TAR Lazio (RM) Sez. II sent. 141 del 12 gennaio 2010
Ambiente in genere. Costruzone centrale termoelettrica

Vicenda relativa all domanda per l\'annullamento previa sospensione dell\'efficacia, del decreto prot. n. 55/03/2009 del 6 agosto 2009, successivamente comunicato, con cui il Ministero dello sviluppo economico – Dip. per l\'energia ha prorogato, a favore della Società controinteressata, i termini ex artt. 3 e 4 del precedente DM prot. n. 55/10/2004 del 3 settembre 2004, recante l’autorizzazione unica per la costruzione d’una centrale termoelettrica e delle opere connesse
N. 00141/2010 REG.SEN.
N. 09290/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda) sentenza n. 141/2010
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 21 e 26 della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e s.m.i., sul ricorso n. 9290/2009 RG, proposto dal COMUNE DI SALERNO, in persona del sig. Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall\'avv. Antonio BRANCACCIO, con domicilio eletto in Roma, alla via Taranto n. 18,
contro
- il MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, il MINISTERO DELL\'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA\' CULTURALI, il MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, il MINISTERO DELL\'INTERNO, il MINISTERO DELLA DIFESA ed il MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona dei rispettivi sigg. Ministri pro tempore, tutti rappresentati e difesi ope legis dall\'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12 e
- la REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, la PROVINCIA DI SALERNO e la PROVINCIA DI AVELLINO, in persona dei rispettivi sigg. Presidenti pro tempore, il COMUNE DI SERINO, in persona del sig. Sindaco pro tempore e le AUTORITA\' DI BACINO NAZIONALE DEI FIUMI LIRI, GARIGLIANO E VOLTURNO, AUTORITA\' DI BACINO REGIONALE DEL SARNO ed AUTORITA\' DI BACINO REGIONALE IN DESTRA SELE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti nel presente giudizio e
nei confronti di
ENERGY PLUS s.p.a., corrente in Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dall\'avv. Antonio Cosimo CUPPONE, con domicilio eletto in Roma, piazza d\'Ara Coeli n. 1,
per l\'annullamento
previa sospensione dell\'efficacia,
A) – del decreto prot. n. 55/03/2009 del 6 agosto 2009, successivamente comunicato, con cui il Ministero dello sviluppo economico – Dip. per l\'energia ha prorogato, a favore della Società controinteressata, i termini ex artt. 3 e 4 del precedente DM prot. n. 55/10/2004 del 3 settembre 2004, recante l’autorizzazione unica per la costruzione d’una centrale termoelettrica e delle opere connesse; B) – ove occorra, della nota dirigenziale del 6 agosto 2009, di trasmissione del decreto impugnato; C) – della nota prot. n. 0000486 dell’8 gennaio 2008, richiamata nel decreto impugnato, con cui il Ministero intimato ha manifestato, in via preventiva rispetto alla richiesta della Società controinteressata, la propria disponibilità alla ridefinizione dei termini di cui al DM n. 55/10/2004; D) – della nota prot. n. 0000259 del 7 gennaio 2009, richiamata nel decreto impugnato, con cui il Ministero intimato ha comunicato alla Società controinteressata i motivi ostativi della di lei istanza circa la proroga dei termini d’inizio ed ultimazione dei lavori e d’entrata in esercizio dell’impianto realizzando e, al contempo, le ha preannunciato l’accoglimento di quella circa la proroga dei termini per la conclusione dell’espropriazione; E) – della nota prot. n. 0004299 del 15 gennaio 2009, richiamata nel decreto impugnato, con cui il Ministero intimato ha diramato alle Amministrazioni interessate l’avvio del procedimento per l’adozione d’un provvedimento di proroga dei termini de quibus; F) – ove occorra, della nota ministeriale prot. n. 0019702 del 23 novembre 2007; G) – ove occorra, delle istanze della Società controinteressata note prott. n. 0058113 del 18 dicembre 2008, n. 0001827 del 09 gennaio 2009 e n. 0086049 del 23 luglio 2009; H) - di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e consequenziali.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio delle sole Amministrazioni statali intimate e della Società controinteressata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza camerale del 22 dicembre 2009 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati BRANCACCIO e CUPPONE e l’Avvocato dello Stato ARENA;
Avvisate le stesse parti ai sensi dell\'art. 21, X c. della l. 1034/1971, come introdotto dalla l. 21 luglio 2000 n. 205;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO
Con istanza dell’11 agosto 2003, la ENERGY PLUS s.p.a., corrente in Genova, chiese al Ministero delle attività produttive (ora, dello sviluppo economico) il rilascio dell’autorizzazione ex art. 1 del DL 7 febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55) per la costruzione e l’esercizio d’una centrale termoelettrica di potenza pari a 780 MW – da ubicare nell’area di sviluppo industriale nel territorio comunale di Salerno–, nonché per realizzare le opere connesse al funzionamento di tal impianto.
Con decreto prot. n. 55/10/2004 del 3 settembre 2004, previa acquisizione del decreto di VIA n. 584 del precedente 6 maggio, il Ministero delle attività produttive rilasciò alla predetta Società l’autorizzazione unica richiesta, stabilendo, all’art. 3, che i lavori per la realizzazione della centrale sarebbero dovuti iniziare entro il secondo semestre del 2005 e terminare entro il secondo semestre del 2008. L’art. 4 del medesimo DM autorizzò altresì detta Società a promuovere le procedure ablatorie e d’occupazione per i terreni da destinare all’impianto, le quali avrebbero dovuto aver inizio dalla data del decreto stesso e terminare entro il secondo semestre 2008.
Sennonché, a detta del Comune di Salerno, la ENERGY PLUS s.p.a. non inizio i lavori per tempo, né provvide alle necessarie espropriazioni, tant’è che quest’ultima, in data 23 novembre 2007, propose istanza al Ministero affinché fossero riattivate le procedura ablatorie. Il Ministero, in un primo tempo, rispose a detta Società di non poterne accogliere l’istanza a causa della pendenza d’un procedimento penale sulla pretesa gestione illecita delle aree espropriande. Con nota prot. n. 000468 dell’8 gennaio 2008, pur ribadendo il precedente avviso per la pendenza del citato procedimento, il Ministero le manifestò tuttavia la disponibilità a ridefinire i termini del DM n. 55/10/2004 <<… in caso di positiva definizione dei ricorsi attualmente in corso in sede giurisdizionale e dell’intervenuta inoppugnabilità del decreto di autorizzazione…>>.
Dal canto suo, la ENERGY PLUS s.p.a. in data 10 dicembre 2008, con istanza meglio precisata il successivo giorno 18, ha chiesto al Ministero, in base a quanto stabilito dall’art. 1 –quater del DL 29 agosto 2003 n. 239 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003 n. 290) e dell’art. 13 del DPR 8 giugno 2001 n. 327, la ridefinizione dei termini ex artt. 3 e 4 del DM n. 55/10/2004.
Il Ministero, con nota prot. n. 259 del 7 gennaio 2009, anzitutto ha comunicato a detta Società i motivi ostativi della di lei istanza circa la proroga dei termini d’inizio ed ultimazione dei lavori e d’entrata in esercizio dell’impianto realizzando, non potendosi sul punto provvedere, a’sensi dell’art. 1-quater del DL 239/2003, prima dell’ intervenuta inoppugnabilità dell’autorizzazione, ancora sub judice. Al contempo, il Ministero, nel ribadire quanto già detto nel 2007 circa l’impossibilità d’una mera ridefinizione dei termini per la conclusione dell’espropriazione basata solo su un contenzioso con i soggetti espropriandi, ha però preannunciato a detta Società, con riguardo all’art. 13 del DPR 327/2001 e dell’art. 13 della l. 25 giugno 1865 n. 2359, l’accoglimento di quella circa la proroga dei predetti termini in relazione alle vicende penali interessanti la gestione delle aree da espropriare. Sicché la ENERGY PLUS s.p.a. il successivo 9 gennaio ha chiesto al Ministero stesso, fermo quanto da quest’ultimo detto in ordine ai termini ex art. 3 del DM recante l’autorizzazione unica, <<… la sollecita adozione del preannunciato provvedimento di proroga dei termini per lo svolgimento della procedura espropriativa relativa alle opere connesse….>>. Detta Società, con successiva istanza del 3 luglio 2009, ha significato al Ministero, stante l’applicabilità nella specie della l. 2359/1865 e non del DPR 327/ 2001 –grazie alla regola posta dall’art. 1-sexies, c. 7 del DL 239/ 2003 e s.m.i.–, di voler optare per il beneficio di cui all’art. 57-bis dello stesso decreto n. 327 a favore del proponente l’infrastruttura energetica, <<… al fine di proseguire e definire la procedura espropriativa e/o di asservimento relativa alle aree interessate dalla realizzazione delle opere connesse alla centrale termoelettrica…>> in questione.
È intervenuto dunque il decreto prot. n. 55/03/2009 del 6 agosto 2009, con cui il Ministero dello sviluppo economico – Dip. per l\'energia ha prorogato, a favore di detta Società, i termini ex artt. 3 e 4 del precedente DM n. 55/10/2004.
Avverso detto decreto insorge allora il Comune di Salerno innanzi a questo Giudice, con il ricorso in epigrafe, deducendo in punto di diritto otto articolati gruppi di censure. Resistono in giudizio le sole Amministrazioni statali intimate, che concludono per l’infondatezza della pretesa attorea. S’è costituita nel presente giudizio anche la controinteressata ENERGY PLUS s.p.a., la quale eccepisce articolatamente l’infondatezza della pretesa attorea.
All’udienza camerale del 22 dicembre 2009, su conforme richiesta delle parti e sussistendone i presupposti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio per esser deciso nelle forme di cui all’art. 26, V c della l. 6 dicembre 1971 n. 1034.
DIRITTO
1. – Il Comune di Salerno ha adito questo Giudice, con il ricorso in epigrafe, per l’annullamento del decreto prot. n. 55/03/2009 del 6 agosto 2009, con cui il Ministero dello sviluppo economico – Dip. per l\'energia ha prorogato, a favore della controinteressata ENERGY PLUS s.r.l., corrente in Genova, i termini di cui agli artt. 3 e 4 del DM n. 55/10/2004 del 3 settembre 2004, recante l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7 febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55) per la costruzione e l’esercizio d’una centrale termoelettrica di potenza pari a 780 MW – da ubicare nell’area di sviluppo industriale nel territorio comunale di Salerno–, nonché per realizzare le opere connesse al funzionamento di tal impianto.
