G.I.P. Tribunale Avellino decr. 15 giugno 2013
Est. Riccardi
Ambiente in genere. Disastro ambientale (vicenda Isochimica)

È configurabile il reato di cui all’art. 434 c.p. nei casi di disastro ambientale, in quanto, sebbene difettino i requisiti della violenza della condotta e della immediatezza e distruttività dell’evento, il disastro comprende non soltanto gli eventi di grande evidenza immediata e che si esauriscono in un arco di tempo ristretto (incendio, naufragio, ecc.), ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo eventualmente molto prolungato, purchè si verifichi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l’esistenza di una offesa alla pubblica incolumità (Nella fattispecie in esame, l’evento disastro rilevante ai sensi del 2° comma dell’art. 434 c.p. risulta essersi perfezionato con la grave e perdurante contaminazione dell’intera area industriale ove sorgeva uno stabilimento destinato alla lavorazione e rimozione di amianto, laddove sono state abbandonate tonnellate di amianto all’aperto, e sono stati interrati circa 1600 metri cubi di amianto, che, pur non avendo raggiunto la falda acquifera, destano particolare preoccupazione, non soltanto per la non perfetta impermeabilizzazione che consente dispersione di fibre nell’aria, ma anche in considerazione della natura notoriamente sismica del territorio, che può innescare movimenti idonei alla contaminazione anche delle acque).

MASSIME

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO – DISASTRO AMBIENTALE

  1. È configurabile il reato di cui all’art. 434 c.p. nei casi di disastro ambientale, in quanto, sebbene difettino i requisiti della violenza della condotta e della immediatezza e distruttività dell’evento, il disastro comprende non soltanto gli eventi di grande evidenza immediata e che si esauriscono in un arco di tempo ristretto (incendio, naufragio, ecc.), ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo eventualmente molto prolungato, purchè si verifichi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l’esistenza di una offesa alla pubblica incolumità (Nella fattispecie in esame, l’evento disastro rilevante ai sensi del 2° comma dell’art. 434 c.p. risulta essersi perfezionato con la grave e perdurante contaminazione dell’intera area industriale ove sorgeva uno stabilimento destinato alla lavorazione e rimozione di amianto, laddove sono state abbandonate tonnellate di amianto all’aperto, e sono stati interrati circa 1600 metri cubi di amianto, che, pur non avendo raggiunto la falda acquifera, destano particolare preoccupazione, non soltanto per la non perfetta impermeabilizzazione che consente dispersione di fibre nell’aria, ma anche in considerazione della natura notoriamente sismica del territorio, che può innescare movimenti idonei alla contaminazione anche delle acque).

 

  1. Nei delitti contro l’incolumità pubblica, il disastro, nell’ipotesi dolosa (art. 434 c.p.), costituisce un parametro di qualificazione della pericolosità della condotta (“commette un fatto diretto a cagionare…un altro disastro…, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”), mentre nell’ipotesi del 2° comma (“se…il disastro avviene”), e nell’ipotesi colposa (artt. 434-449 c.p.), il disastro costituisce l’evento del reato (“chiunque…cagiona per colpa…un altro disastro”).

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO – DISASTRO AMBIENTALE – DIMENSIONI DEL DISASTRO – EVENTO DISTRUTTIVO DI PROPORZIONI STRAORDINARIE – PERICOLO PER L’INCOLUMITA’ DI UN NUMERO INDETERMINATO DI PERSONE

 

  1. Il disastro innominato -la cui tipicità ricomprende i fatti coinvolgenti la popolazione (c.d. esposti non professionali), a differenza del reato di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.), la cui tipicità è limitata ai fatti ai danni dei lavoratori della fabbrica (i c.d. esposti professionali)- è un reato a consumazione anticipata causalmente orientato, che deve assumere, sul piano dimensionale, gli estremi di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi, e, sul piano della proiezione offensiva, deve provocare un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti (Nella fattispecie, le condotte, reiterate nel corso degli anni, di inquinamento ambientale, consistenti nella incontrollata dispersione delle fibre di amianto, connessa prima al processo produttivo in atto e, successivamente, all’abbandono dei cubi di amianto nell’area (anche) scoperta, e nella grave contaminazione dell’area determinata mediante interramento di oltre 1600 metri cubi di amianto integrano il reato di disastro innominato di cui all’art. 434 co. 1 c.p., mentre il susseguirsi di tali condotte, attive (nell’ambito del processo produttivo) ed omissive (connotate dall’abbandono dell’amianto e nella mancata bonifica), nel corso degli anni ha determinato la verificazione di un evento di disastro ecologico ed ambientale, rilevante ai sensi dell’art. 434 comma 2 c.p.).

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO – DISASTRO AMBIENTALE – POSIZIONI DI GARANZIA – BONIFICA DEI SITI INQUINATI – MESSA IN SICUREZZA DI EMERGENZA

 

  1. Nei casi di disastro ambientale cagionato da produzioni industriali insalubri, l’individuazione delle posizioni di garanzia rilevanti negli interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati, risponde al principio fondamentale, di ascendenza comunitaria, del “chi inquina paga”. Alla stregua delle normative che si sono succedute (art. 17 D.lgs. 22/1997 e artt. 239 ss. D.lgs. 152/2006), le posizioni di garanzia sono rivestite dal responsabile dell’inquinamento, in via originaria, dal Comune, in via sussidiaria, dalla Regione, in via surrogatoria, da altri soggetti interessati, in via derivata. Il contenuto della posizione di garanzia consiste nell’obbligo di provvedere alla bonifica del sito inquinato, e, in via preliminare, alla messa in sicurezza di emergenza (art. 240 lett. m) T.U. amb.).

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO – DISASTRO AMBIENTALE – ESPOSIZIONE A SOSTANZE TOSSICHE - NESSO DI CAUSALITA’

 

  1. Nei procedimenti per l’accertamento di responsabilità penali per l’esposizione a sostanze tossiche (amianto, CVM, ecc.) utilizzate nell’ambito di processi produttivi, la contestazione della fattispecie di disastro c.d. innominato, punita nella forma dolosa dall’art. 434 c.p. e nella forma colposa dall’art. 449 c.p., consente, sotto il profilo probatorio, di evitare l’accertamento del nesso causale rispetto ad ogni singolo evento patologico determinato dall’esposizione alla sostanza tossica (la c.d. causalità individuale), rendendo sufficiente l’accertamento della c.d. causalità generale, sulla base anche di affidabili evidenze di natura epidemiologica.

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO – DISASTRO AMBIENTALE – DOLO – DOLO INTENZIONALE – DOLO DIRETTO ED EVENTUALE – IDONEITA’ OFFENSIVA DELLA CONDOTTA

 

  1. Ai fini della configurabilità del dolo del reato di disastro, la condotta del responsabile di una produzione insalubre che inquini gravemente un sito industriale, con modalità tali da “cagionare un disastro”, connota il dolo del disastro innominato c.d. potenziale (art. 434 comma 1 c.p.), mentre la successiva condotta di abbandono dell’area, di dispersione dei rifiuti pericolosi, di totale disinteressamento alle pur obbligatorie operazioni di bonifica, connotano il dolo del disastro consumato (art. 434 comma 2 c.p.), non potendosi in tal senso ritenere che il produttore non si sia rappresentato la situazione di grave ed estrema compromissione creata e lasciata, e non abbia voluto, anche mediante il proprio disinteresse per la bonifica, il disastro ambientale progressivamente materializzatosi (Nella fattispecie, la condotta dell’amministratore e dei principali dirigenti aziendali di un’impresa esercente l’attività di rimozione di amianto dalle carrozze ferroviarie non si arresta alla fase della produzione, deliberatamente e sconsideratamente attuata senza alcuna forma di protezione individuale e collettiva dalle polveri di asbesto, ma allunga la propria inesorabile proiezione offensiva anche alle fasi successive, di persistente e grave contaminazione del sito, determinata prima dall’interramento di tonnellate di amianto, e poi dall’abbandono di cubi in cemento-amianto sul piazzale e di capannoni, edifici ed altri beni strumentali in condizioni tali da determinare la dispersione delle fibre di amianto).

 

  1. Ai fini della configurabilità del dolo di disastro, l’espressione “fatto diretto a cagionare” contenuta nel 1° comma dell’art. 434 c.p. non connota l’intensità dell’elemento soggettivo in termini di dolo intenzionale, ma assume una valenza essenzialmente oggettiva, quale “idoneità o attitudine causale a cagionare il disastro”; l’ambito di applicazione dell’art. 434 c.p. va dunque esteso anche alle forme di dolo diretto ed eventuale, anche perché, in presenza di un corrispondente delitto colposo (art. 449 c.p.), l’opposta opinione lascerebbe un irragionevole vuoto di tutela con riferimento al medesimo evento disastroso, in quanto esso sarebbe punibile solo a titolo di dolo intenzionale e di colpa, e non già per le forme intermedie di dolo diretto e dolo eventuale.

 

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO VERIFICATOSI – DISASTRO AMBIENTALE – NATURA AUTONOMA – NATURA CIRCOSTANZIALE

 

  1. Il reato di disastro innominato previsto dal 2° comma dell’art. 434 c.p. è una fattispecie autonoma, e non già circostanziale; oltre ai rapporti di eterogeneità strutturale tra fattispecie (il 1° comma descrive un reato di pericolo, il 2° comma un reato di danno con evento naturalistico), la tesi della natura autonoma è fondata anche sulla considerazione che l’estensione del corrispondente reato colposo di disastro innominato (art. 449 c.p.) è limitata all’ipotesi del disastro consumato; allorquando l’art. 449 c.p. richiama per relationem l’ “altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo” necessariamente rinvia, per quanto concerne l’art. 434 c.p., all’ipotesi ‘consumata’ prevista dal 2° comma; in tal senso, dunque, fondando la natura autonoma, e non già circostanziale della fattispecie, restando altrimenti anomalo un rinvio recettizio di una fattispecie senz’altro autonoma ad una fattispecie meramente aggravante.

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO– DISASTRO AMBIENTALE – DECORRENZA TERMINI DI PRESCRIZIONE

 

  1. Con riferimento al decorso dei termini di prescrizione del reato di disastro innominato, il dies a quo coincide con l’integrazione del disastro (Nella fattispecie, l’evento è stato ritenuto perdurante, e quindi suscettibile ancora di individuare il termine di decorrenza, in quanto la condotta criminosa dei responsabili della produzione non può ritenersi cessata con la chiusura dello stabilimento, ovvero con la dichiarazione di fallimento, in quanto proprio la normativa in tema di bonifica dei siti contaminati costituisce una fonte dell’obbligo di garanzia gravante sul responsabile della produzione che ha provocato l’inquinamento).

 

DELITTI CONTRO L’INCOLUMITA’ PUBLICA – DISASTRO INNOMINATO COLPOSO – DISASTRO AMBIENTALE – REATO DI PERICOLO ASTRATTO – NOZIONE DI PERICOLO

 

  1. Le fattispecie di disastro colposo innominato (art. 449 c.p.), benché rubricate in termini di delitti colposi di danno, devono essere più propriamente ritenute fattispecie di pericolo astratto, come del resto le corrispondenti fattispecie dolose descritte al Capo I del Titolo VI, e richiamate nella norma; invero, la verificazione di una frana, o di un qualsiasi altro disastro, per integrare la soglia del penalmente rilevante, non necessariamente deve determinare un evento di danno nei confronti della pubblica incolumità, nel senso che non occorre la compromissione reale dei beni vita e incolumità di un numero indeterminato di persone, essendo al contrario sufficiente un evento naturalisticamente pericoloso per la pubblica incolumità. In altri termini, il danno evocato nella rubrica dell’art. 449 c.p., in contrapposizione al pericolo evocato nella successiva fattispecie di cui all’art. 450 c.p., fa riferimento alla verificazione dell’evento naturalistico (frana, inondazione, incendio, ecc.), intrinsecamente ritenuto pericoloso per l’incolumità pubblica, a differenza, appunto, delle fattispecie di cui all’art. 450 c.p., che tipizzano un evento normativo (e non già naturalistico), costituito dal pericolo di un disastro.

 

  1. Nei delitti di disastro colposo, la norma penale è descritta mediante il richiamo ad elementi descrittivi caratterizzati da una indiscutibile “pregnanza semantica” (incendio, disastro ferroviario, frana, inondazione, ecc.) tale da assicurare la tipicità solo a quei fatti realmente offensivi del bene tutelato; viene infatti descritto un evento naturalistico, inteso come conseguenza della condotta umana, che coincide con l’offesa all’interesse protetto, in quanto dotato di un “sostrato di fatto” immediatamente percepibile. Essendo la nozione di pericolo un concetto essenzialmente normativo, di relazione tra un fatto umano (la condotta o l’evento tipizzati nella fattispecie) ed una norma, che qualifica in termini di pericolo il fatto, e che prescinde da qualificazioni su basi ontologiche o naturalistiche, il criterio di qualificazione dell’attributo di pericolosità di un fatto va ricercato su basi normative, sulla scorta di criteri di imputazione giuridica; in altri termini, è la norma a dover stabilire il livello di pericolosità ontologica sufficiente a raggiungere la soglia normativa del penalmente rilevante.

 



 

 

TRIBUNALE DI AVELLINO

Sezione dei Giudici per le indagini preliminari

 

ORDINANZA DI CONVALIDA DEL SEQUESTRO PREVENTIVO OPERATO D’URGENZA DAL P.M. E CONTESTUALE EMISSIONE DEL DECRETO DI SEQUESTRO PREVENTIVO

(art. 321/3 bis c.p.p.)

 

 

 

Il Giudice per le indagini preliminari, dott. Giuseppe Riccardi

 

letta la richiesta del 5 giugno 2013 con la quale il P.M. in sede ha chiesto la convalida del provvedimento di sequestro preventivo, emesso in via d’urgenza dal P.M. il 30 maggio 2013 ed eseguito in data 3 giugno 2013, e l’emissione di l’emissione di un decreto di sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321 co. 1 c.p.p., dello stabilimento e dell’area dell’ex Isochimica, ubicata in Avellino, località Pianodardine-Zona ASI;

letti gli atti del procedimento sopra indicato nei riguardi di:

omissis

 

ha emesso il seguente

DECRETO

 

  1. Fumus commissi delicti.

Va preliminarmente osservato che secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, “tra i presupposti di ammissibilità del sequestro, sia esso preventivo o probatorio, non è da includere la fondatezza dell’accusa e tantomeno la colpevolezza dell’imputato, bensì l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, salvo che la sua infondatezza risulti del tutto manifesta” (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 22712 del 5-6-08).

Ebbene, alla stregua delle indagini espletate, deve ritenersi che ricorra il fumus commissi delicti –inteso come “astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato” (per tutte, Cass.pen., Sezioni Unite, 23 aprile 1993 n. 4, Gifuni)- dei reati ipotizzati, con particolare riferimento al disastro doloso ed al disastro colposo contestati ai capi A e B dell’imputazione provvisoria.

 

    1. Ricostruzione delle vicende, produttive, societarie ed amministrative, dell’Isochimica. Rilevanza ai fini della valutazione della condotta, commissivo-dolosa e omissivo-colposa, contestata.

Ai fini della valutazione del requisito del fumus commissi delicti, appare preliminarmente opportuno evidenziare alcuni dei principali elementi fattuali posti a fondamento dell’imputazione provvisoria, che materializzano, in una vicenda complessa e che si è articolata lungo quasi tre decenni, le ipotesi di reato del disastro c.d. innominato (nella forma dolosa ed in quella colposa).

Secondo quanto emerge dalla copiosa documentazione e dalle diffuse indagini, anche di natura tecnica, espletate dalla pubblica accusa, alla cui analitica ricostruzione storica contenuta nel sequestro d’urgenza si rinvia, nell’area di Pianodardine venne installato, nel 1982, uno stabilimento industriale per la produzione e la messa in opera di isolamenti chimici termo-acustici in sostituzione dei precedenti materiali a base di amianto e lana di vetro; in particolare, nello stabilimento, gestito dalla società ISOCHIMICA S.p.a., amministrata da XX, si procedeva alla scoibentazione e ricoibentazione di carrozze ferroviarie provenienti dalle officine delle Ferrovie dello Stato.

L’area, originariamente di circa 15.200 mq., successivamente ampliata a 42.011 mq., venne dunque adibita all’attività industriale in oggetto con l’edificazione di due edifici, due capannoni per il ciclo produttivo ed una cabina di trasformazione Enel.

L’attività industriale proseguì dal 1982 al 1988, allorquando, con delibera del 9.9.1988, la Giunta Comunale di Avellino non la dichiarò “industria insalubre di 1° classe”, adottando un’ordinanza sindacale (n. 43960 del 15.9.1988) di sospensione temporanea delle attività “quale misura di sicurezza atta a tutelare la salute pubblica nelle more della definizione del trattamento del materiale tossico ivi depositato e derivante dall’attività Industriale” (Allegato 4).

Oltre alla sospensione amministrativa dell’attività, in breve lasso di tempo intervenne anche decreto della Pretura di Firenze di chiusura dei capannoni, con cessazione dell’attività di decoibentazione (13.12.1988; allegato 1 pp. 4-5).

Nell’ambito del procedimento penale n. 878/86 iscritto presso la locale Procura della Repubblica, peraltro, venne immediatamente rilevata la contaminazione del sito; invero, la prima relazione tecnica (proff. Carlo Romano, Gennaro Volpicelli e dott. Mario Mansi) stimava che nello stabilimento si era proceduto alla rimozione di circa 2.276 tonnellate di amianto, ed accertava che all’interno del piazzale dello stabilimento erano presenti circa 300 cubi finiti, più altri 100 disposti lungo il lato del capannone A; per ogni cubo veniva stimato un peso di amianto pari a circa 500 kg; infine, veniva accertato che precedentemente al primo semestre del 1987 l’amianto rimosso veniva smaltito facendo ricorso all’interramento in più fosse (almeno tre) scavate all’interno del perimetro dello stabilimento Isochimica S.p.a.. Inoltre, venivano effettuati 5 carotaggi, dai quali emergeva la presenza di amianto sia nel terreno che nell’aria1.

 

Con sentenza emessa il 3-4 gennaio 1990 il Tribunale di Avellino dichiarava il fallimento della Isochimica S.p.a., nominando curatore fallimentare l’Avv. Domenico Cucciniello.

Con delibera del Consiglio Comunale di Avellino n. 574 del 19.2.1990 veniva interessato il Ministero dell’Ambiente per il risanamento dell’area e contestualmente dato incarico alla Curatela fallimentare di attuare tutte le opere necessarie alla messa in sicurezza dell’area (Allegato 24).

Nel 1996 veniva affidata una nuova consulenza tecnica al prof. Gaetano Cecchetti e al P.I. Ezio Bontempelli, incaricati dalla Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna di accertare se “l’amianto interrato può permanere in sito o deve essere rimosso” (Allegato 3).

Riferendosi alla perizia tecnica del 1989 dei proff. Carlo Romano e Gennaro Volpicelli e del dott. Mario Mansi e alla relazione idrogeologica sull’area effettuata dal dott. geol. Costantino Severino nel marzo 1996, su incarico della ditta Ekoground di Genova, i consulenti escludevano “un rischio di inquinamento della falda idrica e una situazione di inquinamento dell’aria tale da richiedere interventi di bonifica”, ma affermano la necessità di rimuovere i cubi in cemento contenenti amianto, stoccati all’interno dello stabilimento, ed abbandonati da circa 8 anni, con tracce di affioramenti di fibre2.

Con delibera n. 2156 del 4.12.1997 della Giunta Comunale di Avellino venivano trasmessi gli atti al Ministero dell’Ambiente per evidenziare la presenza di tonnellate di amianto nel sito dell’ex Isochimica S.p.a., per il riconoscimento dell’interesse nazionale della bonifica (Allegato 24).

Nel settembre 1999 subentrava l’Avv. YY nella curatela del fallimento, in seguito al decesso dell’Avv. Cucciniello; in data 9.10.1999 il Comune di Avellino intimava al curatore fallimentare di effettuare, entro e non oltre 120 giorni, la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate dello stabilimento Isochimica ai sensi del D.lgs. 22/97, pena la procedura in danno (Allegato 4 acquisito con verbale del 13/12/2012 art. 256 c.p.p.). All’intimazione il curatore rispondeva di non poter ottemperare per mancanza di risorse finanziarie.

Nell’ambito di una serie di contatti intrapresi dal Comune di Avellino per la redazione di un progetto di bonifica del sito, e per l’acquisto dell’area (anni 2000-2001), nel 2002

veniva depositata una terza relazione tecnica (Proff. Cecchetti e De Vivo) sulla contaminazione del sito; la relazione, commissionata dal Comune di Avellino, accertava, sulla base anche di numerosi carotaggi, la presenza di amianto fibroso interrato nel piazzale di ingresso, e di 347 cubi in cemento contenenti i rifiuti provenienti dalla scoibentazione delle carrozze ferroviarie, dei quali raccomandava l’immediata rimozione.

In seguito alla procedura d’infrazione europea, venivano individuati nel Comune di Avellino e nel Commissario straordinario di Governo per la Gestione dei rifiuti gli enti preposti agli interventi di bonifica del sito (2004).

Il 22 aprile 2004 l’ARPA Campania trasmetteva al Commissario di Governo il “Piano della caratterizzazione ai sensi del D.M. 471/99 del sito ex Area Industriale Isochimica” Rev. 0 (prot. n. 9436/892/ia) (Allegato 12). Il Piano prevedeva, come azioni di messa in sicurezza di emergenza da effettuare, “la sigillatura degli edifici per evitare che il rilascio di fibre continui nel tempo” e “la rimozione dei rifiuti contenenti amianto (cubi rivestiti di cemento) e degli altri rifiuti (bidoni presso il raccordo ferroviario, rifiuti ammassati sotto l’edificio in costruzione, altri rifiuti presenti nel sito) previa la loro identificazione e catalogazione”, nonché il rispristino della recinzione attorno al perimetro dello stabilimento per impedire l’accesso al sito di estranei (pag. 17). Anche in tale Piano viene rilevata la presenza di 347 cubi in calcestruzzo contenenti amianto nel piazzale di ingresso.

Veniva inoltre presentato un Piano di gestione e smaltimento dell’amianto ed un Piano di gestione degli altri rifiuti presenti nel sito, con la prescrizione di analisi qualitative del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee.

Nel maggio 2004 i primi interventi di messa in sicurezza del sito vengono affidati alla ditta GE.I.S.A. s.r.l. di Salerno (Amministratore unico ing. HH), che, incaricata dal Curatore avv. YY, sottopone all’ASL AV2 (prot. Part. 3110) il Piano per la messa in sicurezza e il Piano Operativo di Sicurezza (P.O.S.) relativi all’area occupata dallo stabilimento dell’ex Isochimica S.p.a. (Allegato 13). Con nota prot. n. 3555 del 2.7.2004, l’ARPAC–Dipartimento Provinciale di Avellino comunica al Comune di Avellino e p.c. alla GE.I.S.A. s.r.l. il proprio parere favorevole relativamente agli interventi proposti nel Piano di messa in sicurezza d’emergenza dell’area ex Isochimica. L’ASL/AV2 precisa al riguardo che l’intervento previsto dal Piano di messa in sicurezza d’emergenza è da ritenersi come “intervento di bonifica per confinamento” come disciplinato dal D.M. 14/05/1996, emanato ai sensi della legge 257/92, art. 5, c. 1, e ribadisce alla GE.I.S.A. le prescrizioni già impartite. La ditta GE.I.S.A. s.r.l., con nota del 21.7.2004, trasmessa all’ASL AV/2 (prot. n. 4962 part. del 22/07/2004) e p.c. al Comune di Avellino e p.c. al Curatore avv. YY, comunica che, a suo parere, l’intervento previsto dal Piano di messa in sicurezza d’emergenza non rientra tra le operazioni di bonifica previste e disciplinate dal D.M. 14/05/96, ma è da considerarsi un intervento di messa in sicurezza con la finalità di “contenere la diffusione degli inquinanti e impedire il contatto con le fonti inquinanti presenti nel sito”, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 471/99. Pertanto, riferendo di aver già ricevuto dall’ARPAC di Avellino parere favorevole circa gli interventi proposti dal Piano per la messa in sicurezza d’emergenza – e di aver ottemperato, quindi, a quanto richiesto – comunica che l’inizio dei lavori viene fissato in ogni caso al 26/07/2004 (Allegato 16). In data 22.10.2004 la ditta GEISA trasmette all’ASL/AV2 la relazione tecnica di fine lavori, illustrando le operazioni di messa in sicurezza eseguite nel periodo tra il 26.7.2004 ed il 24.9.2004, ed ultimate il 21.10.2004. La relazione, in particolare, evidenzia le 5 operazioni di messa in sicurezza effettuate: trattamento e copertura dei cubi in calcestruzzo stoccati nel piazzale, e di tutti in macchinari e materiali adoperati per la produzione, per impedire la dispersione di fibre, la chiusura dei vani aperti nei capannoni e la sigillatura di tutte le aperture, e delle lastre lesionate delle coperture in cemento-amianto dei capannoni. Veniva altresì specificato che non si era proceduto ad interventi di rimozione o raccolta di materiali contenenti e/o contaminati da amianto, da smaltire quali rifiuti pericolosi. Infine, i risultati delle attività di monitoraggio e controllo della concentrazione di fibre di amianto aerodisperse escludono il “rischio di aerodispersione di fibre asbestiformi nell’ambiente esterno e quindi l’intervento eseguito può ritenersi efficace” (pag. 7).

Dunque, un primo intervento, per quanto limitato e senz’altro non risolutivo, di messa in sicurezza del sito, per evitare, o comunque contenere, la dispersione di fibre; un intervento che, tuttavia, non affronta in alcun modo l’emergenza principale, costituita dalla giacenza di centinaia di cubi di cemento-amianto sul piazzale dell’area, di cui qualunque relazione tecnica fino a quel momento espletata aveva evidenziato la necessità di una immediata rimozione. Con relazione al Giudice delegato dott.ssa D’Orsi, il Curatore avv. YY comunica che in data 27/10/2004 il curatore stesso, l’ing. HH della GE.I.S.A. s.r.l. e funzionari dell’ASL “hanno effettuato un sopralluogo nell’area industriale ed è stata accertata la corrispondenza dei lavori eseguiti a quelli descritti negli elaborati tecnici e nel piano a suo tempo depositato all’ASL e all’ARPAC”, esprimendo quindi parere favorevole alla liquidazione dell’importo dovuto alla GE.I.S.A. s.r.l. per l’ammontare “di € 40.300,00 oltre IVA a saldo dei lavori descritti”. In data 04/11/2004 il Giudice delegato dott. Guglielmo autorizza il Curatore al pagamento del saldo dei lavori (Allegato 19).

Nel settembre 2004, a seguito di istanza volontaria presentata al Tribunale fallimentare di Avellino in data 02/07/2004, alla ditta EuroKomet s.r.l. (amministratore unico dott. KK) viene concesso in locazione lo stabilimento Isochimica S.p.a. – previo parere favorevole del Curatore avv. YY e del Comitato dei Creditori e in seguito al decreto del Giudice delegato dott.ssa D’Orsi del 10/08/2004. La ditta EuroKomet si impegna ad:

1. eseguire a propria cura e spese i lavori di bonifica entro il termine di 2 (due) anni dalla data di stipula del contratto, sotto la stretta vigilanza degli Organi del fallimento e della Pubblica Amministrazione;

2. esonerare il Fallimento da ogni responsabilità, anche di natura economica, sia civile che penale nei confronti del Fallimento stesso e/o di terzi (Allegato 18).

Con il subentrare della ditta EuroKomet s.r.l. nella gestione della bonifica del sito ex Isochimica, verranno, nel corso degli anni (fino al maggio 2004), coinvolte diverse altre imprese, mediante contratti di appalto e/o subappalto.

Nel febbraio 2005 l’ASL AV/2, su incarico della Procura della Repubblica, deposita una relazione all’esito del sopralluogo richiesto dagli investigatori, nell’ambito della quale descrivono lo stato dei capannoni, l’integrità dei cubi sottoposti a trattamento superficiale e protetti con teli, ad eccezione di alcuni cubi stoccati a destra del cancello d’ingresso, non trattati e non coperti; all’esito, i funzionari dell’ASL concludono che “non ci sarebbero condizioni di pericolo per la salute, pur tuttavia, è necessario, al fine di stabilire con oggettività l’assenza di rischi, effettuare un piano di monitoraggio ambientale dell’area e delle zone limitrofe” (Allegato 23).

Intanto, nel dicembre 2004 viene trasmesso al Comune di Avellino il Piano di Caratterizzazione per l’attivazione delle procedure di approvazione ai sensi del D.M. 471/99, che viene approvato, con delibera n. 57 del 2.2.2005, dalla Giunta Comunale (allegato 25).

Tuttavia, con delibera n. 267 del 23 maggio 2005 la Giunta comunale di Avellino dispone la sospensione della procedura di esecuzione in danno dei lavori di bonifica, trasmettendo al Curatore fallimentare avv. YY il Piano di caratterizzazione redatto dall’ARPAC approvato con delibera della G.C. n. 57/05 (Allegati 25 e 26). Il curatore comunica al G.D. che l’inizio dei lavori per le opere di bonifica a cura della ditta EuroKomet s.r.l. è previsto entro il 15 luglio 2005 (Allegato 27).

All’esito di una serie di indagini geofisiche, di sondaggi a carotaggio continuo e di analisi di campioni di acqua e terreno, affidati alla C.C.T.A. s.c.r.l., viene confermata la presenza di amianto interrato nell’area antistante l’edificio in costruzione e in quella compresa tra tale fabbricato e gli spogliatoi (per un volume stimato pari a circa 1600 m3) oltre che lungo il lato nord-ovest, viene esclusa interazione tra i materiali contenenti amianto (MCA) interrati e la sottostante falda acquifera (“Infatti, la falda superficiale è posta ad una profondità di circa 12-14 m, la presenza di amianto nel terreno è stata rilevata a profondità non superiore ai 6 m; a profondità maggiori, comprese, tra 6 m ed il livello di falda, si rinvengono strati di argille impermeabili” (Report del 11.10.2006, pag. 22)), mentre vengono rilevati superamenti dei limiti tabellari nei campioni di acqua e falda relativamente ad altri metalli (piombo, ferro, manganese).

Dopo due anni dall’affidamento dello stabilimento in locazione, e dall’assunzione dell’obbligo di provvedere alla bonifica del sito, in data 5 febbraio 2007 la ditta EuroKomet s.r.l. trasmette, tra gli altri, al Comune di Avellino, al Commissario di Governo per l’Emergenza Rifiuti, all’ASL AV/2 e all’ARPAC, la “Proposta di intervento di messa in sicurezza ex area industriale Isochimica” da discutere in sede di conferenza di sevizi convocata per il 13 febbraio 2007 (Allegato 30).

Il progetto preliminare – redatto dalla C.C.T.A. s.c. a r.l. in data 31/01/2007, all’esito dei precedenti studi effettuati che escludevano interazione tra l’amianto interrato e la sottostante falda acquifera-, prevede un intervento di messa in sicurezza permanente dell’area mediante “tombamento dell’amianto rinvenuto nel sottosuolo” da attuare “attraverso la realizzazione di una copertura dello spessore di circa 30 cm in calcestruzzo armato con un affondamento perimetrale di circa 50 cm al di sotto della quota di rinvenimento dell’amianto” (pag. 1). L’intervento di tombamento, “dagli esiti dello studio della comparazione chimica, geologica e idrogeologica dell’area”, rappresenterebbe “una misura di messa in sicurezza permanente che garantisce la massima salvaguardia delle matrici ambientali, suolo e acqua sotterranee, in linea con quanto previsto dal D. Lgs. 152/06”.

In data 13 febbraio 2007 la Conferenza di servizi approva il Report e la Proposta di messa in sicurezza redatti dalla CCTA.

Nell’ottobre 2007, peraltro, viene redatto dalla CCTA il “Censimento e mappatura dei materiali contenenti amianto (MCA)” (Allegato 32), allegato al “Piano di lavoro generale” redatto in data 08/01/2008 dalle ditte Ellegi s.r.l. e Teknova s.r.l. (Allegato 34). La relazione illustra i risultati dei sopralluoghi conoscitivi effettuati che hanno consentito di individuare “le seguenti tipologie di MCA: lastre ondulate di eternit utilizzate come coperture e/o pareti perimetrali degli edifici industriali; residui di lavorazione; guarnizioni di motori; filtri; carote di terreno contenente amianto; cubi in calcestruzzo contenenti amianto” (pag. 6); per quanto attiene ai cubi in calcestruzzo, questi sono contati in numero di 489 (per un peso stimato di circa 800 t)3.

Tuttavia, in data 27 aprile 2007 il dott. KK, in qualità di Amministratore unico della ditta EuroKomet s.r.l. (Committente) stipula, tramite scrittura privata, un contratto di appalto con il dott. ZZ in qualità di Amministratore delegato della società Team Ambiente S.p.a. (Appaltatore), con sede legale in Massa (MS), per l’affidamento a quest’ultima del proseguimento dei lavori di bonifica dello stabilimento Isochimica S.p.a.

A gennaio 2008 le società Ellegi s.r.l., con sede in Firenze, e Teknova s.r.l., con sede in Milano, su incarico della società Team Ambiente S.p.a. (affidataria del proseguimento dei lavori di bonifica giusta contratto del 27.4.2007 con la ditta EuroKomet s.r.l. (Allegato 31)), redigono il Piano di lavoro generale (ai sensi dell’ex art. 59 duodecies del D.lgs. 257/06, D.lgs. 626/94 e s.m.i.) relativo ai “Lavori di rimozione, confezionamento e smaltimento materiali contenenti amianto ex sito industriale Isochimica, sito in Pianodardine (AV)” (Allegato 34), trasmesso all’ASL competente in data 01/02/2008, che rilascia il nulla osta il 13.8.2008. Il Piano prevede l’esecuzione delle attività di bonifica secondo quattro fasi di lavoro successive: 1) rimozione e smaltimento dei MCA presenti nel capannone 2, nell’edificio 3 e nel box 4; 2) rimozione e smaltimento dei MCA presenti nel capannone 1, e nei macchinari; 3) ispezione, pulizia ed eventuale rimozione e smaltimento dei MCA e altri rifiuti presenti nei pozzetti esterni al capannone 1; 4) rimozione e smaltimento delle coperture dei capannoni 1 e 2; rimozione e smaltimento e/o messa in sicurezza dei cubi presenti nei piazzali.

Nel Piano di lavoro generale vengono altresì descritte analiticamente le aree interessate dalla presenza di rifiuti contenenti amianto, e, in particolare, viene indicato il numero di 489 cubi rivestiti esternamente da calcestruzzo e 20 cubi rivestiti esternamente da campane metalliche a sezione rettangolare o quadrata contenti amianto (per un quantitativo stimato di RCA da rimuovere pari a 835 t), stoccati nel piazzale sud-ovest, oltre a 8 cubi rivestiti esternamente da calcestruzzo e contenenti amianto posti sulla base della gru con funzione di contrappeso.

Il 5 maggio 2008 la Ellegi s.r.l. trasmette il Piano di lavoro della II Fase all’ASL AV/2.

Dopo tre mesi, tuttavia, in data 5 agosto 2008, la Team Ambiente S.p.a. comunica all’ASL AV/2 e alla EuroKomet s.r.l. la risoluzione del contratto con le società Ellegi s.r.l. e Teknova s.r.l e l’affido dei lavori di bonifica alla ditta Pescatore s.r.l. con sede in Torelli di Mercogliano (AV) (Allegato 41). Immediatamente viene rilasciato, in data 13.8.2008, dall’ASL/AV2 il nulla osta alla ditta Pescatore per la esecuzione dei Piani di Lavoro della I e II fase, già trasmessi dalle precedenti società subappaltanti, che comunica, in data 3.7.2009, l’inizio delle operazioni di bonifica per il 6 luglio 2009.

I lavori di bonifica interessano prima l’edificio 3 (dal 6 al 10 luglio 2009), poi il capannone 2 (dal 21 al 14 luglio 2009); il 4 dicembre 2009 la ditta Pescatore invia all’ASL/AV 2 –che rilascerà il nulla osta con prescrizioni il 31.12.2009- il Piano di lavoro della III fase di bonifica, nel quale, tuttavia, vengono descritte le operazioni di rimozione e smaltimento dei 517 cubi stoccati nel piazzale.

Dal Giornale dei lavori della ditta Pescatore si evince che il 16 febbraio 2010 viene annotata la “sospensione dei lavori e ripresa in data da destinarsi”.

Nel maggio 2010, infine, si registra un ulteriore affidamento dei lavori di bonifica: con scrittura privata di transazione tra il dott. KK, nella qualità di Amministratore unico della EuroKomet s.r.l. (Committente), il dott. FF, nella qualità di Amministratore unico della Pescatore s.r.l., e il dott. ZZ, nella qualità di Amministratore delegato della Team Ambiente S.p.a., l’EuroKomet determina “di affidare alla Pescatore s.r.l., e per essa alla destinataria del ramo d’azienda HGE Ambiente s.r.l., il prosieguo dei lavori di bonifica relativi allo stabilimento della Isochimica S.p.a.”.

L’11 giugno 2010, peraltro, viene convocata dal Vicesindaco e Assessore all’Ambiente Festa, presso il Comune di Avellino, una riunione sullo stato della bonifica dell’Ex Isochimica, cui partecipano il Vicesindaco stesso, il Dirigente ing. G. Valentino, il Responsabile del procedimento (…), il Rappresentante della ditta Eurokomet s.r.l. dott. KK, per l’ASL il dott. (…), per l’ASI di Avellino il geom. Fierro, per l’ARPAC l’arch. Megaro. Nel corso della riunione, il dott. KK –Amministratore unico della ditta EuroKomet s.r.l.– evidenzia la stima al rialzo delle spese previste per il completamento delle operazioni di bonifica, atteso che i cubi in calcestruzzo, contrariamente al peso stimato di una tonnellata l’uno contenuta nel Piano di caratterizzazione e al numero di 489 stimato nella relazione del professor Cecchetti, sarebbero stati contati dalla EuroKomet s.r.l. in numero di 681, per un peso di 2,5 tonnellate l’uno, e non sarebbero stati correttamente rilevati in precedenza perché nascosti dalla vegetazione poi rimossa. Nel corso della riunione, il dott. AA, direttore della U.O. Igiene e Medicina del Lavoro, afferma che sarebbero “stati ormai rimossi tutti i m/cubi di amianto friabile (quello pericoloso per la salute pubblica) e messi in sicurezza. Il pericolo per la salute pubblica non c’è più. Sono stati portati via n. 48 cubi (n. 4 TIR da 12)” (Allegato 56).

Infine, il 4 aprile 2012 la ditta HGE Ambiente comunica all’ASL AV/2 che in data 22 marzo 2012 sono stati trasferiti dall’area dell’ex Isochimica al proprio impianto diverse tipologie di rifiuti contenenti amianto.

 

 

    1. Il “disastro” ambientale.

 

Nella valutazione del fumus dei delitti di disastro innominato contestati, se le vicende riassuntivamente ricostruite, e articolatesi lungo il corso di oltre 30 anni (dal 1982, data di inizio dell’attività industriale dell’Isochimica, al 2013), costituiscono la traccia probatoria per l’enucleazione delle condotte, dolose e/o colpose, penalmente rilevanti, nondimeno occorre soffermarsi sugli elementi fattuali suscettibili di integrare il “disastro”.

Infatti, se nell’ipotesi dolosa (art. 434 c.p.) il disastro costituisce un parametro di qualificazione della condotta ritenuta pericolosa (“commette un fatto diretto a cagionare…un altro disastro…, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”), ovvero, nell’ipotesi aggravata del 2° comma, l’evento della fattispecie (“se…il disastro avviene”), nell’ipotesi colposa (artt. 434-449 c.p.) il disastro costituisce l’evento del reato (“chiunque…cagiona per colpa…un altro disastro”).

Dunque, va accertata la ricorrenza del disastro, atteso che il P.M. ne ha contestato la sussistenza anche nell’ipotesi dolosa, laddove ha formulato l’imputazione provvisoria anche ai sensi dell’art. 434 comma 2 c.p. .

Ebbene, al riguardo giova evidenziare che in tutte le analisi tecniche espletate nel corso dei tre decenni, nell’ambito di procedimenti giudiziari o amministrativi concernenti la contaminazione del sito Isochimica, sono stati rilevati preoccupanti elementi di inquinamento diffuso dell’area:

  1. come evidenziato, già la prima relazione tecnica del 1989 (proff. Carlo Romano, Gennaro Volpicelli e dott. Mario Mansi) accertava che all’interno del piazzale dello stabilimento erano presenti circa 300 cubi finiti, più altri 100 disposti lungo il lato del capannone A; inoltre, veniva accertato che precedentemente al primo semestre del 1987 l’amianto rimosso veniva smaltito facendo ricorso all’interramento in più fosse (almeno tre) scavate all’interno del perimetro dello stabilimento Isochimica S.p.a.; una quarta fossa, segnalata dai dipendenti della fabbrica, non veniva rinvenuta, per la modifica dello stato dei luoghi, e per la costruzione del manufatto ove è allocato l’impianto di depurazione delle acque nere; infine, venivano effettuati 5 carotaggi, dai quali emergeva la presenza di amianto sia nel terreno (tra 2,30-4,50 mt.) che nell’aria, ove veniva rilevata la presenza di fibre libere respirabili; veniva invece esclusa la presenza di un pericolo immediato di inquinamento della falda acquifera.

  2. La seconda relazione del 1996 (prof. Gaetano Cecchetti e al P.I. Ezio Bontempelli) esclude, invece, sia l’inquinamento della falda acquifera, sia dell’aria, ritenendo l’amianto interrato efficacemente confinato; tuttavia, sottolinea la necessità di rimuovere e smaltire i cubi di cemento-amianto stoccati nel piazzale, che evidenziano crepe in superficie e affioramenti di fibre.

  3. La terza relazione tecnica del 2002 ((Proff. Cecchetti e De Vivo) sulla contaminazione del sito, accerta, sulla base anche di numerosi carotaggi, la presenza di amianto fibroso interrato nel piazzale di ingresso, e di 347 cubi in cemento contenenti i rifiuti provenienti dalla scoibentazione delle carrozze ferroviarie, dei quali raccomanda l’immediata rimozione; peraltro, il sesto lato dei cubi, che poggia direttamente a terra o su altri cubi, non risulta cementato; vengono poi rilevate fibre di amianto nei capannoni ed in alcuni vagoni ferroviari dismessi.

  4. I Report redatti nel 2006-2007 dalla C.C.T.A. s.c.r.l., per la caratterizzazione del sito e per il progetto di messa in sicurezza, confermano, all’esito di una serie di indagini geofisiche, di sondaggi a carotaggio continuo e di analisi di campioni di acqua e terreno, la presenza di amianto interrato nell’area antistante l’edificio in costruzione e in quella compresa tra tale fabbricato e gli spogliatoi (per un volume stimato pari a circa 1600 m3) oltre che lungo il lato nord-ovest; escludono interazione tra i materiali contenenti amianto (MCA) interrati e la sottostante falda acquifera (“Infatti, la falda superficiale è posta ad una profondità di circa 12-14 m, la presenza di amianto nel terreno è stata rilevata a profondità non superiore ai 6 m; a profondità maggiori, comprese, tra 6 m ed il livello di falda, si rinvengono strati di argille impermeabili”), mentre vengono rilevati superamenti dei limiti tabellari nei campioni di acqua e falda relativamente ad altri metalli (piombo, ferro, manganese); per quanto attiene ai cubi in calcestruzzo, questi sono contati in numero di 489 (per un peso stimato di circa 800 t).

 

Dunque, ciò che emerge con certezza è la presenza di un numero elevato di cubi contenenti amianto stoccati nell’area del sito industriale –stimati in 400 dalla prima relazione del 1989, 347 dalla relazione del 2002, 509 dal Censimento del 2007, 517 dal Piano di lavoro generale del 2008, e addirittura 681 dall’amministratore dell’Eurokomet-, che giacciono da almeno 25 anni in condizioni di progressivo deterioramento del rivestimento effettuato per evitare (o contenere) la dispersione di fibre; l’interramento di circa 1600 metri cubi di amianto nella medesima area, che, pur non avendo determinato l’inquinamento della falda acquifera, rappresenta un rischio latente, sia per la possibilità di scivolamento dell’amianto verso la falda, in ragione di movimenti antropici e meccanici, fattori di rischio aggravati dalla notoria sismicità del territorio, sia per il deterioramento (o, in alcuni punti, la mancanza) della copertura di asfalto destinata ad impedire rilasci di fibre nell’atmosfera; infine, la presenza di fibre di amianto disperse nei capannoni e nei vagoni ferroviari abbandonati, e non adeguatamente sigillati.

 

Ebbene, in merito alla contaminazione del sito ed ai lavori di bonifica o messa in sicurezza affidati, nel corso del tempo, a diverse imprese, è stata espletata, nel presente procedimento, una consulenza tecnica (e relative integrazioni) elaborata dal dott. Auriemma.

Nella prima relazione il CT evidenzia innanzitutto che, delle tre fasi (su quattro previste dal Piano di lavoro per la bonifica) che la ditta esecutrice dei lavori di bonifica (Pescatore) attesta di avere già eseguito tra il luglio 2009 ed il febbraio 2010, in realtà non vi è traccia nella documentazione relativa alla tracciabilità dei rifiuti contenenti amianto.

Per quanto concerne i cubi di cemento-amianto presenti sul piazzale, essi costituiscono un serio potenziale pericolo per gli abitanti del rione, in quanto sono stoccati all’aperto e, quindi sottoposti alle intemperie.

Pertanto, essendo l’area sprovvista di “certificazione di restituibilità del sito industriale bonificato” da parte dell’ASL Avellino, è da ritenere non conforme alla sua utilizzazione in quanto il sito non è in sicurezza secondo quanto disposto dal punto 6 del D.M. 06/09/1994.

Esclusa una contaminazione delle falde acquifere, sulla base delle indagini condotte in passato, la relazione conferma la presenza di amianto interrato nell’area antistante l’edificio in costruzione (sondaggio S15) e in quella compresa tra tale fabbricato e gli spogliatoi (Sondaggio S2) per un volume totale stimato pari a circa 1.600 m3 oltre che lungo il lato nord-ovest. In particolare, in riferimento al sondaggio n. 15, dalle indagini supplementari nell’area al contorno dello stesso viene stimata una superficie contaminata da amianto di 165 metri quadri con un rispettivo volume di materiale pari a 495 metri cubi.

In conclusione, dalla lettura critica e successiva analisi della documentazione riguardante le indagini da campo e relative determinazioni analitiche si evince uno stato di contaminazione diffusa da materiali contenenti amianto incentrata soprattutto nella zona all’ingresso dello stabilimento, che, invece, sono risultati assenti nelle acque di falda.

Infine, la relazione evidenzia che non vi è traccia agli atti di una attività di messa in sicurezza delle aree risultate contaminate da amianto interrato mediante la tecnica del “tombamento” prevista nel documento di “proposta di intervento di messa in sicurezza ex area industriale ISOCHIMICA” redatto dalla CCTA e approvato in conferenza dei servizi in data 13/02/2007.

In relazione all’adempimento degli obblighi di controllo, sulla gestione dei rifiuti, da parte degli organi preposti il C.T. evidenzia che: seppur i piani di lavoro delle fasi I, II e III avevano conseguito i nullaosta da parte dell’ASL AV2 Dipartimento di Prevenzione, non è stata riscontrata agli atti l’attività istituzionale relativa alle prescrizioni sulla tracciabilità dei rifiuti contenenti amianto (RCA) fatte dalla stessa ASL. Infatti, l’attività riportata nel giornale dei lavori non ha trovato riscontro negli atti in quanto gli stessi erano sprovvisti di tutta la documentazione riguardante le prescrizione dell’ASL (allegato n. 45 e n. 53) relativamente alla successiva gestione dei rifiuti derivanti dall’attività dei lavori di bonifica.

Invece, per quanto riguarda le attività di bonifica poste in essere dalla società EUROKOMET si evidenzia un passaggio sulla riunione (prot. 30214) sullo stato della bonifica dell’Ex Isochimica effettuato presso il Comune di Avellino nel 2010: dal verbale di riunione si evince che secondo il dott. (…), direttore della U.O. Igiene e Medicina del Lavoro, sarebbero “stati ormai rimossi tutti i m/cubi di amianto friabile (quello pericoloso per la salute pubblica) e messi in sicurezza. Il pericolo per la salute pubblica non c’è più. Sono stati portati via n. 48 cubi (n. 4 TIR da 12)” (Allegato 56). Sempre dallo stesso verbale si evince che il Dott. (…) esibisce le schede di tutti i rilievi fatti nel momento della rimozione dell’amianto, ribadendo che le determinazioni fatte sono a zero fibre disperse.

Al riguardo, e in riferimento alle schede dei rilievi per la determinazione delle fibre libere durante i lavori di rimozione dell’amianto, il C.T. evidenzia che, dalla scarsa documentazione fornita dall’ASL, agli atti non si sono riscontrate le suddette schede indicate dal Dott. (…).

All’esito di un ulteriore sopralluogo effettuato il 9 maggio 2013, peraltro, il CT dott. Auriemma ha depositato una relazione integrativa, evidenziando “un progressivo degrado dell'area”, “zone in cui sono stati rinvenuti manufatti di amianto ed addirittura amianto friabile”, e la situazione critica dei cubi, che, “a causa della precarietà degli interventi di messa in sicurezza effettuati e dell'azione dell'acqua e del vento (…) mostrano uno stato concreto di disfacimento della parte esterna che ingloba la matrice cemento-amianto friabile”4.

Inoltre, il CT evidenzia l’elevato grado di incertezza statistica delle rilevazioni ambientali effettuate con metodica MOCF, basata sul conteggio casuale delle fibre totali, ed idonea soltanto ad un’analisi quantitativa, non anche qualitativa, delle fibre rilevate5.

Pertanto, a causa di tali elementi, il CT afferma che “è in atto un pericolo concreto per la salute pubblica ed incolumità di dispersione di fibre di amianto nell’area dello stabilimento ex ISOCHIMICA. Tale pericolo, a suo tempo già rilevato con i precedenti studi, è dovuto all’ulteriore stato di degrado dei manufatti rinvenuti nell’area”.

In ordine ad alcune precisazioni richieste, infine, con ulteriore integrazione depositata il 22.5.2013 il CT ha indicato le immagini fotografiche maggiormente significative ritraenti lo stato di degrado e di contaminazione del sito:

  • Foto DSCF 0466, 09.05.2013: Area filtri “L”. Si nota la mancata messa in sicurezza e/o smaltimento presso presidi autorizzati del sistema di aspirazione delle polveri nei luoghi di lavoro (amianto friabile) composto da torre di decantazione e filtri a manica. La dismissione di tale attrezzatura incide negativamente sulla rimozione del pericolo concreto al rilascio di fibre libere di amianto da parte della struttura stessa.

  • Foto DSCF 0473, 09.05.2013: Sistema di barrieramento lato Est realizzato con struttura in tubi “innocenti” e telo verde.

  • Foto DSCF 0472, 09.05.2013: particolare della foto DSCF 0473 dove sono evidenti al confine con lo stabilimento ex ISOCHIMICA insistono insediamenti produttivi in esercizio e a poche decine di metri (circa 20,00) civili abitazioni. In pratica lo stabilimento ex Isochimica è inserito nel tessuto urbano della città di Avellino. Fonte google earth

  • Foto DSCF 0478, 09.05.2013: Presenza nella pavimentazione di fori utilizzati per campionare il sottosuolo non cementati. Tale rilievo, ovvero collegamento diretto del sottosuolo con la superficie libera incide negativamente sulla rimozione del pericolo concreto al rilascio fibre libere di amianto in aerodisperso.

  • Foto DSCF 0493, 09.05.2013: abbandono di tubazione adibita all’aspirazione di polveri nel Corpo di fabbrica “I”. Si evidenzia che tali materiali, sono stati utilizzati per attività di messa in sicurezza e/o bonifica di siti contaminati da amianto (v. ex ISOCHIMICA) non possono essere più utilizzati per altri fini e, pertanto, gli stessi non possono essere stoccati in ambienti aperti in quanto potenziali fonti per il rilascio di fibre libere in aerodisperso, ma, devono essere avviati a smaltimento presso siti autorizzati.

  • Foto DSCF 3327, 09.05.2013: abbandono di teloni utilizzati per attività di bonifica nel corpo di fabbrica “I”. Si evidenzia che tali materiali, sono stati utilizzati per attività di messa in sicurezza e/o bonifica di siti contaminati da amianto (v. ex ISOCHIMICA) non possono essere più utilizzati per altri fini e, pertanto, gli stessi non possono essere stoccati in ambienti aperti in quanto potenziali fonti per il rilascio di fibre libere in aerodisperso, ma, devono essere avviati a smaltimento presso siti autorizzati.

Inoltre, nel richiamare i principali passaggi del procedimento di bonifica dell’area6, il CT evidenzia “un difetto di istruzione nella procedura della bonifica dello stabilimento ex Isochimica secondo quanto disposto dall’ex D.M. 471/1999 all’epoca dei fatti vigente, in quanto:

1 All’atto di sospensione della “procedura in danno” dell’iter procedurale finalizzato alla bonifica dello Stabilimento ex Isochimica, l’amministrazione Comunale non fissa i tempi intermedi o finali per la realizzazione del progetto di bonifica, atteso che il piano di caratterizzazione è già stato approvato in data 02/02/2005 con delibera di Giunta n. 57/05;

2 Vengono elusi i termini per la definizione delle garanzie finanziarie al soggetto interessato da parte dell’amministrazione comunale a favore della Regione;

3 Alla data del 04/04/2012 manca da parte dell’ente Provincia l’attestazione di completamento degli interventi previsti nel Progetto di Bonifica”.

 

 

    1. Il pericolo per la pubblica incolumità.

 

Se tali elementi contribuiscono a delineare l’elemento del “disastro”, ulteriori indici connotano la capacità diffusiva dell’evento ed il pericolo per la pubblica incolumità.

In tal senso appare univoca la relazione medica elaborata dal Prof. Gualtiero Ricciardi e dal Prof. Umberto Moscato7, e depositata il 30 aprile 2013, della quale merita richiamare alcuni passaggi maggiormente significativi:

“L'esposizione professionale all'amianto è di per sé nota, incontrovertibilmente accertata e principale causa delle patologie benigne e/o maligne asbesto-correlate e si rinvia nella parte di premessa di questa relazione per quanto conosciuto come rapporto causa-effetto. La tipologia di lavorazione effettuata nell'assenza pressoché totale (come risulta dalle denunce rese dai lavoratori, dagli atti investigativi e dai Controlli e Prescrizioni eseguite) dei dispositivi di protezione individuale, definiti dalla potenzialità protettiva "troppo limitata rispetto al rischio" quando presenti (come riportato dalla perizia dell'UCSC), e collettivi (carenza nel sistema di aspirazione, nei sistemi di abbattimento delle polveri, nelle strutture di decontaminazione, ecc.) rappresenta una condizione lavorativa a maggior rischio per lo sviluppo delle patologie sopra menzionate. Le alterazioni radiologiche riscontrate in molti dei lavoratori della ditta ISOCHIMICA (Ispessimenti e placche pleuriche], in presenza della storia anamnestica professionale, sono riconducibili ad esposizione a polveri e fibre di asbesto. Le condotte omissive sopra descritte, alcune già previste con il D.P.R. 1124 del 1965 e ulteriormente definite con la normativa successiva, facendo mancare la condizione di riduzione dell'esposizione e, al contrario, favorendo una prolungata e massiva esposizione alle polveri di asbesto, sono da considerarsi in stretto rapporto di causalità con le patologie sopra menzionate, aumentandone la probabilità di insorgenza e la gravità delle manifestazioni. Inoltre una diagnosi precoce, possibile solo in presenza di una attenta e mirata sorveglianza sanitaria, seguita dall'allontanamento del soggetto dal rischio lavorativo, avrebbe potuto ridurre, pur non annullandola, la probabilità di comparsa di lesioni maggiormente invalidanti. Tutto ciò anche in considerazione delle attuali conoscenze ed evidenze scientifiche di dato e fatto, come ad esempio i già citati ed allegati "Quaderni della Salute" sull'amianto del Ministero della Salute (2012) ovvero la letteratura internazionale quale, ad esempio, revisioni e metaanalisi dell'evidenza scientifica come da Case BW et al (2013).

[...] È possibile affermare, alla luce dell'attuale evidenze e dati scientifici (oltre che per la storia già all'epoca degli eventi e dei fatti descritti), che per tutti i soggetti esposti sussiste pericolo di vita poiché la malattia asbesto correlata non-maligna, Dose/Tempo dipendente, alle attuali conoscenze non può regredire (G.F. Rubino et al.,198613; B. W. Case et al., 2011) ma solo eventualmente evolvere divenendo sempre più ingravescente e potendo coinvolgere più organi o funzioni (sierosa pleurica e/o polmonare alterante la funzione respiratoria e/o ventilatoria; sierosa peritoneale alterante la funzione gastroenterica; sierosa pericardica e intima vascolare alterante la funzione cardiaca ematocircolatoria; altre sierose, organi e funzioni...). La patologia asbesto correlata maligna, non necessariamente Dose/Tempo dipendente, con andamento stocastico equivalente sulla popolazione interessata degli esposti, può determinarsi quale complicanza terminale della patologia asbesto correlata non-maligna od insorgere "ex abrupto" in soggetto anche privo di segni e/o sintomi significativi preesistenti e correlabili a patologia non-maligna (insufficienza respiratoria restrittiva, tosse, dispnea, ecc..). Si esplicita con maggior frequenza in Mesoteliomi Pleurici e/o Peritoneali (in genere patognomonici della esposizione ad asbesto e della patologia asbesto correlata) ovvero in Carcinomi Polmonari. Non è possibile escludere, ad oggi, l'insorgenza di neoplasie correlabili ad esposizione ad amianto ed a patologia asbesto correlata anche in altri organi od apparati diversi dai succitati. Pertanto, nei soggetti con anamnesi positiva per esposizione professionale ad amianto, in cui sia sussistito accertamento diagnostico di segni e/o sintomi correlabili a detta esposizione ad amianto, le attuali evidenze scientifiche Istituzionali, Nazionali ed Internazionali citate nella presente relazione, escludendo la remissione spontanea e/o terapeutica dei segni e dei sintomi, indicano l'ingravescenza progressiva e non remissiva delle patologie asbesto correlate manifestate.

Per quanto sopra enunciato, il pericolo di vita è sussistente, benché in grado variabile, probabilistico e non quantificabile (per tempo, gravità o complicanze) a priori, per tutti gli esposti, dipendendo dagli Slope Factors specifici (o Fattori di Potenza Cancerogena delle sostanze utilizzate in funzione della dose e del tempo di esposizione, nonché dell'età dell'individuo e della sua suscettibilità o copresenza di altri fattori cancerogeni per le Unit Risk, come si può evincere dall'OMS, dall'US-Environmental Protection Agency, dalle Direttive e norme tecniche EU o dall'Istituto Superiore di Sanità, ....) che potranno essere necessariamente calcolati nello specifico programma di Sorveglianza Sanitaria posto in atto dalla ASL e/o dagli altri Enti od Autorità competenti in materia e preposti”.

 

Dalla relazione medica depositata, dunque, emerge un pericolo di vita, o comunque di insorgenza di malattia da esposizione a sostanza nociva, di natura neoplastica, dei lavoratori dell’ex Isochimica, strettamente legata alla tipologia di lavorazione effettuata, all’assenza di dispositivi di protezione, individuale e collettiva, e alla prolungata esposizione alle polveri di asbesto.

 

    1. Le posizioni di garanzia rilevanti negli interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati.

Ai fini della valutazione delle condotte, sia dolose che colpose, contestate nelle imputazioni provvisorie, va richiamata la normativa che disciplina la bonifica dei siti inquinati, individuando ben precise posizioni di garanzia.

In materia, invero, il principio fondamentale, di ascendenza comunitaria, è “chi inquina paga”.

In tal senso, dunque, la condotta dell’amministratore dell’Isochimica, e dei principali dirigenti aziendali, non si arresta alla fase della produzione, deliberatamente e sconsideratamente attuata senza alcuna forma di protezione individuale e collettiva dalle polveri di asbesto, ma allunga la propria inesorabile ombra mortifera anche alle fasi successive, di persistente e grave contaminazione del sito, determinata prima dall’interramento di tonnellate di amianto, e poi dall’abbandono di cubi in cemento-amianto sul piazzale e di capannoni, edifici ed altri beni strumentali in condizioni tali da determinare la dispersione delle fibre di amianto.

Come più diffusamente si dirà a proposito della qualificazione giuridica delle condotte, la consapevolezza di contaminare gravemente un’intera e vasta area industriale, interrando tonnellate di amianto, e lasciandone altrettanto esposte agli agenti atmosferici, di abbandonare il sito al proprio destino non appena cessata l’attività produttiva, e, infine, la scelta di non provvedere in alcun modo alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell’area inquinata, spettante in via prioritaria proprio al “responsabile dell’inquinamento”, connotano in termini stringenti, ad avviso di questo Giudice, non soltanto la natura dolosa delle condotte potenzialmente disastrose (1° comma art. 434 c.p.), ma altresì la proiezione rappresentativa e volontaristica dello stesso evento disastroso (comma 2° art. 434 c.p.): se la condotta del produttore di inquinare gravemente un sito industriale, con modalità tali da “cagionare un disastro”, connota, infatti, il dolo del disastro innominato c.d. potenziale, la successiva condotta di abbandono dell’area, di dispersione dei rifiuti pericolosi, di totale disinteressamento alle pur obbligatorie operazioni di bonifica, connotano senza’altro il dolo del disastro aggravato; non potendosi in tal senso ritenere che il produttore non si sia rappresentato la situazione di grave ed estrema compromissione creata e lasciata, e non abbia voluto, anche mediante il proprio disinteresse per la bonifica, il disastro ambientale progressivamente materializzatosi.

Passando alla disciplina della bonifica dei siti inquinati, e, quindi, all’enucleazione anche delle posizioni di garanzia degli altri soggetti, eminentemente pubblici, che rivestono posizioni di garanzia rilevanti ai fini dell’enucleazione di responsabilità penali omissive, va preliminarmente evidenziato che la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati sono stati compiutamente disciplinati innanzitutto dall’art. 17 del D.L.vo 22/19978, la cui attuazione è stata consentita solo dalla successiva emanazione del D.M. 471/1999 ("Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”): la normativa, vigente fino al 2006, prevedeva dunque l’obbligo principale della bonifica in capo al produttore, il responsabile dell’inquinamento, ed in via subordinata del Comune ove insiste il sito contaminato, ovvero, in via surrogatoria, della Regione; il comma 13 bis sembra fondare la possibilità di una bonifica ad opera non già degli enti pubblici individuati, bensì “ad iniziativa degli interessati”.

Il decreto Ronchi del 1997 è stato successivamente abrogato e sostituito dal D.lvo 152/2006, che ha disciplinato le operazioni di bonifica dei siti contaminati al Titolo V (artt. 239 e ss.).

Anche tale disciplina è fondata sul principio “chi inquina paga”, addirittura richiamato nell’art. 239, e prescrive al “responsabile dell’inquinamento” di mettere in opera entro 24 ore le misure necessarie di prevenzione, anche nei casi di “contaminazioni storiche”, di svolgere indagini preliminari sui parametri dell’inquinamento, ed in caso di accertata contaminazione, anche per il superamento di un solo parametro, di darne comunicazione al Comune ed alla Provincia (art. 242 commi 1, 2 e 3); prescrive inoltre la presentazione di un piano di caratterizzazione, soggetto all’approvazione della Regione, e successivamente di un “progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza”, articolato, nei casi di particolari complessità, in fasi (art. 242 commi 3 e 7); alla Regione compete l’approvazione del progetto, con il quale vanno stabiliti anche i tempi di esecuzione e l’entità delle garanzie finanziarie da prestare.

Altre norme fondamentali al riguardo sono contenute nell’art. 244, che, oltre ad imporre a tutte le pubbliche amministrazioni l’obbligo di comunicazione a Regione, Provincia e Comune dell’esistenza di siti contaminati, a disciplinare il potere della Provincia di emettere diffida nei confronti del responsabile della contaminazione a provvedere alla bonifica, unico obbligato, essendo il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento obbligato soltanto al rimborso delle spese per gli interventi surrogatori dell’autorità, e nell’art. 250, che prescrive, analogamente a quanto già previsto dall’art. 17 decreto Ronchi, l’obbligo sussidiario del Comune e della Regione nella bonifica dei siti contaminati9; al riguardo, appare maggiormente chiara anche la possibilità di intervento nelle operazioni di bonifica riconosciuta al “proprietario” dell’area o ad “altro soggetto interessato”10.

Dalle normative che si sono succedute, dunque, emerge che le posizioni di garanzia sono sempre rivestite dal responsabile dell’inquinamento, in via originaria, dal Comune, in via sussidiaria, dalla Regione, in via surrogatoria, da altri soggetti interessati, in via derivata.

Il contenuto della posizione di garanzia, peraltro, consiste nell’obbligo di provvedere alla bonifica del sito inquinato, e, in via preliminare, alla messa in sicurezza di emergenza (art. 240 lett. m) T.U. amb.).

 

 

    1. Il reato di disastro c.d. innominato.

 

Giova premettere che la valutazione sulla sussistenza dei requisiti per l’emissione della cautela reale, per quanto circoscritta negli angusti confini, cognitivi e temporali, propri della presente fase incidentale, non può prescindere da alcune considerazioni indispensabili ai fini di una corretta qualificazione giuridica dei fatti.

Invero, nel presente procedimento, con una scelta pressoché pioneristica nell’esperienza giudiziaria italiana, vengono contestati delitti contro l’incolumità pubblica, e non già contro la persona; gli unici precedenti, al riguardo, sono rappresentati dalla vicenda Eternit, nella quale è stata emessa sentenza di condanna da parte del Tribunale di Torino in data 13 febbraio 2012, sostanzialmente confermata da Corte Appello Torino, 3 giugno 2013, dalla vicenda Ilva, in fase di indagini presso l’A.G. di Taranto, e dalla vicenda della bonifica dell’area di Bagnoli, in corso dinanzi all’A.G. di Napoli.

In precedenza, i procedimenti avviati per l’accertamento di responsabilità penali per l’esposizione a sostanze tossiche (amianto, CVM, ecc.) utilizzate nell’ambito di processi produttivi, concernevano essenzialmente imputazioni per reati contro la persona (omicidio, lesioni personali) di natura colposa; ipotesi nelle quali i principali problemi interpretativi e probatori riguardano, come noto, il profilo dell’accertamento del nesso di causalità, ed in particolare l’affidabilità delle leggi scientifiche di natura epidemiologica (ad es. nelle popolazioni esposte ad amianto si registra un aumento dei tumori asbesto-correlati), la loro efficacia euristica nei casi di patologie multifattoriali (es. tumori polmonari) e di esistenza di altri fattori di rischio; nei casi di patologie ad eziologia sostanzialmente monofattoriale (asbestosi e mesotelioma rispetto all’esposizione ad amianto, angiosarcoma rispetto al clorulo di vinile), invece, i problemi maggiori riguardano l’individuazione del responsabile del processo produttivo nel momento di innesco del processo patologico; problema, a sua volta, dipendente dalle controverse questioni scientifiche in ordine alla eziologia di alcune forme tumorali (in particolare, il mesotelioma), ed al quesito se esse siano “dose-risposta” (nel senso che il prolungamento all’esposizione aumenta il rischio di contrarre la patologia, o riduca il tempo di latenza), in tal senso rendendo irrilevante la successione dei responsabili del processo produttivo, ovvero siano “dose-indipendente” (nel senso che dopo un’esposizione anche lieve e di breve durata tutte le esposizioni successive sono eziologicamente irrilevanti).

Ebbene, tutti i problemi evocati, riguardanti essenzialmente la valutazione probatoria in ordine all’accertamento del nesso di causalità tra condotta (omissiva colposa) ed evento, e complessivamente affrontati dalla giurisprudenza di legittimità in termini di rilevanza delle concause11, perdono il proprio rilievo assorbente nel caso di contestazione, ai responsabili dei processi produttivi (e, nel procedimento in esame, per le peculiarità assunte, anche agli amministratori pubblici ed ai ‘garanti’ della bonifica del sito inquinato), di delitti contro la pubblica incolumità.

In altri termini, la contestazione della fattispecie di disastro c.d. innominato, punita nella forma dolosa all’art. 434 c.p. e nella forma colposa all’art. 449 c.p., consente, sotto il profilo probatorio, di evitare l’accertamento del nesso causale rispetto ad ogni singolo evento patologico determinato dall’esposizione alla sostanza tossica (la c.d. causalità individuale), rendendo sufficiente l’accertamento della c.d. causalità generale sulla base anche di affidabili evidenze di natura epidemiologica.

 

Tanto premesso, va evidenziato che nel presente procedimento è stato contestato il solo reato di disastro innominato, e non già anche il reato di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.), che, nel procedimento definito dinanzi all’A.G. torinese delimitava la tipicità dei fatti ai danni dei lavoratori della fabbrica (i c.d. esposti professionali), riservando la norma di cui all’art. 434 c.p. ai fatti coinvolgenti la popolazione (c.d. esposti non professionali); un profilo di qualificazione giuridica che, oltre ad essere suscettibile di sviluppi interpretativi, merita comunque un approfondimento, con particolare riferimento agli effetti delle esposizioni nella popolazione circostante il sito contaminato.

Per quanto concerne il disastro innominato, il 1° comma descrive un reato a consumazione anticipata, che punisce chiunque commette “un fatto diretto a cagionare…un altro disastro…se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”.

Al riguardo, la delimitazione ermeneutica della fattispecie rinviene un autorevole arret nella sentenza n. 327 del 2008 della Corte Costituzionale, che, nel dichiarare infondata la questione di legittimità sottoposta (tra l’altro) per la denunciata violazione del principio di determinatezza, e pur ammettendo che “il concetto di <<disastro>> - su cui gravita, nella cornice di una fattispecie a forma libera o causalmente orientata, la descrizione del fatto represso dall'art. 434 cod. pen. - si presenta, di per sè, scarsamente definito: traducendosi in una espressione sommaria capace di assumere, nel linguaggio comune, una gamma di significati ampiamente diversificati”, nondimeno, sulla base del contesto codicistico (titolo e fattispecie precedenti, e bene giuridico tutelato) nel quale è collocata la norma, ha affermato che “l'<<altro disastro>>, cui fa riferimento l'art. 434 cod. pen., è un accadimento sì diverso, ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai <<disastri>> contemplati negli altri articoli compresi nel capo relativo ai <<delitti di comune pericolo mediante violenza>>”; la Corte ha peraltro effettuato una ricognizione dell’interpretazione sedimentatasi sul concetto, giungendo a delineare “una nozione unitaria di <<disastro>>, i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un duplice e concorrente profilo. Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare -in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la <<pubblica incolumità>>)- un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti”.

Ebbene, sulla scorta di tale autorevole interpretazione, va affermato che la fattispecie di pericolo enucleata nel 1° comma dell’art. 434 c.p. (“fatto diretto a cagionare…un disastro”) appare integrata, nel procedimento in esame, dalle condotte, reiterate nel corso degli anni, di inquinamento ambientale, ossia nella incontrollata dispersione delle fibre di amianto, connessa prima al processo produttivo in atto e, attualmente, all’abbandono dei cubi di amianto nell’area (anche) scoperta, e nella grave contaminazione dell’area determinata mediante interramento di oltre 1600 metri cubi di amianto.

Proprio il susseguirsi di tali condotte, attive (nell’ambito del processo produttivo) ed omissive (connotate dall’abbandono dell’amianto e nella mancata bonifica), nel corso degli anni ha determinato la verificazione di un evento di disastro ecologico ed ambientale, rilevante ai sensi dell’art. 434 comma 2 c.p.

In tal senso, invero, nonostante le perplessità, non assorbenti, espresse da una parte della dottrina, a proposito del difetto del requisito della violenza della condotta e della immediatezza e distruttività dell’evento, la giurisprudenza di legittimità si è ormai orientata per la riconducibilità del disastro ambientale al concetto di disastro innominato: in tal senso, è stato affermato che il disastro comprende non soltanto gli eventi di grande evidenza immediata e che si esauriscono in un arco di tempo ristretto (incendio, naufragio, ecc.), ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo eventualmente molto prolungato, purchè si verifichi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l’esistenza di una offesa alla pubblica incolumità (Cass.pen., sez. IV, 17 maggio 2006 n. 4675, Bartalini, nel processo Porto Marghera, che aggiunge: “del resto, non tutte le ipotesi di disastro …hanno le caratteristiche di cui la Corte di merito sembra fare riferimento (per es. la frana –art. 426 c.p.- può consistere in spostamenti impercettibili che durano anni; l’inondazione può consistere in un lentissimo estendersi delle acque in territori emersi)”).

Tale orientamento ha consentito dunque di ricomprendere nei contorni della fattispecie di disastro innominato anche il c.d. disastro ambientale, che si verifica “qualora l’attività di contaminazione di siti destinati a insediamenti abitativi o agricoli, con sostanze pericolose per la salute umana, assuma connotazioni di durata, ampiezza ed intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, anche se non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo” (Cass.pen., sez. IV, 9 marzo 2009 n. 18974, Romagnoli)12.

Ed è proprio al disastro ambientale che risulta riconducibile la contaminazione dell’area industriale e degli ambienti di vita circostanti determinata attraverso la dispersione delle fibre di amianto.

Nella fattispecie in esame, dunque, anche prescindendo dai danni alla vita e alla salute dei lavoratori e della popolazione (che non risultano allo stato determinati nel presente procedimento), l’evento disastro rilevante ai sensi del 2° comma dell’art. 434 c.p. risulta essersi perfezionato con la grave e perdurante contaminazione dell’intera area industriale ove sorge lo stabilimento, laddove sono state abbandonate tonnellate di amianto all’aperto (i cubi ammalorati), e sono stati interrati circa 1600 metri cubi di amianto, che, pur non avendo raggiunto la falda acquifera, destano particolare preoccupazione, non soltanto per la non perfetta impermeabilizzazione che consente dispersione di fibre nell’aria, ma anche in considerazione della natura notoriamente sismica del territorio, che può innescare movimenti idonei alla contaminazione anche delle acque.

 

A proposito del profilo soggettivo, peraltro, è indubbio che le condotte di inquinamento del sito, e, successivamente, di abbandono ed omessa bonifica siano state motivate da meri interessi produttivi ed economici dei responsabili della produzione; nondimeno, è certo che all’epoca dell’inizio dell’attività produttiva (1982) fosse ampiamente consolidata, nella comunità scientifica, la conoscenza del legame tra esposizione ad amianto e forme tumorali, risalente già agli anni ‘60 del secolo scorso.

Al riguardo, tuttavia, vanno chiarite talune affermazioni tralatiziamente emerse in giurisprudenza a proposito della forma di dolo necessaria per l’integrazione della tipicità soggettiva della fattispecie, soprattutto allorquando si dibatte sulla necessità di un dolo intenzionale ovvero, in contrapposizione, di un dolo generico.

Ebbene, giova evidenziare che la contrapposizione è palesemente erronea, in quanto il dolo generico comprende le tre (o due, secondo altre ricostruzioni dommatiche) forme del dolo intenzionale, del dolo diretto e del dolo eventuale, e si contrappone al dolo specifico, che rappresenta uno scopo o finalità particolare e ulteriore che l’agente deve prendere di mira, ma che non è necessario che si realizzi per la consumazione del reato (emblematico, nel furto, il fine di trarne profitto); il dolo specifico, peraltro, va desunto da una puntuale descrizione nella norma incriminatrice.

Nel caso di specie, in assenza di esplicite descrizioni di elementi finalistici ulteriori, la norma di cui all’art. 434 c.p. deve ritenersi a dolo generico: il dibattito sulla forma di dolo necessaria per l’integrazione della fattispecie deriva dunque dalla formula legislativa adoperata (“fatto diretto a cagionare”), che per una parte della dottrina e della giurisprudenza imporrebbe il dolo intenzionale.

Ebbene, il dolo è intenzionale allorquando il soggetto ha di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa, nei reati di azione, ovvero la causazione dell’evento, nei reati di evento, mentre è diretto allorquando la realizzazione del reato non è l’obiettivo che dà causa alla condotta, ma costituisce soltanto uno strumento necessario perché l’agente realizzi lo scopo perseguito: nel caso di specie, se è indubbio che, con riferimento alla condotta di inquinamento ambientale (1° comma dell’art. 434 c.p.) i responsabili della produzione abbiano avuto di mira proprio la realizzazione della condotta, essendo ben consapevoli delle conseguenze ed avendo deliberatamente scelto di interrare l’amianto, di procedere a cicli produttivi senza alcun dispositivo di protezione individuale o collettivo, di abbandonare i cubi all’aperto, in tal senso indiziando la sussistenza del dolo intenzionale, nondimeno deve ritenersi che la consapevolezza dell’inevitabile attitudine offensiva della condotta comprenda in sé anche la dimensione offensiva dell’evento disastroso; in altri termini, pur non essendo lo scopo immediato della condotta di inquinamento, il disastro ambientale determinato con le richiamate, e reiterate nel tempo, condotte attive ed omissive non poteva essere ignorato dai responsabili della produzione, che, ben consapevoli della natura altamente rischiosa dell’amianto, hanno deliberatamente proceduto all’interramento di tonnellate di amianto, ed all’abbandono di altrettante tonnellate sul piazzale.

Peraltro, ove si accedesse alla tesi della natura circostanziale dell’evento disastroso tipizzato nel 2° comma dell’art. 434 c.p., va osservato che il dolo intenzionale andrebbe limitato alla dimensione della condotta inquinante di cui al 1° comma, laddove l’evento circostanziale può essere imputato, in assenza di ulteriori connotati descrittivi della fattispecie, a titolo anche di dolo diretto o solo eventuale (art. 59 comma 2 c.p.).

Laddove si accedesse, al contrario, alla tesi della natura autonoma della fattispecie di disastro di cui al 2° comma, appare persuasiva la tesi, ripresa proprio nella sentenza emessa dal Tribunale di Torino il 13.2.2012, secondo la quale l’espressione “fatto diretto a” assume una valenza essenzialmente oggettiva, quale “idoneità o attitudine causale a cagionare il disastro”, e dunque l’ambito di applicazione dell’art. 434 c.p. va esteso anche alle forme di dolo diretto ed eventuale; tesi sostenuta anche sulla base dell’argomentazione secondo la quale, in presenza di un corrispondente delitto colposo (art. 449 c.p.), l’opposta opinione lascerebbe un irragionevole vuoto di tutela con riferimento al medesimo evento disastroso, in quanto esso sarebbe punibile solo a titolo di dolo intenzionale e di colpa, e non già per le forme intermedie di dolo diretto e dolo eventuale.

 

Infine, quanto all’ipotesi descritta dal 2° comma dell’art. 434 c.p., sebbene la natura circostanziale sia affermata nella prevalente giurisprudenza e dottrina, nondimeno appare condivisibile la tesi della natura autonoma della fattispecie disastrosa: oltre ai rapporti di eterogeneità strutturale tra fattispecie (il 1° comma descrive un reato di pericolo, il 2° comma un reato di danno con evento naturalistico), ed all’analogo dibattito sulla natura circostanziale o autonoma dei c.d. reati qualificati dall’evento, va osservato che la tesi della natura autonoma della fattispecie di cui al 2° comma dell’art. 434 c.p. appare fondata anche su una considerazione, singolarmente non emersa nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, di carattere sistematico: l’estensione del corrispondente reato colposo di disastro innominato (art. 449 c.p.) è limitata all’ipotesi del disastro consumato; allorquando l’art. 449 c.p. richiama per relationem l’ “altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo” necessariamente rinvia, per quanto concerne l’art. 434 c.p., all’ipotesi ‘consumata’ prevista dal 2° comma; in tal senso, dunque, fondando la natura autonoma, e non già circostanziale della fattispecie, restando altrimenti anomalo un rinvio recettizio di una fattispecie senz’altro autonoma ad una fattispecie meramente aggravante.

Di conseguenza, alcun dubbio è enucleabile con riferimento al decorso dei termini di prescrizione, il cui dies a quo coincide con l’integrazione del disastro; evento, peraltro, tuttora perdurante, e quindi suscettibile ancora di individuare il termine di decorrenza.

In ogni caso, va evidenziato che, contrariamente a quanto emerso nella sentenza del Tribunale di Torino già richiamata, la condotta criminosa dei responsabili della produzione non può ritenersi cessata con la chiusura dello stabilimento, ovvero con la dichiarazione di fallimento, in quanto proprio la normativa richiamata in tema di bonifica dei siti contaminati costituisce una fonte dell’obbligo di garanzia gravante sul responsabile della produzione che ha provocato l’inquinamento.

 

Passando all’esame dell’imputazione di cui al capo B, va premesso che la fattispecie descritta nell’art. 449 c.p., la cui rubrica recita “delitti colposi di danno”, delinea il reato di ‘disastro colposo innominato’; la norma tipicizza, dunque, varie fattispecie criminose con diversità di eventi (incendio, frana, inondazione, ecc.), mediante un rinvio alle distinte ipotesi dolose di disastro previste nel Capo I del Titolo VI (incendio, inondazione, frana, valanga, naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, crollo di costruzioni).

La tecnica di redazione adoperata, pertanto, è quella delle fattispecie penali causalmente orientate, nelle quali la condotta colposa è a forma libera, mentre viene tipizzato l’evento di danno (in questo caso) o di pericolo (nella successiva fattispecie di cui all’art. 450 c.p., rubricata “delitti colposi di pericolo”) mediante rinvio al contenuto normativo delle corrispondenti fattispecie dolose del Capo I del Titolo VI.

La fattispecie di disastro colposo, dunque, sembra delineare, alla stregua della rubrica della norma, un reato di danno, i cui elementi costitutivi sono la condotta colposa, l’evento di danno, costituito da uno dei disastri tipizzati nel Capo I (incendio, inondazione, frana, valanga, naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, crollo di costruzioni), ed il nesso di causalità tra la condotta colposa e l’evento (in tal senso, ex multis, Cass.pen., sez. IV, 22 marzo 1991 (ud. 24 ottobre 1990), n. 186983; di recente, Cass.pen., sez. IV, 6 marzo 2008 (dep. 3 aprile 2008) n. 13947, Chiesa).

Trattandosi di una fattispecie di danno, parallela alla corrispondente e distinta fattispecie di pericolo delineata dall’art. 450 c.p., si afferma comunemente che non rientra nell’ambito della tipicità il requisito del concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità, che, più che presunto dalla legge, come talvolta tralatiziamente affermato nella giurisprudenza anche di legittimità (Cass.pen., sez. IV, 6 marzo 2008 (dep. 3 aprile 2008) n. 13947, Chiesa; Cass.pen., sez. I, 13 novembre 2003 (dep. 3 febbraio 2004), n. 4040, Baronchelli), deve rappresentare un connotato di qualificazione dell’evento.

Invero, sebbene la rubrica dell’art. 449 c.p. reciti “delitti colposi di danno”, in realtà la natura di danno o di pericolo della fattispecie va, più correttamente, individuata alla stregua di una valutazione della tecnica di tutela adoperata, parametrata al bene giuridico oggetto di tutela, non potendo ritenersi assorbente, come comunemente riconosciuto anche in dottrina, la lettera della rubrica.

Dunque, se il bene giuridico protetto dalle fattispecie di cui al Titolo VI è rappresentato dall’incolumità pubblica, il gigantismo del bene collettivo assunto ad oggetto di tutela penale disvela in realtà l’effettiva tecnica di tutela penale apprestata con le relative fattispecie incriminatici: invero, l’incolumità pubblica comprende i beni della vita, dell’integrità fisica e della salute di una cerchia indeterminata di persone –a differenza dei reati contro la vita e l’incolumità individuale, la cui attitudine offensiva è diretta contro singole persone individuate-, ed è offendibile mediante fatti che tipicamente provocano un pericolo o un danno di tale potenza espansiva o di tale diffusività, da minacciare un numero indeterminato di persone non individuabili preventivamente.

L’incolumità pubblica, pertanto, lungi dal rappresentare un bene giuridico ontologicamente diverso dalla vita e dall’integrità delle singole persone, è, secondo una condivisa e condivisibile impostazione dottrinale, il riflesso di una particolare tecnica di tutela diretta ad anticipare la salvaguardia delle persone in caso di pericoli connotati da particolare diffusività.

Pertanto, le fattispecie descritte nel Titolo VI sono essenzialmente reati di pericolo, astratto (laddove l’attitudine offensiva del fatto è ritenuta dal legislatore intrinseca nella stessa verificazione dell’evento naturalistico, sulla base di apprezzamenti empirico-prognostici effettuati su ben collaudate regole di esperienza) o concreto (laddove l’accertamento dell’attitudine offensiva del fatto è rimessa al concreto apprezzamento giudiziale).

Le fattispecie di disastro colposo innominato, dunque, benché rubricate in termini di delitti colposi di danno, devono essere più propriamente ritenute fattispecie di pericolo astratto, come del resto le corrispondenti fattispecie dolose descritte al Capo I del Titolo VI, e richiamate nella norma; invero, la verificazione di una frana, o di un qualsiasi altro disastro, per integrare la soglia del penalmente rilevante, non necessariamente deve determinare un evento di danno nei confronti della pubblica incolumità, nel senso che non occorre la compromissione reale dei beni vita e incolumità di un numero indeterminato di persone, essendo al contrario sufficiente un evento naturalisticamente pericoloso per la pubblica incolumità.

In altri termini, il danno evocato nella rubrica dell’art. 449 c.p., in contrapposizione al pericolo evocato nella successiva fattispecie di cui all’art. 450 c.p., deve ritenersi faccia riferimento alla verificazione dell’evento naturalistico (frana, inondazione, incendio, ecc.), intrinsecamente ritenuto pericoloso per l’incolumità pubblica, a differenza, appunto, delle fattispecie di cui all’art. 450 c.p., che tipizzano un evento normativo (e non già naturalistico), costituito dal pericolo di un disastro.

Pertanto, nell’evidenziare che la nozione di pericolo è un concetto essenzialmente normativo, di relazione tra un fatto umano (la condotta o l’evento tipizzati nella fattispecie) ed una norma, che qualifica in termini di pericolo il fatto, e che prescinde da qualificazioni su basi ontologiche o naturalistiche, il criterio di qualificazione dell’attributo di pericolosità di un fatto va ricercato su basi normative, sulla scorta di criteri di imputazione giuridica; in altri termini, è la norma a dover stabilire il livello di pericolosità ontologica sufficiente a raggiungere la soglia normativa del penalmente rilevante.

Ebbene, mentre nei reati di pericolo concreto la concretizzazione del criterio di qualificazione è rimessa al giudice, nel caso dei reati di pericolo astratto la norma fissa in maniera diretta ed immediata il criterio di qualificazione, alla stregua di un ‘giudizio’ prescrittivo standardizzato con il quale il legislatore cristallizza la valutazione di pericolosità di un fatto.

Nella fattispecie di disastro colposo innominato la norma penale è descritta mediante il richiamo ad elementi descrittivi caratterizzati da una indiscutibile “pregnanza semantica” (incendio, disastro ferroviario, frana, inondazione, ecc.) tale da assicurare la tipicità solo a quei fatti realmente offensivi del bene tutelato; viene infatti descritto un evento naturalistico, inteso come conseguenza della condotta umana, che coincide con l’offesa all’interesse protetto, in quanto dotato di un “sostrato di fatto” immediatamente percepibile.

In questi termini, dunque, come si è già evidenziato, è stato affermato anche nella giurisprudenza di legittimità che il delitto di ‘disastro ambientale’ richiede un evento di danno, che comprende non soltanto gli eventi di grande evidenza immediata e che si esauriscono in un arco di tempo ristretto (incendio, naufragio, ecc.), ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo eventualmente molto prolungato, purchè si verifichi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l’esistenza di una offesa alla pubblica incolumità (Cass.pen., sez. IV, 17 maggio 2006 n. 4675, Bartalini, nel processo Porto Marghera).

Dunque, prescindendo dal preteso requisito della causazione di un “esteso senso di allarme e pubblica emozione”, pure richiesto in talune affermazioni giurisprudenziali (Cass.pen., sez. V, 12 dicembre 1989 (dep. 17 agosto 1990), n. 11486, Massa, ripresa anche da Cass.pen., sez. IV, 6 marzo 2008 (dep. 3 aprile 2008) n. 13947, Chiesa), che, ad avviso di questo Giudice, non può costituire né un elemento naturalistico di fattispecie (non previsto dalla norma), né un indice probatorio dotato di affidabilità gnoseologica, in quanto rimesso ad una serie di fattori potenzialmente esulanti dall’area di tipicità dell’evento naturalistico (il disastro ambientale sotto forma di contaminazione dei siti), in quanto condizionati dalla percezione soggettiva delle persone e magari dalla risonanza mediatica attribuita o meno ad un evento, la giurisprudenza, al di là di talune apparenti difformità di accenti sulla situazione di pericolo per la pubblica incolumità, sembra essere consolidata nel richiedere, per l’integrazione della fattispecie in esame, un evento di proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento, con carattere di prorompente diffusione.

Proprio la situazione che risulta essersi determinata nel caso dell’Isochimica, in seguito all’interramento di tonnellate di amianto, all’abbandono dei cubi all’aperto, esposti alle intemperie e ad un inevitabile processo di erosione suscettibile di determinare pericolose dispersioni di fibre, e all’omessa bonifica (o almeno efficace messa in sicurezza) dell’area.

Va al riguardo evidenziato, altresì, che riguardando la contestazione un reato omissivo colposo, la posizione di garanzia sussidiaria degli organi comunali (all’esito dell’inerzia del responsabile dell’inquinamento) era altresì trasferibile ad “altri soggetti interessati” che sono intervenuti (evidentemente per ragioni economiche) nel procedimento di bonifica: in tal senso, dunque, la posizione di garanzia è stata assunta dalla curatela, e dalle società che, nel corso del tempo, si sono succedute nei contratti di appalto e subappalto stipulati dalla curatela per le operazioni di bonifica o messa in sicurezza dell’area.

Va al riguardo segnalato che, oltre alla posizione di garanzia surrogatoria degli organi regionali, allo stato delle indagini non oggetto di approfondimento, l’assunzione della posizione di garanzia da parte delle imprese incaricate della bonifica non esimeva gli organi pubblici competenti (in primis, il Comune e l’ASL territorialmente competente) dallo svolgimento di forme di controllo, specificamente previste, del resto, dalla normativa in materia già richiamata (art. 242 comma 7 T.U. amb., a proposito dei controlli sui tempi di esecuzione e sulle garanzie finanziarie da prestarsi per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi di bonifica).

 

    1. Rilievo penale delle condotte, attive o omissive, contestate nell’imputazione provvisoria.

Alla luce delle argomentazioni svolte in tema di qualificazione giuridica, appare sufficiente richiamare la ricostruzione contenuta nel decreto d’urgenza delle principali condotte, attive e omissive, che hanno assunto un rilievo causale per la determinazione del disastro ambientale, dovendosi condividere la valutazione relativa alla sussumibilità delle stesse nelle fattispecie astratte contestate:

“Ebbene, l’attuale situazione di degrado dell’area ex Isochimica – riconducibile all’iniziale illecito smaltimento di amianto (interrato per non meno di m/cubi.1.600 all’interno dell’area aziendale, e trasformato in varie centinaia di cubi di cemento-amianto friabile ancora stoccati nella medesima area aziendale) da parte di amministratori e dirigenti della “Isochimica s.p.a.”, ed aggravatosi a seguito di inerzie e ritardi durati oltre un ventennio – ha portato ad uno stato di fatto che integra gli estremi giuridici del disastro ambientale (c.d. disastro innominato: artt.434 c.p. e 434 e 449 c.p.).

Come confermato dal recente accertamento operato dai CC.TT. della Procura della Repubblica di Avellino, dopo l’accesso ai luoghi dell’08.5.2013 (v. integrazione alla relazione dei CC.TT. depositata il 21.5.2013, e addendum alla predetta integrazione depositata il 24.5.2013), lo stato attuale di ammaloramento degli oltre 500 (in alcuni documenti si parla di oltre 600) cubi di cemento-amianto friabile ivi illecitamente smaltiti, dal 1983 al 1988, nel corso dell’attività industriale dell’Isochimica s.p.a. (dato incontestabile sin dalla perizia dei proff. Romano-Volpicelli-Mansi resa il 12.12.1988 nel proc. pen. N.878/86 a carico di XX Elio), è tale da imporre per essi una valutazione di generalizzata inidoneità a trattenere le fibre di amianto, la cui dispersione aerea all’interno della detta area aziendale integra quell’evento straordinariamente grave e complesso, anche se non eccezionalmente immane, che, provocando effetti nocivi di natura diffusiva, espone a concreto pericolo, collettivamente, l’incolumità di un numero indeterminato di persone (appunto il disastro in termini giuridici: la cui sussistenza non necessita la provata produzione di morte e/o lesioni alle persone).

Dai predetti accertamenti è emerso che anche la complessiva situazione dell’area aziendale è tale da non potersi ritenere – a dispetto degli interventi di emergenza apparentemente compiuti – messa in sicurezza rispetto al pericolo di dispersione dell’amianto. Anche sul punto sono illuminanti gli esiti degli accertamenti tecnici svolti di recente (v. integrazione alla relazione dei CC.TT. depositata il 21.5.2013, e addendum alla predetta integrazione depositata il 24.5.2013); ed, infatti, è stata evidenziata la presenza nell’area di attrezzature aziendali, materiali vari, fori di carotaggi non sanati ecc., che sono da ritenersi fonti di rilascio di fibre libere di amianto in aerodisperso e, così, direttamente connessi con il concreto pericolo per la pubblica incolumità.

La fondatezza del giudizio di presenza delle fibre di amianto all’interno dell’area aziendale si può basare, oltre che sugli esiti degli accertamenti recenti degli ausiliari della Procura della Repubblica, sulla diretta visione delle fotografie scattate, in quell’occasione, ai cubi di cemento-amianto friabile (v. fotografie e didascalie delle ultime due relazioni integrative prima citate); ebbene, si può apprezzare ictu oculi che vi sono cubi privi di alcuna compattezza, all’interno dei quali il composto di cemento-amianto friabile è assolutamente privo di ogni coesione, con quanto ne consegue, in base a pura logica, in termini di dispersione di particelle a seguito dell’operare degli agenti atmosferici.

Anche il tecnico, ing. Teodosio, nominato come CTU dal Giudice delegato ai fallimenti del tribunale di Avellino (al fine di accertare la reale natura dei lavori compiuti e le somme spettanti alle società che si erano impegnate ad effettuare la bonifica per la curatela fallimentare), nel corso delle sue s.i. al NIPAF del CFS di Avellino del 17.5.2013, dichiarava che nell’area aziendale Isochimica sono ancora stoccati più di 500 cubi in calcestruzzo contenenti scorie di amianto, alcuni dei quali presentano superficie alterata con esposizione agli agenti atmosferici di materiale friabile.

Il dato della diffusività degli effetti nocivi della certa dispersione delle fibre di amianto friabile all’interno dell’area aziendale è strettamente legato alla assoluta contiguità del centro abitato all’area medesima ove sono stoccati da decenni i cubi di cemento-amianto friabile; tanto da potersi affermare che, essendo l’area sostanzialmente dentro la città, l’attitudine della situazione di fatto accertata a mettere in pericolo la pubblica incolumità è assolutamente concreta. Il dato si può immediatamente apprezzare anche dalla relazione del C.T. c.d. addendum alla predetta integrazione, depositata in segreteria di Procura il 24.5.2013 (v. fotografie e didascalie a pag.5 della relazione). L’assoluta concretezza degli effetti nocivi evidenziati si ricava, altresì, dal giudizio scientifico secondo il quale tali conseguenze sulla salute derivano anche dall’inalazione di fibre di amianto libere a dosi bassissime (v. pag.25 dell’integrazione alla relazione dei CC.TT. depositata il 21.5.2013); tanto che il sanitario facente parte del collegio consigliava l’avvio ad horas di una campagna di sorveglianza sanitaria destinata alla popolazione residente ed ai lavoratori dell’area circostante il sito ex Isochimica.

Rispetto alla situazione di disastro accertata a seguito delle indagini svolte, non presentano alcun concreto rilievo gli accertamenti fatti svolgere dal Comune di Avellino sull’eventuale dispersione di fibre nell’aria dell’area esterna al sito Isochimica; ed, infatti, si tratta di accertamenti ampiamente criticabili per le metodiche e tempistiche utilizzate, come indicato da pag.23 a 27 dell’integrazione alla relazione dei CC.TT. depositata il 21.5.2013, tanto che i CC.TT. della Procura potevano concludere che il detto monitoraggio ambientale non era idoneo ad escludere attuali e concreti pericoli per la salute pubblica relativamente anche alle aree circostanti il sito ex-Isochimica (v. pag.26 della detta integrazione alla relazione). Del resto, per la sussistenza dell’evento di disastro è sufficiente avere concreti elementi per ritenere la dispersione di particelle contenenti amianto friabile all’interno dell’area aziendale (con quanto ne consegue in ordine agli effetti diffusivi di danno, a carico di persone che vivono e/o lavorano nei pressi del sito, dovuti all’azione degli agenti atmosferici); in altri termini, se si fosse già accertato, con metodiche idonee, la dispersione all’esterno dell’area aziendale di fibre di amianto idonee a mettere in pericolo la pubblica incolumità si sarebbe in presenza di un disastro con conseguenze catastrofiche (si dovrebbe evacuare l’area!). Tanto non è stato oggetto di accertamento, e non è necessario per integrare gli estremi del disastro.

Le ragioni delle inerzie e ritardi che –unitamente all’originaria dissennata condotta degli amministratori dell’Isochimica s.p.a.– sono alla base della causazione del disastro sono state icasticamente stigmatizzate dal presidente della Commissione regionale per il controllo delle bonifiche, il quale ha affermato: “Da quanto è a mia conoscenza, anche per le informazioni ricevute, il problema di questo ritardo di bonifica dell’area isochimica è stato dovuto ad un rimpallo di competenze tra Comune, curatela, altri organi e società” (V. s.i. di AMATO Antonio ai PP.MM. della Procura di Avellino del 06 maggio 2013).

La cronistoria della gestione dell’area aziendale dopo il fallimento della “Isochimica s.p.a.”, operata anche sulla scorta delle relazioni dei CC.TT. nominati dalla Procura della Repubblica (originaria CT sull’area c.d. Isochimica e sulla storia della sua messa in sicurezza e bonifica; nonché CT di collegio medico sugli effetti sulla salute dei lavoratori e non), consente di apprezzare una lunga serie di: a) negligenze, imprudenze e violazioni di legge da parte degli amministratori di enti pubblici (in primis il Comune di Avellino) chiamati, in forza di espresse previsioni legislative (art.17 d.lgs.22/97, prima, e art.250 d.lgs.152/06, poi), ad assumersi il compito di porre in essere tutti gli interventi necessari (dalla messa in sicurezza, alla bonifica, al ripristino ambientale) in caso di inerzia del responsabile dell’inquinamento, o di fallimento delle iniziative assunte spontaneamente da altri soggetti interessati (consentite ex art.9 D.M. Ambiente n.471/99, regolamento di attuazione del c.d. Decreto Ronchi d.lgs.22/97 e, poi, ex art.245 d.lgs.152/06, e dalle medesime norme legittimate anche per il passato), in primis dalla curatela fallimentare della “Isochimica s.p.a.”; b) gravi inadempimenti degli obblighi pur spontaneamente assunti dai soggetti interessati (curatela fallimentare dell’Isochimica ed imprese che operavano per suo conto) sia in fase di messa in sicurezza d’emergenza: allorquando si poneva in essere un intervento molto parziale e tutt’altro che risolutivo per la tutela della pubblica incolumità; che, successivamente, in fase di bonifica: allorquando non si adempiva – tra l’altro, e per quanto più riguarda i profili penalistici che interessano – l’impegno assunto alla rimozione dei cubi di cemento-amianto friabile, fonte dell’evento di disastro unitamente al complessivo stato dell’area aziendale; c) assunzione di erronee ed illegittime iniziative da parte del Comune di Avellino che, per non affrontare i problemi finanziari connessi all’inderogabile obbligo pubblicistico di mettere in sicurezza l’area, cercava, ancora, di coinvolgere soggetti non obbligati per scaricare su di loro compiti spettanti al detto ente comunale (e, in subordine, alla Regione), in tal modo dando luogo ad ulteriori inerzie e ritardi che hanno portato alla situazione odierna di irrimediabile deterioramento dei cubi di cemento-amianto friabile e, comunque, di assoluto stallo nella tutela delle esigenze di pubblica incolumità (il Presidente AMATO, alla domanda su chi fosse attualmente onerato della bonifica, rispondeva: Allo stato ritengo che non stia operando nessuno); d) inerzie, omissioni ed anche false affermazioni da parte di funzionari e dirigenti dei vari enti pubblici coinvolti (Comune di Avellino, ASL, ARPAC) che, per evitare di prendere in carico il problema della bonifica dell’area, per ridimensionare le conseguenze del suo ritardo, e per non farne apparire la gravità, tradivano i loro obblighi verso le Istituzioni. Emblematico, a tale ultimo riguardo, è il comportamento sia dei dirigenti comunali dell’area ambiente, che tenevano il Commissario prefettizio, Cinzia Guercio, all’oscuro delle reali problematiche relative alla questione c.d. Isochimica (v. s.i. del Prefetto Guercio ai PP.MM. della Procura della Repubblica di Avellino del 16.5.2013: il Commissario scopriva l’urgenza del problema solo pochi giorni prima, nel corso di riunione in Prefettura con il presidente della commissione regionale per le bonifiche, ed immediatamente si attivava), sia del dr. (…) dell’ASL di Avellino che, nel corso della riunione dell’11.6.2010 al Comune di Avellino, nell’illustrare lo stato della bonifica affermava, contro ogni evidenza, che: sono stati ormai rimossi tutti i m/cubi di amianto friabile (quello pericoloso per la salute pubblica) e messi in sicurezza. Il pericolo per la salute pubblica non c’è più. Il medesimo dirigente ASL ostacolava, tra l’altro, l’azione del tecnico nominato come CTU dal Giudice delegato ai fallimenti del tribunale di Avellino (v. s.i. ing. Teodosio e documenti acquisiti dalla PG).

Nel corso di questi anni di pressoché totale inerzia operativa, lo stato dei cubi di cemento-amianto friabile degradava costantemente sino a produrre, in uno con la complessiva situazione dell’area, lo stato attuale di disastro, causato – principalmente – dall’incapacità del Comune di affrontare gli impegni finanziari che il compito comportava. Tanto emerge chiaramente sia delle dichiarazioni del presidente della Commissione regionale per il controllo delle bonifiche (v. verbale di s.i. di AMATO Antonio sopra citate), che dalle stesse ammissioni del responsabile del Servizio Ambiente del Comune di Avellino, Michelangelo SULLO (v. sue dichiarazioni nel verbale della seduta della Commissione regionale dell’08.4.2013, prodotta da AMATO nel corso delle sue s.i.). In altri termini, il Comune, pur di non sostenere i costi immediati di messa in sicurezza e bonifica, ed omettendo di attivare l’intervento sostitutivo regionale, teneva una condotta di negligente inerzia e di rimpallo di competenze che incideva causalmente in maniera diretta nell’inoperoso decorso del tempo alla base del degrado dei detti cubi, e delle altre strutture aziendali dalle quali proviene il rilascio delle fibre di amianto.

(…) Sul punto, sembra evidente che la fonte di responsabilità degli amministratori e responsabili aziendali dell’Isochimica s.p.a. è data dalla loro condotta dolosa di illecito smaltimento dei cubi di cemento-amianto friabile all’interno dell’area aziendale, alcuni dei quali mal confezionati (privi della camicia protettiva di cemento) con la conseguente, e consapevole creazione di una situazione direttamente idonea a creare pericolo per la pubblica incolumità (quale, poi, si è creata in concreto per effetto del decorso del tempo) e, comunque, con l’accettazione per gli altri cubi, non del semplice rischio, ma dell’evento di disastro che ne sarebbe conseguito per effetto del loro permanere in loco per decenni.

Per la responsabilità degli altri indagati, invece, è fondamentale la posizione di garanzia rispetto al bene della pubblica incolumità dagli stessi assunta, o in forza di espressa disposizione di legge (Comune, Arpac, ASL), o per fonte contrattuale idonea a far assumere in concreto la posizione di garante al soggetto che ha stipulato il negozio con il titolare originario della posizione di garanzia (ossia il Curatore rispetto al Comune ed agli impegni di messa in sicurezza e bonifica assunti nei suoi confronti), o, infine, per fonte contrattuale o, comunque, per materiale assunzione volontaria della posizione di garanzia (si pensi alle società che, su incarico della curatela, si sono assunte, mediante appalto e subappalto, l’obbligo di operare messa in sicurezza e bonifica).

Tanto premesso, deve rilevarsi che dalle indagini emerge con chiarezza che la situazione dell’area aziendale dell’Isochimica, dolosamente cagionata da amministratori e dirigenti di tale società, è apparsa sin da subito drammatica. Si consideri che nell’esercizio dell’attività d’impresa e nella gestione dello stabilimento dell’Isochimica, l’attività industriale veniva svolta senza alcuna concreta sicurezza per i lavoratori, essendo realizzata in modo da diffondere polveri di amianto (la gran parte del tipo crocidolite, ossia la tipologia più pericolosa del detto minerale) in maniera indiscriminata; ed, infatti, l’amministrazione ed i dirigenti dell’Isochimica non avevano adottato nei luoghi di lavoro sistemi di aspirazione e di abbattimento delle polveri, e, così, avevano creato ambienti di lavoro estremamente polverosi anche ad occhio nudo (v. relazione CC.TT. proff. Moscato e Ricciardi)”

 

Nel richiamare i passaggi salienti delle vicende collegate alla bonifica e/o messa in sicurezza del sito13, peraltro, è stato constatato che, in realtà, la messa in sicurezza d’emergenza della GE.I.S.A. s.r.l., disposta dalla curatela fallimentare, almeno per una parte dei cubi non è mai avvenuta; ne consegue che tali cubi, rispetto allo stato iniziale di produzione risalente, ad oggi, a circa venticinque anni fa, hanno subito il degrado naturale, e le alterazioni da agenti atmosferici in assenza di ogni protezione. Anche per gli altri cubi, però, la messa in sicurezza è stata tutt’altro che idonea a scongiurare pericoli concreti per la pubblica incolumità e, quindi, anche per loro il degrado naturale dei decenni deve ritenersi abbia causato una situazione di inidoneità a trattenere le particelle di amianto.

Come evidenziato nel decreto d’urgenza, il 23 maggio 2005, con delibera n.267, “la Giunta comunale di Avellino delibera di sospendere la procedura di esecuzione in danno dei lavori di bonifica, a seguito della disponibilità della curatela fallimentare di realizzare la bonifica medesima a mezzo della EuroKomet s.r.l., cui era stata concessa in locazione l’area aziendale; in concreto, la curatela assumeva su di sé l’obbligo della bonifica, restando, comunque, sottoposta ai controlli degli enti ed organi coinvolti nella procedura. Nel corso dell’incontro preparatorio di tale delibera, documentato nel verbale del 15.3.2005 allegato alla detta delibera n.267, il Commissario Straordinario di Governo per l’Emergenza rifiuti in Campania rilevava l’urgenza di procedere con quanto previsto nel piano di caratterizzazione per la bonifica, e sottolineava il ritardo già accumulato nel procedimento.

Da allora sono decorsi ulteriori otto anni senza alcun concreto risultato.

Nel contratto stipulato, il 24 settembre 2004, tra curatela fallimentare ed EuroKomet s.r.l., quest’ultima si impegnava ad ultimare i lavori di bonifica entro due anni dalla stipula del contratto, ovvero dalla data di approvazione del progetto di bonifica da parte della P.A.; tale termine non sarà, in alcun modo, rispettato, ed il Comune non assumerà alcuna specifica iniziativa per i ritardi della curatela (almeno sino al marzo 2012).

· 23 giugno 2005, il curatore fallimentare, con relazione al Giudice delegato, comunica che l’inizio dei lavori per le opere di bonifica a cura della ditta EuroKomet s.r.l. è previsto entro il 15 luglio 2005.

· In realtà, a seguito di vicissitudini (ricostruite nella relazione di C.T. del dr. Auriemma) relative al cambiamento di varie imprese subappaltatrici (Ellegi s.r.l.; Teknova s.r.l.) che non procederanno ai lavori ed il cui incarico sarà revocato, solo il 05 agosto 2008 la subappaltatrice Pescatore s.r.l. sarà incaricata dei lavori di bonifica dalla appaltatrice Team Ambiente s.p.a.

Le ragioni di questo ulteriore ritardo sono riconducibili, in primis, alla condotta del Comune di Avellino che, in sede di delibera di Giunta Comunale n.267 del 23 maggio 2005 di revoca dell’esecuzione in danno con contestuale assunzione dell’obbligo di bonifica da parte della curatela fallimentare, manifestando un’estrema imprudenza, una negligenza somma e violando espressi obblighi di legge, affidava il compito della bonifica alla curatela non garantendosi, realmente, in ordine ai tempi di realizzazione dell’intervento, alla specifica tipologia di intervento che sarebbe stato realizzato, alle garanzie finanziarie di realizzazione dell’intervento medesimo. Inoltre, con tale scelta operativa, che appare caratterizzata più dall’urgenza di liberarsi della gravosa incombenza che dalla necessità di garantire le migliori forme per tutelare la pubblica incolumità e l’ambiente, il Comune – che, tra l’altro, provvedeva senza ricevere il parere del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti, che, pure, aveva ritenuto necessario nel corso della riunione preparatoria di cui al verbale del 15.3.05 – violava le disposizioni degli allora vigenti art.9 D.M.471/99, e art.17 co.4 d.lgs.22/97 (quest’ultimo in relazione al generale obbligo del Comune di determinare le garanzie finanziarie da prestare al fine della bonifica; principio successivamente contenuto nell’art.242 co.7, e 248 co.2 e 3 d.lgs.152/06). Sul punto, si esprime chiaramente anche il consulente di Procura dr. Auriemma nell’addendum all’integrazione della relazione di CT depositata in Procura il 21.5.2013, nel corso della quale, pur rilevando la legittimità amministrativa dell’iter procedurale, rilevava un evidente difetto di istruzione nella procedura della bonifica dello stabilimento ex Isochimica secondo quanto disposto dal D.M. 471/1999 all’epoca dei fatti vigente, in quanto:

· All’atto di sospensione della “procedura in danno” dell’iter procedurale finalizzato alla bonifica dello Stabilimento ex Isochimica, l’amministrazione Comunale non fissa i tempi intermedi o finali per la realizzazione del progetto di bonifica, atteso che il piano di caratterizzazione è già stato approvato in data 02/02/2005 con delibera di Giunta n. 57/05;

· Vengono elusi i termini per la definizione delle garanzie finanziarie al soggetto interessato da parte dell’amministrazione comunale a favore della Regione; (v. pag.15-16 del citato addendum).

Si consideri, ancora, che quando la delibera di Giunta comunale citata n.267 del 23 maggio 2005, al punto 1 del dispositivo, fa riferimento al Piano di caratterizzazione corredato da cronoprogramma dettagliato dei lavori di bonifica del sito, tale cronoprogramma non contiene, in alcun modo, i tempi delle fasi della bonifica, dovendosi ancora: individuare le imprese che avrebbero svolto la bonifica, redigere ed approvare i progetti di bonifica, approvare i piani di lavoro delle imprese incaricate delle materiali operazioni.

· I lavori di bonifica cominceranno solo il 06.7.2009 e si interromperanno il 16.02.2010 per vicissitudini della Pescatore s.r.l. (avrebbe presentato istanza di concordato preventivo), senza aver dato avvio alla rimozione dei rifiuti.

· 25 maggio 2010, con transazione tra EuroKomet s.r.l., Pescatore s.r.l. e HGE Ambiente s.r.l. (sembra in assenza del curatore), si affida alla HGE Ambiente s.r.l., destinataria di ramo d’azienda della Pescatore s.r.l., la prosecuzione dei lavori di bonifica.

· 11 giugno 2010, riunione presso il Comune di Avellino, su convocazione del Vicesindaco, assessore all’ambiente Festa, sullo stato della bonifica dell’ex Isochimica. L’amministratore unico della ditta EuroKomet s.r.l., dott. (…), rileva l’aumento delle spese per il completamento della bonifica, atteso che i cubi di cemento-amianto, contrariamente al peso stimato di una tonnellata l’uno contenuta nel Piano di caratterizzazione e al numero di 489 stimato nella relazione del professor Cecchetti, sarebbero stati contati dalla EuroKomet s.r.l. in numero di 681 (il numero non sembra pienamente attendibile), per un peso di 2,5 tonnellate l’uno, (a domanda dell’arch. Megaro, il dott. (…) riferisce che i cubi in più non sarebbero stati rilevati in precedenza perché nascosti dalla vegetazione poi rimossa). Si attesta, infine, che sono stati portati via n.48 cubi (n.4 TIR da 12).

Dal momento della delibera di Giunta Comunale n.267 del 23 maggio 2005, risalente ad oltre cinque anni prima, questo sembra essere il primo atto di interessamento del Comune rispetto alle sorti della bonifica. Ciò avviene nonostante nel parere dell’Ufficio legale del Comune (prot.1683 del 05.5.2005), richiamato nella delibera n.267, si invochi il diritto/dovere dell’Amministrazione (al pari di quello dell’ASL e di altri organi, ciascuno per le proprie competenze) di vigilare in modo puntuale sulle modalità con cui la Curatela del Fallimentare procederà, attraverso la Eurokomet s.r.l., all’attuazione del Piano di caratterizzazione.

· 28 marzo 2012, il Sindaco di Avellino adotta un’ordinanza (n.100 R.O.) con la quale, preso atto che i lavori di bonifica dell’area ex Isochimica sono sospesi, e che il mancato completamento della bonifica può costituire reale pericolo per la salute pubblica, ordina alla curatela fallimentare la ripresa ad horas e, comunque, entro gg.60, dei lavori di bonifica e di messa in sicurezza permanente, avvertendo che, scaduto inutilmente il termine, si procederà d’ufficio, ed in danno, all’esecuzione del provvedimento.

· 21 maggio 2012, il Sindaco di Avellino, avuto notizia dalla curatela che l’ASI si era avvalso della facoltà di legge di riappropriarsi dell’opificio industriale Isochimica, con ordinanza n.209 R.O. estendeva gli effetti della predetta ordinanza n.100 nei confronti del Presidente pro-tempore del consorzio ASI.

Entrambe le predette ordinanze, adottate dal Sindaco QQ poco prima di dimettersi, sono, sulla base della dominante giurisprudenza amministrativa, da ritenersi illegittime; ed, infatti, il curatore fallimentare non può essere destinatario di alcun obbligo di bonifica di siti inquinati riconducibili alla società fallita, salvo il caso in cui vi sia stata, ai sensi dell’art.104 L. Fall., l’autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa, e tale attività abbia cagionato inquinamento o prodotto, comunque, rifiuti (cfr., a titolo esemplificativo, le seguenti sentenze: Cons. Stato, sez.V 16.6.2009 n.3885/2009; TAR Friuli Venezia Giulia n.27/2012 Reg. Ric. del 17.10.2012; TAR Campania, sez. Salerno n.11823/2010 del 17.6.2010; TAR Toscana sez.II, del 19.3.2010 n.700; TAR Sicilia, Catania sez.I 10.3.2005 n.398). Orbene, nell’area Isochimica, dopo il fallimento (sentenza 3/4 gennaio 1990) non si sono svolte attività da parte della curatela. Si consideri, cioè, che, venuto meno lo spontaneo impegno della curatela a bonificare, il Comune doveva procedere, senza indugi, all’esecuzione in danno (avrebbe già dovuto farlo da tempo, visto il trascinarsi della bonifica della curatela), non avendo strumenti sanzionatori contro la curatela che non era responsabile dell’originario inquinamento, come nel caso dell’ASI (possono adottarsi provvedimenti impositivi di obbligo di ripristino ambientale solo verso soggetti responsabili a titolo di dolo o colpa, non sussistendo responsabilità oggettiva); diversa situazione si ha, poi, quando, eseguita la bonifica da parte dell’ente pubblico, sorge un’obbligazione relativa alle spese anticipate in capo al soggetto responsabile dell’illecito ambientale, e/o nei confronti del proprietario, pur incolpevole, del fondo inquinato interessato dalle operazioni di mesa in sicurezza e bonifica (la legge prevede oneri reali sulle aree oggetto di intervento, e privilegio speciale immobiliare); allo stato attuale sembrerebbe il caso dell’ASI.

In altri termini, queste ordinanze sindacali del 2012 adottate in violazione di legge costituiscono espressione ulteriore della colpevole dilazione dei tempi posta in essere dal Comune per non affrontare direttamente gli oneri dell’urgente intervento ambientale, così contribuendo, nuovamente, al degrado della situazione esistente all’interno dell’area aziendale e, segnatamente, all’ulteriore deterioramento dei cubi di cemento-amianto friabile, nonché allo stallo nella reale messa in sicurezza d’emergenza di cui l’area ha ancora bisogno.

Non a caso, la situazione dei cubi di cemento-amianto illecitamente smaltiti nell’area aziendale dell’Isochimica non ha subito – dal limitatissimo intervento del 2009-2010 – alcuna variazione e, ad oggi, maggio 2013, l’ulteriore decorso del tempo ha portato le condizioni degli stessi allo stato disastroso evidenziato dall’accertamento dei CC.TT. della Procura. Tale ritardo – anzi vera e propria inerzia in ordine a quello che, da sempre, è apparso come il problema più urgente per la tutela della pubblica incolumità, ossia la rimozione dei cubi contenenti amianto – non è solo espressione di una gravissima negligenza, e di violazioni di obblighi contrattuali da parte di tutti gli enti e le società coinvolti in questa interminabile bonifica, ma integra anche un’espressa violazione di obblighi di legge in materia di tempi di esecuzione della bonifica in caso di assunzione dell’obbligo da parte di interessati diversi dal responsabile dell’inquinamento. Ed, infatti, prima l’art.9 co.3 DM.471/99, e poi l’art.245 co.3 del d.lgs.152/06 dispongono che qualora i soggetti interessati procedano a interventi di messa in sicurezza, bonifica ovvero abbiano già provveduto in tal senso in precedenza, la decorrenza dell'obbligo di bonifica verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche o da suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interventi prima del suddetto termine.

Circa la successioni nel tempo delle leggi ambientali relative alla bonifica, deve rilevarsi che con l’entrata in vigore del D.L.vo 152/2006 in data 29/04/2006 il D.M. 471/1999 è da intendersi interamente abrogato a partire dalla stessa data. A proposito di ciò, il legislatore attraverso l’art.265 co.4 del D.L.vo 152/2006 conferisce al soggetto promotore di un procedimento di bonifica la facoltà, ma non l’obbligo, di rivisitare, sebbene in misura solamente limitata alla luce dello stesso decreto, un procedimento precedentemente autorizzato sub D.M. 471/1999. La procedura, innanzitutto, è attivabile solo previa richiesta, da formulare entro 180 giorni dalla entrata i vigore del D.L.vo 152/2006 ed è, inoltre, applicabile solo in relazione ad interventi non ancora realizzati alla data di entrata in vigore del D.L.vo 152/2006, ovvero al 29 aprile 2006. In altri termini, in assenza di una richiesta formulata entro 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L.vo 152/2006, le opere di bonifica dovranno essere effettuate in maniera conforme agli obiettivi di bonifica già autorizzati in base al D.M. 471/1999 (v. addendum all’integrazione della relazione del CT dr. Auriemma, depositata in Procura il 24.5.2013).

Orbene, nel caso dell’Isochimica nessun termine alla bonifica è stato imposto dal Comune, né la Regione ha imposto il termine per detta bonifica nel piano regionale; sul punto, il presidente della commissione regionale per le bonifiche ha dichiarato che il sito Isochimica non fu inserito nel piano di bonifica regionale perché si ritenne che dovesse provvedere alla bonifica la curatela fallimentare (v. s.i. AMATO Antonio del 06.5.2013). Abbiamo visto, invece, che la legge dispone diversamente (sia art.9 DM.471/99, che art.245 co.3 del d.lgs.152/06); e cioè, che anche nel caso di intervento dei soggetti interessati alla messa in sicurezza e bonifica, la Regione doveva farsi carico della determinazione dei tempi della bonifica.

In altri termini, affidando la bonifica all’esclusiva iniziativa della curatela – ossia un organo con esclusive finalità patrimoniali di realizzazione dell’attivo fallimentare per finalità di soddisfo della massa dei creditori – gli organi chiamati alla cura dell’interesse eminentemente pubblicistico della messa in sicurezza e bonifica dell’area inquinata si sono completamente disinteressati delle sorti di un sito di elevata pericolosità per la pubblica incolumità. La conseguenza è stata che, per finalità di risparmio di spese o per altri problemi di natura negoziale, non si sono ben selezionate le società chiamate a realizzare i delicatissimi interventi di messa in sicurezza d’emergenza, prima, e bonifica, poi; successivamente, alla prima difficoltà economica, le imprese investite degli obblighi ambientali – che, ovviamente, erano mosse da finalità di profitto – si sono mostrate indisponibili a procedere oltre. A quel punto, lo stallo è stato totale a causa dell’inadeguatezza degli organi amministrativi e tecnici a far fronte ai propri obblighi, come sintetizzato sopra e come si vedrà più diffusamente nel corso del provvedimento. La conseguenza finale è stata il prodursi di un evento integrante disastro, riconducibile al XX a titolo di dolo (art.434 co.2 c.p.) ed agli altri indagati a titolo di colpa (art.434 e 449 c.p.), da qualificarsi come cosciente, ai sensi dell’art.61 n.3) c.p., data la certa previsione, da parte di tutti gli organi e società coinvolti nella gestione del sito inquinato Isochimica, che dall’inerzia ne sarebbe derivato l’evento di disastro per il quale si procede.”.

Inoltre, dalle dichiarazioni rese dal commissario prefettizio del Comune di Avellino, dott.ssa Cinzia Guercio (nominata in seguito delle dimissioni del sindaco QQ, e fino alla proclamazione dell’attuale sindaco, Paolo Foti), è altresì emersa una condotta di ‘insabbiamento’ della situazione di grave degrado determinatasi da parte di alcuni funzionari comunali14.

 

  1. Periculum in mora.

 

Ricorre altresì il requisito del periculum in mora, sussistendo il fondato pericolo che la libera disponibilità del sito dove fu svolta la criminosa attività connessa alla lavorazione dell’amianto possa aggravare o protrarre le conseguenze dei reati contestati, compromettendo ulteriormente l’integrità dell’ambiente, nonché l’incolumità delle persone, e l’esigenza di impedire che i reati di disastro ambientale ed omissione di atti d’ufficio siano portati ad ulteriori conseguenze.

Secondo quanto evidenziato nell’integrazione della consulenza del CTPM dr. Auriemma in data 21 maggio 2013, risulta che “è in atto un pericolo concreto per la salute pubblica ed incolumità di dispersione di fibre di amianto nell’area dello stabilimento ex ISOCHIMICA. Tale pericolo, a suo tempo già rilevato con i precedenti studi, è dovuto all’ulteriore stato di degrado dei manufatti rinvenuti nell’area” (cfr. relazione del CTPM integrativa in atti).

Inoltre, il commissario prefettizio del Comune di Avellino, dott.ssa Cinzia Guercio, ha evidenziato che “i monitoraggi dell’aria dell’area circostante sono stati disposti in quanto dalle stesse ordinanze in materia emanate dal comune di Avellino emergeva il pericolo relativo alla diffusione nell’aria delle fibre di amianto”.

Dunque, una situazione che senz’altro legittima l’adozione della cautela reale richiesta, e che fonda altresì la legittimità del provvedimento d’urgenza emesso dal P.M., che, adottato in una situazione di obiettiva urgenza, e rispettati i termini di legge (il termine di 48 ore per la richiesta di convalida al giudice decorre infatti dall’esecuzione del sequestro e non dall’adozione del provvedimento: in tal senso, ex multis, Cass.pen., sez. III, 11.1.2005 n. 4871, Traversini), può essere convalidato.

 

    1. Modalità esecutive del sequestro.

Una volta ritenuta la sussistenza delle condizioni di legge per l'adozione del provvedimento di sequestro delle aree suindicate, non può essere comunque evitato di rilevare come taluni dei pericoli evidenziati non consentono di essere adeguatamente ovviati attraverso la semplice adozione del provvedimento richiesto.

E' per tale ragione che va valutata la possibilità di prevedere la contestuale immissione in possesso di un custode che dia immediatamente corso ad una serie di iniziative funzionali ad interrompere la grave compromissione delle matrici ambientali, evitando che i reati già commessi siano portati ad ulteriori quanto perniciose conseguenze.

Tale soluzione, prevista dalle norme procedimentali, è stata sovente avallata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. per tutte Cass. sez.3 n.3580/10), e costituisce, nella fattispecie in esame, lo strumento più opportuno ed efficace per operare un giusto bilanciamento di interessi tra l'esigenza cautelare di evitare la prosecuzione della grave e pericolosa attività in atto e la necessità, altrettanto pressante, di consentire una celere bonifica e/o messa in sicurezza del sito contaminato.

Al riguardo, il codice di rito (artt. 104 e 104 bis disp. att. c.p.p., come novellati ed introdotti dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009) consente (rectius impone) in casi del genere di individuare un idoneo custode che abbia il potere/dovere di svolgere anche mansioni di "gestione" su beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione.

Inoltre, anche l’art. 247 del D.lgs 152/2006 prescrive che “nel caso in cui il sito inquinato sia soggetto a sequestro, l’autorità giudiziaria che lo ha disposto può autorizzare l'accesso al sito per l'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, anche al fine di impedire l'ulteriore propagazione degli inquinanti ed il conseguente peggioramento della situazione ambientale”.

Dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, e della situazione di grave ed attuale compromissione dell’ambiente, deve ritenersi che la previsione di una modalità di custodia "statica", che si limiti ad impedire la fruizione e l'accesso alle aree, non consentirebbe di raggiungere in alcun modo le finalità cui la misura cautelare del sequestro preventivo è deputata, atteso che si registrerebbe una protrazione delle conseguenze del reato, anche se l'utilizzo di tali aree e strutture fosse semplicemente sottratto a chi ne ha l'attuale disponibilità.

E' per tale ragione che -in linea con quanto previsto dalla recente novella legislativa del 2009, e non potendo più adottarsi, in caso di sequestro preventivo, come pure richiesto dal P.M., il dissequestro con prescrizioni disciplinato dall’art. 85 disp.att. c.p.p., per la sostituzione della norma di cui all’art. 104 disp.att. che, fino al 2009, rinviava alle disposizioni relative al sequestro probatorio- per tali aree deve essere disposta sin d'ora una modalità di custodia "dinamica" che preveda la cogente adozione di una serie di iniziative e misure tecniche necessarie a scongiurare il protrarsi della situazione di pericolo per il bene ambientale e la pubblica incolumità ed eliminare la stessa.

In tal senso, essendo il Comune l’ente pubblico obbligato, in via prioritaria (sebbene sussidiaria, in caso di inerzia del responsabile dell’inquinamento), alle operazioni di messa in sicurezza e di bonifica del sito, va nominato custode/amministratore dello stabilimento e dell’area il Sindaco p.t. del Comune di Avellino, che dovrà procedere all’adozione, nei termini previsti dalla legge, di tutte le procedure ed interventi per l’immediata messa in sicurezza d’urgenza e per la bonifica del sito, valutando, altresì, l’opportunità di richiedere, con le forme di cui all’art. 252 D.lgs. 152/06, anche l’inserimento dell’area nell’elenco dei siti di interesse nazionale, in ragione delle caratteristiche (area a ridosso del perimetro urbano delle città di Avellino e di Atripalda), della quantità e pericolosità delle sostanze inquinanti (amianto), e del rilevante impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico.

 

P.Q.M.

 

Letto l’art. 321 c.p.p., in accoglimento della richiesta del P.M.,

  • convalida il sequestro preventivo d’urgenza eseguito dal P.M. il 3.6.2013;

  • dispone il sequestro preventivo dello stabilimento e dell’area dell’ex Isochimica, ubicata in Avellino, località Pianodardine-Zona ASI.

 

Letti gli artt. 104 e 104 bis disp.att.c.p.p. e 247 D.lgs. 152/06,

nomina custode/amministratore delle aree in sequestro il Sindaco p.t. del Comune di Avellino, affinché provveda, nei limiti e con le forme previste dalle norme vigenti in materia ambientale, agli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica del sito contaminato.

 

Manda la Cancelleria per l’immediata trasmissione, ex art. 104 e 92 disp. att. c.p.p., di duplice copia del presente decreto al Pubblico Ministero richiedente perché ne curi l’esecuzione e per gli altri adempimenti.

Avellino, 15 giugno 2013

 

Il Giudice per le indagini preliminari

dott. Giuseppe Riccardi

 

 

1 In particolare, la relazione tecnica dei proff. Carlo Romano, Gennaro Volpicelli e dott. Mario Mansi evidenzia che dal 1982 (anno di inizio dell’attività della società Isochimica S.p.a.) al 1988 risultavano pervenute allo stabilimento per la scoibentazione 499 elettromotrici e 1.740 vetture normali passeggeri, per un totale di 2.239 carrozze ferroviarie (pag. 3). Per le elettromotrici veniva stimato un contenuto medio di amianto pari a circa 1 mc (corrispondente in peso a circa a 900 kg) e per le vetture passeggeri un contenuto medio di amianto pari a circa 1,5 mc (corrispondenti in perso a circa 1.050 kg) (pp. 31, 32), per un totale, quindi, di circa 2.276 tonnellate di amianto rimosso. Alcune carrozze da scoibentare, “al massimo una cinquantina”, risultano in sosta “sui binari e nei due capannoni” al momento del sopralluogo dei periti (pag. 32).

I consulenti riportano la presenza nel capannone A di “una apparecchiatura per la inertizzazione dell’amianto in conglomerati cementizi. Essa è essenzialmente costituita da una impastatrice alimentata da sili e tramogge di caricamento. L’impasto è scaricato e fatto solidificare in forme cubiche, di m 1,20 di lato. Viene dapprima formato un guscio di calcestruzzo di 10 cm di spessore aperto in alto; il guscio è riempito con l’impasto cementizio contenente amianto, infine è chiuso superiormente con calcestruzzo” (pag. 23). Secondo quanto dichiarato dalla Isochimica, il rapporto di impasto nella formazione del conglomerato cementizio è del 70% di cemento e del 30% di amianto (pag. 9) mentre l’amianto ne costituisce il 20% in peso (pag. 31). Viene riportata la presenza all’interno del “piazzale dello stabilimento al confine con la strada consortile” di “circa 300 cubi finiti” più “un altro centinaio” disposti “all’altra estremità dello stabilimento lungo il lato corto del capannone A”. Per ogni cubo viene stimato un contenuto in peso di amianto pari a circa 500 kg. I consulenti accertavano, inoltre, che precedentemente al primo semestre del 1987 l’amianto rimosso veniva smaltito facendo ricorso all’interramento in più fosse (almeno tre) scavate all’interno del perimetro dello stabilimento Isochimica S.p.a. (pag. 33).

Vengono illustrati i risultati di 5 carotaggi effettuati in data 18/03/1989 “sulle aree scoperte dello stabilimento della Isochimica” al fine di verificare “in quale misura l’amianto fosse stato interrato nel sottosuolo dello stabilimento”; i carotaggi vengono eseguiti a partire dal piano campagna (0,0 cm) fino a un massimo di 710,0 cm di profondità, in corrispondenza di punti indicati da dipendenti della Isochimica. (pag. 23). L’esame visivo contestuale alle trivellazioni e le successive analisi strumentali sui materiali estratti evidenziano in 4 punti campionati su 5 la presenza di amianto in percentuali variabili misto a terreno e/o inglobato in matrici cementizie e di fibre libere e respirabili (pag. 29). I consulenti, inoltre, osservano che “due delle fosse di interramento sono superiormente impermeabilizzate con manto di asfalto. L’impermeabilizzazione previene la percolazione delle acque piovane e quindi la possibilità di trascinamento delle fibre di amianto verso la falda acquifera”. (pag. 39)

2 La relazione tecnica Cecchetti-Bontempelli escludeva “un rischio di inquinamento della falda idrica e una situazione di inquinamento dell’aria tale da richiedere interventi di bonifica. Se non manomesso, infatti, l’amianto interrato risulta efficacemente confinato “sia nei confronti del mezzo acqua che del mezzo aria tale da non creare pregiudizi ambientali”. Il parere dei consulenti, dunque, è che non sia necessaria la rimozione dell’amianto interrato “a patto che si effettuino le opere di drenaggio delle acque meteoriche così come indicato nella relazione del dott. Severino e la pavimentazione, con uno strato dello spessore di almeno 10 cm di conglomerato cementizio, delle zone nelle quali è stato interrato l’amianto” (pag. 13).

I cubi in cemento contenenti amianto stoccati all’interno dello stabilimento, invece, “devono essere rimossi e smaltiti in discarica autorizzata […] tenuto conto anche del fatto che essi si trovano sul piazzale da circa otto anni e si notano sulla superficie crepe e, talvolta, affioramenti di fibre”. Per tali motivi, i consulenti raccomandano che prima del carico sugli automezzi “le superfici dei cubi vengano trattate con un filmante”, con modalità da definire in dettaglio nel piano di lavoro da sottoporre all’ASL competente ai sensi dell’art. 34 del D.lgs. 277/91.

 

3 Nel censimento MCA, a proposito dei cubi, viene evidenziato che “la maggior parte di essi è presente sul piazzale posto a sinistra dell’entrata. Alcuni, in numero di 8, sono posti sulla base della gru prossima all’edificio in costruzione, situato alla destra dell’ingresso del sito”. Dei suddetti cubi, 20 (per un peso stimato di circa 35 t) risultano “lasciati in una fase intermedia della lavorazione”, ricoperti soltanto da una gabbia metallica. Viene eseguita, altresì, una stima dei quantitativi dei rifiuti contenenti amianto (RCA) rinvenuti nell’area dello stabilimento e la loro classificazione (nella tabella allegata all’elaborato, i 20 cubi parzialmente confezionati risultano in aggiunta ai 489 censiti di cui si parla nel corpo della relazione).

4 La relazione integrativa aggiunge che: “la plastica di chiusura degli ambienti ove venivano effettuati i lavori di decoibentazione è rotta in vari punti e quindi all'interno si creano correnti d'aria che possono veicolare all'esterno le polveri di amianto presenti all'interno del capannone “A”; il sistema di aspirazione costituito dalle condotte di aspirazione, torri di decantazione e filtri a manica non risulta assolutamente isolato dall’ambiente circostante e messo in sicurezza; la presenza tuttora di numerosi sacchi in polietilene, contenenti materiali ammantati rivenienti da pregressi interventi di messa in sicurezza, di materiale funzionale alla attività di decoibentazione in evidente stato di deterioramento segna un ulteriore degrado dello stabilimento ISOCHIMICA; l’assenza di mezzi idonei di confinamento e/o isolamento dei capannoni.

5 Relazione integrativa dott. Auriemma: “Inoltre, da un’approfondita disamina del monitoraggio ambientale effettuato si evince che lo stesso non può escludere attuali e concreti pericoli per la salute pubblica relativamente alle aree circostanti il sito ex-Isochimica, per i seguenti motivi:

la rilevazione delle fibre utilizzata nel suddetto monitoraggio è stata eseguita con metodica MOCF (microscopia ottica a contrasto di fase) che, basandosi sul conteggio casuale delle fibre totali regolamentate, presenta un elevato grado di incertezza statistica in relazione alla variabilità della strumentazione, degli operatori e dei laboratori. Inoltre, essa non consente di discernere qualitativamente la natura delle fibre rilevate, ma solo di effettuarne un’analisi quantitativa;

l’analisi è stata effettuata in prossimità del barrieramento posto in essere sulla recinzione dell’opificio ed è relativa soltanto al perimetro (peraltro incompleto) dell’area in oggetto e non tiene conto delle condizioni meteoclimatiche (o quantomeno non le relaziona in fase di campionamento);

dalla determinazione elaborata in modalità MOCF, non si può estrapolare lo stato di conservazione delle potenziali sorgenti di pericolo al fine di stabilire la più corretta strategia di sorveglianza.”

 

6 Relazione integrativa 22.5.2013 dott. Auriemma: “L’iter procedurale con il quale viene attivato il Piano di caratterizzazione inizia in data 10/12/2004, allorquando il Commissario di Governo per l’Emergenza Bonifiche e Tutela delle Acque nella Regione Campania trasmette (Prot. n. 17125/MC/U/CD) al Comune di Avellino e p.c. all’ARPAC il Piano di caratterizzazione elaborato dall’ARPAC–Ingegneria Ambientale (datato marzo 2004) per l’attivazione delle procedure di approvazione da parte dell’Amministrazione Comunale ai sensi del D.M. 471/99.

Successivamente, dopo aver effettuato l’opportuna istruttoria in Conferenza dei Servizi, in data 02/02/2005, con delibera di Giunta n.57/05, il Comune di Avellino approva il suddetto Piano di Caratterizzazione.

In data 23/05/2005 il Comune di Avellino con delibera n.267 decreta di sospendere la procedura in danno delle attività di bonifica attivata con la delibera di giunta n.57/05 del 02/02/2005 e trasmette il Piano di caratterizzazione approvato in CdS al curatore fallimentare avv. (…).

In data 23/06/2005, previa presentazione della relazione “sullo stato della procedura e sui lavori di bonifica”, il curatore comunica al G.D. dr.ssa D’Orsi, che i lavori di bonifica partiranno entro il 15/07/2005, e saranno svolti a cura della ditta EuroKomet S.r.l.

Con l’entrata in vigore del D.L.vo 152/2006 in data 29/04/2006 il D.M. 471/1999 è da intendersi interamente abrogato a partire dalla stessa data.

A proposito di ciò, il legislatore attraverso l’art. 265 c.4 del D.L.vo 152/2006 conferisce al soggetto, promotore di un procedimento di bonifica, la facoltà, ma non l’obbligo, di rivisitare, sebbene in misura solamente limitata alla luce dello stesso decreto, un procedimento precedentemente autorizzato sub D.M. 471/1999.

La procedura, innanzitutto, è attivabile solamente previa richiesta, da formulare entro 180 giorni dalla entrata i vigore del D.L.vo 152/2006 ed è inoltre, applicabile solo in relazione ad interventi non ancora realizzati, alla data di entrata in vigore del D.L.vo 152/2006, ovvero al 29 aprile 2006.

In assenza di una richiesta formulata entro 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L.vo 152/2006, le opere di bonifica dovranno essere effettuate in maniera conforme agli obiettivi di bonifica già autorizzati in base al D.M. 471/1999.

In data 03/07/2009 la ditta Pescatore s.r.l., nel frattempo subentrata in data 11/08/2008 alla ditta Team Ambiente S.p.a., comunica all’ASL AV/2 la data di avvio delle Operazioni di Bonifica per il giorno 06/07/2009.

In data 11/06/2010 su convocazione del Vice Sindaco e Assessore all’Ambiente Festa si tiene una riunione operativa sullo stato dell’arte della bonifica ex stabilimento Isochimica di Avellino. A tale riunione partecipano il Vicesindaco stesso, il Dirigente ing. G. Valentino, il Responsabile del procedimento dott. (…), il Rappresentante della ditta Eurokomet s.r.l. dott. (…); per l’ASL il dott. (…), per l’ASI di Avellino il geom. Fierro, per l’ARPAC l’arch. Megaro”.

7 Il Prof. Gualtiero Ricciardi è Direttore di Dipartimento di Sanità Pubblica -Direttore di Unità Operativa Complessa Servizio di Igiene Ospedaliera Istituto di Igiene, Facoltà di Medicina e Chirurgia "A. Gemelli" Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma; il Prof. Umberto Moscato è Responsabile Laboratori Xenobiotici Ambientali Dirigente Medico Unità Operativa Complessa Servizio di Igiene Ospedaliera Istituto di Igiene, Facoltà di Medicina e Chirurgia "A. Gemelli" Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma.

8 Giova al riguardo richiamare le disposizioni maggiormente rilevanti della norma:

D.L.vo 22/1997 Art. 17 - Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati da rifiuti

[…] 2. Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento. A tal fine:

a) deve essere data, entro 48 ore, notifica al Comune, alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti, nonché agli organi di controllo sanitario e ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito;

b) entro le quarantotto ore successive alla notifica di cui alla lettera a), deve essere data comunicazione al Comune ed alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti degli interventi di messa in sicurezza adottati per non aggravare la situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento, contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale;

c) entro trenta giorni dall'evento che ha determinato l'inquinamento ovvero dalla individuazione della situazione di pericolo, deve essere presentato al Comune ed alla Regione il progetto di bonifica delle aree inquinate.

3. I soggetti e gli organi pubblici che nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell'inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla Provincia ed alla Regione.

4. Il Comune approva il progetto ed autorizza la realizzazione degli interventi previsti entro novanta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo e ne dà comunicazione alla Regione. L'autorizzazione indica le eventuali modifiche ed integrazioni del progetto presentato, ne fissa i tempi, anche intermedi, di esecuzione, e stabilisce le garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l'esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica medesimo. Se l'intervento di bonifica e di messa in sicurezza riguarda un'area compresa nel territorio di più Comuni il progetto e gli interventi sono approvati ed autorizzati dalla Regione.

[…] 9. Qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d'ufficio dal Comune territorialmente competente e ove questo non provveda dalla Regione, che si avvale anche di altri Enti pubblici. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le Regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio.

[…] 12. Le Regioni predispongono sulla base delle notifiche dei soggetti interessati ovvero degli accertamenti degli organi di controllo un'anagrafe dei siti da bonificare che individui:

a) gli ambiti interessati, la caratterizzazione ed il livello degli inquinanti presenti;

b) i soggetti cui compete l'intervento di bonifica;

c) gli Enti di cui la Regione intende avvalersi per l'esecuzione d'ufficio in caso di inadempienza dei soggetti obbligati;

d) la stima degli oneri finanziari.

[…] 13-bis. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente articolo possono essere comunque utilizzate ad iniziativa degli interessati. […]

 

9 Art. 250 T.U. ambiente: “Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano nè il proprietario del sito nè altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’ articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio”.

10 Art. 245 comma 2 u.p. T.U. amb.: “È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità”.

11 Con riferimento alle patologie multifattoriali, si sostiene che l’esposizione all’agente tossico addebitata all’imputato ha quanto meno interagito con i fattori causali ulteriori e indipendenti (es. il fumo), accorciando i tempi di latenza o aumentando il rischio di contrarre la patologia, mentre con riferimento al problema della successione di più soggetti nella gestione dell’impresa si sostiene che l’esposizione successiva ha comunque interagito con quella precedente, aggravandone gli effetti sulla patologia in ipotesi già innescata (Cass.pen., sez. IV, 10 giugno 2010 n. 38991, Quaglierini).

12 Ex multis, in un orientamento ormai consolidato, Cass.pen., sez. III, 14.7.2011 n. 46189, Passariello: “Il delitto di disastro innominato (art. 434 cod. pen.), che è reato di pericolo a consumazione anticipata, si perfeziona, nel caso di contaminazione di siti a seguito di sversamento continuo e ripetuto di rifiuti di origine industriale, con la sola "immutatio loci", purché questa si riveli idonea a cagionare un danno ambientale di eccezionale gravità”; Cass.pen., sez. III, 16.1.2008 n. 9418, Agizza: “Requisito del reato di disastro di cui all'art. 434 cod. pen. è la potenza espansiva del nocumento unitamente all'attitudine ad esporre a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone, sicché, ai fini della configurabilità del medesimo, è necessario un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente immane. (Fattispecie di disastro ambientale caratterizzata da una imponente contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi)”; Cass.pen., sez. V, 11.10.2006 n. 40330, Pellini: “Ai fini della configurabilità del delitto di disastro ambientale colposo (artt. 434, comma secondo, e 449 cod. pen.) è necessario che l'evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità sia straordinariamente grave e complesso ma non nel senso di eccezionalmente immane, essendo necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone e che l'eccezionalità della dimensione dell'evento desti un esteso senso di allarme, sicché non è richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno ambientale e disastro qualora l'attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull'uomo”); da ultimo, nella giurisprudenza di merito, a proposito dell’esposizione ad amianto, Tribunale Torino, 13 febbraio 2012, Schmidheiny.

13 Decreto d’urgenza P.M. 30.5.2013: “Per quanto più interessa, si consideri quanto ricostruito nell’originaria relazione di CT del dr. Auriemma sull’area Isochimica e sulla storia della sua messa in sicurezza e bonifica:

· La consulenza Cecchetti-Bontempelli del marzo 1996 rileva che i cubi di cemento-amianto friabile stoccati all’interno dello stabilimento “devono essere rimossi e smaltiti in discarica autorizzata (…) tenuto conto anche del fatto che essi si trovano sul piazzale da circa otto anni e si notano sulla superficie crepe e, talvolta, affioramenti di fibre”. Per tali motivi, i consulenti raccomandavano che prima del carico sugli automezzi “le superfici dei cubi vengano trattate con filmante”.

· La relazione tecnica dei proff. Cecchetti-De Vivo sulla contaminazione del sito del giugno 2002 (commissionata dal Comune di Avellino con delibera di Giunta n. 764 del 13/09/2001) attesta l’inquinamento da amianto del sito ex Isochimica e, nel rilevare la presenza di cubi in cemento contenenti i rifiuti provenienti dalle operazioni di scoibentazione delle carrozze ferroviarie, ovvero coibente contenente amianto friabile, attesta che il rischio più immediato è costituito dai cubi di cemento contenenti amianto, dei quali si raccomanda la rimozione.

· Nell’aprile 2003 la Commissione Europea apre procedura d’infrazione contro lo Stato italiano per l’inquinamento da amianto dello stabilimento Isochimica.

· Con propria nota del gennaio 2004, il Curatore del fallimento della “Isochimica s.p.a.”, avv. (…), comunica che il Fallimento si impegna a provvedere agli interventi di emergenza (e non già alla bonifica del sito industriale).

· Nell’aprile 2004, l’ARPA Campania – Ingegneria Ambientale, su incarico del Commissario di Governo per l’Emergenza Rifiuti in Campania, redige il “Piano della caratterizzazione ai sensi del D.M. 471/99 del sito ex Area Industriale Isochimica”; il Piano prevede, come azioni di messa in sicurezza di emergenza da effettuare “la sigillatura degli edifici per evitare che il rilascio di fibre continui nel tempo” e “la rimozione dei rifiuti contenenti amianto (cubi rivestiti di cemento) e degli altri rifiuti (bidoni presso il raccordo ferroviario, rifiuti ammassati sotto l’edificio in costruzione, altri rifiuti presenti nel sito), nonché il rispristino della recinzione attorno al perimetro dello stabilimento per impedire l’accesso al sito di estranei.

· Maggio 2004, la società GE.I.S.A. s.r.l. di Salerno, amministratore unico ing. Giovanni D’Ambrosio, su incarico del Curatore fallimentare, avv. (…), assume l’obbligo di operare la messa in sicurezza dell’area occupata dallo stabilimento dell’ex Isochimica s.p.a.

· 22 ottobre 2004, la GE.I.S.A. s.r.l. trasmette all’ASL, all’ARPA, al Comune di Avellino e al Curatore fallimentare la “Relazione tecnica di fine lavori” per la messa in sicurezza di emergenza del sito Isochimica; le operazioni di messa in sicurezza si affermano ultimate in data 21/10/2004, e gli interventi posti in opera hanno mirato “ad evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate e matrici ambientali adiacenti, isolando in particolare le fonti di contaminazione ed impedendo il contatto diretto della popolazione con la contaminazione presente”.

· 27 ottobre 2004, sopralluogo del curatore fallimentare con l’ing. D’Ambrosio della GE.I.S.A. s.r.l. e funzionari dell’ASL nell’area industriale; si accerta la corrispondenza dei lavori eseguiti a quelli descritti nel piano a suo tempo depositato all’ASL e all’ARPAC; il curatore esprime parere favorevole alla liquidazione dell’importo dovuto alla GE.I.S.A.

· 08 febbraio 2005, l’ASL, su richiesta della Procura della Repubblica di Avellino, rende relazione sul sopralluogo del 19.01.2005 presso l’ex stabilimento Isochimica; si accerta che, per quanto attiene ai cubi in cemento-amianto friabile, solo parte degli stessi risultano sottoposti a messa in sicurezza (trattamento superficiale e protezione con teli di plastica e/o lamiera zincata), fanno, cioè, eccezione i cubi stoccati a destra del cancello d’ingresso che si presentano non trattati e non coperti. Nel dicembre 2009, in sede di Piano di Lavoro della III fase di bonifica eseguita, in subappalto alla Team Ambiente s.p.a., dalla Pescatore s.r.l., si lascia intendere che, in realtà, solo 2/3 dei cubi hanno ricevuto trattamento di messa in sicurezza; di tale ultima valutazione non si è certi, anche alla luce dei rilievi mossi dal tecnico nominato come CTU dal Giudice fallimentare di Avellino (v. s.i. ing. Teodosio al NIPAF – CFS di Avellino).

· Quel che è certo, è che anche il detto tecnico nominato come CTU dal Giudice fallimentare di Avellino ha dichiarato, in ordine al trattamento di messa in sicurezza operato sui cubi di cemento-amianto friabile, che: i cubi di materiale cementizio erano tinteggiati con un prodotto di colore rosso, del quale ignoro la natura e la sua eventuale idoneità a fungere da incapsulante. In ogni caso, la discontinuità del rivestimento applicato (non presente su tutte le facce) e l’alterazione dello stesso in più punti, vanificherebbe l’eventuale funzione di incapsulamento.(v. s.i. ing. Teodosio al NIPAF – CFS di Avellino).”

14 Verbale s.i. rese il 16.5.2013: “ADR: Ho assunto le funzioni di commissario prefettizio dal 02 novembre 2012”.

Domanda: quale situazione ha trovato al Comune in ordine alla procedura di bonifica in corso sull’area ex Iso-chimica?

Risposta: Al momento del mio insediamento sono stata resa edotta dell’esistenza di un procedura in corso della bonifica dell’area c.d. iso-chimica. I responsabili dell’area tecnica del Comune, Ing. (…) prima, e ing. (…) attuale responsabile, hanno precisato che la bonifica non competeva al Comune in quanto compete al Comune solo il monitoraggio della qualità dell’area circostante. I predetti funzionari mi riferivano che gli enti preposti alla bonifica erano la Regione e la Provincia.

Domanda: L’hanno informata i predetti funzionari con quali atti formali la Regione e la Provincia erano stati investiti di tale Bonifica?

Risposta: No. Dalle informazioni ricavavo che il Comune non era parte attiva nell’opera di bonifica in corso. Ho assunto tali informazione all’atto del mio insediamento anche al fine di stilare un elenco delle priorità esistenti presso il Comune di Avellino.

ADR: Nel corso di questi mesi dalla lettura dei giornali ho rilevato l’esistenza dell’emergenza iso-chimica e ne chiedevo conto ai predetti dirigenti delle aree comunali competenti i quali mi rispondevano che nulla era cambiato per il comune e che non c’era la nostra competenza.

ADR: Ho notizie che l’avvio del controllo dell’area ex iso-chimica è iniziato prima del mio insediamento ed era materialmente operato dall’Arpac di Avellino e dall’Università di Salerno. La necessità di tali accertamento derivava da una situazione in atto che richiedeva una bonifica e dalla necessità del Comune di adempiere ai suoi obblighi di monitoraggio.

ADR: A seguito di queste informazioni non ritenevo di adottare nessuna iniziativa. Ho scoperto del ruolo di attore principale del Comune nella bonifica e dei relativi obblighi che incombevano solo in occasione della riunione in Prefettura della settimana scorsa alla presenza del Prefetto , del Presidente della Commissione Regionale di Bonifica Amato e di Altri consiglieri regionali e organizzazioni sindacali. In preparazione di questa riunione l’ing. (…) mi esibì due ordinanze di cui non avevo conoscenza, perché mai informata, con le quali il Sindaco QQ ordinava alla Curatela Fallimentare prima e all’Asi dopo, la bonifica dell’area c.d. Iso-chimica.

ADR: Nel corso di questa riunione in Prefettura il dirigente (…) ha ribadito che la bonifica non spettava al Comune ma all’Asi, che c’era stata una sentenza del Consiglio di Stato che attribuiva la proprietà all’Asi con quanto ne conseguiva in ordine alla bonifica. Tali valutazioni sono state espresse anche dal Consigliere Regionale Foglia. Nel corso di tale riunione si è discusso dei provvedimenti del Sindaco e di agire da parte del Comune in danno dell’Asi. Avendo appreso tali circostanze ed essendo dalla data di tale riunione tenutasi la settimana scorsa consapevole che, attesa l’inerzia di soggetti diffidati dall’amministrazione comunale, l’obbligo di bonifica in danno incombe attualmente sul Comune, ho disposto immediatamente l’avvio delle procedure per il reperimento delle necessarie risorse che consentono al comune di Avellino di effettuare i lavori di bonifica e di smaltimento dell’amianto; infatti nei prossimi giorni firmerò un documento in tal senso. Inoltre renderò edotta anche l’amministrazione Regionale dell’assenza di risorse comunali affinché la stessa possa avviare le procedure di legge in relazione a tali circostanze. Ignoro le ragione per le quali in passato non sono stati mai adottati i provvedimenti che mi accingo a deliberare.

ADR: ignoravo l’esistenza di un contratto stipulato tra il comune e la curatela fallimentare in ordine alla bonifica dell’area. Evidenzio inoltre che nel corso della citata riunione in prefettura il dott. De Sio dell’Arpac ha manifestato l’esigenza che il comune provveda ad aggiornare il piano di caratterizzazione, tuttavia mi sono oscure le ragioni di tale esigenza. Vogli anzi evidenziare che approfondirò l’effettiva necessità di tale ulteriore caratterizzazione del sito, anche perchè siffatta attività comporterebbe l’esborso, in favore della stessa Arpac, della somma presumibile di circa 200.000 euro.

ADR: voglio evidenziare che i monitoraggi dell’aria dell’area circostante sono stati disposti in quanto dalle stesse ordinanze in materia emanate dal comune di Avellino emergeva il pericolo relativo alla diffusione nell’aria delle fibre di amianto.

Adr: Allego alla presente la relazione fornitami in data 14 c.m. dall’Ing. (…) Responsabile dell’Area, mi riservo comunque di fornire ogni ulteriore necessarie informazione che dovessi eventualmente acquisire nel corso dei prossimi giorni. “