Consiglio di Stato Sez. VI n. 8155 del 11 ottobre 2024
Beni Ambientali.Rapporti tra aspetti paesaggistici e disciplina urbanistica
Il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico di un manufatto non coincide con la disciplina urbanistico-edilizia, ma nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo. Il fatto che sono stati rilasciati i titoli edilizi, pur in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non può in alcun modo legittimare anche sotto il profilo paesaggistico il fabbricato. Tale esito si porrebbe in contrasto con il principio secondo il quale l’interesse paesaggistico debba essere sempre valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici. Esiste un principio di autonomia anche tra l’illecito urbanistico-edilizio e l’illecito paesaggistico, come anche un’autonomia tra i correlati procedimenti e regimi sanzionatori. Per giurisprudenza consolidata, la disciplina urbanistica e quella paesaggistica si completano al fine di garantire una tutela integrata del territorio, ma il titolo edilizio è diverso da quello autonoma paesaggistico, in quanto diverse sono le finalità perseguite
Pubblicato il 11/10/2024
N. 08155/2024REG.PROV.COLL.
N. 03874/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3874 del 2022, proposto da
Francesco De Vivo, nella qualità di titolare dell’impresa agricola “Orto Doc di Francesco De Vivo", rappresentato e difeso dall'avvocato Marcello Fortunato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Eboli, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 02266/2021, resa tra le parti, avverso e per l'annullamento:
a) del provvedimento prot. n. 15012-P del 09.07.2021, con il quale la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Provincie di Salerno ed Avellino ha reso parere contrario al rilascio dell'autorizzazione chiesta dall'appellante ai fini della “regolarizzazione di impianti serricoli realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica” alla Località Campolongo del Comune di Eboli;
b) ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12760-P del 09.06.2021, recante la comunicazione dei motivi ostativi;
c) ove adottato, dell'eventuale provvedimento di diniego da parte del Comune di Eboli;
d) di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e consequenziali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2024 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti gli avvocati Marcello Fortunato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha respinto il ricorso proposto da Francesco De Vivo per l’annullamento dell’atto n. 15012 del 9 luglio 2021 (ed atti connessi) con il quale la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Provincie di Salerno ed Avellino ha espresso parere negativo al rilascio dell'autorizzazione chiesta dal ricorrente ai fini della regolarizzazione di impianti serricoli realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica presso la località Campolongo del Comune di Eboli.
2. La sentenza ricostruisce i fatti rilevanti ai fini della decisione come segue: “il ricorrente, titolare di un’impresa agricola proprietaria di un’area sita nel Comune di Eboli, catastalmente identificata al foglio n. 50, particelle nn. 46, 47, 48, 49, 50 e 51, ricadente in Zona E del vigente P.R.G. ovvero in area espressamente destinata all’esercizio di attività agricola, depositava, in data 07.09.2018, SCIA per la realizzazione di un impianto serricolo a struttura metallica; nel corso dei lavori e, soprattutto, ben prima della relativa copertura, essendo l’area sottoposta a vincolo paesaggistico, depositava al Comune di Eboli istanza di autorizzazione paesaggistica “per l’avvenuta realizzazione della sola struttura dell’impianto serricolo”; con nota del 09.06.2021, la Soprintendenza comunicava i motivi ostativi e, con successivo provvedimento, prot. n. 15012-P del 09.07.2021, formalizzava parere contrario al rilascio dell’autorizzazione richiesta.”
3. L’interessato ha impugnato tale ultima determinazione e gli atti presupposti, censurandoli per erroneità manifesta e difetto assoluto del presupposto (l’istallazione non necessiterebbe di autorizzazione), per tardività, violazione dell’art. 3 e 10 della legge n. 241/1990 (difetto di istruttoria e di motivazione, insufficiente valutazione delle controdeduzioni), per l’assenza di dissenso costruttivo, per disparità di trattamento e per erroneità delle valutazioni espresse della Soprintendenza nel merito dell’impatto paesaggistico.
4. Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto infondate le censure, ritenendo che:
- le caratteristiche dimensionali (62.247 m2) delle opere, un nuovo, significativo ingombro volumetrico e di superficie, sono motivazione sufficiente per disattendere tutte le doglianze e reputare il parere gravato legittimo, atteso che l’impianto serricolo è qualificabile come intervento di nuova costruzione, che, creando nuovo volume e nuova superficie, inibisce l’operatività dell’art. 167 d.lgs. n. 42/2004;
- i commi 4 e 5 dell'art. 167, d.lgs. n. 42/2004 sanciscono, in linea di principio, la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali, aventi rilevanza paesaggistica; la ratio è quella di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l'esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento; il rigore del predetto precetto è ridimensionato da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull'assetto del bene vincolato; sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica gli interventi realizzati in assenza o difformità dell'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- in ambito paesaggistico la nozione di “superficie utile” di cui all'art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004 deve essere intesa in senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto del territorio e, quindi, l'idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria del territorio, sicché di superficie utile deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia;
- per l’opera in esame non è applicabile la qualificazione contenuta negli allegati A e B del DPR 31/2017, con conseguente infondata deduzione della tardività del parere reso, in ragione dell’operatività dei minori termini procedimentali;
- non sono fondati i rilievi procedimentali formulati (vizio di violazione dell’art.10 bis legge n. 241/1990, vizio di violazione art. 17 DPR n. 31/2017 sul dissenso costruttivo, vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento) in quanto: sulla base della documentazione versata in atti, veniva riscontrato che la Soprintendenza aveva articolato le sue considerazioni ostative proprio in relazione alle controdeduzioni profilate; non era violato il contraddittorio, non ravvisandosi, all’interno della cornice argomentativa dell’atto impugnato, un motivo ostativo, nuovo ed ulteriore rispetto a quelli già espressi nella comunicazione preliminare (si potrebbe considerare una mera specificazione degli stessi); non era da riscontrare l’inosservanza della regola del dissenso costruttivo previsto dal DPR n. 31/2017, essendo tale regola inapplicabile al caso di specie, in ragione della rilevanza dimensionale dell’opera; la deduzione della disparità di trattamento non era fondata, in quanto il destinatario di un provvedimento illegittimo non può invocare, come sintomo di eccesso di potere, il provvedimento più favorevole illegittimamente adottato nei confronti di un terzo che si trovi in identica analoga situazione.
5. Per la riforma della sentenza l’originario ricorrente Francesco De Vivo, rappresentate legale dell’azienda agricola “Orto Doc di Francesco De Vico” ha formulato sei motivi di appello, reiterando le rispettive censure spiegate in primo grado ed adattandoli in base alla sentenza gravata.
6. Il Ministero della Cultura ha resistito al gravame, con atto depositato il 17.5.2022.
7. L’appellante, in seguito alla costituzione del Ministero, ha depositato una breve memoria di replica, insistendo nell’accoglimento dell’appello.
8. In data 12.9.2024 il Ministero ha depositato otto allegati concernenti i vari atti del procedimento.
9. All’udienza pubblica del 3 ottobre 2024, è stata riservata la decisione.
10. Con il primo motivo, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ricostruito i dati fattuali: l’intervento per il quale si chiedeva l’autorizzazione avrebbe avuto come oggetto la sola struttura metallica e nessuna copertura, pertanto le serre non ci sarebbero ancora, non essendo quindi integrato né l’elemento della (nuova) superficie o del volume. Inoltre, secondo l’articolo 4 del Regolamento Regionale n. 8/2013 comunque impianti serricoli non determinerebbero un peso volumetrico-urbanistico. Il TAR avrebbe errato a ritenere che i concetti di superficie utile e volumetria non si orientano, nell’applicazione dell’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, a quelli dell’ordinamento edilizio-urbanistico, essendo il recente orientamento della Giustizia Amministrativa diametralmente opposto. Infine, il TAR avrebbe sbagliato anche a richiamare la sentenza n. 943/2021, trattando una fattispecie diversa.
11. Nel secondo motivo l’appellante censura la statuizione di primo grado che l’autorizzazione postuma sarebbe preclusa in base all’impatto negativo del manufatto discendente dalla creazione di nuovo volume (62.497 m2). L’appellante invece sostiene che secondo la domanda presentata:
- non ci sarebbe (ancora) alcun impianto serricolo, ma solo una struttura metallica;
- le opere oggetto di sanatoria avrebbero coperto solo parzialmente il fondo e non interamente.
Ciò sarebbe la prova del difetto di istruttoria e di motivazione. Anche l’impatto negativo nello scenario circostante non sarebbe provato:
- il contesto è diverso da quello descritto dalla Soprintendenza nel parere;
- l’area in oggetto non sarebbe visibile da alcun punto di belvedere (5 km di distanza);
- non si potrebbe parlare di “bellissima e fertilissima campagna”, che sarebbe inesistente, come proverebbe la fotografia allegata nell’appello;
- le strutture non sarebbero visibili dalla strada pubblica e si troverebbero in posizione arretrata, oltre ad essere ricomprese tra plurimi e più grandi impianti serricoli, legittimamente assentiti.
12. Con il terzo motivo, l’imprenditore agricolo deduce l’errore del TAR nella ricostruzione della specifica categoria edilizia e ribadisce che le opere sono riconducibili all’allegato A.19 del DPR n. 31/2017, o, in subordine, all’allegato B del medesimo corpo normativo, con il regime semplificato e con termini dimidiati, con la conseguenza dell’evidente tardività del parere negativo.
13. Con il quarto motivo l’appellante eccepisce l’errore della gravata sentenza laddove respingeva le censure sulla violazione del dialogo procedimentale, reiterando la doglianza che la Soprintendenza non avesse dettagliatamente esplicato i singoli punti delle controdeduzioni che non potrebbero superare i motivi ostativi dedotti. In più, contrariamente a quanto accertato dal TAR, la lesione della visuale libera sarebbe stata inserita la prima volta nel provvedimento finale.
14. A prosieguo l’appellante, nel quindi motivo del gravame, critica il rigetto della censura dell’assenza del dissenso costruttivo (art. 14-bis legge n. 241/1990), ritenendo invece che la regola era perfettamente applicabile anche al caso de quo. I limiti dimensionali sarebbero stati mal considerati dal TAR ed in quanto l’intervento era stato valutato positivamente dalla C.L.P., non altererebbe il contesto paesaggistico e non limiterebbe la vista del paesaggio, la Soprintendenza avrebbe dovuto evidenziare modifiche o prescrizioni.
15. Con l’ultima doglianza si ritorna alla censura sulla disparità di trattamento, che il TAR non avrebbe considerato sufficientemente. La disparità di trattamento sarebbe evidente se si considera che le serre nelle aree limitrofe sarebbero assentiti, visivamente ancora più ingombranti rispetto a quello del signor De Vivo.
16. L’appello è infondato.
17. In punto di fatto va premesso che la vicenda oggetto del presente contenzioso riguarda una serra realizzata con struttura fissa e mobile e con dimensioni rilevanti, l’area sulla quale insiste il manufatto è vincolata dal DM 2.11.1968 (notevole interesse pubblico della zona panoramica sita nel territorio comunale di Eboli). Corrisponde al vero che la superficie indicata dalla Soprintendenza e dopo dal TAR di 62.497 m2 (la seconda indicazione di 62.247 m2 nella sentenza è un mero lapsus calami) è quella dell’intero fondo. Nella SCIA inviata al Comune di Eboli (all. 5 del Ministero nel grado di appello) la superficie complessiva indicata dallo stesso proprietario è “per un totale di mq. 62497, avendo realizzato la sola struttura di un impianto serricolo per la produzione e raccolta di basilico”, ma solo nella successiva “Relazione tecnica” (e precisamente solo alla fine di essa) si legge che “per la realizzazione di un impianto serricolo a struttura metallica nella proporzione dell’75% dell’intera superficie.” Inoltre, il rilievo sull’errata superficie non appare nelle controdeduzioni al preavviso di rigetto (che indicava invece sempre la medesima superficie).
18. La specifica censura contenuta nel secondo motivo di appello è infondata. In disparte il fatto che l’appellante dichiara che la superficie del lotto e l’estensione dell’impianto serricolo non sarebbero coincidenti, ma non lo dimostra e non precisa nemmeno quale effettiva superficie sarebbe stata effettivamente utilizzata. Orbene, esaminando i documenti versati in giudizio, secondo le sue dichiarazioni contenute nella SCIA l’impianto avrebbe utilizzato una superficie pari al 75% delle particelle interessate, ovvero un’area di 46.872 m2. Il manufatto si estenderebbe quindi su un’area di oltre 4,5 ettari, e quindi sostanzialmente il massivo mutamento dello stato dei luoghi è sempre riscontrabile.
19. Questo conferma anche l’infondatezza del primo motivo, non potendo accogliere la tesi che nel caso di specie lo stato dei luoghi non abbia subito una particolare e massiva alterazione. Secondo l’appellante non sarebbero stati creati (ancora) superficie e volume, mancando la copertura, ma osservando attentamente le fotografie versate nel giudizio, ciò è del tutto irrilevante. Si tratta di una importante e grande struttura serricolare con elementi tubolari metallici. Come emerge dalla relazione tecnica “la struttura portante in acciaio zincato a caldo si compone da arcate a tunnel in elementi tubolari predisposti per il montaggio della copertura in film plastico, ed elementi verticali portanti sempre in tubolari.” Sostenendo, come fa l’appellante, che realizzando una struttura su svariati ettari di terreno e posando centinaia di tubi di rilevanti dimensioni non si avrebbe un’alterazione dello stato dei luoghi, non è logico e non corrisponde al vero. Non è neanche vero che a questo fine non sia utilizzata una superficie utile, come è facilmente visibile dalla fotografia dell’impianto. La posa dell’imponente sistema tubolare poteva avvenire solo su una superficie preparata a tale intervento, di talché l’infondatezza della censura. Alla descrizione del contesto naturalistico interessato dall’intervento si dà atto delle caratteristiche tecniche del progetto di cui all’istanza dell’interessato, per poi considerare il bene tutelato. Il parere passa a esplicitare le ragioni per cui l’intervento progettato si porrebbe in contrasto con la tutela paesaggistica territoriale, a causa della modificazione permanente dello stato dei luoghi. Con ciò, anche se in forma sintetica, è stato specificato perché l’intervento non è compatibile, per l’interferenza sul ricostituirsi dei fattori naturali della conformazione geomorfologica naturale (e per le condizioni di percezione e di godibilità del contesto). Il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico di un manufatto non coincide con la disciplina urbanistico-edilizia, ma nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo. Il fatto che sono stati rilasciati i titoli edilizi, pur in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non può in alcun modo legittimare anche sotto il profilo paesaggistico il fabbricato. Tale esito si porrebbe in contrasto con il principio (Corte Cost., n. 196/2004) secondo il quale l’interesse paesaggistico debba essere sempre valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici. Esiste un principio di autonomia anche tra l’illecito urbanistico-edilizio e l’illecito paesaggistico, come anche un’autonomia tra i correlati procedimenti e regimi sanzionatori. Per giurisprudenza consolidata, la disciplina urbanistica e quella paesaggistica si completano al fine di garantire una tutela integrata del territorio, ma il titolo edilizio è diverso da quello autonoma paesaggistico, in quanto diverse sono le finalità perseguite (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, n. 521/2016; id., sez. VI, n. 4389/2024).
20. Risulta infondato anche il secondo motivo, come già rilevato supra sub 18. Per quanto riguarda la valutazione del contesto, l’appellante ritiene che le descrizioni della Soprintendenza siano errate e comunque l’impianto non sarebbe visibile, anche in quanto ricompreso tra altri impianti. Orbene, queste sono valutazioni soggettive, che però questo Collegio non riesce ad apprezzare. La distanza dalla strada pubblica nominata non ha però escluso che ci siano altri collegamenti, anche di natura privata, o che la distanza da un belvedere non sia l’unica possibilità di limitare la visuale. Oggettivamente, una tale ed imponente struttura in tubi e (con future coperture in film plastico) è sicuramente idonea ad arrecare un pregiudizio alla percezione paesaggistica dell’area, come si evince dalle fotografie ricordate prima. In ogni modo, l’oggetto e l’ampiezza dell’intervento del Soprintendente, come si deduce dal comma 8 dell'art. 146, sono ampi: si tratta di un atto a contenuto decisorio e di un giudizio di merito tecnico-discrezionale (Cons. Stato, sez. IV, n. 3870/2019). Il Soprintendente si esprime circa la compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo insieme nonché sulla conformità di tale intervento con le previsioni del vincolo e con quelle dell’art. 140 del codice, salva l’ipotesi in cui risulti che il parere sia stato reso sulla base di atti o fatti palesemente erronei o travisati, fattispecie che nel caso de quo non sussiste. Nella sua attività la Soprintendenza dispone di un'ampia discrezionalità tecnico-specialistica nel dare i pareri di compatibilità paesaggistica, e il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato, ipotesi che nella fattispecie non ricorrono (ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, n. 197/2018).
21. Né l’appellante può essere seguito esaminando il terzo motivo, dovendo invece pienamente confermare l’assunto del TAR che una nuova struttura di queste importanti dimensioni non rientra nella categoria tipizzata dall’assetto del DPR n. 31/2017, che, invece, all’allegato A.19 definisce “interventi su impianti idraulici agrari privi di valenza storica o testimoniale; installazione di serre mobili stagionali sprovviste di strutture in muratura; palificazioni, pergolati, singoli manufatti amovibili, realizzati in legno per ricovero di attrezzi agricoli, con superficie coperta non superiore a cinque metri quadrati e semplicemente ancorati al suolo senza opere di fondazione o opere murarie; interventi di manutenzione strettamente pertinenti l’esercizio dell’attività ittica; interventi di manutenzione della viabilità vicinale, poderale e forestale che non modifichino la struttura e le pavimentazioni dei tracciati; interventi di manutenzione e realizzazione di muretti a secco ed abbeveratoi funzionali alle attività agro-silvo-pastorali, eseguiti con materiali e tecniche tradizionali; installazione di pannelli amovibili realizzati in legno o altri materiali leggeri per informazione turistica o per attività didattico-ricreative; interventi di ripristino delle attività agricole e pastorali nelle aree rurali invase da formazioni di vegetazione arbustiva o arborea, previo accertamento del preesistente uso agricolo o pastorale, da parte delle autorità competenti e ove tali aree risultino individuate dal piano paesaggistico regionale”. Dalla lettura della norma si capisce che gli elementi caratterizzanti dell’impianto in oggetto sono diversi da quelli contemplati dal legislatore. Né rientrano nell’allegato B del medesimo DPR che prevede una disciplina semplificata per “interventi di lieve entità”, non presenti nel caso di specie.
22. Infondata è anche la quarta censura, sull’asserita violazione delle garanzie procedimentali. Il Collegio osserva che l’accertamento del TAR è pienamente condivisibile, la mancata o parziale replica alle controdeduzioni di parte nel caso di quo non assume a giudizio del Collegio un valore viziante come indice sintomatico di un eccesso di potere, avendo l’Amministrazione Pubblica succintamente illustrato che le memorie non erano in grado di superare le problematicità rilevate. In più, la censura del mancante richiamo al disturbo della visuale nei motivi ostativi non corrisponde al vero, trovandosi invece tale riferimento già nel preavviso di rigetto (“percezione visiva dei volumi”), costituendo – come ha accertato correttamente il TAR – la rispettiva deduzione della Soprintendenza una ulteriore specifica di tale previa censura.
23. La quinta doglianza è da respingere in quanto manifestamente infondata, non residuando alla Soprintendenza – di fronte all’istanza presentata – alcuna possibilità di prescrivere soluzioni alternative o fare prescrizioni. Questo è pensabile in maniera astratta per progetti complessi, ma il Collegio si interroga quale diversa soluzione per un impianto di oltre 4,5 ettari di sistemi tubolari lineari l’ente tutorio avrebbe potuto proporre onde evitare il massivo impatto paesaggistico. Neppure l’appellante ha minimamente allegato quali potevano essere, da ciò sembra evidente la conferma dell’inutilità dell’istituto del dissenso critico in un caso come questo.
24. Per respingere l’ultimo motivo, con il quale l’appellante invoca la disparità di trattamento, respinta dal TAR, è sufficiente ricordare che un diverso trattamento giuridico di una fattispecie analoga non può comunque essere invocato per estendere in proprio favore posizioni illegittime precedentemente riconosciute dall’Amministrazione, tenuto conto che, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell'operato dell'amministrazione non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (Cons. Stato, sez. VI, n. 4722/2022). Inoltre, mancavano precise circostanze e dati fattuali (sia in sede di controdeduzioni che nei due gradi di giudizio) di casi identici.
25. In conclusione, l’appello va respinto.
26. Le spese di lite del presente grado di giudizio sono a carico dell’appellante, stante il principio di soccombenza, e saranno liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore al Ministero appellato, che liquida in 3.000 Euro (tremila/00), oltre accessori di legge. Nulla per il Comune di Eboli, non essendosi costituito nel giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere, Estensore