Consiglio di Stato Sez. II n. 352 del 14 gennaio 2020
Beni ambientali.Abuso paesaggistico e sanatoria edilizia

L'art. 146, comma 4, l'art. 159, comma 5, e l'art. 167, comma 4 e 5, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali) non consentono la sanatoria edilizia di interventi realizzati in assenza o in difformità dall'autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori


Pubblicato il 14/01/2020

N. 00352/2020REG.PROV.COLL.

N. 04681/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4681 del 2009, proposto dal signor Donnarumma Luigi, rappresentato e difeso dagli avvocati Erik Furno ed Ernesto Furno, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Dorina Guerriero Furno in Roma, viale dei Colli Portuensi, 187,

contro

il Comune di S. Maria La Carità, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 2592/2008, resa tra le parti, concernente un diniego di permesso di costruire in sanatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e udito per la parte appellante l’avvocato Oreste Agosto, su delega di Erik Furno.


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. II, con la sentenza 28 aprile 2008, n. 2592, ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte ha respinto, nei termini di cui in motivazione, il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento:

- del diniego dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria, prot. n. 16641 del 27 ottobre 2006, della nota prot. n. 12231 del 3 agosto 2006, della nota prot. n. 18177 del 27 novembre 2006, del verbale prot. 2547/p.m. del 12 settembre 2006, della proposta prot. n. 18072 del 23 novembre 2006 (atti tutti impugnati con l’atto introduttivo del giudizio);

- nonché dell’atto prot. n. 9901 del 10 luglio 2007, con il quale è stata nuovamente respinta la suddetta istanza di sanatoria (impugnato con motivi aggiunti).

Secondo il TAR, sinteticamente:

- possono ritenersi superate le censure che fanno leva su asseriti vizi procedimentali (art.7 e 10-bis ella L. n. 241-1990), considerato che, a seguito dell’ordine di riesame disposto dalla Sezione, il ricorrente è stato posto in condizione di contraddire nuovamente con l’Amministrazione;

- a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 146, comma 12, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l’autorizzazione paesaggistica, fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi;

- nel caso di specie, in cui viene in rilievo l’edificazione abusiva di una nuova costruzione, non trovano applicazione le ipotesi derogatorie previste dall’art. 167, che riguardano i cd. abusi minori, vale a dire i lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, i lavori che abbiano comportato l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica ed i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria;

- l’insanabilità dell’intervento sotto il profilo appena esaminato costituisce ragione da sola sufficiente a giustificare il provvedimento di diniego, potendosi prescindere dall’esame della residua questione – concernente la violazione delle distanze minime dai confini.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e riproponendo, in sostanza, i motivi del ricorso di primo grado, con particolare riguardo alla ritenuta non sanabilità dell’opera.

Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

All’udienza pubblica del 10 dicembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, ritiene il Collegio che l’istanza di rinvio proposta dall’odierna appellante, motivata sulla circostanza di aver presentato, in data 11 novembre 2019, un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380-2001, non può essere accolta.

In primo luogo, stante la risalenza del presente giudizio, che pende da oltre 10 anni, il fatto che adesso l’appellante abbia presentato al Comune una nuova domanda di sanatoria non è ragione sufficiente per non definirlo e protrarre ulteriormente i tempi del giudizio, con ulteriore nocumento al principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.

Inoltre, detta istanza ha per oggetto un provvedimento del tutto autonomo, conseguente a diversa domanda di sanatoria, il che non impedisce al Collegio di valutare la legittimità dell’originario diniego.

2. Rileva il Collegio, nel merito, che il diniego del permesso di costruire in sanatoria, richiesto dall’odierna parte appellata ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380-2001, opposto una prima volta con il provvedimento del 27 ottobre 2006, impugnato con l’originario ricorso, e reiterato con l’atto del 10 luglio 2007, emesso a seguito di riesame disposto dal TAR, si fonda su due specifiche ragioni ostative:

- per gli immobili ricadenti in zona F del vigente P.R.G. risulta necessaria la stipula di una convenzione con l’Ente Comune quale atto propedeutico e necessario per il rilascio del successivo permesso di costruire; dal momento in cui l’immobile in questione è stato già realizzato, risulta impossibile la sottoscrizione di tale convenzione;

- l’intervento non è sanabile ai sensi dell’art. 146, comma 12, d.lgs. n. 42-2004.

