TAR Toscana Sez. II sent. 2584 del 2 dicembre 2009
Ambiente in genere. Legittimazione ad agire delle associazioni di protezione ambientale

La peculiarità della legittimazione delle associazioni di protezione ambientale (ma il discorso vale anche per quelle di protezione faunistica, tanto più quando – come nel caso di specie, secondo ciò che si ricava dagli atti di causa – si tratta di associazione riconosciuta ex art. 13 della l. n. 349/1986) consiste nel fatto che essa è attribuita non ad un soggetto individuale, ma ad un ente esponenziale di interessi diffusi, legittimato ad impugnare qualsiasi provvedimento lesivo di un bene ambientale giuridicamente rilevante. Una volta che l’associazione è individuata con il decreto del Ministro dell’Ambiente ex art. 13 della l. n. 349 cit. ed è, quindi, titolare in astratto del potere di proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo, le condizioni per agire in giudizio sono uguali a quelle che devono esistere affinché ogni soggetto dell’ordinamento abbia in concreto legittimazione ad agire in giudizio. Ciò sta a dire che il soggetto dovrà essere titolare di una posizione legittimante caratterizzata dalla qualificazione e dalla differenziazione. Quest’ultima può discendere dall’atto amministrativo, non soltanto quando esso incide direttamente nella sfera giuridica del soggetto, ma anche quando vi è un collegamento tra tale sfera ed il bene della vita oggetto della potestà pubblica, in base al quale l’atto, producendo i suoi effetti, è destinato ad interferire sulla posizione sostanziale del ricorrente. La qualificazione, invece, sta a significare che l’interesse, individuale o collettivo, è considerato dalla norma attributiva del potere, nel senso che detta norma, ovvero l’ordinamento nel suo complesso, devono prendere in considerazione, oltre l’interesse pubblico che la norma stessa è precipuamente preordinata a soddisfare, anche l’interesse individuale, o, come nel caso in discorso, diffuso, facente capo al soggetto che intende agire in giudizio. Pertanto, la posizione delle suddette associazioni di protezione ambientale (o faunistica) riconosciute, certamente differenziata da quella della generalità dei consociati, è anche qualificata quando l’interesse sostanziale dedotto in giudizio dall’associazione attiene ad un bene ambientale preso in considerazione dall’ordinamento ed invece non è qualificata quando il bene che si mira a tutelare non viene individuato dall’ordinamento come rilevante sotto il profilo ambientale
N.02584/2009 REG.SEN.
N. 00420/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 420 del 2008, proposto dalla
Lega Anti-Vivisezione – L.A.V., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. Gianluca Felicetti, rappresentata e difesa dall’avv. Valentina Stefutti e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Barbara Vannucci, in Firenze, via Scialoia 67

contro

Comune di Marradi, non costituito in giudizio

nei confronti di

Arci Caccia, non costituita in giudizio

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- dell’ordinanza del Sindaco di Marradi n. 10 del 31 gennaio 2008 avente ad oggetto l’abbattimento di piccioni terraioli e tortore per la salvaguardia dell’incolumità pubblica;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente;

Vista l’ordinanza cautelare n. 333/2008 del 28 marzo 2008, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 5 novembre 2009 il dott. Pietro De Berardinis;

Uditi i difensori presenti della parte costituita, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


1. L’associazione ricorrente, Lega Anti-Vivisezione (d’ora in poi: L.A.V.), espone che il Sindaco di Marradi, con ordinanza n. 10 del 31 gennaio 2008 adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 T.U.E.L., ha ingiunto:

a) ai proprietari di immobili privati ed all’Ufficio Tecnico Comunale (per quanto concerne le aree pubbliche), la distruzione di uova e nidi, nonché la rimozione periodica e costante delle deiezioni di piccioni terraioli e tortore;

b) in via prioritaria la cattura e, in caso di inefficacia di siffatto intervento, l’abbattimento mediante fucile, di piccioni terraioli e tortore, con prescrizione in quest’ultima ipotesi, per i proprietari degli immobili interessati, di provvedere nel periodo 1° febbraio 2008-1° febbraio 2008 all’eliminazione del maggior numero possibile dei summenzionati volatili, sulla base delle modalità stabilite con la medesima ordinanza sindacale.