Per una più agevole comprensione delle vicende di causa, reputa opportuno il Collegio chiarire che, in origine, il vecchio testo dell’art. 3 del DM n. 55/10/2004 stabilì che i lavori per la realizzazione di detta centrale sarebbero dovuti iniziare entro il secondo semestre del 2005 e terminare entro il secondo semestre del 2008, mentre il successivo art. 4 autorizzò la controinteressata a promuovere le procedure ablatorie e d’occupazione per i terreni da destinare all’impianto, le quali avrebbero dovuto aver inizio dalla data del decreto stesso e terminare entro il secondo semestre 2008.
Il decreto oggidì impugnato, nelle sue premesse, ha anzitutto ritenuto <<… non imputabili alla volontà e alla responsabilità del produttore (la controinteressata ENERGY PLUS s.r.l. – NDE) i ritardi nell’esecuzione dei lavori, nonché i ritardi nel procedimento di espropriazione delle aree individuate nel piano particolareggiato delle opere autorizzate…>>. In secondo luogo, il decreto ha considerato, in relazione all’istanza della controinteressata in data 3 luglio 2009 –recante l’opzione espressa di questa per la disciplina espropriativa ex art. 57-bis del DPR 8 giugno 2001 n. 327 al fine di proseguire e definire la relativa procedura per le aree de quibus–, di condividere nella specie siffatta opzione, nella considerazione <<… che l’ autorizzazione unica n. 55/10/2004 è stata rilasciata … in data 3 settembre 2004 e che la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, contestuale al rilascio del provvedimento, è pertanto intervenuta entro il 31 dicembre 2004, così come prescritto…>> dal citato art. 57-bis. Sicché, in modificazione dell’art. 3 del DM n. 55/10/2004, la controinteressata è adesso tenuta <<… ad avviare i lavori (della centrale) entro il 6 aprile 2010, ossia entro 12 mesi a partire dal 6 aprile 2009, data dell’intervenuta inoppugnabilità del decreto stesso …>> ed a terminarli <<…entro 36 mesi dalla predetta data di avvio …>>, mentre la messa in esercizio della centrale, secondo la definizione all’uopo recata dall’art. 23, c. 5, lett. a) del DL 30 dicembre 2005 n. 273 (convertito, con modificazioni, dalla l. 23 febbraio 2006 n. 51) dovrà avvenire entro il 6 aprile 2013. L’art. 4 del precedente DM è stato invece modificato nel senso che la controinteressata, a’sensi dell’art. 13 del DPR 327/2001, dovrà concludere le espropriazioni dell’area d’impianto della centrale e delle aree connesse entro due anni dalla data del decreto qui impugnato.
2. – Questo essendo, per sommi capi, il quadro fattuale di riferimento, va rigettato il primo mezzo di gravame, con cui il Comune ricorrente lamenta l’inapplicabilità, nella specie, dell’art. 1-quater, c. 1 del DL 29 agosto 2003 n. 239 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003 n. 290) per prorogare i termini de quibus, in assenza, a suo dire, di quei gravi e giustificati motivi che avrebbero oggettivamente impedito l’inizio dei lavori e delle espropriazioni e non potendosi al riguardo far riferimento alla norma citata, che concerne piuttosto l’ipotesi della decadenza per inattività del titolare dell’autorizzazione.
L’art. 1-quater, c. 1 del DL 239/2003 stabilisce la decadenza dell’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002, per gli impianti energetici del tipo di quello per cui è oggi causa, <<… ove il titolare, entro dodici mesi dal momento in cui il provvedimento di autorizzazione è divenuto inoppugnabile, a seguito della definizione di eventuali ricorsi in sede giurisdizionale, non comunichi di avere dato inizio ai lavori di realizzazione dell\'iniziativa…>>.
Ora, si può forse discettare se, allo scopo di consentire al soggetto attuatore del programmato impianto d’aver piena contezza del termine inutilmente decorso il quale esso incappa nella decadenza in parola, occorra, o no un provvedimento espresso e quale ne sia la natura, se meramente dichiarativa, o d’accertamento.
Ad una serena lettura della norma, tuttavia, emerge la necessità che la P.A. titolare della potestà autorizzativa proceda alla verifica sia del dies a quo del termine di decadenza –in relazione, cioè, a quando in effetti sia intervenuta l’inoppugnabilità del decreto d’autorizzazione–, sia dell’esatto contenuto della dichiarazione che il titolare deve rendere per impedirla. La norma, quindi, stabilisce sì una decadenza, ma al dichiarato fine <<… di conferire un elevato grado di certezza agli investimenti previsti nel settore energetico e consentire un\'adeguata programmazione nello sviluppo delle reti infrastrutturali dell\'energia … >>. E tal certezza concerne non solo che siano seri e definiti l’impegno ed il tempo occorrenti per l’effettiva realizzazione dell’impianto autorizzato –sì da garantire, per ovvie ragioni d’efficacia dell’azione amministrativa, il ritorno dell’investimento e lo sviluppo delle reti energetiche–, ma anche il soggetto attuatore, il quale deve poter adempiere agli obblighi assunti, in base alla legge ed al titolo, al netto d’ogni interferenza strumentale di terzi o di eventi estranei alla normale alea dell’attività così intrapresa. Non a caso, per vero, il termine de quo, proprio perché si riferisce in modo generico (rectius, atecnico) alla <>, riguarda e comprende tutte le vicende che, in varia guisa, determinano la cessazione della controversia, tra cui, quindi, pure, ma non solo, il giudicato ex art. 2909 c.c.
Nella specie, fermo quindi il corretto richiamo all’art. 23, c. 5, lett. a) del DL 273/2005 per l’esatta ricognizione del termine <> contenuto nel DM n. 55/10/2004 –la quale corrisponde alla definizione di <> indicata da tal norma–, il decreto impugnato è, circa i termini inerenti ai lavori, ricognitivo dell’assenza d’ogni responsabilità, in capo alla controinteressata, per non aver dato corso ai lavori in pendenza d’un contenzioso tutt’altro che semplice e scontato. Sicché in questa parte l’atto impugnato si limita ad accertare, alla luce del pregresso e finalmente definito contenzioso, il vero (perché depurato da ogni interferenza) dies a quo da cui computare il consequenziale dies ad quem per l’eventuale decadenza dal titolo autorizzativo o, il che è lo stesso, il tempo dell’esigibilità della prestazione del soggetto attuatore. E ciò per l’evidente ragione di conferire certezza, dopo anni di contenziosi in entrambi i gradi giudizio protrattisi dal 2004 al 2008, a tutti gli attori istituzionali coinvolti nella complessa vicenda in esame, onde scolorano tutte le questioni, sollevate anche all’udienza camerale, sulla superfluità, se non sulla futilità in parte qua del decreto impugnato.
È appena da osservare, viceversa, che di proroga propriamente detta nella specie si può parlare, per tabulas, solo per i termini inerenti alle espropriazioni, onde non chi non veda l’equivoco in cui è incorso il Comune ricorrente tentando d’attrarre, mercè un’interpretazione non congrua del decreto impugnato, la fattispecie d’accertamento colà descritta ad una di proroga, a suo dire, in assenza dei presupposti. Non sfugge per vero al Collegio la regola per cui il termine ex art. 1-quater, c. 1 debba intendersi <<… al netto… di eventuali ritardi dovuti a cause di forza maggiore che il titolare dell\'autorizzazione ha l\'obbligo di segnalare e documentare...>> (c. 2), in virtù della quale si rende insensibile detto termine (e, quindi, l’esigibilità stessa dell’adempimento del soggetto attuatore) ad ogni possibile interferenza di natura diversa dal contenzioso e indipendentemente da questo. In tal caso, a differenza di ciò che opina il Comune ricorrente, la P.A. intimata ben avrebbe potuto al contempo accertare, a modificazione del termine ab initio stabilito una volta che si fosse verificato (come nella specie) un contenzioso, il dies a quo dell’intervenuta inoppugnabilità in relazione a quale fatto o atto avesse determinato quest’ultima e disporre la proroga del termine medesimo a’sensi dell’art. 1-quater c. 2 del DL 239/2003, laddove ne avesse riscontrato i documentati presupposti. In concreto, però, il decreto impugnato s’è limitato, in ordine ai termini di cui all’art. 3 del DM n. 55/10/2004, soltanto ad accertare la definizione d’un non irrilevante contenzioso pregresso, articolatosi in cinque ricorsi innanzi al Giudice di prime cure e tre gravami in appello –di cui, d’altronde, lo stesso Comune ricorrente ha piena conoscenza–, di talché scolorano tutte le questioni da esso poste sulla pretesa imputabilità di “ritardi” alla sola Società controinteressata.
3. – Certo, il ripetuto art. 1-quater, c. 1 non impone necessariamente, affinché si pervenga ad un’esatta ricognizione dell’inoppugnabilità del titolo autorizzativo, che la definizione di eventuali ricorsi debba coincidere per forza con la formazione del giudicato, ma neppure esclude, a seconda dei casi concreti, siffatta coincidenza. Sicché nella specie, una volta iniziato il contenzioso e non essendo intervenute vicende altrimenti estintive dei ricorsi giurisdizionali a suo tempo proposti avverso il decreto n. 55/10/2004, la definizione dell’iter processuale si ha soltanto con il passaggio in giudicato delle relative sentenze.
Ora, in tema di giudicato amministrativo (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 10 ottobre 2005 n. 5474), è È jus receptum che la peculiarità di questo, che non esaurisce da solo la disciplina del rapporto sostanziale dedotto in giudizio –nella misura in cui, com’è noto, occorre pure il compimento di un\'ulteriore attività amministrativa–, non esclude certo l\'applicazione degli art. 2909 c.c. e 324 c.p.c. In tal caso, la res judicata amministrativa ha efficacia preclusiva e d’accertamento sostanziale negli stessi limiti del giudicato ordinario.
Inoltre, è ben noto che le decisioni del Consiglio di Stato, quand’anche siano rese nella competenza esclusiva di questo Giudice (cfr. Cass., sez. un. 5 giugno 2006 n. 13176; id., 23 dicembre 2008 n. 30254), restano pur sempre soggette, ai sensi dell\'art. 111, VIII c., Cost., al ricorso per cassazione anche se solo per i motivi inerenti alla giurisdizione, nonché al rimedio della revocazione a’sensi dell\'art. 36 della l. 1034/1971. Pertanto, il passaggio in giudicato di tali decisioni ha luogo non il giorno della pubblicazione della pronuncia, bensì, come previsto dall\'art. 324 c.p.c., il giorno in cui la decisione non è più soggetta né a ricorso per cassazione né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell\'art. 395 c.p.c., ossia, se tali ricorsi non sono proposti, il giorno in cui ne scadono i termini (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 21 agosto 2003 n. 4729; id., 16 giugno 2008 n. 2986). Erra, allora, il Comune ricorrente, per un verso, a sottovalutare la portata di tali arresti e principi che servono all’interprete e, maxime, alla P.A. procedente per determinare, in modo a tutti visibile, la data certa in cui il contenzioso de quo s’è concluso rendendo inoppugnabili le statuizioni contenute nel titolo autorizzativo. Erra, per altro verso, a ritenere irrilevante il pregresso contenzioso in sé, sì da reputare non necessario <<… attendere l’eventuale esperimento di possibili rimedi giurisdizionali straordinari avverso le decisioni del Consiglio di Stato…>>, posto che è il medesimo art. 1-quater, c. 1 a “sterilizzare” il termine di decadenza da ogni effetto derivante dalle controversie, appunto per garantire la certezza degli investimenti e dell’effettiva realizzabilità degli impianti energetici.
Non è chi non veda come, davanti ad una così chiara e non controvertibile ratio che la norma citata manifesta, fino alla definizione del predetto contenzioso ogni ulteriore investimento, ogni espropriazione ed ogni lavoro effettuato sarebbero stati se non imprudenti (ossia, contrari a principi di legalità e di buon andamento), almeno intempestivi ed a rischio di causare danni illeciti a terzi. A più forte ragione erronea s’appalesa la contestazione attoreo al passaggio, contenuto nel decreto impugnato, per cui i ritardi sarebbero <<… non imputabili alla volontà e alla responsabilità del produttore…>>, giacché tal richiamo concerne non già i termini in esame, bensì quelli relativi alle espropriazioni, oggetto di altre censure, onde sul punto nulla quaestio.
È poi manifestamente infondata la questione sulla pretesa violazione, in ordine a quanto fin qui detto, dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto il decreto qui impugnato è non già una nuova autorizzazione ex art. 1 del DL 7/2002, ma l’accertamento dei presupposti ex art. 1-quater del DL 239/2003 per la nuova fissazione dei termini per i lavori, nel qual caso l’unica destinataria della relativa statuizione è la controinteressata e non altri.
Neppure convince la tesi del Comune ricorrente circa il tempo atteso dalla controinteressata, dopo l’intervenuto deposito delle decisioni d’appello del Supremo Consesso, per chiedere al Ministero la c.d. “ridefinizione” dei termini ex artt. 3 e 4 del DM n. 55/10/2004, richiesta, appunto, avvenuta solo il 10 dicembre 2008.
In disparte quanto sopra detto in ordine alla definizione del contenzioso ed al tempo in cui s’è verificata l’inoppugnabilità del DM stesso, consta in atti anzitutto la nota prot. n. 468 dell’8 gennaio 2008, con cui il Ministero già aveva manifestato alla controinteressata la propria disponibilità a ridefinire i termini de quibus <<… in caso di positiva definizione dei ricorsi attualmente in corso in sede giurisdizionale e dell’intervenuta inoppugnabilità del decreto di autorizzazione…>>. Pertanto, già da tempo, anzi ben prima della definizione del predetto contenzioso –il quale già si protraeva da lunga pezza–, detta Società aveva chiesto l’assegnazione di nuovi termini, ribadendo ciò anche con la domanda in data 10 dicembre 2008, meglio precisata il successivo giorno 18. Il Ministero, con nota prot. n. 259 del 7 gennaio 2009, ha comunicato alla controinteressata i motivi ostativi della di lei istanza circa la proroga dei termini d’inizio ed ultimazione dei lavori e d’entrata in esercizio dell’ impianto realizzando, non potendosi sul punto provvedere, ai sensi dell’art. 1-quater del DL 239/2003, prima dell’intervenuta inoppugnabilità dell’autorizzazione, in quel momento ancora sub iudice. Al contempo, il Ministero, nel ribadire quanto già detto nel 2007 circa l’impossibilità d’una mera ridefinizione dei termini per la conclusione dell’espropriazione basata solo su un contenzioso con i soggetti espropriandi, ha però preannunciato a detta Società, con riguardo all’art. 13 del DPR 327/2001 e dell’art. 13 della l. 25 giugno 1865 n. 2359, l’accoglimento di quella circa la proroga dei predetti termini in relazione alle vicende penali interessanti la gestione delle aree da espropriare. Da ciò discende che il tempo “perduto” deriva per tabulas non già da scelte, più o meno callide, della controinteressata di tirare a lungo, ma dallo svolgimento in concreto delle liti direttamente incidenti sull’attività di detta Società.
4. – Per vero poco perspicua s’appalesa altresì la censura attorea sulla pretesa violazione, da parte del decreto qui impugnato, dell’art. 1-quater, c. 5 del DL 239/2003. Detta norma attiene non già a quanto fin qui detto circa il significato e gli effetti della disposizione di cui al precedente c. 1, bensì al caso, che nella specie non s’è ancora verificato, in cui il soggetto attuatore, tempestivamente iniziati i lavori per l’impianto, incappi in situazioni di forza maggiore e, comunque, a lui non imputabili che determinino il ritardo nella messa in esercizio di quest’ultimo. Al più, come rettamente eccepisce la controinteressata, l’argomento del richiamo al provvedimento ex art. 1-quater, c. 5 serve a dimostrare che, mentre nel caso contemplato in detta norma la P.A. deve verificare i presupposti e, se del caso, provvedere di conseguenza, in quello indicato nel precedente c. 1 la P.A. si limita, come nella specie, a verificare quando s’è verificata l’inoppugnabilità del titolo autorizzativo e da quello ne ricava, secondo parametri predefiniti e non discrezionali, il calcolo dei nuovi termini.
5. – Non maggiori profili di fondatezza si possono rinvenire nel terzo motivo d’impugnazione, inerente ai termini per l’espropria- zione, con cui il Comune ricorrente si duole dell’intervenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità stabilita dal DM n. 55/10/2004, la cui proroga, a suo dire, sarebbe stata chiesta dalla controinteressata ben dopo la scadenza del termine, 31 dicembre 2008, per completare le procedure ablatorie.
Anzitutto, giova osservare in punto di fatto che l’istanza di proroga del termine per le espropriazioni è stata presentata dalla controinteressata il 10 dicembre 2008, ossia ben prima della scadenza di questo come ab origine stabilito dal DM n. 55/10/2004. È allora nella facoltà della P.A. procedente, ove ne riscontri la legittimità dei presupposti, disporre l’invocata proroga anche dopo la scadenza del termine stesso, posto che la proroga stessa è una statuizione di secondo grado preordinata a modificare in parte qua (nella specie, la relativa durata temporale) il complesso degli effetti giuridici delineati dall\'atto originario. La proroga non richiede la rinnovazione totale di tutti gli elementi istruttori posti a base di quest’ultimo, né esige la ripetizione di tutte le tappe procedimentali che ne hanno condotto all\'adozione, a condizione che esso sia ad efficacia durevole, cioè i suoi effetti non si siano definitivamente esauriti (arg. ex Cons. St., V, 18 settembre 2008 n. 4498). Poiché, nella specie, il decreto n. 55/10/2004 è rimasto sub judice fino al 6 aprile 2009, i relativi effetti hanno ripreso a dispiegarsi a partire da quella data e, quindi, né al 31 dicembre 2008, né tampoco al successivo 6 aprile e ancor di più alla data in cui è stato assunto il decreto impugnato, erano ben lungi dall’essersi esauriti.
Da ciò discende la sostanziale inutilità di disputare sul momento in cui interviene la P.A. a modificare il predetto termine, perché, nei procedimenti autorizzativi per gli impianti energetici ex DL 7/2002, quello relativo alle espropriazioni esiste non già ex se, ma solo in quanto la dichiarazione di pubblica utilità è prevista dal (e solo grazie al) titolo autorizzativo per i lavori relativi alla costruzione dell’impianto stesso –che, com’è noto, è realizzato addirittura in deroga ad ogni previsione urbanistica–, stante lo stretto vincolo funzionale tra la dichiarazione stessa e l’attività autorizzata.
Inoltre, quando a’sensi dell’art. 1-quater, c. 1 del DL 239/2003 si verifica la “sterilizzazione” del termine per i lavori, occorre effettuare una lettura costituzionalmente orientata del combinato disposto di tal norma e dell’art. 1, c. 1 del DL 7/2002, in relazione, cioè, sia alla tutela della proprietà privata, sia alla loro ratio, la quale costituisce, finoall’attuazione dell’art. 117, III c., Cost., il titolo specifico che sorregge l’intervento normativo statale a tutela dell’interesse sovraregionale non frazionabile nella materia degli impianti energetici a rete, affidata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni. In tal caso, i termini per le espropriazioni, che sono collegati funzionalmente per eadem ratio a quelli per i lavori, non possono che seguirne le sorti e subirne le eventuali condizioni, senza che, per questo scopo, si debba prevedere una regola ad hoc per la loro proroga. Invero, la tutela globale degli interessi nazionali, affidata dalle norme dianzi citate alla P.A. statale, le ha lasciato il prudente e discrezionale apprezzamento di meglio coordinare le due attività (lavori ed espropriazioni) in relazione all’esito delle vicende del titolo autorizzativo. Diversamente argomentando –ove, cioè, si rendessero reciprocamente indipendenti le due attività ex art. 1 del DL 7/2002–, si determinerebbe il concreto ed inutile rischio che, eventualmente annullata l’una, l’altra assuma la connotazione non più d’attività esecutiva d’una potestà ablatoria, bensì di mera occupa- zione sine titulo di beni altrui.
