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Corte di Giustizia Sez. VI sent. 26 giugno 2003 (Causa C-223/00)

«Inadempimento di uno Stato - Direttiva 90/313/CEE - Libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente - Trasposizione incompleta o non corretta»

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SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

 

26 giugno 2003

 

«Inadempimento di uno Stato - Direttiva 90/313/CEE - Libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente - Trasposizione incompleta o non corretta»

Nella causa C-233/00,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. G. zur Hausen e J.-F. Pasquier, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

contro

 

Repubblica francese, rappresentata inizialmente dai sigg. J.-F. Dobelle e D. Colas, quindi da quest'ultimo e dal sig. G. de Bergues, in qualità di agenti,

 

convenuta,

 

avente ad oggetto un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica francese, non avendo trasposto correttamente gli artt. 2, lett. a), e 3, nn. 2, 3 e 4, della direttiva del Consiglio 7 giugno 1990, 90/313/CEE, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente (GU L 158, pag. 56), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva medesima, nonché dell'art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE),

 

LA CORTE (Sesta Sezione),

 

composta dal sig. J.-P. Puissochet, presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen (relatore) e V. Skouris, dalla sig.ra F. Macken e dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl


cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale

vista la relazione d'udienza,

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 17 ottobre 2002, durante la quale la Commissione è stata rappresentata dal sig. J.-F. Pasquier e la Repubblica francese, dalla sig.ra C. Isidoro, in qualità di agente

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 14 gennaio 2003,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 13 giugno 2000, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 226 CE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica francese, non avendo trasposto correttamente gli artt. 2, lett. a), e 3, nn. 2, 3, e 4, della direttiva del Consiglio 7 giugno 1990, 90/313/CEE, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente (GU L 158, pag. 56), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva medesima, nonché dell'art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE).

Contesto normativo

La direttiva 90/313

2.
Ai sensi dell'art. 1 della direttiva 90/313 essa «ha lo scopo di garantire la libertà di accesso alle informazioni relative all'ambiente in possesso delle autorità pubbliche e la diffusione delle medesime, nonché di stabilire i termini e le condizioni fondamentali in base ai quali siffatte informazioni devono essere rese disponibili».
3.
L'art. 2 della direttiva 90/313 è formulato come segue:

«Ai sensi della presente direttiva, si intende per:

a) informazioni relative all'ambiente, qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati in merito allo stato delle acque, dell'aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché alle attività (incluse quelle nocive, come il rumore) o misure che incidono negativamente o possono incidere negativamente sugli stessi, nonché alle attività o misure destinate a tutelarli, ivi compresi misure amministrative e programmi di gestione dell'ambiente;

b) autorità pubbliche, qualsiasi amministrazione pubblica che abbia responsabilità a livello nazionale, regionale o locale e che sia in possesso di informazioni relative all'ambiente, tranne gli organismi che esercitano competenze giudiziarie o legislative».

4.
L'art. 3 della direttiva 90/313 così recita:

«1. Fatte salve le disposizioni del presente articolo, gli Stati membri provvedono a che le autorità pubbliche siano tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a qualsiasi persona, fisica o giuridica, che ne faccia richiesta, senza che questa debba dimostrare il proprio interesse.

Gli Stati membri definiscono le modalità pratiche secondo le quali dette informazioni sono rese effettivamente disponibili.

2. Gli Stati membri possono disporre che una richiesta di informazioni di tal genere sia respinta ove riguardi:

- la riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche, le relazioni internazionali e la difesa nazionale;

- la sicurezza pubblica;

- questioni che sono in discussione, sotto inchiesta (ivi comprese le inchieste disciplinari) o oggetto di un'azione investigativa preliminare, o che lo siano state;

- la riservatezza commerciale ed industriale, ivi compresa la proprietà intellettuale;

- la riservatezza dei dati e/o schedari personali;

- il materiale fornito da terzi senza che questi siano giuridicamente tenuti a fornirlo;

- il materiale che, se divulgato, potrebbe rendere più probabile un danno all'ambiente cui esso si riferisce.

Le informazioni in possesso delle autorità pubbliche formano oggetto di comunicazione parziale quando è possibile estrapolare le informazioni relative a dati riguardanti gli interessi di cui sopra.

3. Una richiesta di informazioni può essere respinta qualora comporti la trasmissione di documenti o dati incompleti o di comunicazioni interne, ovvero qualora sia manifestamente infondata o sia formulata in termini troppo generali.

4. L'autorità pubblica risponde al richiedente nei più brevi termini possibili e comunque entro due mesi. Il rifiuto di fornire le informazioni richieste deve essere motivato».

5.
In applicazione dell'art. 9, n. 1, della direttiva 90/313, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi a quest'ultima al più tardi il 31 dicembre 1992 e informarne immediatamente la Commissione.

B - La normativa nazionale

6.
In Francia, la legge 17 luglio 1978, n. 78-753, recante diverse disposizioni dirette al miglioramento dei rapporti tra l'amministrazione ed il pubblico nonché diverse disposizioni in materia amministrativa, sociale e tributaria (JORF del 18 luglio 1978, pag. 2851), attribuisce ai singoli un diritto di accesso ai documenti amministrativi.
7.
Il titolo I della legge n. 78-753, intitolato «Della libertà di accesso ai documenti amministrativi», comprende gli artt. 1-13 di tale legge.
8.
L'art. 1 della medesima legge così dispone:

«Il diritto degli amministrati all'informazione è precisato e garantito dal presente titolo per quanto riguarda la libertà di accesso ai documenti amministrativi di carattere non nominativo.

Sono considerati documenti amministrativi ai sensi del presente titolo le pratiche, i rapporti, gli studi, i resoconti, i verbali, le statistiche, le direttive, le istruzioni, le circolari, le note e le risposte ministeriali che comportano un'interpretazione del diritto positivo o una descrizione delle procedure amministrative, i pareri, ad eccezione dei pareri del Conseil d'Etat e dei tribunali amministrativi, le previsioni e le decisioni che presentano la forma di documenti scritti, di registrazioni sonore o visive, di trattamenti automatizzati di informazioni non nominative».

9.
L'art. 2 di tale legge così dispone:

«Fatte salve le disposizioni di cui all'art. 6, è autorizzata la comunicazione dei documenti amministrativi, a coloro che ne facciano richiesta, indipendentemente dal fatto che provengano dall'amministrazione statale, da enti locali, da enti pubblici o da organismi, ancorché di diritto privato, incaricati della gestione di un pubblico servizio».