1.1. Con la suindicata ordinanza, inoltre, il Sindaco ha ingiunto ai privati proprietari degli immobili interessati (nonché all’Ufficio Tecnico Comunale per gli immobili pubblici) di dotare entro trentasei mesi le strutture murarie e le coperture di idonei accorgimenti per scoraggiare lo stazionamento dei volatili ed ha vietato la somministrazione di cibo o alimenti agli stessi.

2. Nei confronti di detta ordinanza, considerata ingiustamente lesiva dell’interesse alla salvaguardia dell’ambiente ed all’integrità del patrimonio faunistico – di cui l’associazione esponente assume di essere portatrice – è insorta la Lega Anti-Vivisezione, impugnandola con il gravame in epigrafe e chiedendone l’annullamento. A supporto del gravame ha dedotto le seguenti censure:

- violazione e/o falsa applicazione degli artt. 50 e 54 T.U.E.L., eccesso di potere, contraddittorietà delle previsioni con il fine perseguito, carenza istruttoria, perché nel caso di specie mancherebbero i presupposti che legittimano l’emanazione di ordinanze extra ordinem;

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 della l. n. 157/1992, eccesso di potere nonché difetto di istruttoria sotto ulteriore profilo, difetto assoluto di motivazione, in quanto i volatili oggetto del provvedimento impugnato si annovererebbero tra gli animali selvatici, sicché: a) ne sarebbe vietata l’apprensione ai sensi degli art. 18 e 19 della l. n. 157/1992; b) ai fini del controllo su tale categoria di fauna selvatica, non sarebbe stato valutato il ricorso ai “metodi di abbattimento ecologici” od a soluzioni alternative, e non sarebbe stato acquisito il parere dell’I.N.F.S.;

- incompetenza ed illegittimità derivata dalla violazione del combinato disposto di cui agli artt. 19, comma 2, della l. n. 157/1992 e 37 della l.r. n. 3/1994, giacché la competenza nella materia de qua apparterrebbe alla Provincia e non al Comune;

- illogicità, contraddittorietà, travisamento, eccesso di potere sotto altro profilo, perché l’ordinanza prevede particolari cautele per l’abbattimento dei volatili nei centri urbani, in relazione ai rischi per l’incolumità pubblica derivanti dall’uso delle armi da fuoco, ma dimenticherebbe che la medesima esigenza si pone anche per l’abbattimento fuori dei centri abitati, essendo abitudine dei piccioni di insediarsi in prossimità degli spazi abitati dall’uomo.

2.1. Il Comune di Marradi e l’Arci Caccia, pur notificati, non si sono costituiti in giudizio.

2.2. Nella Camera di consiglio del 27 marzo 2008 il Collegio, attesa la mancanza dei presupposti per l’adozione di un provvedimento d’urgenza ed alla luce dell’art. 37 della l.r. n. 3/1994 (recante attribuzione alla Provincia dei compiti di controllo sulle specie di fauna selvatica), con ordinanza n. 333/2008 ha accolto la domanda incidentale di sospensione.

3. All’udienza pubblica del 5 novembre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. L’associazione ricorrente (L.A.V.) impugna l’ordinanza del Sindaco di Marradi ex artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000, con la quale è stata disposta la cattura e, in caso di inefficacia di tale misura, l’abbattimento mediante fucile di piccioni terraioli e tortore, in modo da giungere “all’eliminazione del maggior numero possibile” di siffatte specie di volatili nei dodici mesi decorrenti dal 1° febbraio 2008.

4.1. In via preliminare il Collegio deve scrutinare la questione attinente alla legittimazione ad agire della ricorrente Lega Anti-Vivisezione.