Il secondo provvedimento negativo è basato, oltre che sui motivi sopra evidenziati, anche su un’ulteriore ragione ostativa, consistente nella violazione delle distanze minime dai confini, ai sensi dell’art. 873 c.c. e dell’art. 12 delle N.T.A del P.R.G.

Il Collegio rileva, inoltre, in punto di fatto, che il fabbricato di cui è chiesto il permesso in sanatoria sulla base di un progetto che ne prevede la destinazione ad ambulatorio, ricade in zona B – residenziale esistente satura, per la quale l’art. 6, comma 5, delle N.T.A. del P.R.G. vigente, stabilisce che: “Sono consentiti interventi per attrezzature pubbliche che coprono una quota degli standards urbanistici ai sensi di legge, eventualmente realizzati anche da privati sulla base di convenzione”.

3. L’originario diniego dell’ottobre 2006 si fondava legittimamente sull’esistenza di un vincolo paesaggistico, che era già in esso espressamente richiamato quale ragione ostativa all’accoglimento dell’istanza di sanatoria, con l’espressa indicazione del provvedimento del 1985 impositivo del vincolo medesimo.

Pertanto, si ritiene del tutto condivisibile quanto rilevato dal TAR in ordine alla tardività della censura con cui si assume l’inesistenza del vincolo, proposta solo coi motivi aggiunti articolati avverso la relazione resa dal Comune in esito all’ordinanza “propulsiva” emanata dal TAR in primo grado, atteso che l’esistenza del vincolo era circostanza nota fin dal momento della proposizione del ricorso introduttivo in primo grado.

Inoltre, deve confermarsi pienamente quanto rilevato dal TAR sul piano sostanziale circa l’insanabilità dell’opera oggetto del presente giudizio.

Infatti, ai sensi dell’art. 146, comma 12, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nel testo sostituito dall’art. 16, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, vigente ratione temporis al momento dell’adozione dell’atto in contestazione, si stabilisce inequivocabilmente che “L’autorizzazione paesaggistica, fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”.

Nel caso di specie, in cui viene in rilievo l’edificazione abusiva di una nuova costruzione, non può più, quindi, essere rilasciata detta autorizzazione ex post, dopo l’esecuzione dei lavori.

Come ha chiarito la giurisprudenza di questo Consiglio, attualmente l’art. 146, comma 4, l’art. 159, comma 5, e l’art. 167, comma 4 e 5, del citato d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali) non consentono la sanatoria edilizia di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 marzo 2014, n. 1472; Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2806).

4. Infine, rileva il Collegio che la parte appellante ha riproposto in appello i motivi di ricorso non esaminati dal TAR, non ex extenso, ma solo con un sintetico e anodino rinvio agli scritti di primo grado.

Questo Consiglio (Cons. St., Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10), ha stabilito che la mera riproposizione dei motivi di primo grado può essere giustificata solo quando manchi un’espressa ponderazione degli stessi da parte del giudice di primo grado, mentre non è giustificata quando una valutazione vi sia stata.

Nel caso di specie, tuttavia, deve confermarsi la valutazione effettuata dal TAR al riguardo, ovvero che, considerata l’insanabilità dell’intervento, tale profilo costituisce ragione da sola sufficiente a giustificare il provvedimento di diniego, potendosi prescindere dalle ulteriori censure concernenti la violazione delle distanze minime dai confini, e facendo così applicazione del pacifico orientamento giurisprudenziale, per il quale, nel caso di ricorso giurisdizionale contro un atto che si basi su una pluralità di ragioni giustificatrici, ognuna autonoma rispetto alle altre, l’eventuale riconoscimento dell’infondatezza delle censure proposte contro una sola di esse, rende superfluo l’esame dei restanti motivi.

Anche con riferimento ai motivi formali, stante l’insanabilità dell’opera, vale il principio ex art. 21-octies, L. n. 241-1990 secondo cui i vizi formali del provvedimento non incidono sull’annullabilità del provvedimento impugnato quando, come nella specie, è certo che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (l’insanabilità, nel caso di specie, è, come detto, indiscutibile).

5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.

Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio, mancando la costituzione in giudizio della parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.

Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere