Consiglio di Stato, Sez. VI n.8455 del 12 dicembre 2019
Beni ambientali.Opere stagionali Regione Puglia
L'attuale formulazione della normativa consente che venga rilasciata una concessione che non impone, al termine della stagione estiva, la rimozione delle strutture funzionali all'attività. Tuttavia, l'ottenimento del titolo abilitativo, per evitare la riproduzione di una norma già dichiarata incostituzionale, deve intendersi come espressamente condizionata all'ottenimento del nulla osta delle autorità preposte alla tutela dell'ambiente e del paesaggio. Non può infatti ammettersi che una legge regionale introduca innovazioni al regime della compatibilità paesaggistica, come regolata dal più volte citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e da effettuare caso per caso, costituendo l'autorizzazione di cui trattasi atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio
Pubblicato il 12/12/2019
N. 08455/2019REG.PROV.COLL.
N. 01294/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1294 del 2019, proposto da
BAR CENTRALE SAS DI ROMITO FRANCESCO & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Follieri, Ilde Follieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e con domicilio fisico eletto presso lo studio & Associati Studio Legale Follieri in Roma, piazza Cavour, n. 17;
contro
COMUNE DI MANFREDONIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Teresa Siponta Totaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma:
della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari – Sez. III n. 1601 del 2018;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Manfredonia e del Ministero per i Beni e Le Attività Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2019 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Enrico Follieri, Nino Matassa, per delega di Teresa Totaro, e Paola De Nuntis dell’Avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.‒ I principali fatti di causa possono essere così riassunti:
- con atto del n. 54 del 9 ottobre 2017, il Comune di Manfredonia diffidava la società odierna appellante ‒ titolare di concessione demaniale sull’area sita in località Acqua di Cristo in Manfredonia ‒ a demolire le seguenti opere, in quanto realizzate in difformità dai titoli abilitativi in precedenza rilasciati: «apertura di un varco che mette in comunicazione l’attuale locale identificato come bar laboratorio pizzeria ristorante con il disimpegno area lavaggio; realizzazione di un disimpegno in ampliamento al blocco dei servizi igienici riservati agli avventori di mt. 1,35 x mt. 1,05; delimitazione tramite una recinzione di un’area esterna di mt. 1,60 x mt. 16,35; ampliamento; chiusura del locale deposito di mt. 4,58 x mt. 3,00 attraverso la realizzazione di una parete in legno in luogo del separé in legno previsto; chiusura del separé in legno con porta di accesso e copertura con sistema in alluminio e vetro antistante il bar laboratorio pizzeria ristorante mt. 2,50 x mt. 0,90; chiusura separé in legno antistante la zona lavaggio bagno personale con porta di accesso e copertura con pannello in policarbonato mt. 3,00 x mt. 0,95; posizionamento di tende in PVC retrattili lungo il perimetro delle strutture ombreggianti; in alcuni punti della struttura ombreggiante sono stati posizionati degli infissi in alluminio anodizzato di colore bruno che consentono l’accesso all’interno della struttura»;
- in data 6 novembre 2017, la società istante presentava, per le predette opere, comunicazione di inizio lavori asseverata (di seguito: CILA);
- con atto del 22 dicembre 2017 n. 45808, l’Amministrazione comunale ‒ richiamata la nota della Soprintendenza del 22 giugno 2017 e constatato che la struttura in oggetto non era munita di autorizzazione paesaggistica per il mantenimento alla struttura per l’intero anno solare ‒ invitava il legale rappresentante della società appellante a presentare istanza di autorizzazione paesaggistica e, in alternativa, a provvedere entro 60 giorni alla rimozione della struttura; inoltre, “sospendeva” la CILA del 6 novembre 2017 per assenza dei relativi presupposti, e intimava la rimozione delle opere abusive di cui alla predetta diffida n. 54 del 9 ottobre 2017;
- con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierna appellante impugnava l’atto comunale del 22 dicembre 2017, prot. n. 45808, e la richiamata nota del 22 giugno 2017 della Soprintendenza, sollevando le seguenti censure:
i) le opere oggetto della CILA del 6 novembre 2017 non avrebbero richiesto, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 31 del 2017, il previo rilascio di autorizzazione paesaggistica, trattandosi di interventi che non avevano alterato i volumi e le superfici esistenti, e neppure mutato le caratteristiche dimensionali, morfologiche e complessive della struttura esistente ed assentita;
ii) trattandosi di interventi di «manutenzione straordinaria leggera» ex art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, non sarebbe stato possibile comminare la sanzione demolitoria, essendo prevista per l’ipotesi di omessa presentazione della CILA soltanto la sanzione pecuniaria;
iii) vi sarebbe in ogni caso una violazione del giudicato di cui alla sentenza del T.a.r. Puglia n. 224 del 2012, secondo cui la struttura oggetto del precedente contenzioso avrebbe potuto essere mantenuta per l’intero anno senza necessità della preventiva autorizzazione paesaggistica, trattandosi di opere precarie facilmente amovibili.
2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con la sentenza n. 1601 del 2018, ha respinto il ricorso.
3.‒ Avverso la predetta sentenza ha proposto appello la società Bar Centrale s.a.s. di Romito Francesco & C, riproponendo le censure già sollevate in primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazione della decisione gravata.
In particolare, secondo l’appellante:
a) le opere indicate nella diffida del Comune di Manfredonia n. 54 del 2017, oggetto della CILA presentata dalla società il 6 novembre 2017, diversamente da quanto affermato dal Comune con l’avallo del T.a.r., sarebbero escluse dall’autorizzazione paesaggistica perché: - consistenti non in pareti, ma in tende retrattili; - l’ancoraggio con i bulloni e i profili metallici sarebbero estranei alla CILA poiché assentiti con il permesso di costruire in sanatoria n. 132 del 2008 e con l’autorizzazione paesaggistica del 9 aprile 2009 su cui è intervenuto anche il giudicato; - non avrebbero modificato la struttura, né il suo carattere di facile amovibilità poiché consistenti in opere interne che non avrebbero alterato l’aspetto esteriore della struttura, trattandosi quindi di interventi tutti ascrivibili a quelli riportati nell’Allegato A del d.P.R. n. 31 del 2017, per i quali è esclusa la necessità di autorizzazione paesaggistica;
b) erroneamente il giudice di primo cure avrebbe fondato il rigetto del secondo motivo di ricorso sulla relazione del dirigente dell’urbanistica del 2 marzo 2018, di cui invece non avrebbe dovuto tener conto, avendo l’amministrazione comunale, con la detta relazione, proceduto ad una non consentita integrazione postuma della motivazione del provvedimento in sede di giudizio parlando per la prima volta di “pareti” a fronte delle sempre contestate “tende retrattili”;
c) la sentenza impugnata avrebbe erroneamente interpretato gli effetti del giudicato di cui alla sentenza del T.a.r. Puglia, Bari, n. 224 del 20 gennaio 2012, il quale avrebbe statuito chiaramente nel senso che il mantenimento della struttura in oggetto per l’intero anno solare non necessita di autorizzazione paesaggistica;
d) l’affermazione contenuta in sentenza, secondo cui il diniego della Soprintendenza «appare ben motivato», sarebbe sbagliata in quanto la Soprintendenza non avrebbe espresso alcun diniego, perché nessuna richiesta espressa sul punto era stata formulata.
4.‒ Si è costituito in giudizio, il Ministero Dei Beni e Delle Attività Culturali, sia pure con memoria formale.
4.1.‒ Si è costituito il Comune di Manfredonia, eccependo pregiudizialmente la nullità della notifica del ricorso in appello nei confronti del comune di Manfredonia: il ricorso al Consiglio di Stato sarebbe stato notificato all’indirizzo PEC dell’avvocatura civica (domicilio eletto nell’atto di costituzione), ma alla Segreteria del T.a.r., (sebbene tale modalità non fosse più consentita dopo l’introduzione del domicilio digitale: decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, modificato dal decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114; ne conseguirebbe che la notifica dell’atto di appello sarebbe affetta da inesistenza, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza n. 1602 del 2018, notificata in data 14 marzo 2019.
4.‒ Con ordinanza 25 marzo 2019, n. 1589, il Collegio ‒ «Rilevato che: da un lato le questioni di fatto e di diritto implicate nella presente controversia necessitano di approfondimenti istruttori incompatibili con il carattere sommario tipico della presente fase cautelare e dall’altro lato occorre definire celermente la questione nel merito; nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, è opportuno, nelle more della udienza pubblica, sospendere l’impugnato ordine di rimozione, al fine di consentire la definizione del giudizio di merito re adhuc integra; sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite della presente fase cautelare» ‒ ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata e dei provvedimenti impugnati in primo grado.
5.‒ All’odierna udienza del 24 ottobre 2019, la causa è stata discussa e decisa.
DIRITTO
1.‒ Il “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni ‒ e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulla ricevibilità o meno dell’appello ‒ e di risolvere la lite nel merito.
2.‒ Con il primo motivo di appello, l’appellante censura il travisamento del fatto in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, avendo dato per scontato che le opere oggetto della CILA fossero non tende retrattili ma vere e proprie pareti, dando credito a quanto sostenuto dagli enti resistenti ed in particolare dal Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Manfredonia nella sua relazione depositata in giudizio da questa difesa che avrebbe addirittura integrato il provvedimento oggetto di impugnazione.
2.1.‒ La censura non può essere accolta.
La statuizione di primo grado ha tenuto correttamente conto delle risultanze istruttorie ‒ segnatamente: la descrizione delle opere contenuta nella relazione di servizio dei funzionari comunali (cfr. allegato 2 del 9 marzo 2018) e nella nota della Soprintendenza n. 4677 del 22 giugno 2017; nonché la documentazione fotografica in atti ‒ da cui è emersa la trasformazione (realizzata mediante un sistema di fissaggio metallico) della veranda in una nuova sala, all’interno di un ristorante situato su di una scogliera.
La creazione di un nuovo volume rendeva necessaria la previa autorizzazione della Soprintendenza. L’intervento descritto fuoriesce infatti dal novero delle opere su aree vincolate che l’ordinamento esenta dalla necessità della valutazione di compatibilità paesaggistica, in quanto presume che siano prive di qualsivoglia impatto paesaggistico (si pensi alle opere interne che non alterano l’aspetto esteriore degli edifici, o alle installazioni di impianti aventi finalità di consolidamento statico degli edifici). Per quanto specificatamente concerne le installazioni esterne poste a corredo di attività economiche, la predetta semplificazione procedimentale è ammessa soltanto per le opere costituite da «elementi facilmente amovibili quali tende, pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo» (cfr. Tabella A allegata al d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31).
3.‒ Con il secondo motivo di gravame, l’appellante insiste nel sostenere che, per le opere eseguite senza CILA, l’unica conseguenza possibile sarebbe stato il pagamento della sanzione pecuniaria e non la demolizione.
Anche questo motivo non può essere accolto.
In ragione del recente riordino della normativa in materiale di titoli edilizi, è opportuna una breve digressione introduttiva.
3.1.‒ L’art. 3 del testo unico dell’edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380: TUE) codifica tre categorie di opere, ordinate progressivamente in ragione dell’incidenza sull’assetto edilizio: gli interventi sull’esistente (lettere a, b, c, d); gli interventi di nuova costruzione (lettera e); gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lettera f).
Il sistema dei titoli abilitativi ‒ originariamente prefigurato secondo la mera tripartizione tra attività libera, dichiarazione di inizio attività (DIA) e permesso di costruire ‒ è stato, in forza di successivi interventi normativi, arricchito con molteplici e frammentate varianti. In particolare, il catalogo delle attività edilizie libere (previsto all’art. 6 del TUE) ‒ ovvero non condizionate al previo ottenimento di un assenso pubblicistico, e per i quali non è prevista l’attivazione di un procedimento amministrativo di controllo puntuale, sul presupposto delle ridotte esternalità indotte da talune trasformazioni di minima portata – nel corso del tempo è stato progressivamente ampliato, con la previsione di modelli dichiarativi differenziati in ragione del diverso peso degli oneri formali di allegazione.