4.2. Ad avviso del Collegio, la questione deve essere risolta positivamente, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di legittimazione ad agire degli enti esponenziali di interessi diffusi nella materia della protezione ambientale (e della protezione degli animali) ed in particolare degli enti individuati ai sensi dell’art. 13 della l. n. 349/1986.

4.3. Nello specifico, le disposizioni cui va fatto riferimento sono gli artt. 13 e 18, comma 5, della l. n. 349/1986: quest’ultima disposizione – non abrogata dall’art. 318 del d.lgs. n. 152/2006 (che ha invece abrogato gli altri commi dell’art. 18 cit.) – prevede che le associazioni individuate in base al precedente art. 13 (le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni, individuate con decreto del Ministro dell’Ambiente), oltre ad intervenire nei giudizi per danno ambientale, possono impugnare dinanzi al giudice amministrativo atti illegittimi, chiedendone l’annullamento. Secondo la più recente giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 1° aprile 2009, n. 3481), la peculiarità della legittimazione delle associazioni di protezione ambientale (ma il discorso vale anche per quelle di protezione faunistica, tanto più quando – come nel caso di specie, secondo ciò che si ricava dagli atti di causa – si tratta di associazione riconosciuta ex art. 13 della l. n. 349/1986) consiste nel fatto che essa è attribuita non ad un soggetto individuale, ma ad un ente esponenziale di interessi diffusi, legittimato ad impugnare qualsiasi provvedimento lesivo di un bene ambientale giuridicamente rilevante. Una volta che l’associazione è individuata con il decreto del Ministro dell’Ambiente ex art. 13 della l. n. 349 cit. ed è, quindi, titolare in astratto del potere di proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo, le condizioni per agire in giudizio sono uguali a quelle che devono esistere affinché ogni soggetto dell’ordinamento abbia in concreto legittimazione ad agire in giudizio. Ciò sta a dire che il soggetto dovrà essere titolare di una posizione legittimante caratterizzata dalla qualificazione e dalla differenziazione. Quest’ultima può discendere dall’atto amministrativo, non soltanto quando esso incide direttamente nella sfera giuridica del soggetto, ma anche quando vi è un collegamento tra tale sfera ed il bene della vita oggetto della potestà pubblica, in base al quale l’atto, producendo i suoi effetti, è destinato ad interferire sulla posizione sostanziale del ricorrente. La qualificazione, invece, sta a significare che l’interesse, individuale o collettivo, è considerato dalla norma attributiva del potere, nel senso che detta norma, ovvero l’ordinamento nel suo complesso, devono prendere in considerazione, oltre l’interesse pubblico che la norma stessa è precipuamente preordinata a soddisfare, anche l’interesse individuale, o, come nel caso in discorso, diffuso, facente capo al soggetto che intende agire in giudizio. Pertanto, la posizione delle suddette associazioni di protezione ambientale (o faunistica) riconosciute, certamente differenziata da quella della generalità dei consociati, è anche qualificata quando l’interesse sostanziale dedotto in giudizio dall’associazione attiene ad un bene ambientale preso in considerazione dall’ordinamento ed invece non è qualificata quando il bene che si mira a tutelare non viene individuato dall’ordinamento come rilevante sotto il profilo ambientale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, n. 3481/2009, cit.).

4.4. Orbene, facendo applicazione degli ora visti principi alla fattispecie in esame, sembra indubbia l’affermazione di una posizione differenziata e qualificata della ricorrente L.A.V., che perciò, come tale, è legittimata alla proposizione del ricorso indicato in epigrafe. In particolare, la qualificazione deve ritenersi sussistente alla stregua della disciplina dettata dalla l. n. 157/1992, recante norme in materia di protezione della fauna selvatica (nella quale rientrano anche i piccioni inselvatichiti, in quanto la nozione di fauna selvatica non è limitata alle specie propriamente selvatiche, ma è estesa più in generale anche agli animali di tipo selvatico: T.A.R. Toscana, Sez. II, 2 aprile 2003, n. 1165; T.A.R. Veneto, Sez. II, 24 ottobre 2008, n. 3274). Ed invero, l’art. 19, comma 2, della l. n. 157 cit. prevede, anche per le ragioni sanitarie indicate dall’ordinanza in questa sede gravata, la possibilità di adottare misure di controllo delle specie nocive, che prescindano dalla normale attività di caccia. Tuttavia, ciò può avvenire alle condizioni previste dalla medesima disposizione, cioè con l’utilizzo, di norma, di metodi ecologici: solo in subordine all’accertamento dell’inefficacia di siffatti metodi, si può ricorrere a piani di abbattimento, che però devono essere autorizzati. Da un simile complesso normativo discende la presa in considerazione, da parte dell’ordinamento, come interesse rilevante sul piano giuridico, dell’interesse fatto valere nella vicenda de qua dalla L.A.V. (quello a preservare il patrimonio faunistico) in quanto è evidente che l’ordinamento considera l’abbattimento e pertanto l’eliminazione cruenta degli animali in parola (persino se, in ipotesi, nocivi sotto il profilo sanitario) l’extrema ratio, cioè la soluzione utilizzabile solamente quando tutte le altre si dimostrino inefficaci. Al predetto interesse, anzi, l’ordinamento attribuisce particolare rilevanza, se è vero che ne effettua il bilanciamento con interessi primari, pure di rango costituzionale (salute pubblica, tutela del suolo, tutela del patrimonio storico artistico, ecc.). Né si può dubitare che di un interesse simile l’odierna ricorrente sia portatrice, giacché un dubbio di tal genere riceve immediata confutazione dall’analisi dello statuto della L.A.V., il cui art. 2 prevede, tra gli scopi associativi, la lotta contro ogni forma di violenza sugli animali per il rispetto del diritto alla vita di ogni essere vivente, e la diffusione nella società di una cultura che insegni a convivere con gli animali in modo corretto e non conflittuale, in modo da pervenire ad una visione non più antropocentrica, ma biocentrica. Vi è, dunque, una piena coerenza tra l’interesse fatto valere in giudizio e gli scopi statutari della L.A.V., con la conseguenza di dover riconoscere l’esistenza sia della legittimazione, sia dell’interesse ad agire dell’associazione (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 24 luglio 2003, n. 5244).

4.5. Sempre in via preliminare, va però meglio delimitato l’interesse ad agire della ricorrente, di cui, una volta affermatane in linea generale la sussistenza, deve verificarsi se si estenda o meno a tutte le misure predisposte dal provvedimento impugnato.

4.6. Sul punto, deve negarsi che la L.A.V. abbia un interesse a chiedere l’annullamento delle misure disposte al par. 1) del citato provvedimento e cioè l’ordine di distruzione di nidi e uova in luoghi di usuale posizionamento, di rimozione periodica e costante delle deiezioni dei volatili nei punti critici di accumulo, e di infossamento delle eventuali spoglie di questi previo cospargimento di calce viva. Si tratta, infatti, per un primo verso (distruzione di nidi e uova) di misure che già si inquadrano nelle normali facoltà dei proprietari di protezione economica del proprio diritto (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 1165/2003, cit.); per altro verso (rimozione delle deiezioni, infossamento delle spoglie), di misure che rispondono ad esigenze di igiene e sanità pubblica e di decoro e non producono oggettivamente alcun danno agli animali. Il merito del ricorso verrà, quindi, analizzato con riferimento alle misure disposte al par. 2 dell’ordinanza e cioè la cattura e l’abbattimento dei volatili. Sul punto deve essere chiarito, infatti, che l’interesse ad agire della L.A.V. sussiste in relazione non solo all’abbattimento, ma anche alla cattura dei volatili, poiché questa è misura che già di per sé, qualora attuata con mezzi crudeli o comunque sproporzionati, è in grado di cagionare danno agli animali (diversamente dal cd. scaccio: cfr. T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 1165/2003, cit.). Una simile conclusione è poi decisamente rafforzata – ed anzi, resa inevitabile – dalla considerazione che, nel caso di specie, l’ordinanza non specifica il fine ultimo, al quale la cattura dei volatili è preordinata: se cioè, al fine della successiva adozione di metodi ecologici, ex art. 19, comma 2, della l. n. 157/1992, per realizzare l’intervento a scopo sanitario, od in vista comunque dell’eliminazione dei suddetti volatili, nel qual caso la cattura sfocerebbe nell’abbattimento e, dunque, in una misura rispetto alla quale si è dimostrato l’interesse ad agire della ricorrente.

4.7. La pronuncia di merito si estenderà, inoltre, alle misure previste al par. 3 dell’ordinanza de qua (sistemazione entro trentasei mesi di accorgimenti, cd. dissuasori, per scoraggiare lo stazionamento dei volatili), nei limiti in cui anche siffatti accorgimenti siano idonei a nuocere all’incolumità degli animali in discorso ed a cagionarne la morte, perché anche in questo caso si tratterebbe di misura in sostanza equivalente all’abbattimento e, comunque, lesiva dell’interesse (giuridicamente rilevante) fatto valere dall’associazione ricorrente. Mentre a diversa conclusione deve pervenirsi per la misura dettata al par. 4 dell’ordinanza sindacale (divieto di somministrazione di cibo o alimenti ai volatili), per la quale deve, invece, nuovamente evidenziarsi la carenza di interesse in capo all’associazione, in base alle medesime ragioni già sopra illustrate per le misure di cui al par. 1 e cioè l’assenza di un danno reale per gli animali (che ben potranno procurarsi il cibo aliunde) e l’esistenza della normale facoltà dei proprietari di proteggere il proprio diritto.

5. Venendo all’esame del merito del ricorso, il Collegio sottolinea come in ordine allo stesso risulti assorbente il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto l’asserita insussistenza dei presupposti per l’adozione di un’ordinanza ex artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.). Ciò, giacché, essendo palese che il Comune intimato non ha seguito la procedura ed i metodi dettati per la problematica in esame dall’art. 19, comma 2, della l. n. 157/1992, è chiaro che, qualora si accertasse l’insussistenza dei presupposti per l’emanazione della succitata ordinanza sindacale, non si porrebbe nemmeno un problema di legittimità, attraverso detta ordinanza, della deroga alle procedure e metodi ex art. 19, comma 2, cit., ma una simile deroga sarebbe ex se illegittima (perché non “coperta”) e per ciò solo anche il secondo e terzo motivo di gravame sarebbero fondati.

5.1. Orbene, tanto premesso, ad avviso del Collegio è palese l’insussistenza, nella fattispecie de qua, dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza gravata e, quindi, la fondatezza della censura avanzata sul punto dalla ricorrente. Già in sede cautelare era stato rilevato – con osservazione cui il Collegio pienamente aderisce – come la situazione, sulla base della quale l’ordinanza è stata adottata, non ha i caratteri né dell’eccezionalità, né dell’imprevedibilità. Come affermato dal Collegio in un caso del tutto analogo a quello ora in esame, l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 (già art. 38, comma 2, della l. n. 142/1990), attribuisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di sanità ed igiene purché sussistano i presupposti della straordinarietà e dell’urgenza della situazione (T.A.R. Toscana, Sez. II, ord. 6 maggio 2009, n. 355/2009; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 29 marzo 2004, n. 2922).

5.2. Il punto richiede un chiarimento: la questione, infatti, non è propriamente quella della compiuta enunciazione o meno, ad opera del provvedimento, dei possibili pericoli per la salute pubblica e per l’incolumità derivanti dalla presenza dei suddetti volatili (enunciazione che comunque è considerata necessaria dalla giurisprudenza perché l’ordinanza sindacale possa dirsi legittima: T.A.R. Piemonte, Sez. I, 12 giugno 2002, n. 1208). Ed invero, nel caso di specie un’elencazione, sebbene sintetica, dei succitati pericoli è presente, facendo riferimento l’ordinanza agli accertamenti eseguiti dall’Azienda Sanitaria – Zona Mugello su feci di piccione nelle zone maggiormente frequentate da detto volatile, da cui risulta la presenza di salmonella typhimurium e zecche: ma ciò, di per sé, avrebbe consentito alla P.A. – come si è visto – di attivare il procedimento di controllo, per così dire ordinario, previsto dall’art. 19, comma 2, della l. n. 157/1992. Ciò che è, invece, stato del tutto omesso è l’indicazione delle ragioni di imprevedibilità ed eccezionalità del pericolo (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 16 gennaio 2006, n. 88), tali da giustificare il ricorso allo strumento ex art. 54 T.U.E.L. e, quindi, la deroga alla procedura ex art. 19, comma 2, cit.: come questo Tribunale ha già avuto modo di precisare (T.A.R. Toscana, Sez. II, 9 aprile 2004, n. 1006), il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti presuppone, oltre all’esistenza ed indicazione, nel provvedimento gravato, di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso ove la P.A. non intervenga prontamente, anche (o meglio, soprattutto) la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di carattere eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile fare fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento. Pertanto, ai sensi degli artt. 50 e 54 T.U.E.L., per giustificare il ricorso allo strumento ordinatorio, il collegamento con le esigenze di protezione dell’igiene e della salute pubblica costituisce presupposto necessario ma non sufficiente, se non sussistano gli ulteriori particolari requisiti di urgenza.

5.3. La mancata indicazione dei predetti requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità del pericolo, e, per l’effetto, dell’urgenza dell’intervento e dell’impossibilità di utilizzare gli altri strumenti previsti dal sistema, vizia irreparabilmente l’ordinanza impugnata, rendendone inevitabile la declaratoria di illegittimità. Ciò tanto più che vi sono fondati motivi per escludere la sussistenza dei requisiti stessi, sia per il tipo di situazione, sia perché la data degli accertamenti effettuati dall’Azienda Sanitaria – Zona Mugello non viene specificata nell’ordinanza sindacale e, quindi, non si riesce a comprendere se si tratta di accertamenti recenti, oppure (come verificatosi in altri casi, per es. in quello al quale si riferisce la ricordata ordinanza n. 355/2009 del 6 maggio 2009) piuttosto risalenti (tali, pertanto, da escludere ipso facto il requisito dell’urgenza del provvedere).

5.4. La fondatezza del primo motivo determina di per sé, come più sopra rammentato, la fondatezza anche del secondo e del terzo motivo, in quanto ambedue basati sull’illegittimità della “deroga” alla procedura ordinaria dettata dall’art. 19, comma 2, della l. n. 157/1992 (o meglio, sulla violazione di siffatta disposizione). Ma è meritevole di condivisione pure il quarto ed ultimo motivo, poiché sono manifeste la contraddittorietà e l’illogicità in cui è incorso il provvedimento impugnato, lì dove si è preoccupato di prevedere garanzie per l’abbattimento dei volatili a mezzo di fucili nei centri urbani, senza prendere in analoga considerazione i rischi che il ricorso a tale metodo può comportare anche nelle aree non urbane.

5.5. In definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto in relazione a tutti i motivi. Per l’effetto, va disposto l’annullamento dell’ordinanza sindacale gravata nelle parti per le quali, come si è visto più sopra, sussiste l’interesse a ricorrere dell’associazione ricorrente e cioè con riguardo alle misure indicate al par. 2 ed al par. 3 dell’ordinanza stessa.

6. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in base al vigente testo dell’art. 92 c.p.c., sia giacché parte delle misure contenute nell’atto gravato non è colpita dalla pronuncia demolitoria, sia in ragione delle esigenze di interesse pubblico sottese all’atto stesso.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Seconda Sezione, così definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nelle parti specificate in motivazione.

Compensa le spese.

Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del 5 novembre 2009, con l’intervento dei Magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario

Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/12/2009