10.
L'art. 4 della legge summenzionata è formulato nei termini seguenti:

«L'accesso ai documenti amministrativi avviene:

a) attraverso consultazione gratuita in loco, salvo il caso in cui la preservazione del documento non lo consenta o non ne consenta la riproduzione;

b) a condizione che la riproduzione non pregiudichi la conservazione del documento, attraverso il rilascio di copie in esemplare unico, a spese del richiedente, e senza che tali spese possano superare il costo effettivo delle spese di funzionamento determinate dall'applicazione del presente titolo.

Il servizio deve rilasciare la copia richiesta o la notifica di rifiuto di comunicazione prevista all'art. 7».

11.
L'art. 5 della legge n. 78-753 così dispone:

«Una commissione detta commissione di accesso ai documenti amministrativi è incaricata di vigilare sul rispetto della libertà di accesso ai documenti amministrativi alle condizioni previste dal presente titolo, segnatamente emettendo pareri su richiesta di un soggetto che incontri difficoltà nell'ottenere la comunicazione di un documento amministrativo, consigliando le autorità competenti in merito ad ogni questione relativa all'applicazione del presente titolo, e proponendo qualsiasi modifica opportuna dei testi legislativi o regolamentari relativi alla comunicazione di documenti amministrativi.

La commissione redige un rapporto annuale che è reso accessibile al pubblico.

Un decreto del Conseil d'Etat stabilisce la composizione e il funzionamento della commissione prevista al presente articolo».

12.
L'art. 6 di tale legge è formulato come segue:

«Le amministrazioni indicate all'art. 2 possono negare la consultazione di un documento amministrativo ovvero rifiutarne la comunicazione, qualora la consultazione o la comunicazione del medesimo possa pregiudicare:

- il segreto delle deliberazioni del Governo e delle autorità responsabili rientranti nel potere esecutivo;

- il segreto della difesa nazionale, della politica estera;

- la valuta e il credito pubblico, la sicurezza dello Stato e la pubblica sicurezza;

- lo svolgimento dei procedimenti pendenti dinanzi ai giudici o di operazioni preliminari a tali procedimenti, salvo autorizzazione dell'autorità competente;

- il segreto della vita privata, della documentazione personale e medica;

- il segreto in materia commerciale ed industriale;

- l'individuazione, da parte dei servizi competenti, delle infrazioni fiscali e doganali,

- o, in generale, segreti protetti per legge.

Ai fini dell'applicazione di tali disposizioni, gli elenchi dei documenti amministrativi che non possono essere comunicati al pubblico a causa della loro natura o del loro oggetto sono stabiliti attraverso decreti ministeriali adottati su parere della commissione di accesso ai documenti amministrativi».

13.
Ai sensi dell'art. 7 della legge n. 78-753:

«Il rifiuto di fornire le informazioni richieste è notificato all'amministrato con decisione scritta motivata. La mancanza di risposta per oltre due mesi equivale a decisione di rifiuto.

In caso di rifiuto tacito o espresso, l'amministrato richiede il parere della commissione prevista all'art. 5. Tale parere deve essere emesso al più tardi entro un mese da quando è stata adita la commissione. L'autorità competente è tenuta ad informare la commissione del seguito che intende dare alla questione entro due mesi dal ricevimento di tale parere. Il termine per l'impugnazione in sede contenziosa è prorogato fino alla notifica all'amministrato della risposta dell'autorità competente.

Il giudice amministrativo, quando è chiamato a pronunciarsi su un'impugnazione in sede contenziosa contro un rifiuto di comunicazione di un documento amministrativo, deve pronunciarsi entro il termine di sei mesi a partire dalla registrazione dell'atto introduttivo del ricorso».

14.
Il decreto 28 aprile 1988, n. 88-456, relativo alla procedura di accesso ai documenti amministrativi (JORF del 30 aprile 1988, pag. 5900), ha abrogato la seconda frase del primo comma nonché il secondo comma dell'art. 7 della legge n. 78-753.
15.
L'art. 2 del decreto in parola dispone quanto segue:

«Il silenzio superiore ad un mese da parte dell'autorità competente cui sia stata presentata richiesta di comunicazione di documenti ai sensi del titolo I della legge 17 luglio 1978, n. 78-753, equivale a decisione di rifiuto.

In caso di rifiuto tacito o espresso, l'interessato può adire, entro il termine di due mesi a decorrere dalla notifica del rifiuto ovvero dalla scadenza del termine previsto dal primo comma del presente articolo, la commissione istituita dall'art. 5 della legge 17 luglio 1978, n. 78-753.

La commissione deve essere obbligatoriamente adita, alle condizioni previste dal secondo comma del presente articolo, prima di qualsiasi impugnazione in sede contenziosa.

La commissione notifica, nel termine di un mese da quando è stata adita, il proprio parere all'autorità competente che informa la commissione, nel corso del mese successivo al ricevimento di tale parere, del seguito che intende dare alla richiesta.

Il silenzio da parte dell'autorità competente per oltre due mesi dal giorno in cui l'interessato ha adito la commissione equivale a decisione di rifiuto.

Il termine per l'impugnazione in sede contenziosa è prorogato fino alla notifica all'interessato della risposta dell'autorità competente».

16.
L'art. 5 della legge 11 luglio 1979, n. 79-587, relativa alla motivazione degli atti amministrativi ed al miglioramento dei rapporti tra l'amministrazione ed il pubblico (JORF del 12 luglio 1979, pag. 1711), così dispone:

«Una decisione implicita formatasi nell'ipotesi in cui una decisione espressa avrebbe dovuto essere motivata non è illegittima per il sol fatto di essere sprovvista di motivazione. Tuttavia, su richiesta dell'interessato, da presentarsi entro il termine previsto per l'avvio del procedimento contenzioso, la motivazione di qualsivoglia decisione implicita di rigetto deve essergli comunicata entro il termine di un mese a decorrere dalla data di presentazione della richiesta medesima. In tale ipotesi, il termine per l'impugnazione in sede contenziosa della detta decisione è prorogato sino alla scadenza del secondo mese successivo alla data entro la quale tale motivazione avrebbe dovuto essere comunicata all'interessato».

Procedura precontenziosa

17.
Con lettera 20 agosto 1990, la Commissione ha ricordato che la direttiva 90/313 doveva essere trasposta entro il 31 dicembre 1992.
18.
Con lettera 28 marzo 1991, le autorità francesi hanno trasmesso alla Commissione una copia delle disposizioni nazionali che, a loro giudizio, assicurano la trasposizione in diritto francese di tale direttiva, e cioè la legge n. 78-753 e il decreto n. 88-465.
19.
Con lettera 13 luglio 1992, la Commissione ha richiamato l'attenzione di tali autorità su taluni aspetti del diritto francese che non permetterebbero di conseguire il risultato voluto dalla direttiva 90/313.
20.
In assenza di risposta, una lettera di sollecito è stata inviata alle autorità francesi il 21 gennaio 1993.
21.
Con lettera 2 febbraio 1993, tali autorità hanno esposto il loro punto di vista sulle osservazioni della Commissione.
22.
Con lettera di diffida in data 17 novembre 1994, la Commissione ha intimato alla Repubblica francese di presentare le proprie osservazioni sulla trasposizione in diritto interno degli artt. 2, lett. a), e 3, nn. 2, 3, e 4, della detta direttiva, entro il termine di due mesi dal ricevimento di tale lettera.
23.
Il 23 febbraio 1995, il governo francese ha risposto che la normativa nazionale non violava alcuno degli obblighi risultanti dalla menzionata direttiva.
24.
L'8 febbraio 1999, la Commissione ha indirizzato alla Repubblica francese un parere motivato in cui la invitava ad adottare, entro il termine di due mesi dalla notifica di tale parere, le misure necessarie per adempiere agli obblighi risultanti dagli artt. 2, lett. a), e 3, nn. 2, 3 e 4, della direttiva 90/313.
25.
Con lettera 25 giugno 1999, il governo francese ha risposto a tale parere motivato contestando l'inadempimento rimproverato dalla Commissione. Esso aggiungeva che se il diritto francese non comporta affatto una trasposizione letterale delle disposizioni di tale direttiva, esso assicura tuttavia garanzie ampiamente equivalenti e, in numerosi ambiti, pone a carico dell'amministrazione obblighi ancora più estesi. Esso precisava che le autorità francesi avrebbero cionondimeno esaminato le possibilità di migliorare l'accesso all'informazione in materia di ambiente.
26.
Il 19 gennaio 2000, il governo francese ha informato la Commissione che un disegno di legge, che conteneva diverse disposizioni di adeguamento della normativa nazionale al diritto comunitario nel settore dell'ambiente e che comportava una parte riservata all'accesso all'informazione in materia di ambiente, era stato appena approvato dall'ufficio del primo ministro e che tale progetto sarebbe stato comunicato alla Commissione subito dopo la trasmissione al Conseil d'Etat al fine di ottenerne il parere, prevista per il mese di febbraio 2000.
27.
La Commissione, ritenendo che la Repubblica francese non si fosse conformata agli obblighi nascenti dal parere motivato entro il termine stabilito da quest'ultimo, ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Osservazioni preliminari

28.
Il 13 settembre 2001, il governo francese ha informato la Corte del fatto che le misure annunciate nella sua lettera 19 gennaio 2000 erano state adottate e a tal fine ha prodotto la legge 12 aprile 2000, n. 2000-321, relativa ai diritti dei cittadini nei loro rapporti con le amministrazioni (JORF del 13 aprile 2000, pag. 5646), nonché l'ordinanza 11 aprile 2001, n. 2001-321, relativa alla trasposizione di direttive comunitarie e all'attuazione di talune disposizioni di diritto comunitario nel settore dell'ambiente (JORF del 14 aprile 2001, pag. 5820). Secondo tale governo, i diversi testi in questione sono stati altresì trasmessi alla Commissione, con l'invito a rinunciare al proprio ricorso.
29.
Con lettera 24 settembre 2001, la Commissione ha informato la Corte che essa non aveva intenzione di rinunciare al proprio ricorso.
30.
A tale riguardo, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, l'esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenza 12 settembre 2002, causa C-152/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-6973, punto 15).
31.
D'altronde, occorre ricordare che, nel sistema istituito dall'art. 226 CE, la proposizione del ricorso per inadempimento rientra nel potere discrezionale della Commissione, il cui esercizio non può essere oggetto di valutazione di opportunità da parte della Corte (v., segnatamente, sentenza 6 luglio 2000, causa C-236/99, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-5657, punto 28). Pertanto spetta alla sola Commissione decidere se mantenere un siffatto ricorso dinanzi alla Corte (v., in tal senso, sentenza 13 giugno 2002, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-5293, punto 25), e ciò a maggior ragione per il fatto che, anche nell'ipotesi in cui l'inadempimento venga sanato successivamente alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, vi è interesse alla prosecuzione del giudizio onde stabilire il fondamento di una responsabilità che potrebbe incombere a uno Stato membro, in conseguenza dell'inadempimento, nei confronti di altri Stati membri, della Comunità o di singoli (v. in tal senso, in particolare, sentenza 6 dicembre 2001, causa C-166/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-9835, punto 9).
32.
In tali condizioni, nessuno dei due testi nazionali menzionati al punto 28 della presente sentenza può essere preso in considerazione dalla Corte nell'ambito dell'esame del presente ricorso.
33.
A sostegno del suo ricorso la Commissione invoca cinque censure vertenti rispettivamente:

- sulla trasposizione incompleta del combinato disposto degli artt. 2, lett. a), e 3, n. 1, della direttiva 90/313, in quanto l'ambito di applicazione che la normativa francese assegnerebbe all'obbligo di comunicare informazioni relative all'ambiente è meno ampio di quello della direttiva in parola;

- sulla trasposizione non corretta dell'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 90/313, in quanto la normativa francese prevederebbe, tra le eccezioni all'obbligo di comunicare tali informazioni, un motivo di rifiuto di comunicazione non previsto da tale direttiva;

- sulla mancata trasposizione dell'art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 90/313, a causa dell'assenza di riferimento nella normativa francese all'obbligo di comunicazione parziale di informazioni relative all'ambiente quando è possibile estrapolare le informazioni che possono giustificare un rifiuto di comunicazione;

- sulla mancata trasposizione dell'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313, in quanto la normativa francese non avrebbe previsto la possibilità di respingere una richiesta di trasmissione di documenti o dati incompleti o interni o una richiesta manifestamente infondata o formulata in modo tropo generico, e

- sulla trasposizione non corretta dell'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313, in quanto la normativa francese permette di respingere le richieste di informazioni relative all'ambiente con decisioni implicite non motivate.

34. Occorre esaminare nell'ordine la fondatezza delle diverse censure in parola.

Sulla censura vertente sull'ambito di applicazione eccessivamente limitato della normativa francese per quanto riguarda l'obbligo di comunicazione di informazioni relative all'ambiente

Argomenti delle parti

 
35.
La Commissione rimprovera al governo francese di aver attribuito alla legge n. 78-753 un ambito materiale di applicazione meno esteso di quello della direttiva 90/313, in quanto l'espressione «documenti amministrativi» che compare nella detta legge sarebbe più circoscritta della nozione di «informazioni relative all'ambiente» di cui alla direttiva in parola.
36.
Infatti, anche se la Commissione riconosce che tale espressione ha una portata più ampia di quella di «atto amministrativo» in diritto francese, cionondimeno essa comprenderebbe i soli documenti in possesso dell'amministrazione che riguardano un'attività di pubblico servizio o che sono collegati all'esercizio di tale servizio, mentre la nozione di «informazioni relative all'ambiente» impiegata dalla direttiva non comporterebbe alcuna limitazione di tal genere.
37.
Pertanto, in base alla legge n. 78-753 non sarebbero comunicabili, in particolare, talune decisioni non regolamentari di autorità pubbliche relative alla gestione del loro demanio privato (per esempio l'autorizzazione a occupare o sfruttare tale demanio) o relative alla gestione dei servizi pubblici industriali e commerciali (per esempio i contratti conclusi con gli utenti per l'erogazione di acqua o di energia elettrica) o ancora contratti di diritto privato tra un'autorità pubblica e una persona privata o persino tra due autorità pubbliche, anche quanto siffatti documenti contengano informazioni relative all'ambiente tali da interessare dei cittadini.
38.
Il governo francese replica che questa prima censura è errata e, in subordine, non provata.
39.
Certamente, esso non nega che la nozione di «informazioni relative all'ambiente» ai sensi della direttiva 90/313 debba essere interpretata estensivamente, ma l'espressione «documenti amministrativi» prevista dalla legge n. 78-753 avrebbe anch'essa una portata molto estesa, in quanto comprenderebbe i documenti a carattere privato che sono collegati con il servizio pubblico e/o con le funzioni pubbliche esercitate da persone private. Tale espressione comprenderebbe, oltre agli atti amministrativi, gli atti di diritto privato delle autorità pubbliche e atti in possesso di tali autorità e emanati da privati, in quanto siano, in modo più o meno diretto, collegati all'esercizio di un servizio pubblico. L'unica limitazione alla qualificazione come «informazioni relative all'ambiente» ai sensi della direttiva 90/313 riguarderebbe quindi i documenti in possesso di un'autorità pubblica che agisce in qualità di persona privata e privi di qualsiasi collegamento con il servizio pubblico.
40.
Inoltre, la Commissione non avrebbe provato in concreto che la nozione di «documenti amministrativi» è meno estesa di quella di «informazioni relative all'ambiente». Essa non sarebbe riuscita a provare che esistono informazioni detenute dalle autorità pubbliche francesi che rientrano nel campo di applicazione della direttiva 90/313, ma che non sono ricomprese nella legge n. 78-753. In particolare, la Commissione non avrebbe fornito un solo esempio in cui ad un'informazione relativa all'ambiente non fosse stata riconosciuta la qualità di «documento amministrativo» ai sensi di tale legge

Giudizio della Corte

41.
A tale proposito occorre, da un lato, rilevare che, secondo il governo francese, l'espressione «documenti amministrativi» impiegata dalla legge n. 78-753 comprende, oltre agli atti amministrativi, anche gli atti di diritto privato provenienti dalle autorità pubbliche nonché gli atti che sono in loro possesso, ma che provengono da privati; tuttavia, come ha riconosciuto proprio tale governo, questo accadrebbe solo quando tali atti «siano, in modo più o meno diretto, collegati all'esercizio di un pubblico servizio». Il governo francese precisa, in tale contesto, che solo i documenti in possesso di una pubblica autorità che agisce in qualità di persona privata e che sono privi di qualsiasi collegamento con il servizio pubblico non rientrano nella legge n. 78-753, ma che, a suo parere, simili documenti non costituirebbero nemmeno «informazioni relative all'ambiente» ai sensi della direttiva 90/313.
42.
Occorre, d'altro lato, ricordare che, ai sensi dell'art. 2, lett. a), della direttiva 90/3131, la nozione di «informazioni relative all'ambiente», riguarda, ai fini di tale direttiva, «qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati in merito allo stato delle acque, dell'aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché alle attività (incluse quelle nocive, come il rumore) o misure che incidono negativamente o possono incidere negativamente sugli stessi, nonché alle attività o misure destinate a tutelarli, ivi compresi misure amministrative e programmi di gestione dell'ambiente».
43.
Orbene, tale definizione non comporta alcuna indicazione tale da confermare la tesi del governo francese secondo cui un documento sprovvisto di qualsiasi collegamento con il servizio pubblico non dovrebbe essere considerato come «informazione relativa all'ambiente» rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva 90/313.
44.
Infatti, in ragione della sua stessa formulazione e tenuto conto, in particolare, dell'impiego dei termini «qualsiasi informazione», l'ambito di applicazione del detto art. 2, lett. a) - e, di conseguenza, quello della direttiva 90/313 - deve essere considerato come concepito in modo ampio. Così, sono previste tutte le informazioni che riguardano sia lo stato dell'ambiente, sia le attività o misure che possono incidere negativamente su di esso, sia anche le attività o le misure destinate a tutelare l'ambiente, senza che l'elencazione contenuta in tale disposizione comporti una qualsiasi indicazione di natura tale da limitarne la portata, in particolare nel senso indicato dal governo francese.
45.
Tale constatazione è confermata dall'interpretazione che la Corte ha già fornito della medesima disposizione nella sentenza 17 giugno 1998, causa C-321/96, Mecklenburg (Racc. pag.I-3809, punti 19-22). Così la Corte ha in particolare dichiarato, al punto 20 di tale sentenza, che il legislatore comunitario si è astenuto dal dare una definizione della nozione di «informazioni relative all'ambiente» che possa escludere una qualsiasi delle attività svolte dall'autorità pubblica.
46.
Inoltre, dall'impiego dell'espressione «comprese le misure amministrative» all'art. 2, lett. a), della direttiva 90/313, risulta che la nozione di «informazioni relative all'ambiente» dove logicamente avere una portata più ampia dell'insieme della attività delle autorità pubbliche.
47.
Da quanto precede risulta che la direttiva 90/313 riguarda qualsiasi atto, di qualsiasi natura esso sia, suscettibile di incidere negativamente o di tutelare lo stato di uno dei settori dell'ambiente compresi da tale direttiva, in modo che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo francese in via principale, la nozione di «informazioni relative all'ambiente» ai sensi di tale direttiva, deve essere intesa come comprendente i documenti che non sono collegati all'esercizio di un servizio pubblico.
48.
Pertanto la prima censura della Commissione è fondata.

Sulla censura vertente sull'esistenza di un motivo di rifiuto di comunicazione di informazioni relative all'ambiente non previsto dalla direttiva 90/313

Argomenti delle parti

49.
La Commissione critica il fatto che, per quanto riguarda la lista delle eccezioni all'obbligo di comunicazione delle informazioni relative all'ambiente, l'art. 6, primo comma, primo trattino, della legge n. 78-753, ha previsto un motivo di rifiuto non compreso nell'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 90/313, e cioè i casi di pregiudizio «ai segreti protetti per legge».
50.
Non solo tale legge estenderebbe in tal modo il testo della direttiva 90/313, ampliando l'ambito delle eccezioni previste da quest'ultima ma, in aggiunta a ciò, la nozione di «segreti protetti per legge» sarebbe formulata in modo troppo generico per garantire un'applicazione conforme allo spirito di tale direttiva.
51.
Il governo francese contesta che l'elenco delle eccezioni previste dalla legge n. 78-753 sia più ampio di quello indicato all'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 90/313. La categoria generale dei «segreti protetti per legge» sarebbe stata introdotta in tale legge per riunire i diversi regimi particolari di riservatezza dei dati che del resto, spesso, non avrebbero alcun rapporto con l'ambiente.
52.
Per accertare l'esistenza di un inadempimento nel caso di specie, il governo francese sostiene che era compito della Commissione identificare i regimi particolari non conformi alla direttiva 90/313 e che quindi il ricorso avrebbe dovuto essere diretto contro tali regimi particolari e non contro la categoria generale dei «segreti protetti per legge».
53.
Orbene, nella fattispecie, la Commissione non sarebbe stata in grado di individuare un solo segreto protetto per legge che non rientrasse in uno dei motivi di rifiuto di comunicazione enumerati all'art. 3, n. 2, primo comma, di tale direttiva, e cioè la «sicurezza pubblica», «il segreto commerciale e industriale» o la «riservatezza dei dati e/o schedari personali».
54.
Inoltre, non sarebbe mai stata presentata alcuna doglianza o alcun ricorso da un singolo, il che proverebbe che la nozione di «segreti protetti per legge», ai sensi della normativa francese, non è tale da ampliare illegittimamente una delle eccezioni elencate all'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 90/313.

Giudizio della Corte

 
55.
Al fine di pronunciarsi sulla fondatezza della seconda censura, si deve anzitutto rilevare che risulta dalla lettera stessa dell'art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 90/313, che le informazioni relative all'ambiente devono essere messe a disposizione di qualsiasi persona che ne faccia richiesta, senza che questa debba dimostrare il proprio interesse e che tale obbligo incombe sulle autorità pubbliche «fatte salve le disposizioni del presente articolo».
56.
Quindi, non è che a titolo di eccezione al principio della libertà di accesso alle informazioni relative all'ambiente che rappresenta il fondamento di tale direttiva, che l'art. 3 della medesima enuncia, ai nn. 2 e 3, un certo numero di motivi che possono giustificare un rifiuto di comunicazione di tali informazioni.
57.
Ne consegue che tali motivi di rifiuto, costituendo eccezioni al principio della comunicazione delle informazioni relative all'ambiente che costituisce la finalità della direttiva 90/313, devono essere interpretati in modo restrittivo, per cui occorre rilevare che le deroghe enunciate ai nn. 2 e 3 dell'art. 3 in parola sono elencate tassativamente e riguardano «taluni casi particolari chiaramente definiti» in cui «il rifiuto di dar seguito a una richiesta di informazioni relativa all'ambiente può essere giustificato» (v. settimo considerando della direttiva 90/313).
58.
Orbene, nella fattispecie, risulta che la legge n. 78-753 ha utilizzato tutte le eccezioni menzionate all'art. 3, n. 2, della direttiva, tra cui figurano, in modo espresso e specifico, le richieste di informazioni che riguardano le deliberazioni delle autorità pubbliche, la segretezza delle relazioni internazionali, il segreto della difesa nazionale, la pubblica sicurezza, il segreto in materia commerciale e industriale, nonché la segretezza dei dati personali.
59.
Tuttavia, l'art. 6, primo comma, primo trattino, della legge n. 78-753 permette anche alle autorità pubbliche di rifiutare la consultazione o la comunicazione di un documento amministrativo la cui diffusione violerebbe «in modo generale, i segreti protetti per legge».
60.
Un simile motivo di rifiuto, che non figura nell'elenco tassativo delle eccezioni enunciate all'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 90/313, eccede quindi manifestamente l'ambito di applicazioni di tali eccezioni.
61.
D'altra parte, il motivo di rifiuto in questione si limita a operare un semplice rinvio alla «legge» senza altre precisazioni. Come afferma giustamente la Commissione, un simile motivo è enunciato in modo così generico che non appare chiaramente quali siano le ipotesi previste - diverse da quelle che figurano ai trattini precedenti dell'art. 6, primo comma, che comprendono già tutte le eccezioni enunciate all'art. 3, n. 2, della direttiva 90/313 -, per cui tale motivo di rifiuto è suscettibile di determinare un'incertezza giuridica in quanto non garantisce che le autorità pubbliche procederanno alla sua attuazione conformemente allo spirito di tale direttiva.
62.
Riguardo all'argomento dedotto dal governo francese secondo il quale non ci sarebbe mai stata alcuna doglianza di singoli in merito alla non corretta applicazione dell'art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 90/313, esso deve essere respinto alla luce della giurisprudenza della Corte da cui risulta che il mancato rispetto di un obbligo imposto da una norma di diritto comunitario costituisce di per sé un inadempimento ed è irrilevante la considerazione che tale inosservanza non abbia prodotto effetti negativi (v. sentenze 21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-5901, punti 60, e 61 e 1° febbraio 2001, causa C-333/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1025, punto 37). Ne consegue anche che non può essere accolto l'argomento secondo cui nella pratica non è stato segnalato alcun caso contrario alla direttiva (v. sentenza 28 febbraio 1991, causa C-131/88, Commissione/Germania, Racc. pag. I-825, punto 9).
63.
Sulla base delle considerazioni che precedono, si deve constatare che la seconda censura della Commissione è anch'essa fondata.

Sulla censura vertente sulla mancanza di trasposizione dell'obbligo di comunicazione parziale di informazioni relative all'ambiente

Argomenti delle parti

64.
La Commissione rimprovera al governo francese di non aver ripreso espressamente nella legge n. 78-753 l'obbligo enunciato all'art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 90/313, di comunicare parzialmente le informazioni relative all'ambiente quando è possibile estrapolare le informazioni che possono giustificare un rifiuto di comunicazione.
65.
Il governo francese non ha veramente contestato tale censura dinanzi alla Corte.

Giudizio della Corte

66.
Da un lato, la Corte ha già dichiarato che l'art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 90/313 impone agli Stati membri l'obbligo di comunicare quelle informazioni dalle quali è possibile stralciare le menzioni suscettibili di essere coperte dalla riservatezza o dal segreto. Quest'ultima disposizione pone, pertanto, a carico degli Stati membri un obbligo di risultato preciso e disciplina direttamente la situazione giuridica dei singoli che beneficiano così del diritto di ottenere comunicazione delle informazioni nelle condizioni enunciate in tale disposizione (sentenza 9 settembre 1999, causa C-217/97, Commissione/Germania, Racc. pag. I-5087, punto 33).
67.
D'altro lato, è incontestato che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, il diritto francese non conteneva alcuna disposizione idonea a trasporre la norma enunciata all'art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 90/313.
68.
In mancanza di qualsiasi disposizione espressa nella normativa francese riguardante la comunicazione parziale di informazioni relative all'ambiente, l'obbligo di una simile comunicazione parziale non è garantito in modo sufficientemente chiaro e preciso da assicurare la certezza del diritto e porre chi può presentare una domanda di informazione in grado di conoscere la pienezza dei suoi diritti (v., in tal senso, sentenza 9 settembre 1999, Commissione/Germania, cit., punti 34 e 35).
69.
In tali condizioni, la terza censura della Commissione deve essere accolta.

Sulla censura vertente sulla mancata trasposizione dell'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313

Argomenti delle parti

70.
La Commissione fa valere che anche se l'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313, che permette alle autorità competenti di respingere una richiesta infondata di informazioni, formulata in modo troppo generico o riguardante documenti o dati incompleti o interni, enuncia solo una facoltà messa a disposizione degli Stati membri, tale norma deve cionondimeno essere trasposta formalmente in diritto interno quando uno Stato membro decide di avvalersi di essa.
71.
Infatti, in mancanza di espressa trasposizione, i singoli non possono essere informati con la necessaria chiarezza dell'estensione dei diritti che tale direttiva conferisce loro a tale riguardo. Il contesto normativo generale costituito, secondo il governo francese, dalla giurisprudenza del Conseil d'Etat (Francia) in materia, non sarebbe sufficiente a garantire l'applicazione della detta disposizione in modo tale da escludere qualsiasi rischio di attuazione non corretta di quest'ultima.
72.
Pur non contestando l'assenza di qualsiasi testo nazionale specifico in materia, il governo francese sostiene, al contrario, che il contesto normativo interno, e cioè la legge n. 78-753, come interpretata dalla giurisprudenza del Conseil d'Etat, assicura in modo chiaro e preciso la possibilità per una pubblica autorità di respingere una richiesta oscura, infondata o che implichi la comunicazione di documenti incompleti o interni.
73.
L'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313 non fa che conferire alle autorità pubbliche una facoltà che sarebbe già stata riconosciuta dal Conseil d'Etat e la semplice codificazione di essa non sarebbe idonea a tutelare un qualsiasi diritto dei singoli.
74.
Se è vero che, per quanto riguarda la terza censura della Commissione, una trasposizione espressa dell'art. 3, n. 2, secondo comma, sarebbe tale da conferire una pubblicità utile a tale disposizione, ciò non accadrebbe invece per la censura in esame, che riguarda il n. 3, della stessa disposizione. Infatti, le nozioni di abuso di diritto e di atto preparatorio esisterebbero negli ordinamenti giuridici della maggior parte degli Stati membri, tra i cui è compresa anche la Repubblica francese e, del resto, esse non si applicherebbero esclusivamente in materia di diritto di accesso alle informazioni relative all'ambiente. Quindi, anche se la direttiva 90/313 non avesse espressamente previsto la possibilità di rifiutare la comunicazione di caso di richieste abusive o formulate in termini troppo generici, o ancora riguardanti documenti incompleti o interni, le autorità nazionali potrebbero tuttavia avvalersi di tali principi per giustificare un provvedimento di rifiuto di comunicazione. Una trasposizione formale, oltre a costituire una semplice riscrittura della giurisprudenza del Conseil d'Etat, non farebbe altro che codificare principi generali ampiamente noti e consacrati da una giurisprudenza costante.

Giudizio della Corte

75.
Per valutare la fondatezza della quarta censura della Commissione, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri destinatari di una direttiva ha l'obbligo di adottare, nell'ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue (v., in particolare, sentenza 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag. I-4147, punto 15).
76.
Se quindi è indispensabile che la situazione giuridica derivante dalla misure nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara da permettere ai singoli interessati di essere informati dell'estensione dei loro diritti e obblighi, cionondimeno, secondo la formulazione stessa dell'art. 189, terzo comma, del Trattato, gli Stati membri possono scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che meglio permettono di garantire il risultato che devono raggiungere e da tale disposizione risulta che la trasposizione in diritto interno di una direttiva non esige necessariamente un'azione legislativa in ciascuno Stato membro. Anche la Corte ha a più riprese dichiarato che non è sempre richiesta una riproduzione formale delle disposizioni di una direttiva in una disposizione legale espressa e specifica, e che per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in funzione del suo contenuto, un contesto giuridico generale. In particolare, l'esistenza di principi generali di diritto costituzionale o amministrativo può rendere superflua la trasposizione provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc, a condizione tuttavia che tali principi garantiscano effettivamente la piena applicazione della direttiva da parte dell'amministrazione nazionale e che, nel caso in cui la disposizione in parola sia diretta a creare diritti per i singoli, la situazione giuridica risultate da tali principi sia sufficientemente precisa e chiara e che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v., in particolare, sentenze 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 1161, punti 22 e 23, nonché 9 settembre 1999, Commissione/Germania, cit., punti 31 e 32).
77.
Pertanto, occorre determinare caso per caso la natura della disposizione prevista da una direttiva, a cui si riferisce il ricorso di inadempimento, al fine di valutare l'estensione dell'obbligo di trasposizione che incombe sugli Stati membri.
78.
Per quanto riguarda la causa in esame, si deve constatare che, contrariamente a una disposizione simile a quella dell'art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 90/313, che attribuisce ai singoli un diritto alla comunicazione parziale delle informazioni relative all'ambiente dalle quali è possibile stralciare le menzioni non comunicabili (v., al riguardo, punti 66 e 68 della presente sentenza), l'art. 3, n. 3, della stessa direttiva non fa che accordare agli Stati membri la semplice facoltà (come risulta chiaramente dall'impiego del verbo «può») di rifiutare di accogliere una richiesta di informazioni in taluni casi determinati e, soprattutto, tale disposizione non attribuisce alcun diritto concreto a privati, come del resto non impone a loro carico un obbligo preciso e determinato. Tale disposizione si limita al contrario a prevedere la possibilità, esclusivamente per le pubbliche autorità, di rifiutare la comunicazione di tali informazioni in taluni casi tassativamente elencati.
79.
Del resto, al punto 33 della citata sentenza 9 settembre 1999, Commissione/Germania, la Corte ha già effettuato, a proposito della stessa direttiva 90/313, una distinzione analoga tra, da un lato, l'art. 3, n. 2, secondo comma, di quest'ultima e, dall'altro, il n. 2, primo comma, dello stesso articolo; orbene quest'ultima disposizione è, tenuto conto della sua formulazione, in tutto e per tutto paragonabile al menzionato art. 3, n. 3, in discussione nell'ambito del presente ricorso.
80.
Da quanto precede risulta che con riferimento all'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313, non è necessaria, per la trasposizione della medesima, la riproduzione formale e testuale di tale disposizione in diritto nazionale, ma può essere sufficiente un contesto giuridico generale, laddove quest'ultimo assicuri effettivamente la piena applicazione di tale direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso.
81.
Per quanto riguarda, in particolare, una disposizione come quella dell'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313, l'esigenza di una trasposizione specifica avrebbe un'utilità pratica molto ridotta, dal momento che tale disposizione è formulata in modo molto generico ed enuncia regole che hanno carattere di principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri.
82.
Quindi il rispetto di una disposizione di una direttiva dotata di tali caratteristiche deve essere assicurato essenzialmente al momento della sua concreta applicazione a una situazione determinata, indipendentemente dalla sua trasposizione formale e testuale in diritto nazionale.
83.
Pertanto, deve essere considerato sufficiente ad assicurare una valida trasposizione dell'art. 3, n. 3, della direttiva 90/313 un contesto giuridico generale caratterizzato nella fattispecie, dall'esistenza di nozioni il cui contenuto è chiaro e preciso e che sono applicate nell'ambito di una costante giurisprudenza del Conseil d'Etat.
84.
In tal modo risulta dalla giurisprudenza della Corte che si deve valutare la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali tenendo conto dell'interpretazione che ne danno i giudici nazionali (v., in particolare, sentenza 29 maggio 1997, causa C-300/95, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-2649, punto 37). Analogamente, occorre prendere in considerazione l'interpretazione che tali giudici hanno dato dei principi generali del diritto sanciti nell'ordinamento giudico interno.
85.
Nella fattispecie, nessun elemento in possesso della Corte indica che un contesto giuridico generale come quello invocato dal governo francese non è idoneo a garantire la piena applicazione della direttiva 90/313.
86.
Infatti, la Commissione non ha invocato a sostegno della sua quarta censura alcuna decisione dei giudici francesi che avrebbe sancito un'interpretazione della legge n. 78-753 non conforme all'art. 3 della detta direttiva e, del resto, sulla base degli elementi del fascicolo, non c'è nulla che possa far ritenere che tali giudici non interpreteranno il diritto nazionale alla luce della lettera e della finalità di tale direttiva e non assicureranno effettivamente la piena applicazione di quest'ultima, conformemente ai precetti dell'art. 189, terzo comma, del Trattato.
87.
Poiché la Commissione ha l'obbligo di dimostrare l'esistenza dell'inadempimento contestato, fornendo alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da parte di quest'ultima, dell'esistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenza Commissione/Regno Unito, cit., punto 31), la quarta censura della Commissione deve essere respinta.

Sulla censura vertente sull'esistenza di decisioni implicite di rigetto non motivate

Argomenti delle parti

88.
A giudizio della Commissione, il meccanismo del diritto francese detto del «rigetto implicito», previsto all'art. 2, del decreto n. 88-465, - in forza del quale il silenzio dell'autorità competente investita di una richiesta di comunicazione di documenti amministrativi, protratto per oltre un mese, equivale a una decisione di rigetto - è incompatibile con l'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313.
89.
Infatti, quest'ultima disposizione comporterebbe chiaramente l'obbligo a carico dell'autorità pubblica interessata di motivare qualsiasi decisione di rifiuto di comunicare l'informazione richiesta. Al contrario, il meccanismo del rifiuto tacito, quale delineato dall'art. 2 del decreto n. 88-465, equivarrebbe a sopprimere la portata obbligatoria dell'obbligo di motivazione imposto dall'art. 3, n. 4, di tale direttiva.
90.
Nella sua replica, la Commissione aggiunge che l'applicazione di tale decreto ha l'effetto di instaurare una possibilità di motivazione tardiva, vale a dire oltre il termine di due mesi previsto all'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313, delle decisioni implicite di rigetto della richiesta di informazioni. Orbene, da tale disposizione risulterebbe che la motivazione deve essere contestuale all'adozione della decisione di rigetto della richiesta di informazioni e non può costituire oggetto di una regolarizzazione a posteriori. La stessa conclusione risulterebbe dalla sentenza 26 novembre 1981, causa 195/80, Michel/Parlement (Racc. pag. 2861, punto 22).
91.
E' vero che la possibilità offerta al singolo dall'art. 5 della legge n. 79-587 di ottenere comunicazione dei motivi di qualsiasi decisione implicita di rigetto entro il mese successivo alla data di presentazione di una domanda proposta a tal fine potrebbe condurre al rispetto del termine di due mesi previsto all'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313, ma alla sola condizione - essenzialmente teorica -, che il richiedente reagisca immediatamente al silenzio mantenuto dall'amministrazione per un mese. In ogni caso, tale procedura porrebbe a carico dell'interessato l'obbligo, non previsto da tale direttiva, di sollecitare la comunicazione della motivazione della decisione di rigetto in parola.
92.
Il governo francese ribatte, a titolo principale, che l'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 impone alla pubblica autorità due obblighi distinti, enunciati in due frasi indipendenti l'una dall'altra. Così, in applicazione della prima frase di tale disposizione, l'amministrazione dovrebbe rispondere a una richiesta di informazioni al più presto e comunque non oltre due mesi dalla sua presentazione. In conformità della seconda frase della stessa disposizione, l'autorità pubblica dovrebbe motivare il rifiuto di comunicare l'informazione. Poiché la seconda frase non contiene alcun rinvio alla prima, non si può sostenere che tale disposizione esigerebbe una contestualità tra il rifiuto di comunicazione dell'informazione richiesta e la motivazione di esso. Inoltre, la seconda frase del detto art. 3, n. 4, non limiterebbe l'obbligo di motivazione ad alcun termine prefissato. Da ciò conseguirebbe che tale obbligo è subordinato alla sola condizione che la motivazione intervenga entro un termine ragionevole per non privare la disposizione in questione di effetto utile.
93.
Tale governo aggiunge, a titolo subordinato, che la prima frase dell'art. 7 della legge n. 78-753 comporta chiaramente l'obbligo dell'amministrazione di motivare qualsiasi decisione di rigetto di una richiesta di comunicazione, con la precisazione che tale motivazione deve essere scritta. Tuttavia, nel caso in cui, in violazione della regola imposta dal menzionato art. 7, un'autorità pubblica poco diligente non avesse risposto a tale richiesta, la normativa nazionale avrebbe previsto la finzione di una decisione implicita di rigetto, destinata a tutelare i singoli evitando che, in caso di silenzio dell'amministrazione, essi siano privati, in mancanza di un atto da impugnare, della possibilità di proporre un ricorso giurisdizionale. Pertanto sarebbe erroneo ritenere che tale meccanismo permetta all'amministrazione di non dare una risposta motivata alla richiesta che le è stata rivolta.
94.
Del resto, anche in caso di decisione implicita di rigetto, la situazione sarebbe disciplinata dall'art. 5 della legge n. 79-587, in forza del quale il singolo disporrebbe di un ricorso in via amministrativa per ottenere la motivazione a cui ha diritto.

Giudizio della Corte

95.
La Commissione muove alla Repubblica francese la censura di non aver formalmente trasposto l'obbligo generale, previsto all'art. 3, n. 4, primo comma, della direttiva 90/313, di rispondere a una richiesta di informazioni relative all'ambiente al più tardi entro il termine di due mesi.
96.
Infatti, la Commissione limita la sua censura all'ipotesi particolare del rigetto implicito quale previsto in diritto francese.
97.
A tale riguardo, la Commissione sottolinea essenzialmente il fatto che il meccanismo previsto all'art. 2 del decreto n. 88-465 avrebbe l'effetto di sopprimere l'obbligo di motivazione «fin dall'inizio e in qualsiasi caso» di ogni decisione di rigetto. Nel corso della fase scritta del procedimento, la Commissione ha insistito sul fatto che la motivazione del rifiuto deve essere contestuale alla decisione stessa, per cui il meccanismo del rigetto implicito sarebbe in sé incompatibile con la direttiva 90/313.
98.
La Commissione aggiunge che neppure la facoltà per il richiedente di ottenere comunicazione della motivazione è conforme alla direttiva 90/313. Infatti, da un lato, tale possibilità imporrebbe al richiedente un onere non previsto da quest'ultima, che implicherebbe l'obbligo di motivare d'ufficio la decisione di rifiuto di comunicazione, indipendentemente da una previa richiesta in tal senso. D'altra parte, una simile comunicazione dei motivi del rifiuto interverrebbe quasi sempre oltre il termine di due mesi fissato da tale direttiva, mentre il rispetto di tale termine richiederebbe che il richiedente intervenga immediatamente al termine del mese di silenzio dell'amministrazione e che quest'ultima effettivamente reagisca nel mese seguente.
99.
Per pronunziarsi sulla fondatezza di tale argomentazione occorre in primo luogo constatare che l'art. 7 della legge n. 78-753 prevede espressamente che il rifiuto di comunicazione debba assumere la forma di una «decisione scritta motivata».
100.
L'obbligo di motivazione di qualsiasi decisione di rifiuto risulta pertanto dalla formulazione stessa di tale legge.
101.
Del resto, il governo francese sostiene, senza che la Commissione lo contraddica su questo punto, che in diritto francese l'assenza di motivazione delle decisioni amministrative sfavorevoli concernenti le persone fisiche e giuridiche costituisce un vizio sanzionato dai giudici competenti.
102.
Il detto governo aggiunge che la finzione della decisione implicita di rigetto non ha affatto lo scopo di permettere all'amministrazione di ignorare tale obbligo di motivazione, ma che essa è diretta a tutelare gli amministrati i quali, nell'ipotesi di una mancanza di diligenza da parte della pubblica autorità, dispongono così di un mezzo di ricorso giurisdizionale contro la decisione di rigetto a cui si ritiene equivalga il silenzio dell'amministrazione protratto per oltre un mese. Il meccanismo del rigetto dedotto dalla mancanza di reazione dell'autorità competente non ha quindi assolutamente la funzione di eludere l'obbligo di motivazione che incombe sull'amministrazione.
103.
Occorre inoltre rilevare che il disposto dell'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313 non è univoco per quanto riguarda il punto di diritto da risolvere nella presente causa.
104.
Infatti la lettera di tale disposizione non permette di dare una chiara risposta alla questione di stabilire se esso comporti, come sostiene la Commissione, che la motivazione deve essere contestuale alla decisione di rigetto o, come tale istituzione ha precisato all'udienza, che i motivi devono almeno essere comunicati nei due mesi successivi alla presentazione della richiesta iniziale oppure se, al contrario, le due frasi che compongono tale disposizione non presentino un legame diretto tra loro, in modo tale che, come afferma il governo francese, la seconda non limita l'obbligo di motivazione ad alcun termine prefissato - fatta salva l'applicazione del principio del termine ragionevole applicabile nel caso concreto - e permette così una comunicazione successiva dei motivi di tale decisione di rigetto.
105.
In tale contesto, il governo francese ha svolto un ragionamento a contrario consistente nell'invocare una proposta di modifica della direttiva 90/313 il cui testo, se adottato, accoglierebbe per il futuro la tesi della contestualità della decisione di rigetto e della comunicazione dei motivi di quest'ultima.
106.
Infatti l'art. 4, n. 4, della posizione comune (CE) n. 24/2002, del 28 gennaio 2002, definita dal Consiglio, in vista dell'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313 (GU C 113, pag. 1), è formulato come segue: «Il rifiuto di mettere a disposizione, in tutto o in parte, l'informazione richiesta è notificato al richiedente (...) entro i termini di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), o eventualmente lettera b). La notifica precisa i motivi del rifiuto ed informa il richiedente della procedura di impugnazione di cui all'articolo 6».
107.
La volontà delle istituzioni comunitarie competenti di modificare il testo dell'art. 3, n. 4, della direttiva 90/313, per chiarirne la portata potrebbe effettivamente costituire un indizio del fatto che tale disposizione, nella sua attuale redazione, non esige la comunicazione contestuale della decisione di rigetto e dei motivi di quest'ultima. La modifica progettata rende per lo meno evidente che un simile obbligo non risulta chiaramente dal testo attualmente in vigore.
108.
Del resto, la Commissione ha essa stessa mitigato la propria posizione sostenendo, nel corso dell'udienza, che la motivazione della decisione di rigetto deve, comunque, intervenire entro i due mesi successivi all'introduzione della richiesta iniziale, il che equivale ad ammettere che essa possa essere separata dal rifiuto stesso.
109.
Occorre precisare, infine, che il punto 22 della citata sentenza Michel/Parlamento, invocata dalla Commissione, non può essere applicato per analogia alla presente causa, dato che il contesto in cui è stato reso è diverso da quello in cui si colloca il ricorso in esame.
110.
In compenso, si deve rilevare che al punto 15 della sentenza 15 ottobre 1987, causa 222/86 Heylens e a. (Racc. pag. 4097), la Corte ha espressamente riconosciuto la possibilità per l'amministrazione di far conoscere i motivi di una decisione di rifiuto in una comunicazione successiva.
111.
In considerazione di quanto precede, occorre dichiarare che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la finzione secondo cui il silenzio mantenuto dall'amministrazione equivale a decisione di rigetto implicito non può, di per sé, essere considerata incompatibile con le previsioni della direttiva 90/313 per il solo fatto che una decisione di rigetto tacito non comporta, per definizione, alcuna motivazione. Inoltre, allo stato attuale del diritto comunitario, l'asserita necessità della contestualità tra la decisione di rig