Fino a tempi recenti, risultavano in vigore i seguenti regimi normativi: interventi di attività edilizia libera, senza adempimenti; interventi di attività edilizia libera, richiedenti una comunicazione di inizio lavori (CIL); interventi di attività edilizia libera, richiedenti la CILA; interventi assoggettati a SCIA, definiti in via residuale; interventi assoggettati a DIA in alternativa al permesso di costruire; interventi assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali è possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla SCIA.
La legge delega 7 agosto 2015, n. 124, ed i relativi decreti legislativi di attuazione, ai fini del rilancio economico del Paese, hanno inteso restituire più ampi spazi alla libertà di iniziativa economica dei consociati, rimuovendo i condizionamenti amministrativi ritenuti non proporzionati rispetto alle esigenze di controllo dei pubblici poteri, e conseguentemente limitando il campo di applicazione dei titoli abilitativi alle sole modificazioni antropiche del territorio i cui effetti manipolativi siano superiori ad una certa soglia. Su queste basi, è stata posta in essere una articolata strategia di novellazione.
Sono ispirati alla direttrice della semplificazione:
- la parziale modifica del procedimento dichiarativo di cui all’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo (ad opera, sia dalla legge n. 124 del 2015, sia dal decreto legislativo n. 126 del 2016), con l’obiettivo di rafforzare l’affidamento del segnalante;
- il nuovo congegno di “mappatura” dei procedimenti, volto a rendere chiaramente conoscibili il regime di avvio di un ampio catalogo di attività private, tra cui anche il settore edilizio (il recente decreto-ministeriale 2 marzo 2018, reca l’approvazione del “glossario” contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera);
- l’espunzione della denuncia di inizio attività, figura ancora sopravvissuta per mera stratificazione normativa (la DIA in alternativa al permesso di costruire è stata così sostituita da una SCIA con inizio posticipato dei lavori).
Risponde invece ad una direttrice di liberalizzazione – espressione con la quale qui si vuole intendere l’alleggerimento degli oneri burocratici e non la deregolamentazione della materia, in quanto resta fermo che, anche gli interventi, non sottoposti a regime né provvedimentale, né dichiarativo, debbono risultare conformi alle prescrizioni urbanistiche, edilizie e alle altre di settore – la rimodulazione del sistema dei titoli edilizi disciplinati dagli artt. 6, 10 e 22 del TUE (operata dal decreto-legislativo 25 novembre 2016, n. 222, in attuazione della delega di cui all’art. 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124), i cui principali punti di incidenza sono i seguenti:
- un rilievo preminente viene assegnato ai modelli comunicativi, assurgendo ora la CILA a nuovo regime normativo di “default” (criterio di residualità che prima della riforma era attribuito alla SCIA);
- scorrimento, per alcune attività, dal regime dell’autorizzazione preventiva ai regimi dichiarativi (come avvenuto per il certificato di agibilità), e per altre, dal regime della SCIA a quello della comunicazione;
- abolizione della comunicazione di inizio lavori, con passaggio della relativa classe di interventi al regime dell’attività edilizia libera.
Il quadro complessivo, rispetto al precedente, risulta semplificato in quanto articolato su cinque ipotesi: interventi in attività edilizia libera, senza necessità di adempimenti; interventi in attività edilizia libera, il cui avvio è subordinato alla presentazione della CILA; interventi assoggettati al regime della SCIA, in taluni casi anche in alternativa al permesso di costruire; interventi assoggettati a permesso di costruire, in taluni casi accompagnato da una convenzione; interventi per i quali è possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla SCIA.
Va rimarcato come, alla precedente elencazione delle categorie degli interventi edilizi liberi – suscettibili cioè di essere avviati senza neppure sottostare a formalità comunicative e riguardanti: gli interventi di manutenzione ordinaria; gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw; gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni o di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio (è stato espressamente espunto il riferimento preclusivo alle rampe); le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato; i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari; le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola – si sono aggiunti quattro interventi precedentemente soggetti a CIL, e segnatamente: le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni; le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati; i pannelli solari e fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori dei centri storici; le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.
