevede, in ossequio ai dettami del legislatore comunitario, che i crimini ambientali dovranno essere introdotti nell’elenco dei reati di cui al d.lgs 231/2001, quelli cioè che rappresentano il presupposto per l’irrogazione di sanzioni amministrative a carico dell’ente. Segnaliamo sull'argomento il commento critico alla legge n.96/2010 della Prof. Alberta Leonarda Vergine, Rossi di vergogna anzi paonazzi..leggendo la comunitaria del 2009, in Ambiente&Sviluppo n. 2/2011.

 

[4] Si definiscono reati propri quei reati che possono essere commessi soltanto da chi riveste una particolare qualifica o posizione, idonea a porre il soggetto in una speciale relazione con l’interesse tutelato (es. qualifica di pubblico ufficiale nei reati contro la pubblica amministrazione; la qualifica di datore di lavoro nei reati in materia di sicurezza sul lavoro). Si riconosce ormai pacificamente che anche un soggetto privo della qualifica richiesta (c.d. extraneus) possa concorrere alla commissione di un reato realizzabile (monosoggettivamente) soltanto dal soggetto qualificato (c.d. intraneus).Si definiscono “comuni” quei reati che possono essere commessi da qualsiasi soggetto e il legislatore nel descrivere la fattispecie usa la locuzione “chiunque” (es. delitto di omicidio).

Sulla distinzione tra reati propri e comuni cfr G. Fiandaca E. Musco, cit., pag. 198.

 

[5] Cfr Cass.pen. Sez. III, 09.10.1976 n. 775

[6] Cfr Serenella Beltrame, Gestione dei rifiuti e sistema sanzionatorio, Cedam, 2000, pag. 406, in cui è affermato che in linea generale, le fattispecie incriminatici poste a tutela dell’ambiente sono generalmente qualificabili come reati propri, il cui autore può essere quindi solo colui che possiede la qualifica che gli attribuisce la facoltà di ledere o porre in pericolo il bene protetto; tale soggetto è quindi necessariamente posto al vertice aziendale, e si identifica nell’organo di amministrazione, salva la valutazione dell’esistenza ed operatività di eventuali deleghe di funzioni.

[7] Con il d.lgs 152/2006 il legislatore ha delineato un nuovo modello organizzatorio con riferimento al servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani (oltre che al Servizio idrico integrato). Sono infatti istituite ex lege strutture sovracomunali (Autorità d’Ambito), dotate di personalità giuridica, a cui è demandata l’organizzazione e il controllo del servizio. I Comuni tuttavia non si spogliano completamente della responsabilità connesse ad una corretta gestione dei rifiuti, in quanto ad essa concorrono, partecipando obbligatoriamente alle Autorità d’Ambito. Ma la legge n. 42/2010, entrata in vigore il 27.03.2010, dispone che, decorso un anno dalla entrata in vigore della stessa, sono soppresse le Autorità d’Ambito. Le Regioni dovranno attribuire con legge le funzioni già esercitate dalle predette Autorità. Sul punto,il Tar Umbria -Perugia -Sez. I, sent. del 9 luglio 2010 n. 402 ha precisato che “...Il legislatore statale, in tal modo, non ha voluto senz'altro ripudiare la scelta di gestire il servizio in un ambito sovracomunale; ma soltanto consentire una riallocazione delle funzioni (alle Regioni, alle Provincie, a forme associative o convenzionali tra Comuni) secondo le esigenze dei territori e delle collettività regionali..”

 

[8] Nel settore pubblico, alcuni osservano che si parli impropriamente di delega di funzioni in quanto i dirigenti sono titolari ex lege dei poteri di gestione. Qui avrebbe rilievo piuttosto l’atto con cui l’organo di vertice nomina il dirigente, così individuando in concreto la persona di fiducia investita di siffatti poteri, che non derivano dal primo ma che sono già determinati dalla legge (in questo senso si veda anche Raganella, Il nuovo volto delle delega di funzioni alla luce del d.lgs 3 agosto 2009 n. 106 correttivo e modificativo del d.lgs 9 aprile 2008 n. 81, pagg. 142 e ss). Tuttavia, nel settore pubblico il riferimento alla delega di funzioni (anche da parte delle pronunce del Supremo Collegio) dovrebbe avere riguardo, non tanto al significato proprio che l’istituto assume nel diritto amministrativo- dove l’organo titolare del potere o del complesso di poteri finalizzati alla cura di interessi pubblici (funzione) ne attribuisce con proprio atto l'esercizio ad altra figura soggettiva- quanto al concetto penalistico dell'istituto. In questo senso l'organo di governo dell'ente territoriale- in quanto ne è il rappresentante- è titolare a monte di una posizione di garanzia in ordine al corretto adempimento delle prescrizioni ambientali ed è questa posizione che egli trasferisce ai “delegati”, nel momento in cui attiva e ripartisce i compiti all'interno dell'amministrazione locale (sulla  posizione di garanzia v. infra).

[9] Per una rassegna giurisprudenziale sull'argomento, cfr Prof. Carlo Ruga Riva, L'obbligo di impedire il reato ambientale altrui. Rassegna giurisprudenziale sulla posizione di garanzia del proprietario e del pubblico ufficiale rispetto ai reati ambientali commessi da terzi, in www.lexambiente.it, pagina del 07.03.2011.

 

[10] . Gli obblighi di garanzia si distinguono in obblighi di protezione (di determinati beni contro tutte le fonti di pericolo; es. i genitori, in base alle norme che regolano il diritto di famiglia, sono tenuti a proteggere i figli minori: la madre risponde di omicidio se lascia morire di inedia il bambino) ed obblighi di controllo (di determinate fonti di pericolo per proteggere tutti i beni ad esse sottoposti : es. il datore di lavoro, in base alla disciplina che regola la sicurezza sul lavoro, è tenuto a predisporre le misure di sicurezza necessarie ad impedire gli infortuni del lavoratore). Sulla distinzione tra gli obblighi di protezione e gli obblighi di controllo cfr Mantovani, Principi di diritto penale, Padova, 2007, pagg 67 e ss.

 

[11] Cfr Cass.pen., sez. III, 26.2.1998 n. 681, in RIDPP 2000, 364.

[12] Per una articolata disamina dell'istituto, anche alla luce dei principali orientamenti giurisprudenziali, cfr Ramacci, Diritto penale dell’ambiente, Padova, 2009, pagg. 46 e ss