Cass. Sez. III n. 12165 del 14 marzo 2017 (Ud 12 gen 2017)
Presidente: Ramacci Estensore: Di Stasi Imputato: Lalli
Aria.Installazione o esercizio di impianto senza autorizzazione.

La contravvenzione prevista dall'art. 279, comma primo, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 3, comma 13, del d.lgs. n. 128 del 2010 punisce chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata), è configurabile indipendentemente dal fatto che le emissioni in atmosfera superino o meno i valori limite stabiliti dalla legge, in quanto è sufficiente che le stesse siano comunque moleste e, di per sè, inquinanti, attesa la natura formale del reato

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/12/2015 il Tribunale di Chieti, sez. dist. di Ortona dichiarava Lalli Stefano responsabile del reato di cui agli artt. 269, 279,comma 1 d.lgs n. 152/2006- per avere, quale legale rappresentante della ditta "Metal Lab. Sas, messo in esercizio l'impianto di lavorazione di saldatura e molatura-smerigliatura di particolari metallici e verniciatura di manufatti presso lo stabilimento sito in c.da Cerreto n. 28 comportante emissioni di fumi in atmosfera in assenza della prescritta autorizzazione - e lo condannava alla pena di euro 1.000,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Lalli Stefano, per il tramite del difensore di fiducia, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato.
Argomenta che il Tribunale fondava l'affermazione di responsabilità sul contenuto del verbale di accertamento dei tecnici dell'ARTA del 19.7.2012, senza compiere accertamento tecnico in ordine alla verifica della natura, tipologia, quantità e superamento dei valori minimi consentiti, delle emissioni in atmosfera da parte dell'impianto dell'imputato, accertamento necessario per la configurabilità del reato contestato.
Con il secondo motivo ed il terzo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova.
Argomenta che il Tribunale riteneva l'accertamento in flagranza del reato nonostante le risultanze probatorie- dichiarazioni rese dai testi Lalli Vittorio e Corsini Oscar e verbale di ispezione del 19.7.2012- evidenziassero l'insussistenza di tale circostanza; inoltre, il Tribunale richiamava quale fonte di prova le dichiarazioni rese dall'imputato, mentre l'imputato non aveva mai reso dichiarazioni in dibattimento, come evincibile dai relativi verbali di udienza.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 131 bis cod.pen.
Argomenta che il Tribunale riteneva non configurabile la causa di non punibilità della particolare tenuità facendo riferimento alle condotte reiterate, che non trovano riscontro nelle risultanze istruttorie, ed alla natura permanente del reato, elemento non preclusivo per il riconoscimento della causa di non punibilità in questione.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio.
 Argomenta che la pena doveva essere contenuta nel minimo edittale avendo errato il Tribunale nel qualificare come grave la condotta dell'imputato ed omesso di valutare il comportamento post delictum.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il Giudice del merito, con motivazione congrua e priva di vizi logici, ha affermato che la responsabilità penale dell'imputato sussisteva per il fatto che l'attività svolta dal Lalli produceva in concreto emissioni inquinanti (fumi e polveri prodotte dalle lavorazioni di molatura, smerigliatura e saldatura di superfici metalliche), constatate dai verbalizzanti nel verbale di sopralluogo del 19.7.2012.
Correttamente, quindi, il Tribunale ha ritenuto - sulla base di una prova specifica attestante la presenza di emissioni inquinanti - che l'assenza di autorizzazione integrasse l'elemento costitutivo del reato: questo, oltretutto si configura come reato non di danno ma formale, mirando la norma a garantire il controllo preventivo da parte della P.A. sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale (Sez. 3, 28.6.2007 n. 35232, Fongaro, Rv. 237383).
Inoltre, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, il reato de quo è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi fare invece riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti ex se connaturate, quindi, alla natura formale del reato.
E' stato, infatti, osservato che la contravvenzione prevista dall'art. 279, comma primo, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 3, comma 13, del d.lgs. n. 128 del 2010 punisce chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata), è configurabile indipendentemente dal fatto che le emissioni in atmosfera superino o meno i valori limite stabiliti dalla legge, in quanto è sufficiente che le stesse siano comunque moleste e, di per sè, inquinanti, attesa la natura formale del reato (Sez.3, n.48474 del 19/07/2011,Rv.251618).

2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che censurano entrambi la valutazione del materiale probatorio, sono infondati.
La sentenza impugnata, diversamente da quanto dedotto in ricorso, non ha posto a fondamento della affermazione di responsabilità le dichiarazioni rese dall'imputato; il Tribunale, con motivazione congrua e privi di vizi logici, ha, infatti, fondato l'affermazione di responsabilità sul verbale di accertamento dei tecnici dell'ARTA del 19.7.2012 e sulla testimonianza del dr. Oscar Corsini, che aveva eseguito il predetto accertamento.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nel motivo in esame, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012,Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez.5, n.6754del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722).

3. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che questa Corte ha avuto modo dì precisare (Sez. 3, n. 15449 del 08/4/2015, Mazzarotto, Rv. 263308) che l'art. 131-bis, comma 1 cod. pen. delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, fissando, al comma 4, i criteri di determinazione della pena. Si è ulteriormente rilevato, nella richiamata decisione, che la rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Si è osservato, poi, che il primo degli «indici-criteri» (particolare tenuità dell'offesa) si articola, a sua volta, in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). Si richiede, pertanto, al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen., sussista l'indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Le Sezioni Unite hanno, poi, affermato che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo. Si tratta, è stato osservato di ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito e che vanno espresse in motivazione da parte del Giudice di merito (Sez. U, n.13681 del 25/02/2016, Rv.266590).
Nella specie, emerge chiaramente, dalla complessiva analisi della sentenza impugnata, che il Giudice di merito, nel valutare la condotta contestata all'imputato, ha escluso la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'invocata causa di non punibilità, dando espressamente conto della sussistenza di elementi ostativi.
In particolare, il Tribunale, pur applicando la pena pecuniaria, ha considerato la gravità del reato in relazione alla concreta rilevanza del pericolo e dell'offesa del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice ed irrogato una pena in misura prossima al massimo edittale.
Il Giudice del merito, quindi, ha chiaramente indicato dati fattuali implicitamente dimostrativi della insussistenza del necessario requisito della tenuità dell'offesa richiesto per l'applicazione dell'art.131-bis cod. pen.

4. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
Va ricordato che in tema di irrogazione del trattamento sanzionatorio, quando per la violazione ascritta all'imputato sia prevista alternativamente la pena dell'arresto e quella dell'ammenda, il Giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato la misura massima della sanzione pecuniaria, perché, avendo l'imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più favorevole rispetto all'altra più rigorosa indicazione della norma, è sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell'accenno alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente (Sez.3, n.37867 del 18/06/2015,Rv.254726).
Nella specie, il Tribunale, essendo prevista per la violazione ascritta all'imputato alternativamente la pena dell'arresto e quella dell'ammenda, ha irrogato la pena pecuniaria in misura prossima al massimo edittale e la motivazione, che ha richiamato per la congruità della pena le modalità del fatto e la concreta gravità della condotta, è adeguata.

5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in base al disposto dell'art. 616 cod.proc.pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 12/01/2017