Neppure ha gran senso dolersi della soluzione di continuità, come nella specie materialmente verificatasi, tra il termine originario e quello da ultimo fissato con il decreto qui impugnato. Per un verso, i termini indicati nel decreto n. 55/10/2004 sarebbero stati inderogabili solo a condizione che non si fosse mai verificato alcun contenzioso, il quale, invece, ha reso necessaria l’applicazione del ripetuto art. 1-quater, c. 1. Per altro e consequenziale verso, detti termini ex lege non son stati più a pena di decadenza, di talché essi, appunto perché stabiliti unilateralmente dalla P.A., restano nella disponibilità di quest’ultima, che può prorogarli ove non esistano ragioni ostative e la proroga, in base alle sue valutazioni discrezionali, appaia conforme all’interesse pubblico (cfr. in terminis, per l’impianto d’una centrale termoelettrica, Cons. St., VI, 24 febbraio 2009 n. 1085). Per altro verso ancora, in disparte l’assentimento fin dal 31 dicembre 2008 d’una proroga ex art. 13 del DPR 327/2001 per l’area d’impianto ed una ex art. 13 della l. 2359/1865 per le aree connesse, importa non già l’eventuale iato materiale tra detti termini, ma che la P.A. abbia avuto cognizione delle giustificate ragioni del ritardo prima della scadenza di quello originario e vi provveda con ragionevole tempestività. Tanto non volendo considerare altresì che, trattandosi nella specie d’un impianto energetico autorizzato prima del 31 dicembre 2004, soccorre l’art. 57-bis del DPR 327/2001, in virtù del quale le procedure ablatorie connesse non soggiacciono alle regole ordinarie del t.u. sulle espropriazioni, a meno che, come poi ha chiesto la controinteressata e ha dato atto il decreto impugnato, il soggetto attuatore non ne chieda l’applicazione per quelle fasi procedimentali ancora non definite.
Anzi, a tal specifico riguardo, non giova alla tesi attorea il richiamo al principio per cui la proroga dei termini per le espropriazioni, in linea di massima, debba trovare giustificazione in ragioni oggettive che inducano a ritenere impossibile la tempestiva conclusione del procedimento ablatorio. Se è vera l’applicabilità di tal principio anche laddove, come nella specie, il soggetto attuatore degli interventi ex art. 1 del DL 7/2002 opti per la facoltà all’uopo recata dall’art. 57-bis del DPR 327/2001, anzitutto la disciplina speciale per gli impianti energetici a rete esclude l’applicazione pedissequa tanto dell’art. 13 della l. 2359/1865, quanto dell’art. 13 del DPR 327/2001 in materia d’apposizione dei termini, iniziale e finale, per l\'espletamento delle procedure espropriative. Ciò d’altronde accade in tema di piani per gli insediamenti produttivi (cfr. Cons. St., IV, 10 aprile 2006 n. 1982) o per i piani di zona per l\'e.r.p. (cfr. id., 26 aprile 2006 n. 2339), essendo i termini de quibus sostituiti ed assorbiti dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l\'efficacia del provvedimento-fonte delle espropriazioni stesse. Ma, quand’anche l’art. 13 della l. 2359/1865 e l’art. 13 del DPR 327/2001 dovessero servire ad integrare la disciplina della fattispecie grazie al filtro del citato art. 57-bis, la P.A. certo deve dar ragionevole contezza dell’evento, indipendente dalla volontà propria e del soggetto attuatore, che induca a fornire nuovi termini per completare le procedure ablatorie. Nella specie la P.A., nel decreto oggidì impugnato ed accogliendo sul punto l’istanza della controinteressata in data 10 dicembre 2008, ha provveduto alla proroga in conformità a quanto già da essa indicato nella propria nota del successivo giorno 31, ossia in relazione sia al contenzioso penale sulla gestione delle aree espropriande, sia a quello amministrativo intimamente connesso, anzi presupposto all’attività ablatoria de qua.
6. – Poco perspicua s’appalesa poi la tesi attorea, in relazione alla clausola finale contenuta nel decreto impugnato, secondo cui la P.A. ha chiarito che <<… la riattivazione della procedura di esproprio dell’area di ubicazione della centrale avverrà solo allorché eventuali sopravvenienze non rendano più giustificato l’utilizzo del potere cautelare…>>.
Da un lato, nessuna contraddizione si può riscontrare tra la clausola de qua e la nota ministeriale dell’8 gennaio 2008, perché la P.A. così intende mantenere ferma la propria potestà cautelare, ove mai se ne verificasse la necessità. DA un altro lato e come ammette lo stesso ricorrente, il Ministero non ha mai statuito alcuna sospensione della procedura ablatoria, onde, in tutta franchezza, la doglianza si manifesta se non speciosa, almeno ad colorandum e, in ogni caso, rivolta verso una statuizione per vicende eventuali, future ed incerte. Da un altro lato ancora, non vi fu a suo tempo bisogno di interventi cautelari della P.A. medesima, ché il sequestro penale delle aree d’intervento fu annullato dalla Suprema Corte di cassazione fin dal 12 dicembre 2006.
Parimenti privo di pregio è il riferimento alla localizzazione, nella stessa area destinata alla centrale per cui è causa, d’un impianto di temodistruzione di rifiuti, scelta dal Sindaco di Salerno come commissario delegato di cui all’ordinanza del Presidente del consiglio dei ministri 16 gennaio 2008 n. 3641.
Ora, appare al Collegio che siffatta localizzazione, specie se riferita ad un ATO per i rifiuti corrispondente all’intero territorio provinciale di Salerno, tende a nocivamente sovrapporsi a quanto già in esser per l’impianto energetico in questione, proprio perché riguarda un’area già ab illo tempore destinata, in esecuzione ad una volizione legislativa di pari forza formale di quella in virtù della quale il Sindaco di Salerno fu nominato commissario delegato. Si può forse discutere se tal scelta non costituisca un atto, se non preordinato a porre nel nulla la localizzazione della centrale elettrica profittando del tempo occorrente a definire un lungo contenzioso contro di essa –e che, si badi, ne ha accertato la legittimità–, certo assai poco coordinato con le esigenze di pari interesse pubblico che l’hanno giustificata e tuttora la giustificano. Più in concreto, però ed in ordine a siffatta localizzazione, consta in atti che: A) – pende tuttora la fase di scelta del contraente concessionario del termodistruttore; B) – con ordinanza n. 49 del 18 giugno 2009, il Sindaco Commissario delegato ha dichiarato deserta la relativa gara; C) – sono stati stipulati, nel luglio 2009, alcuni contratti di cessione volontaria di altrettante aree espropriande inerenti a detto impianto; D) – su quest’ultimo, s’è tuttora fermi allo stato della mera progettazione preliminare. In tal caso, se non sfugge al Collegio la possibile <<… criticità ambientale conseguente alla sovrapposizione degli effetti correlati all’esercizio della Centrale ed ad una nuova importante sorgente di emissioni in atmosfera…, costituita da un importante impianto di termovalorizzazione dei rifiuti solidi a servizio della intera Provincia di Salerno…>> (cfr. la relazione dell’ing. BELGIORNO, in atti), tali preoccupazioni sono per vero riferite a vicende future ed incerte. Infatti, la centrale termoelettrica dev’esser ancora iniziata, mentre sul termovalorizzatore de quo, in disparte la sottoposizione dell’opera a VIA –la quale non potrà non tener conto di quanto già statuito per la centrale stessa–, non v’è tuttora (almeno, alla data dell’ultimo deposito attoreo, 21 dicembre 2009) seria certezza né delle modalità di gestione, né tampoco dell’ espletamento d’una nuova gara per la concessione dei lavori.
È da respingere il censurato esaurimento degli effetti della VIA sulla centrale termoelettrica, giacché, a detta del ricorrente, l’impugnato decreto non ha disposto la proroga dell’efficacia del DM di VIA 23 giugno 2004, con conseguente inutile decorso del termine quinquennale ex art. 26, c. 6 del Dlg 3 aprile 2006 n. 152. Infatti, tal disposizione non riguarda il caso di specie, perché, in virtù della novella recatavi dall’art. 23, c. 21–quinquies del DL 1° luglio 2009 n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla l. 3 agosto 2009), il termine de quo s’applica ai procedimenti avviati dopo la data d’entrata in vigore del Dlg 16 gennaio 2008 n. 4, ossia dal 13 febbraio 2008.
Neppure coglie nel segno l’ultimo motivo di gravame, con cui il Comune di Salerno si duole, con riferimento alla nota ministeriale del 2 dicembre 2008, della contraddittorietà di questo, che aveva disposto il riesame dell’autorizzazione unica con riguardo ad alcuni aspetti in relazione a quanto stabilito dall’art. 17, c. 4 del Dlg 18 febbraio 2005 n. 59, con la disposta proroga.
Per vero, la controinteressata ha chiesto sì il rinnovo, a’sensi degli artt. 9 e 17 del Dlg 59/2005, ma solo per ragioni inerenti al piano di monitoraggio e controllo ed ai valori limite d’emissione di alcune sostanze inquinanti (SO2, polveri e COV), per le quali non v’era in precedenza obbligo di valutazione e nel frattempo divenute ex lege rilevanti (cfr. la nota del Ministero dell’ambiente prot. n. DSA/2009/69 del 15 gennaio 2009). Se, quindi, v’è l’istanza della controinteressata circa siffatto il rinnovo, anzitutto questa concerne non l’intero decreto di VIA e, di conseguenza, tutto il titolo autorizzativo, bensì la sola parte inerente ad aspetti non essenziali o derivanti da jus superveniens, dell’autorizzazione stessa. In secondo luogo, detto art. 17, c. 4 fa salve anche le autorizzazioni uniche rilasciate prima dell’entrata in vigore del medesimo Dlg 59/2005 e, soprattutto, non assimila queste ultime all’AIA, non essendovi alcun nesso di necessaria presupposizione logico-giuridica tra questa e l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002, né tampoco l’obbligo di sottoporre anche l’autorizzazione unica al termine di revisione, ove la competente P.A. (ossia, solo il Ministero dello sviluppo economico) non ne ravvisi un serio motivo. In disparte, quindi, la differente competenza all’emanazione dei due atti de quibus –e, quindi, l’impossibilità che il Ministero dell’ambiente s’ingerisca, dopo già aver rilasciato a suo tempo la VIA, sull’autorizzazione unica al fine di rimetterne in discussione l’intera vicenda oltre lo specifico oggetto d’eventuale revisione–, solo una norma espressa, e NON l’interprete, può dettare il criterio ed i limiti di presupposizione tra siffatte statuizioni, ciascuna delle quali risponde ad una propria ratio. D’altronde l\'art. 1 del DL 7/2002 già stabilisce che l\'esito positivo della VIA costituisca parte integrante e condizione necessaria del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica e fissa quindi, con nettezza, l’unico tipo di legame giuridico tra i due atti in esame (cfr. così Cons. St., VI, 10 settembre 2008 n. 4333).
7. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va respinto per le ragioni fin qui dette. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, respinge il ricorso n. 9290/2009 RG in epigrafe.
Condanna il Comune ricorrente al pagamento, a favore delle parti resistenti e costituite, delle spese del presente giudizio, che sono complessivamente liquidate in € 2000,00 (Euro duemila/00), oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 22 dicembre 2009, con l\'intervento dei sigg. Magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Stefano Toschei, Consigliere


L\'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO