Cass. Sez. III n. 34205 del 22 settembre 2010 (Ud. 17 giu. 2010)
Pres. De Maio Est. Sarno Ric. Vastarini ed altro
Beni ambientali. Articolo 734 codice penale e autorizzazione amministrativa

L’eventuale autorizzazione amministrativa, anche se regolare, non esclude la sussistenza del reato di cui all’art. 734 cod. pen. ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell’elemento psicologico del reato, spettando al giudice penale di verificare, a fronte di una compromissione del paesaggio e dell’ambiente , la corrispondenza delle opere al provvedimento nonché la liceità e legittimità (ma non l’opportunità) dei relativi atti amministrativi, in quanto l’eventuale illegittimità di tali atti potrebbe essa stessa costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa.

 

UDIENZA del 17.6.2010

SENTENZA N. 1195

REG. GENERALE N. 2073/2010


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. GUIDO DE MALO                         - Presidente
Dott. CLAUDIA SQUASSONI                 - Consigliere
Dott. MARIO GENTILE                          - Consigliere
Dott. ALDO FIALE                                - Consigliere
Dott. GIULIO SARNO                            - Rel. Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) VASTARINI SANDRO N. IL xx/xx/xxxx
2) MASCHIO FABIO N. IL ad/xx/xxxx
- avverso la sentenza n. 354/2009 TRIBUNALE di AOSTA, del 06/10/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'Ambrosio visto che ha concluso per l'annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Con la sentenza in epigrafe il tribunale di Aosta condannava Vastarini Sandro e Maschio Fabio alla pena dell'ammenda per il reato di cui all'articolo 734 del codice penale per avere alterato la bellezza naturale di zona sottoposta a vincolo ambientale, formando cumuli di terra di oltre duecento metri cubi sull'argine sinistro della Dora Baltea.


Deducono in questa sede i ricorrenti la mancata e contraddittoria motivazione nonché l'illogicità manifesta della stessa, assumendone la contraddittorietà nella parte in cui afferma che l'accumulo del materiale ferroso non ha alterato l'assetto paesaggistico della località e l'inconciliabilità delle conclusioni cui perviene il tribunale con i pareri espressi dall'organo titolare del vincolo e con il rilascio del certificato di compatibilità ambientale che - avrebbe imposto, quindi, quantomeno una motivazione sulla sua illegittimità - per poter consentire la condanna ex art. 734 cod. pen..


Motivi della decisione


Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.


Va al riguardo rilevato in via preliminare che le modifiche introdotte dalla Legge 15 dicembre 2004, n.308 al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 non fanno venire meno l'attualità dei principi affermati dalle Sezioni Unite secondo cui ai fini dell'applicazione dell'art. 734 cod. pen. è demandato sempre al giudice penale l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione, della quale - se intervenuta - il giudice dovrà - con adeguata motivazione - tenere conto con riferimento alla valutazione dell'elemento psicologico o della gravità del reato. (Sez. U. n. 248 dei 21/10/1992 Rv. 193416).

Ed a riprova possono essere citate proprio le disposizioni dei commi 36 e 37 dell'art. 1 della Legge 308/04.


Vero è, infatti, che il comma 36 ha modificato l'art. 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 introducendo il comma 1-ter secondo cui "Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica...", ma la disposizione citata, oltre ad essere condizionata alla sussistenza dei requisiti indicati alle successive lettere a), b) e c), ha evidentemente riguardo al solo reato di cui all'art. 181 che ha per oggetto esclusivo la assenza di autorizzazione da parte dell'autorità preposta al vincolo.


Il legislatore non utilizza, infatti, la più ampia formulazione del successivo comma 37 per cui "Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l'accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all'autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l'estinzione del reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica..."


Detto ciò e rilevato che anche successivamente al pronunciamento delle Sezioni Unite la giurisprudenza di legittimità ha continuato a ribadire che l'eventuale autorizzazione amministrativa, anche se regolare, non esclude la sussistenza del reato di cui all'art. 734 cod. pen. ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico del reato, spettando al giudice penale di verificare, a fronte di una compromissione del paesaggio e dell'ambiente, la corrispondenza delle opere al provvedimento nonché la liceità e legittimità (ma non l'opportunità) dei relativi atti amministrativi, in quanto l'eventuale illegittimità di tali atti potrebbe essa stessa costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa. (Sez. 4, n. 32125 del 29/03/2004 Rv. 229092), occorre rilevare che la sentenza appare congruamente motivata con riferimento alla evidente alterazione del paesaggio in funzione dell'avvenuta variazione altimetrica del terreno rispetto al livello naturale.


Quanto ai dedotti profili di illogicità della motivazione, si ribadisce che la decisione ha riguardo all'avvenuta alterazione e non al deturpamento dell'area in questione.


Al rigetto del ricorso consegue per 1 ` ricorrenti l'onere del pagamento delle spese processuali.


PQM


La Corte Suprema di Cassazione


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

Così deciso in Roma i1 17.6.2010

DEPOSITATA IN CANCELLERIA 22 sett. 2010