Il nuovo art. 6-bis del TUE disciplina invece gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). La figura in precedenza circoscritta ai soli interventi di manutenzione straordinaria non riguardanti parti strutturali dell’edificio e alle modifiche interne di carattere edilizio su fabbricati ad uso produttivo, assurge a modello procedurale residuale, applicabile agli interventi non ricompresi negli elenchi di cui agli articoli 6, 10 e 22 del testo unico.
Correlativamente, lo spazio applicativo della SCIA è stato riconfigurato e sottoposto ad una rigida tipizzazione. Il primo comma dell’art. 22 del TUE, prevede ora che siano avviabili previa segnalazione, i seguenti interventi: manutenzione straordinaria riguardante anche le parti strutturali dell’edificio; restauro e risanamento conservativo riguardanti le parti strutturali dell’edificio; ristrutturazione edilizia “leggera” (diversi da quelli di ristrutturazione edilizia “pesante”, che continuano ad essere sottoposti al regime del permesso di costruire).
Va sottolineato come, a seguito della riforma, tra gli interventi assoggettati a CILA sono ora ricompresi anche il restauro e il risanamento conservativo, ove non riguardanti le parti strutturali dell’edificio.
3.2.‒ Su queste basi, è evidente come non possa ricomprendersi nel regime della CILA la realizzazione di pareti che hanno di fatto alterato la volumetria complessiva dell’edificio.
Non rientrando l’opera in contestazione nel regime della CILA, il motivo di gravame ‒ che invoca il trattamento sanzionatorio previsto per le opere soggette a CILA, ma realizzate senza di essa ‒ cade insieme alle sue premesse.
4.‒ L’appellante sostiene poi che la sentenza di primo grado avrebbe violato il giudicato formatosi a seguito della sentenza n. 224 del 2012 del Tar Puglia di Bari, il quale avrebbe statuito che per il mantenimento della struttura in questione tutto l’anno non fosse necessaria l’autorizzazione paesaggistica.
Anche tale motivo di gravame è destituito di fondamento.
4.1.‒ Come correttamente motivato nella sentenza appellata, il giudicato in questione aveva statuito l’esclusione della necessità di preventiva autorizzazione paesaggistica per la sola struttura a carattere stagionale (il precedente aveva, in particolare, censurato il fatto che la Soprintendenza non avesse valutato la natura precaria, temporanea e la facile amovibilità della struttura e la conseguente esclusione della necessità di preventiva autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 1, comma 4-sexies, della legge della Regione Puglia n. 24 del 2008).
4.2.‒ Sulla necessità di preventiva autorizzazione da parte della Soprintendenza per il mantenimento della struttura tutto l’anno si è del resto espresso più volte questo Consiglio di Stato.
L’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini del precedente art. 142 (tra i quali rientrano i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia) non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendono intraprendere al fine di ottenere il rilascio della autorizzazione paesaggistica; quest’ultima costituisce atto autonomo da valere come presupposto rispetto al permesso di costruire e agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.
L’art. 11, comma 4-bis, della legge della Regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa) aveva previsto che: «il mantenimento per l’intero anno delle strutture precarie e amovibili di facile rimozione, funzionali all’attività turistico-ricreativa e già autorizzate per il mantenimento stagionale, è consentito anche in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela territoriale, paesaggistica, ambientale e idrogeologica».
Sennonché, la Corte costituzionale, con sentenza n. 232 del 2008, ha affermato che tale norma – consentendo il mantenimento delle opere precarie in questione oltre la durata della stagione balneare, in mancanza della necessaria positiva valutazione di compatibilità paesaggistica – violava le competenze esclusive statali in materia di tutela ambientale e paesaggistica. La disposizione regionale è stata, pertanto, dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione al citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
A seguito della predetta sentenza, la legge della Regione Puglia 2 ottobre 2008, n. 24 ha introdotto nel testo dell’art. 11 della legge n. 17 del 2006 i seguenti commi: «a parziale modifica dell’articolo 3.07.4, punto 4.1, lettera b), del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT) paesaggio, approvato con Delib.G.R. 15 dicembre 2000, n. 1748 tutte le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno» (comma 4-ter); «la rimozione delle strutture di cui al comma 4-ter avviene alla scadenza dell’atto concessorio, se non rinnovato, ovvero anche anticipatamente per sopravvenute esigenza di tutela ambientale» (comma 4-quater); «i soggetti interessati devono munirsi preventivamente del nulla-osta dell’autorità competente in materia» (comma 4-quinquies).
L’attuale formulazione della normativa consente che venga rilasciata una concessione che non impone, al termine della stagione estiva, la rimozione delle strutture funzionali all’attività. Tuttavia, l’ottenimento del titolo abilitativo, per evitare la riproduzione di una norma già dichiarata incostituzionale, deve intendersi come espressamente condizionata all’ottenimento del nulla osta delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente e del paesaggio. Non può infatti ammettersi che una legge regionale introduca innovazioni al regime della compatibilità paesaggistica, come regolata dal più volte citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e da effettuare caso per caso, costituendo l’autorizzazione di cui trattasi atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4642; Sez. VI, sentenza n. 5293 del 2013).
Questa Sezione ha già avuto modo di affermare, in relazione a fattispecie analoghe, che i «contesti, estivo e invernale, in cui gli stabilimenti si inseriscono sono diversi», il che implica che differente può essere l’impatto che un manufatto può avere a seconda del periodo che viene in rilievo. La concessione per il solo periodo estivo «si giustifica anche alla luce di un complessivo bilanciamento degli interessi rilevanti e in considerazione che l’incidenza sull’ambiente è comunque temporalmente limitata» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4759 del 2012). Va aggiunto che, come condivisibilmente rimarcato dal Ministero, la necessità di procedere allo smontaggio di manufatti a fine stagione è prescrizione idonea ad incentivare il titolare dello stabilmente ad adottare le tipologie costruttive che maggiormente ne favoriscono l’integrazione nel paesaggio.
In definitiva ‒ pur consentendo, in astratto, l’art. 1 della legge regionale n. 24 del 2008 il mantenimento per l’intero anno di strutture, funzionali alla balneazione ‒ l’autorizzazione paesaggistica può comunque imporre che strutture precarie, collocate in uno stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva, per una più ampia visuale del litorale marino e per il pieno godimento delle zone interessate dal vincolo paesaggistico. Deve ritenersi quindi che la valutazione tecnica espressa dall’Amministrazione, non violando il principio di ragionevolezza, rientra in ambito ad essa riservato, con la conseguenza che l’atto impugnato si sottrae alle censure formulate con il ricorso di primo grado.
5.‒ Da ultimo, l’appellante lamenta che ‒ poiché la Soprintendenza non avrebbe espresso un diniego nella nota del 22 giugno 2017 ma semplicemente un parere in ordine alla necessità della rimozione della struttura nel periodo invernale ‒ la sentenza oggetto di impugnazione non avrebbe potuto esprimersi sul diniego perché alcun diniego vi era stato.
5.1.‒ Tale motivo censura, non un capo di sentenza, bensì un suo mero passaggio argomentativo, con il quale il giudice ha peraltro correttamente messo in luce il fatto che, ad avviso della Soprintendenza (a prescindere di come si voglia qualificare tale presa di posizione), le opere in questione necessitavano di autorizzazione ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto ricadenti nelle aree tutelate per legge.
6.‒ Le spese del secondo grado di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra la società appellante ed il Comune di Manfredonia. Possono invece essere compensate nei rapporti con il Ministero dei beni e delle attività culturali, tenuto conto che quest’ultimo si è costituito con memoria di mero stile.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando:
- respinge l’appello n. 1294 del 2019;
- condanna l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio nei confronti del Comune di Manfredonia, che si liquidano in € 3.000,00, oltre accessori di legge;
- compensa le spese di lite nei confronti del Ministero dei beni e delle attività culturali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere