Corte dei Conti Sentenza n. 63/2008 dell’8 gennaio 2008 - Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana
Beni Culturali. Amministratori pubblici - dirigente tecnico presso la Soprintendenza - Crollo di bene di rilevante interesse storico architettonico ed artistico (cattedrale di Noto) - Negligenza inescusabile - Ripristino del bene ecclesiastico a carico del bilancio statale – Responsabilità – Sussiste
Beni Culturali. Amministratori pubblici - dirigente tecnico presso la Soprintendenza - Crollo di bene di rilevante interesse storico architettonico ed artistico (cattedrale di Noto) - Negligenza inescusabile - Ripristino del bene ecclesiastico a carico del bilancio statale – Responsabilità – Sussiste
* A cura dell'Ufficio Stampa
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai magistrati:
Dott. Pino Zingale Presidente ff.
Dott. Valter Del Rosario Consigliere
Dott. Guido Petrigni Primo Referendario relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 47055 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di S.F. , nato a xxx, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giovanni Pitruzzella, e dagli avv.ti Stefano Polizzotto e Umberto Di Giovanni e domiciliato presso lo studio del primo in Palermo, Via Nunzio Morello n. 40.
Esaminati gli atti e documenti di causa.
Uditi, alla pubblica udienza del 27 settembre 2007, il relatore, dott. Guido Petrigni ,il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale, Tommaso Brancato e l'avvocato Stefano Polizzotto per il convenuto.
FATTO
Alle ore 22,10 del 13 marzo 1996 si verificava il crollo parziale della Chiesa Madre San Nicolò di Noto.
A seguito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Siracusa, venivano rinviati a giudizio l'ingegnere capo dell'Ufficio del Genio civile, e quello dell'Ufficio tecnico del Comune di Noto, il Vescovo della Diocesi di Noto e l'architetto S., nella qualità, quest'ultimo, di dirigente tecnico presso la Soprintendenza di Siracusa dall'11 novembre 1987 e direttore della Sezione paesaggistica architettonica e urbanistica dal 13 luglio 1992 fino alla data del crollo della chiesa.
Con sentenza n. 243/01 del 12 dicembre 2001, il Tribunale di Siracusa, sezione staccata di Avola, condannava il Vescovo ed il S. per il delitto previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.. per aver cagionato , con condotta colpevole, il crollo di parte della cattedrale di Noto, mentre assolveva gli altri imputati.
La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 467/03 assolveva il Vescovo e confermava la condanna nei confronti del S. condannandolo alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per aver cagionato, per colpa consistita essenzialmente in una totale negligenza, il crollo parziale della Cattedrale di Noto.
La Corte di Cassazione , con sentenza n. 5950/06 del 28 ottobre 2005, rigettava il ricorso proposto dal S. condannandolo definitivamente.
Con invito a dedurre del 7 novembre 2006 il Procuratore regionale della Corte dei Conti per la regione Siciliana ha contestato, all'odierno convenuto, il danno erariale conseguente al crollo, quantificandolo in € 13.474.455,32, in misura corrispondente all'importo dell'aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione delle opere per il ripristino dell'edificio e delle parti interne danneggiate dal crollo stesso.
Assume parte attrice che l'evento naturale del crollo non ha avuto in se stesso un immediato e diretto effetto lesivo del patrimonio pubblico , bensì limitato a quello della Curia.
Tuttavia, l'assoluto ed indiscusso valore storico, architettonico ed artistico del gioiello barocco, danneggiato dal crollo parziale, ha reso necessario l'intervento finanziario dello Stato per realizzare il recupero, altrimenti impossibile, di un immobile che, per le sue caratteristiche, rappresenta un bene unico per l'intera collettività nazionale e per lo stesso patrimonio dell'Umanità .
Secondo la Procura, dunque, il danno erariale si sarebbe concretizzato e sarebbe divenuto attuale soltanto a seguito dell'assunzione, da parte dello Stato, dell'onere finanziario della ricostruzione dell'edificio e della effettiva erogazione dei pagamenti per lo stato di avanzamento dei lavori necessari al ripristino integrale della Cattedrale.
Il Pubblico Ministero contabile ha, dunque, ipotizzato una particolare fattispecie di danno “ a formazione progressiva” in relazione alle spese sostenute a carico del bilancio pubblico nel tempo, dal momento dell'avvio dei lavori fino al completamento definitivo delle opere previsto, allo stato, per il 31 marzo 2007.
Alla luce di tale configurazione parte attrice ha osservato che:
• il crollo della Cattedrale ha causato un danno effettivo all'erario pubblico, costretto ad un intervento assolutamente necessario di ricostruzione, altrimenti non realizzabile;
• il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa non può decorrere dall'evento naturale o dall'inizio delle opere di ripristino, ma da un diverso momento, atteso che il pregiudizio economico per l'erario è divenuto concreto ed attuale in coincidenza con i vari pagamenti effettuati nel quinquennio antecedente alla data di notifica dell'invito a dedurre;
• in ogni caso , in base all'art. 2947, comma terzo, il termine di prescrizione decorre dal momento della conclusione del giudizio penale e dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna del S..
Ha aggiunto parte attorea che l'illecito contabile contestato all'odierno convenuto è identico, sotto il profilo dell'individuazione della condotta antigiuridica, dell'evento dannoso, del nesso di causalità e dell'elemento della colpa grave, all'illecito penale con sentenza passata in giudicato.
La responsabilità dell'odierno convenuto è stata ritenuta in base alla accertata sussistenza di alcuni elementi fondamentali, che per la definitività della sentenza di condanna, hanno immediata valenza probatoria in questa sede giurisdizionale.
Ha evidenziato il PM che il S., nella qualità di dirigente tecnico in servizio presso la Soprintendenza di Siracusa, aveva specifici obblighi di servizio, compreso il potere-dovere di intervento e di controllo, ai fini della salvaguardia, sui beni di valore storico e artistico, pubblici o privati.
Tale obbligo di servizio sussisterebbe in ogni caso, in capo al direttore tecnico della Soprintendenza, a prescindere dall'appartenenza del bene ad un ente pubblico ovvero ad un privato, atteso che ciò che vincola alla vigilanza ed all'intervento della Soprintendenza è il carattere di interesse artistico e storico.
Nel procedimento penale è emerso che la causa del crollo è stata individuata nel collasso del quarto pilastro, lato destro, che versava in condizioni di maggiore precarietà rispetto agli altri per l'indebolimento dovuto al taglio della muratura per creare il passaggio al pulpito, e per essere posizionato in corrispondenza della cupola.
L'organo inquirente ha poi messo in luce che:
• il S. era consapevole della pericolosità statica della Cattedrale e, in particolare, del grave dissesto dei pilastri della navata di destra, acuitosi dopo il terremoto del 1990, avendo personalmente constatato, in occasione di un sopralluogo avvenuto il 18 febbraio 1992;
• nel corso di un'altra verifica effettuata il mese successivo, l'odierno convenuto aveva constatato il distacco di intonaci e lesioni verticali sui lati su e nord della chiesa, oltre alla sconnessione di alcuni conci;
• la condizione di instabilità strutturale dell'edificio era nota al S. anche per i diversi incontri con i professionisti nominati dalla Curia, che gli avevano sottoposto documenti grafici e gli esiti di accertamenti preliminari, nei quali veniva chiaramente palesata la situazione di grave pericolo per la staticità dell'edificio;
• se l'odierno convenuto avesse eseguito i necessari controlli e le ispezioni doverosi per la specifica mansione ricoperta , e non avesse trascurato che le fessurazioni si andavano moltiplicando progressivamente dopo le scosse di terremoto, lo stesso si sarebbe reso conto della pericolosità della situazione ed avrebbe dovuto adottare tutte le iniziative idonee ad evitare il crollo.
Nell'affermare la responsabilità penale del direttore della sezione architettonica ed urbanistica, i Giudici penali hanno espresso la convinzione dell'evitabilità dell'evento meditante una condotta del S. , diversa da quella omissiva tenuta nel caso di specie e conforme ai canoni di diligenza richiesti dalla constatata situazione di grave pericolo .
Uno specifico livello di attenzione era richiesto al S., non solo per la straordinaria importanza del monumento, quale simbolo dello stile barocco in Val di Noto, ma anche in considerazione dei particolari rischi che la precaria condizione statica della Cattedrale comportava per le persone e per le cose.
Il S. è stato ritenuto colpevole per non essersi attivato e per non aver adottato le misure di sua competenza, in modo da evitare l'evento.
Ha poi precisato l'organo che procede che, dalla sentenza passata in giudicato, è emerso che la condotta gravemente colposa addebitata al S. non è stata quella del mancato intervento diretto e della omessa realizzazione dei lavori necessari per evitare l'evento disastroso, bensì quella di essersi del tutto disinteressato con colpevole inerzia , di una situazione della quale era a conoscenza, sottovalutando lo stato di pericolo.
Secondo la prospettazione attorea, la condotta negligente individuata nel giudizio penale mostra tutti i caratteri necessari per potere imputare la responsabilità amministrativa per colpa cosciente all'odierno convenuto e, in ogni caso, l'accertamento dei fatti, nei termini e con le relative qualificazioni da parte del giudice penale, presenta efficacia decisiva ai fini dell'azione di responsabilità amministrativa, attesa la perfetta coincidenza tra la fattispecie oggetto del procedimento penale e quella del presente giudizio.
L'intervento di ricostruzione delle parti crollate e del completo ripristino della funzionalità della chiesa ha richiesto interventi finanziari adeguati alla rilevanza storico artistica dell'edificio , alla consistenza del crollo ,alle difficoltà tecniche incontrate nella realizzazione delle varie opere, alla necessità di assicurare la definitiva sicurezza statica dell' intera costruzione.
L'ammontare complessivo degli accreditamenti a favore del Commissario straordinario per la ricostruzione ed il restauro della Cattedrale di Noto è stato di € 31.868.462,84, mentre i pagamenti effettuati alla stessa epoca, risultano essere pari a € 25.388.326,70.
Sul punto il PM ha rilevato che già con l'invito a dedurre il danno era stato ragionevolmente quantificato in € 13.474.455,00, pari all'importo dell'aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione delle opere da parte dell'aggiudicataria Associazione temporanea d'impresa costituita dalla società Omissis S.P.A., capogruppo, OMISSIS S.p.A. e Omissis S.P.A.. mandanti , tutte di Roma, il cui contratto è stato stipulato nell'ottobre 1999- escludendo le spese sostenute nel corso della realizzazione dei lavori e quelle successivamente effettuate sino alla data dell'atto di citazione.
Parte attrice ha, poi, soggiunto che l'importo dei lavori per la ricostruzione e per il ripristino della Cattedrale ha compreso specifici interventi diretti ad assicurare staticità ad una parte consistente dell'edificio, indipendentemente dalle finalità di ripristino delle strutture danneggiate.
Ha, altresì, precisato che il criterio di imputazione del danno non può non tener conto della mancanza di proporzione esistente tra la situazione patrimoniale del soggetto chiamato al risarcimento e l'importo finanziario sostenuto dallo Stato a seguito del crollo causato dalla condotta antigiuridica accertata in sede penale nei confronti del S..
Per tale ragione la Procura, tenendo in debita considerazione i principi espressi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 371 del 1998, ha ritenuto di dover limitare la richiesta risarcitoria all'importo di € 500.000,00 (comprensivo di rivalutazione monetaria e di interessi legali), oltre alle spese del giudizio, e ha evocato in giudizio l'odierno convenuto perché sia condannato alla refusione della somma così quantificata in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per essa, al dipartimento della Protezione civile.
Con memoria difensiva depositata in data 6 settembre 2007 , il convenuto si è costituito in giudizio osservando, in punto di fatto, che :
• il bene su cui è intervenuto lo Stato è di proprietà privata, precisamente della Curia, e l'intervento dell'Amministrazione è stato spontaneo e dunque non vi sarebbe danno risarcibile;
• a seguito del sisma del 1990, che colpì l'intera provincia di Siracusa, l'Assessore Regionale per i Beni Culturali effettuò un sopralluogo presso la Cattedrale di Noto escludendo rischi immediati di crollo;
• successivamente, a seguito di una richiesta di intervento da parte del Parroco della Cattedrale, fu effettuato un altro sopralluogo per verificare la staticità del quarto pilastro della navata destra della chiesa;
• con ordinanza n. 4551 del 21 febbraio 1992 il Sindaco di Noto ordinava la l'inagibilità provvisoria della Chiesa Cattedrale con consequenziale chiusura al Culto fino all'effettuazione degli interventi ritenuti necessari;
• effettuati in via di urgenza gli interventi previsti, il Genio civile in data 28 febbraio 1992, comunicava a tutti gli enti interessati di aver provveduto all'esecuzione delle opere necessarie per l'eliminazione delle condizioni di pericolo e la Chiesa Cattedrale veniva riaperta al culto il 29 febbraio 1992.;
• la cerchiatura dei pilastri realizzata dal Genio civile, se da un lato eliminava le condizioni di pericolo per la staticità della chiesa , dall'altro produceva l'occultamento dei fessurimetri apposti dall'architetto S. ai 10 pilastri, in modo che nei sopralluoghi successivi, gli stessi non erano più visibili, eccetto uno che, sino al crollo, non aveva palesato alcun segno di aggravamento rispetto al pilastro nel quale era stato collocato;
• contrariamente a quanto si afferma nella sentenza della Cassazione, secondo cui il S. avrebbe potuto monitorare la situazione dei pilastri della Cattedrale con i fessurimetri posizionati dallo stesso , invero il predetto, a causa degli interventi effettuati dal Genio civile, non era più nelle condizioni di poter compiere il monitoraggio a cui si allude;
• fu il S. , con nota prot. 787 del16 febbraio 1993 a sollecitare l'Assessorato Regionale BB.CC.AA: ed il Comune di Noto ad autorizzare un intervento per le opere provvisionali e per l'effettuazione di indagini preliminari alla redazione di un progetto di restauro definitivo, al fine di individuare gli interventi da eseguire;
• in seguito alla effettuazione dei lavori di cerchiatura da parte del Genio Civile, non evidenziandosi situazioni di pericolo, il crollo avvenne in modo improvviso ed imprevedibile;
• il crollo fu provocato da cause congenite risalenti alla concezione progettuale e alla tecnica costruttiva e dall'improvviso aggravarsi delle lesioni cagionate dal terremoto del 1990 e dunque il S. , nell'ambito delle proprie competenze svolse il proprio obbligo di conservazione prima e di vigilanza poi .
In punto di diritto , la difesa del convenuto ha osservato, in via preliminare, che nel caso di specie si è dinanzi ad un finanziamento spontaneamente erogato dallo Stato per la ricostruzione di un bene privato, di proprietà della Curia, per il quale difettano i presupposti del danno erariale diretto o indiretto.
Sempre in via preliminare, la difesa ha eccepito la prescrizione, osservando che il termine iniziale, nel caso in esame, non può che farsi decorrere dalla data del crollo della Cattedrale Duomo ( 13 marzo 1996) e della contestuale comunicazione effettuata alla Procura contabile che iniziò l'istruttoria contabile già nel marzo del 1996; l'azione sarebbe egualmente prescritta ove, per individuare il fatto dannoso, si volesse aver riguardo al momento in cui si è realizzato un pregiudizio economico , concreto ed attuale per l'erario, ossia nel momento in cui l'appalto è stato aggiudicato in data 2 giugno 1999 ed il relativo contratto è stato stipulato in data 8 ottobre 1999.
Soggiunge la difesa che certamente non applicabile appare il disposto di cui all'art. 2947,comma terzo c.c.. alla luce di un chiaro e pacifico orientamento giurisprudenziale.
Peraltro, ha osservato ancora parte convenuta, nel caso di specie, la Procura regionale della Corte dei Conti era a conoscenza dei fatti, in ordine ai quali delegò il Comando CC tutela patrimonio artistico di Palermo ad effettuare gli accertamenti necessari e, facendo seguito alle predette indagini, sempre la medesima Procura con nota n. 93508/CR/2877 del 15 maggio 1996 inviò il rapporto informativo relativo ai fatti in parola all'Autorità Giudiziaria di Siracusa: da quella data la Procura era a conoscenza dei fatti e da quella data è cominciata a decorrere la prescrizione, ai sensi dell'art. 1,comma 2, legge 14 gennaio 1994.
La difesa del convenuto ,infine, ha rilevato che il comportamento del S. sicuramente non può configurare una condotta antidoverosa o un'inescusabile negligenza o superficialità e ha concluso , in linea assolutamente subordinata , perché vengano tenute in considerazione tutte le circostanze oggettive e soggettive per un'ampia riduzione del danno addebitabile. .
All' odierna udienza dibattimentale le parti intervenute hanno ulteriormente sviluppato le argomentazioni compendiate negli atti scritti.
DIRITTO
In via preliminare quest'organo giudicante deve darsi carico di scrutinare la preliminare doglianza mossa dal convenuto, secondo la quale, nel caso di specie, si sarebbe innanzi ad un finanziamento spontaneamente erogato dallo Stato per la ricostruzione di un bene privato, di proprietà della Curia, per il quale difetterebbero i presupposti del danno erariale diretto o indiretto.
Giova al riguardo rammentare, con un rapido excursus storico e normativo, che già nell'Italia preunitaria quasi tutti gli Stati avevano emanato norme più meno organiche sulla tutela delle antichità, delle opere d'arte e dei beni archeologici.
Soltanto , però, lo Stato della Chiesa poteva vantare la più antica
tradizione di norme volte ad impedire la distruzione e la dispersione dei capolavori e delle testimonianze che si raccoglievano a Roma, più che in ogni altro luogo.
Con legge 12 giugno 1902 n. 185, recante disposizioni circa la tutela e al conservazione dei monumenti ed oggetti aventi pregio d'arte e o di antichità , fu stabilito un vincolo di inalienabilità.
La legge 364 del 1909 confermò il vincolo di inalienabilità.
A tale legge fece seguito il regolamento di esecuzione approvato con RD 30 gennaio 1913 n. 363, il quale , all'art. 26 ( tuttora in vigore, ai sensi dell'art. 73 legge 1039 ed ora dlgs. N. 490/99) confermò che le cose di cui all'art. 1 della legge 364/1909 di fabbriceria , di enti morali ecclesiastici di qualsiasi natura sono soggette alla tutela ed alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione .
Il Concordato del 1929 non conteneva alcun riferimento ai beni culturali religiosi, ma stabilì che lo Stato e la Chiesa fossero, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Soltanto nel 1939, con le leggi 1089 e 1497, si registra il primo ed
importante tentativo di dare struttura organica e sistematica alla normativa sul patrimonio culturale e paesaggistico italiano.
L'art. 8 della citata legge n. 1089 ha stabilito che allorché si tratti di cose appartenenti ad enti ecclesiastici , il Ministro… procederà per quanto riguarda le esigenze di culto d'accordo con l'Autorità ecclesiastica
Tali norme avevano un duplice obiettivo: tutelare e valorizzare
i beni e le attività culturali, soprattutto grazie a sovvenzioni e all'uso del credito agevolato, anche se ancora le disposizioni volte a garantire la fruizione e la valorizzazione di detti beni restano in secondo piano rispetto a quelle, ancora predominanti, volte ad assicurare la conservazione, la tutela e l'imposizione di limiti alla circolazione.
Con la Costituzione Repubblicana l'azione dello Stato, tesa a tutelare e a promuovere la cultura, assurge a principio fondamentale della Repubblica.
L' art. 9 non parla di “tutela” dei beni culturali, ma stigmatizza in modo chiaro la “funzione culturale” dello Stato e la salvaguardia degli “interessi inerenti i beni culturali.
La riserva contenuta nell'art. 9 della Costituzione obbliga lo Sato a tutelare il patrimonio artistico della Nazione.
La grande novità della legislazione più recente è segnata però dal passaggio da una normativa sostanzialmente vincolistica (come era quella del 1939), alla configurazione di un ruolo dinamico della politica dei beni culturali,che vuole assicurare la più ampia fruibilità del valore culturale di cui il bene è testimonianza.
Per la prima volta il legislatore accolla allo Stato le spese di
restauro, qualora il proprietario del bene non sia in condizione di sostenerle(legge 1552/1961).
Il carattere centralistico del sistema di tutela del patrimonio artistico storico è emerso , con riferimento ai beni culturali di interesse religioso, anche in occasione dell'attuazione dell'Accordo del 18 febbraio 1984 di revisione del Concordato Lateranense.
Ai sensi dell'art. 12 degli accordi di revisione, la Santa Sede e la Repubblica Italiana , nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico artistico .
L'intesa, alla quale è stata data esecuzione da parte italiana con il d.p.r 26 settembre 1996 n. 571 previde forme di collaborazione tra le due parti, a due livelli.
L'intesa ha dunque preso atto di quanto risultava già dall'assetto interno della Repubblica, ossia che i beni culturali di interesse religioso sono soggetti alla tutela dell'Amministrazione statale.
L'accordo del 1984 è inequivocabile laddove, facendo riferimento all'applicazione della legge italiana, riconosce l'assoggettamento anche di questa species al regime di diritto amministrativo di tutto il genus beni culturali .
Successivamente, il legislatore è intervenuto con un nuovo importante provvedimento introducendo il Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo 490/99), che inserisce, nei procedimenti di costituzione del vincolo, i meccanismi di garanzia e le procedure previste dalla legge 241/90.
Con il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, entrato in vigore il 1 maggio 2004, che sostituisce il Testo Unico D.L.490/90, si vengono ad attuare importanti innovazioni in un 'ottica di revisione di tutta la materia legislativa sui beni culturali disciplinando in maniera organica e sistematica la tutela del patrimonio culturale, patrimonio costituito dall'insieme dei beni aventi caratteristiche storico artistiche e di quelli costituenti espressione dei valori di pregio del paesaggio italiano.
Alla luce di tale breve excursus, non è revocabile in dubbio che i beni culturali, che rivestono anche carattere religioso, costituiscono una particolare species la cui disciplina è determinata dalla rilevanza dell'interesse religioso di cui sono oggetto.
Ai sensi della normativa richiamata ( cfr. DLGS 490/99) , quando si tratti di beni culturali ad interesse religioso , appartenenti ad Enti o istituzioni della Chiesa cattolica, il Ministro e per quanto di competenza le Regioni provvedono , relativamente alle esigenze di culto ,d'accordo con le rispettive Autorità.
In altri termini, tale previsione normativa è intesa a soddisfare , in tema di edifici di culto aventi rilevanza storica ed artistica, un'esigenza di composizione di interessi paraordinati di rilievo costituzionale, quali il reciproco riconoscimento di indipendenza e sovranità tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica e la libertà di culto, da una parte, e la tutela dei beni culturali dall'altra aventi rilevanza costituzionale
Nel caso in specie, fino al 1999, la materia della tutela delle cose di interesse artistico e storico trovava la sua disciplina fondamentale nelle citata legge 1089 /1939.
Disponeva l'art. 6 della predetta normativa che i beni mobili ed immobili di interesse artistico , storico , archeologico, o etnografico, di proprietà pubblica e privata erano soggetti alla vigilanza del Ministero per l'Educazione nazionale (successivamente per la Regione Siciliana l'Assessore ai Beni culturali) .
Precisava l'art. 8 della predetta legge che, qualora si fosse trattato di cose appartenenti ad enti ecclesiastici , il Ministro, limitatamente alle esigenze di culto avrebbe provveduto d'accordo con l'Autorità ecclesiastica.
Specificava ancora l'art, 9 che i Soprintendenti potevano in ogni tempo procedere ad ispezioni, per accertare lo stato di conservazione e custodia delle cose, anche di proprietà privata.
Aggiungevano gli articoli 14 e 15 che il Ministro aveva facoltà di provvedere direttamente alle opere necessarie alle opere necessarie per assicurare la conservazione d impedire il deterioramento dei beni in oggetto.
Poste tali premesse, la prospettazione attorea, a mente della quale l'assoluto ed indiscusso valore storico, architettonico ed artistico del bene de quo, danneggiato dal crollo parziale, ha reso necessario l'intervento dello Stato, appare pienamente recepibile.
Non può , per converso, accettarsi , in quanto non conforme ai criteri ermeneutici di logicità e sistematicità, l'interpretazione delle norme in esame data dalla difesa del S., in base alla quale lo Stato aveva facoltà di provvedere.
Conclusivamente,non può dirsi certo spontaneo l'intervento prestato dallo Stato, nella fattispecie, costituendo, infatti, un atto imprescindibile,obbligatorio e necessario per realizzare il recupero di un gioiello architettonico che sicuramente, per le sue caratteristiche, costituisce un bene unico per l'intera collettività nazionale e per il patrimonio dell'Umanità.
Il Collegio deve ora darsi carico, in via preliminare, di esaminare l'eccezione di prescrizione formulata dal convenuto.
È necessario premettere che, ai sensi dell'art. 1 comma 2 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 (come modificata dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639), il diritto al risarcimento del danno si prescrive <> in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.
La locuzione <>, espressamente introdotta dalla legge 639/96, nel suo significato letterale è equivalente all'avverbio sempre, ed esclude che nella materia possano trovare ingresso disposizioni intese a introdurre termini estintivi diversi da quello quinquennale (in terminis Corte conti sezione terza 14 febbraio 2005 n. 76).
Per completezza espositiva , si osserva, infine, che è inconferente, con riferimento al caso di specie, il terzo comma dell'art. 2947 cod.civ., come evocato dalla Procura - che prevede che “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga , questa si applica anche all'azione civile”.
Sul punto, giova rilevare che, da un canto, in considerazione della sua specialità, la disciplina della prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa dettata dall'art. 1, L. 20/1994 deve considerarsi prevalente sulle disposizioni del codice civile in materia di prescrizione, e, dall'altro, l'art. 2947, terzo comma, cod.civ., si applica, com'è dato evincere dalla lettura coordinata con i precedenti commi primo e secondo, al diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito e, pertanto, all'azione di responsabilità aquiliana, sicchè, evidentemente, l'invocata disposizione normativa non sarebbe, comunque, applicabile all'azione di responsabilità amministrativa, che derivando dalla violazione degli obblighi di servizio, è riconducibile al genus della responsabilità contrattuale.
Ma v'è di più.
Si osserva, infatti, che “ abolito l'art. 3 del codice di procedura penale e introdotta la regola della separazione dell'azione penale e dell'azione di risarcimento ( salvo le ipotesi della costituzione di parte civile nel processo penale e quelle previste dall'art. 75, comma 3, c.p.p.), l'unicità e l'unitarietà giuridica dell'illecito civile e del reato, almeno per gli aspetti qui esaminati, sono venute meno, poiché, non solo l'accertamento giudiziale del fatto può ora essere compiuto, di regola, dal giudice del risarcimento indipendentemente dall'accertamento penale e senza necessità di sospendere il giudizio innanzi a lui pendente, ma anche, e soprattutto, per quanto qui particolarmente interessa, l'oggetto dell'accertamento penale non prevale più sull'accertamento effettuato dal giudice civile (salvi, ovviamente, gli effetti del giudicato penale ex art. 651 ss. C.p.c.) .
Non v'è più ragione, dunque, per continuare a mantenere l'unicità del regime giuridico nel caso di fatto illecito costituente reato e la conseguenziale disciplina giuridica prevista dall'art. 2947, comma 3, c.c..che ha ormai perduto in sostanza il suo significato originario” (In terminis, questa stessa Sezione con sentenza n. 1177/2005 del 20 maggio 2005 ed ancora Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana n. 74/A/2005 del 21 marzo 2005 e n. 31/A/2006 del 20 febbraio 2006 ; n. 89/2006 del 10 aprile 2006; n. 133 del 3 maggio 2007 ; C. Conti, Sez. III, 14/02/2005, n.76).
Ciò premesso, si osserva che i fatti contestati ai fini del giudizio di responsabilità sono gli stessi che spinsero la Procura della Corte dei conti a delegare, con nota n. 93508/Cr/1651 del 20 marzo 1996, il Comando CC tutela patrimonio artistico di Palermo ad effettuare gli accertamenti necessari ed a trasmettere, con nota n. 93508/CR/2877 del 15 maggio 1996, il rapporto informativo all'Autorità Giudiziaria penale di Siracusa.
Pertanto, da tale momento, secondo parte resistente, sarebbe iniziato a decorrere il termine di prescrizione per l'azione di competenza del P.M. contabile.
Orbene, nella fattispecie il danno erariale si è concretizzato ed è divenuto attuale soltanto a seguito dell'assunzione da parte dello Stato , dell'onere finanziario della ricostruzione dell'edificio e della effettiva erogazione dei pagamenti per lo stato di avanzamento dei lavori necessari al ripristino integrale della Cattedrale.
Si tratta dunque di una fattispecie in cui il crollo della cattedrale ha sì recato un danno effettivo all'erario pubblico, costretto ad un intervento assolutamente imprescindibile per la ricostruzione e, tuttavia, il termine prescrizionale dell'azione di responsabilità amministrativa non può farsi decorrere dall'evento naturale o dalle mere opere di ripristino, ma da un momento diverso, posto che il pregiudizio economico per l'erario è divenuto concreto ed attuale in coincidenza con i vari pagamenti dei lavori di ricostruzione del bene danneggiato realizzati nel tempo.
Dalle relazioni trasmesse alla Procura si ricava che la maggior parte dei lavoro e dei connessi pagamenti sono stati effettuati nel quinquennio antecedente alla data di notifica dell'invito a dedurre.
Orbene, non può questo Collegio esimersi dal ricordare che di recente, con sentenza n. 5/2007/QM, le Sezioni Riunite di questa Corte dei conti sul punto dell'esordio del termine prescrizionale, in ipotesi di delibere che comportino pagamenti periodici protratti nel tempo, ha osservato che la giurisprudenza di questa Corte è stata ( rectius, è ) sostanzialmente oscillante fra tre soluzioni:
1) il termine comincerebbe a decorrere dalla data di adozione della delibera (Sez. III, n. 34 del 2006; Sez. d'appello Sicilia n. 66 del 2006); 2) il termine decorrerebbe per l'intero danno dal primo pagamento (Sezioni Riunite n. 3/2003/QM); 3) il termine decorrerebbe autonomamente per ciascun rateo di pagamento effettuato (Sezioni Riunite n. 7/2000/QM).
Ha ricordato ancora che “la giurisprudenza del tutto prevalente - che appare la più consona ai principi di diritto della materia, oltre che la più aderente alla lettera delle norme sopra richiamate - ha, invero, osservato, sotto la vigenza della legge n. 142/1990, che il “fatto”, rilevante per la decorrenza della prescrizione deve essere considerato nel momento in cui viene a compimento la fattispecie illecita costituita dal “fatto colposo” e dal conseguente “evento dannoso”; e ciò in quanto anche in materia di responsabilità amministrativa, affinché il sistema mantenga una sua logica coerenza, non può non valere la regola generale recata dall'art. 2935 cod.civ., secondo cui “la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. In effetti, una lettura che colleghi l'endiadi “commissione del fatto” al mero dispiegarsi della condotta trasgressiva, senza alcun riferimento alle conseguenze dannose che ne sono derivate, condurrebbe all'esito assurdo di dover ritenere che, nella materia della responsabilità amministrativa, la prescrizione inizi a decorrere in un momento in cui, per non essere ancora concreto ed attuale il danno, non sarebbe azionabile alcuna pretesa risarcitoria e la domanda giudiziale in ipotesi proposta dovrebbe essere respinta per insussistenza dell'elemento oggettivo della responsabilità. Quindi, anche sotto la vigenza della legge n. 142 del 1990, doveva affermarsi - come, in effetti, è stato affermato dalla giurisprudenza assolutamente prevalente - che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale decorre dal momento in cui, con il concretizzarsi del danno, viene a completamento la fattispecie illecita produttiva del danno stesso.
A non diverse conclusioni conducono le disposizioni recate dall'art. 1, comma 2, della legge n. 20/1994 che, anzi, proprio per dirimere i dubbi interpretativi indotti dalla formulazione della legge n. 142/1990, nell'individuare il termine di decorrenza del computo prescrizionale abbandona il riferimento alla “commissione del fatto” per riferirsi al “verificarsi del fatto dannoso”; del resto, nella individuazione della valenza precettiva della norma non priva di rilievo è la circostanza che la disposizione richiama espressamente l'elemento oggettivo dell'illecito, laddove prevede che, in caso di occultamento doloso del danno, la prescrizione decorre dalla data della sua scoperta”.
Hanno concluso le predette Sezioni rilevando che “- ai fini della decorrenza della prescrizione - non è sufficiente il compimento della condotta illecita ma di decorrenza della prescrizione può parlarsi solo nel momento in cui la condotta contra ius abbia prodotto l'evento dannoso avente i caratteri della concretezza e della attualità”.
In adesione alle coordinate dettate , nell'ambito della funzioni di nomofilachia assegnate dal Legislatore alle predette Sezioni Riunite, ritiene il Collegio che in ipotesi quale quella di specie, in cui il danno è la sommatoria di pagamenti frazionati nel tempo tutti risalenti ad un unico atto deliberativo o, comunque, ad un'unica manifestazione di volontà, volta al recupero del bene culturale, l'individuazione del dies a quo della prescrizione non può essere effettuata con riguardo al momento in cui è insorto l'obbligo giuridico di pagare.
L'illecito amministrativo-contabile è, infatti, l'esito di una fattispecie complessa che trova il suo compimento quando la condotta antigiuridica abbia prodotto un danno concreto e attuale.
In sostanza, in conformità anche a quanto già affermato dalle Sezioni Riunite nella decisione n. 7 del 2000, rileva quest'organo giudicante che la diminuzione del patrimonio dell'ente danneggiato - assume i caratteri della concretezza e della attualità e diviene irreversibile solo con l'effettivo pagamento; è, quindi, da ogni singolo pagamento - come sostenuto nella progettazione attorea che pienamente si condivide - che decorre il termine di prescrizione.
La prospettata esegesi appare idonea a ritenere in parte qua accoglibile l''eccezione di prescrizione dell'azione di responsabilità sollevata dal difensore del convenuto, con riferimento al pagamento (effettivamente erogato) conseguenziale all'aggiudicazione dell'appalto per la ricostruzione dell'edificio aggiudicata in data 2 giugno 1999 all'ATI società Omissis Spa OMISSIS spa e Omissis Spa .
Senonchè, come previamente osservato, dalle relazioni trasmesse alla Procura contabile, compulsate nel fascicolo processuale, si ricava che la maggior parte dei lavori e dei connessi pagamenti sono stati effettuati nel quinquennio antecedente alla data di notifica dell'invito a dedurre ( con valenza interruttiva ai fini della prescrizione).
L'intervento di ricostruzione della parti crollate e di completo ripristino della funzionalità della chiesa , ha richiesto interventi finanziari calibrati all'importanza storico artistica del plesso, alla consistenza del crollo e della difficoltà tecniche incontrate nell' autorizzazione della varie opere, alla necessità di assicurare la definitiva sicurezza statica della costruzione.
Ne consegue che , con riferimento ai diversi singoli pagamenti effettuati al fine di recuperare il bene architettonico in parola , non risulta maturata la prescrizione.
Esaurite le questioni preliminari , si rammenta, come si evince dagli atti processuali , che con sentenza n. 243/01 del 12 dicembre 2001, il Tribunale di Siracusa, sezione staccata di Avola, condannava il Vescovo ed il S. per il delitto previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.. per aver cagionato , con condotta colpevole, il crollo di parte della cattedrale di Noto, mentre assolveva gli altri imputati.
La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 467/03, assolveva il Vescovo e confermava la condanna nei confronti del S., condannandolo alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, per aver cagionato, per colpa consistita essenzialmente in una totale negligenza, il crollo parziale della Cattedrale di Noto.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5950/06 del 28 ottobre 2005, rigettava il ricorso proposto dal S. condannandolo definitivamente.
E' stata, dunque, definitivamente affermata la colpevolezza di S.F. in ordine al reato previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.. per aver cagionato , con condotta colpevole, il crollo di parte della cattedrale di Noto, fattispecie afferente i medesimi fatti oggetto della controversia de qua.
Orbene, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., soltanto la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento e limitatamente all'accertamento dei fatti nella loro materialità oggettiva, è vincolante per il giudice contabile e civile.
Nella fattispecie che ne occupa, essendo stata pronunciata, a seguito di dibattimento una sentenza, divenuta irrevocabile, affermativa della responsabilità dell'odierno convenuto, per il delitto previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.., trova appunto applicazione l'art. 651 c.p.p. precedentemente evocato, a mente del quale la sentenza di condanna ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno (giudizio di responsabilità amministrativa).
Ai sensi della precitata disposizione normativa, dunque,l'efficacia vincolante del giudicato penale di condanna va considerata di portata assoluta in ordine all'accertamento della materialità dei fatti che hanno formato oggetto del giudizio e della loro valenza e qualificazione penale sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, comprensivo, quindi, della condotta, dell'evento e del nesso di causalità materiale (C. Conti Sicilia, sez. giurisdiz., 20/03/2001, n.29).
L'efficacia vincolante del giudicato penale è, quindi, limitata ai fatti (comprensivi della condotta , dell'evento e del nesso di causalità materiale) assunti a presupposto logico- giuridico della pronuncia penale, restando preclusa al giudice contabile ogni statuizione che venga a collidere con i presupposti, e le risultanze di detto pronunciamento ( C.conti, sez. I, 22 luglio 1993, n. 117).
Se così è, attesa l'inequivocabile formulazione della norma, non è contestabile che il S. debba considerarsi responsabile del danno erariale contestato.
Le risultanze processuali, peraltro, al di là dell'assorbente considerazione, non lasciano dubbio alcuno sulla responsabilità dell'odierno prevenuto per la fattispecie contestata.
La pronuncia emessa dal Giudice penale, infatti, ha messo in luce come la condotta gravemente colposa addebitata al S. non sia stata quella del mancato intervento diretto alla omessa realizzazione dei lavori necessari per evitare l'evento dannoso, ma quella di essersi disinteressato del tutto , con inerzia colpevole, di una situazione della quale era a conoscenza, sottovalutando il pericolo relativo .
Il S. infatti, proprio per l'improvviso aggravarsi della situazione statica dell'edificio della Chiesa Madre, aveva disposto nel 1992 l'apposizione dei fessurimetri alle murature e successivamente aveva avuto ripetuti incontri con i professionisti incaricati dal Vescovo, che gli avevano esternato le loro preoccupazioni, ed era certamente a conoscenza della situazione pericolosa , che preludeva al crollo.
La previsione normativa di finanziamenti per i professionisti incaricati dalla Curia, ai sensi della legge n. 433/99, non poteva certamente esonerarlo dagli obblighi derivanti dalla funzione esercitata.
Nel merito, pertanto, Collegio ritiene che,nella fattispecie,sussistano tutti i presupposti necessari per affermare la responsabilità amministrativa del convenuto.
Sussiste,infatti, il danno erariale in quanto i pagamenti effettuati nel tempo per il ripristino del prestigioso bene culturale, ossia la Cattedrale di Noto, hanno costituito un ingiusto depauperamento per l'Erario.
Sussiste,inoltre,il nesso di causalità tra il comportamento del S. e il danno, risultando provato dagli atti del predetto processo penale,conclusosi con sentenza penale passata in giudicato,che costui contribuì a cagionare , per colpa consistita in una totale negligenza, il crollo parziale della Cattedrale di Noto.
Sussiste infine l'elemento subiettivo come accertato, del resto, dal giudice penale con sentenza passata in giudicato.
Alla luce della valutazioni così esposte, sussistono tutti i presupposti per l'affermazione della responsabilità del convenuto.
Passando ad esaminare quanto del danno debba essere risarcito, si osserva che l'ammontare complessivo degli accreditamenti in favore del Commissario Straordinario per la ricostruzione ed il restauro della Cattedrale S. Nicolò di Noto è stato di € 31.868.462,84, al marzo 2007, mentre i pagamenti effettuati , alla stessa epoca risultano essere pari a € 25.388.326,70.
Come peraltro rilevato dalla parte pubblica, l'entità del danno trascende ogni ragionevole capacità risarcitoria del responsabile ed impone l'utilizzo di un criterio di quantificazione equilibrato e ponderato, calibrato ai fatti contestati e alle condizioni economiche del soggetto chiamato a rispondere del danno medesimo.
In tale senso pienamente condivisibili sono i richiami operati dalla Procura alle coordinate tracciate dalla Corte costituzionale , con la sentenza n. 371 del 1988, la quale relativamente alla disciplina della responsabilità amministrativa contenuta nella legge n.. 20 del 14 gennaio 1994, ha individuato e tracciato la peculiare natura dell' istituto della responsabilità amministrativa, in linea con la nuova conformazione dell'ordinamento del pubblico impiego.
Infatti, la Corte ha evidenziato la circostanza che l'istituto della responsabilità amministrativa costituisce la combinazione di elementi restitutori e di deterrenza e corrisponde alle finalità di determinare quanto del rischio dell'attività debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico del dipendente , nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva delle responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo.
Tenuto conto di tali indicazioni ed in applicazione del potere riduttivo dell'addebito attribuito dal legislatore alla Corte dei conti previsto dagli articoli 83, primo comma, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e 52, secondo comma, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, considerando la complessità e la difficoltà delle attività che dovevano essere svolte, e non ultimo l'efficacia concausale ed agevolativa di altri soggetti, la cui condotta è stata ritenuta esente, però, da colpa nell'ambito del giudizio penale, ritiene quest'organo giudicante che il convenuto vada condannato al pagamento in favore della Presidenza del Consiglio e, per essa , al Dipartimento della Protezione civile, della somma di € 150.000,00 ( Euro centocinquantamila ).
Alla condanna per la sorte capitale fa seguito quella ulteriore per rivalutazione monetaria ed interessi legali.
La condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti,Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, in parziale adesione alla richiesta attorea condanna il sig. S.F. al pagamento,in favore della Presidenza del Consiglio e, per essa , al Dipartimento della Protezione civile della somma di € 150.000,00 ( Euro centocinquantamila), oltre rivalutazione monetaria della medesima, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT, dalla data del suo effettivo esborso da parte della P.A. sino alla pubblicazione della presente sentenza, ed agli interessi legali sulle somme così rivalutate da quest'ultima data sino al soddisfo.
Condanna, altresì, il predetto convenuto al pagamento in favore dello Stato delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessive € 209,20 (euro duecentonove/20).
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 27 settembre 2007.
L'estensore Il Presidente ff.
F.to Guido Petrigni F.to Pino Zingale
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 8 gennaio 2008
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai magistrati:
Dott. Pino Zingale Presidente ff.
Dott. Valter Del Rosario Consigliere
Dott. Guido Petrigni Primo Referendario relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 47055 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di S.F. , nato a xxx, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giovanni Pitruzzella, e dagli avv.ti Stefano Polizzotto e Umberto Di Giovanni e domiciliato presso lo studio del primo in Palermo, Via Nunzio Morello n. 40.
Esaminati gli atti e documenti di causa.
Uditi, alla pubblica udienza del 27 settembre 2007, il relatore, dott. Guido Petrigni ,il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale, Tommaso Brancato e l'avvocato Stefano Polizzotto per il convenuto.
FATTO
Alle ore 22,10 del 13 marzo 1996 si verificava il crollo parziale della Chiesa Madre San Nicolò di Noto.
A seguito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Siracusa, venivano rinviati a giudizio l'ingegnere capo dell'Ufficio del Genio civile, e quello dell'Ufficio tecnico del Comune di Noto, il Vescovo della Diocesi di Noto e l'architetto S., nella qualità, quest'ultimo, di dirigente tecnico presso la Soprintendenza di Siracusa dall'11 novembre 1987 e direttore della Sezione paesaggistica architettonica e urbanistica dal 13 luglio 1992 fino alla data del crollo della chiesa.
Con sentenza n. 243/01 del 12 dicembre 2001, il Tribunale di Siracusa, sezione staccata di Avola, condannava il Vescovo ed il S. per il delitto previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.. per aver cagionato , con condotta colpevole, il crollo di parte della cattedrale di Noto, mentre assolveva gli altri imputati.
La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 467/03 assolveva il Vescovo e confermava la condanna nei confronti del S. condannandolo alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per aver cagionato, per colpa consistita essenzialmente in una totale negligenza, il crollo parziale della Cattedrale di Noto.
La Corte di Cassazione , con sentenza n. 5950/06 del 28 ottobre 2005, rigettava il ricorso proposto dal S. condannandolo definitivamente.
Con invito a dedurre del 7 novembre 2006 il Procuratore regionale della Corte dei Conti per la regione Siciliana ha contestato, all'odierno convenuto, il danno erariale conseguente al crollo, quantificandolo in € 13.474.455,32, in misura corrispondente all'importo dell'aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione delle opere per il ripristino dell'edificio e delle parti interne danneggiate dal crollo stesso.
Assume parte attrice che l'evento naturale del crollo non ha avuto in se stesso un immediato e diretto effetto lesivo del patrimonio pubblico , bensì limitato a quello della Curia.
Tuttavia, l'assoluto ed indiscusso valore storico, architettonico ed artistico del gioiello barocco, danneggiato dal crollo parziale, ha reso necessario l'intervento finanziario dello Stato per realizzare il recupero, altrimenti impossibile, di un immobile che, per le sue caratteristiche, rappresenta un bene unico per l'intera collettività nazionale e per lo stesso patrimonio dell'Umanità .
Secondo la Procura, dunque, il danno erariale si sarebbe concretizzato e sarebbe divenuto attuale soltanto a seguito dell'assunzione, da parte dello Stato, dell'onere finanziario della ricostruzione dell'edificio e della effettiva erogazione dei pagamenti per lo stato di avanzamento dei lavori necessari al ripristino integrale della Cattedrale.
Il Pubblico Ministero contabile ha, dunque, ipotizzato una particolare fattispecie di danno “ a formazione progressiva” in relazione alle spese sostenute a carico del bilancio pubblico nel tempo, dal momento dell'avvio dei lavori fino al completamento definitivo delle opere previsto, allo stato, per il 31 marzo 2007.
Alla luce di tale configurazione parte attrice ha osservato che:
• il crollo della Cattedrale ha causato un danno effettivo all'erario pubblico, costretto ad un intervento assolutamente necessario di ricostruzione, altrimenti non realizzabile;
• il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa non può decorrere dall'evento naturale o dall'inizio delle opere di ripristino, ma da un diverso momento, atteso che il pregiudizio economico per l'erario è divenuto concreto ed attuale in coincidenza con i vari pagamenti effettuati nel quinquennio antecedente alla data di notifica dell'invito a dedurre;
• in ogni caso , in base all'art. 2947, comma terzo, il termine di prescrizione decorre dal momento della conclusione del giudizio penale e dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna del S..
Ha aggiunto parte attorea che l'illecito contabile contestato all'odierno convenuto è identico, sotto il profilo dell'individuazione della condotta antigiuridica, dell'evento dannoso, del nesso di causalità e dell'elemento della colpa grave, all'illecito penale con sentenza passata in giudicato.
La responsabilità dell'odierno convenuto è stata ritenuta in base alla accertata sussistenza di alcuni elementi fondamentali, che per la definitività della sentenza di condanna, hanno immediata valenza probatoria in questa sede giurisdizionale.
Ha evidenziato il PM che il S., nella qualità di dirigente tecnico in servizio presso la Soprintendenza di Siracusa, aveva specifici obblighi di servizio, compreso il potere-dovere di intervento e di controllo, ai fini della salvaguardia, sui beni di valore storico e artistico, pubblici o privati.
Tale obbligo di servizio sussisterebbe in ogni caso, in capo al direttore tecnico della Soprintendenza, a prescindere dall'appartenenza del bene ad un ente pubblico ovvero ad un privato, atteso che ciò che vincola alla vigilanza ed all'intervento della Soprintendenza è il carattere di interesse artistico e storico.
Nel procedimento penale è emerso che la causa del crollo è stata individuata nel collasso del quarto pilastro, lato destro, che versava in condizioni di maggiore precarietà rispetto agli altri per l'indebolimento dovuto al taglio della muratura per creare il passaggio al pulpito, e per essere posizionato in corrispondenza della cupola.
L'organo inquirente ha poi messo in luce che:
• il S. era consapevole della pericolosità statica della Cattedrale e, in particolare, del grave dissesto dei pilastri della navata di destra, acuitosi dopo il terremoto del 1990, avendo personalmente constatato, in occasione di un sopralluogo avvenuto il 18 febbraio 1992;
• nel corso di un'altra verifica effettuata il mese successivo, l'odierno convenuto aveva constatato il distacco di intonaci e lesioni verticali sui lati su e nord della chiesa, oltre alla sconnessione di alcuni conci;
• la condizione di instabilità strutturale dell'edificio era nota al S. anche per i diversi incontri con i professionisti nominati dalla Curia, che gli avevano sottoposto documenti grafici e gli esiti di accertamenti preliminari, nei quali veniva chiaramente palesata la situazione di grave pericolo per la staticità dell'edificio;
• se l'odierno convenuto avesse eseguito i necessari controlli e le ispezioni doverosi per la specifica mansione ricoperta , e non avesse trascurato che le fessurazioni si andavano moltiplicando progressivamente dopo le scosse di terremoto, lo stesso si sarebbe reso conto della pericolosità della situazione ed avrebbe dovuto adottare tutte le iniziative idonee ad evitare il crollo.
Nell'affermare la responsabilità penale del direttore della sezione architettonica ed urbanistica, i Giudici penali hanno espresso la convinzione dell'evitabilità dell'evento meditante una condotta del S. , diversa da quella omissiva tenuta nel caso di specie e conforme ai canoni di diligenza richiesti dalla constatata situazione di grave pericolo .
Uno specifico livello di attenzione era richiesto al S., non solo per la straordinaria importanza del monumento, quale simbolo dello stile barocco in Val di Noto, ma anche in considerazione dei particolari rischi che la precaria condizione statica della Cattedrale comportava per le persone e per le cose.
Il S. è stato ritenuto colpevole per non essersi attivato e per non aver adottato le misure di sua competenza, in modo da evitare l'evento.
Ha poi precisato l'organo che procede che, dalla sentenza passata in giudicato, è emerso che la condotta gravemente colposa addebitata al S. non è stata quella del mancato intervento diretto e della omessa realizzazione dei lavori necessari per evitare l'evento disastroso, bensì quella di essersi del tutto disinteressato con colpevole inerzia , di una situazione della quale era a conoscenza, sottovalutando lo stato di pericolo.
Secondo la prospettazione attorea, la condotta negligente individuata nel giudizio penale mostra tutti i caratteri necessari per potere imputare la responsabilità amministrativa per colpa cosciente all'odierno convenuto e, in ogni caso, l'accertamento dei fatti, nei termini e con le relative qualificazioni da parte del giudice penale, presenta efficacia decisiva ai fini dell'azione di responsabilità amministrativa, attesa la perfetta coincidenza tra la fattispecie oggetto del procedimento penale e quella del presente giudizio.
L'intervento di ricostruzione delle parti crollate e del completo ripristino della funzionalità della chiesa ha richiesto interventi finanziari adeguati alla rilevanza storico artistica dell'edificio , alla consistenza del crollo ,alle difficoltà tecniche incontrate nella realizzazione delle varie opere, alla necessità di assicurare la definitiva sicurezza statica dell' intera costruzione.
L'ammontare complessivo degli accreditamenti a favore del Commissario straordinario per la ricostruzione ed il restauro della Cattedrale di Noto è stato di € 31.868.462,84, mentre i pagamenti effettuati alla stessa epoca, risultano essere pari a € 25.388.326,70.
Sul punto il PM ha rilevato che già con l'invito a dedurre il danno era stato ragionevolmente quantificato in € 13.474.455,00, pari all'importo dell'aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione delle opere da parte dell'aggiudicataria Associazione temporanea d'impresa costituita dalla società Omissis S.P.A., capogruppo, OMISSIS S.p.A. e Omissis S.P.A.. mandanti , tutte di Roma, il cui contratto è stato stipulato nell'ottobre 1999- escludendo le spese sostenute nel corso della realizzazione dei lavori e quelle successivamente effettuate sino alla data dell'atto di citazione.
Parte attrice ha, poi, soggiunto che l'importo dei lavori per la ricostruzione e per il ripristino della Cattedrale ha compreso specifici interventi diretti ad assicurare staticità ad una parte consistente dell'edificio, indipendentemente dalle finalità di ripristino delle strutture danneggiate.
Ha, altresì, precisato che il criterio di imputazione del danno non può non tener conto della mancanza di proporzione esistente tra la situazione patrimoniale del soggetto chiamato al risarcimento e l'importo finanziario sostenuto dallo Stato a seguito del crollo causato dalla condotta antigiuridica accertata in sede penale nei confronti del S..
Per tale ragione la Procura, tenendo in debita considerazione i principi espressi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 371 del 1998, ha ritenuto di dover limitare la richiesta risarcitoria all'importo di € 500.000,00 (comprensivo di rivalutazione monetaria e di interessi legali), oltre alle spese del giudizio, e ha evocato in giudizio l'odierno convenuto perché sia condannato alla refusione della somma così quantificata in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per essa, al dipartimento della Protezione civile.
Con memoria difensiva depositata in data 6 settembre 2007 , il convenuto si è costituito in giudizio osservando, in punto di fatto, che :
• il bene su cui è intervenuto lo Stato è di proprietà privata, precisamente della Curia, e l'intervento dell'Amministrazione è stato spontaneo e dunque non vi sarebbe danno risarcibile;
• a seguito del sisma del 1990, che colpì l'intera provincia di Siracusa, l'Assessore Regionale per i Beni Culturali effettuò un sopralluogo presso la Cattedrale di Noto escludendo rischi immediati di crollo;
• successivamente, a seguito di una richiesta di intervento da parte del Parroco della Cattedrale, fu effettuato un altro sopralluogo per verificare la staticità del quarto pilastro della navata destra della chiesa;
• con ordinanza n. 4551 del 21 febbraio 1992 il Sindaco di Noto ordinava la l'inagibilità provvisoria della Chiesa Cattedrale con consequenziale chiusura al Culto fino all'effettuazione degli interventi ritenuti necessari;
• effettuati in via di urgenza gli interventi previsti, il Genio civile in data 28 febbraio 1992, comunicava a tutti gli enti interessati di aver provveduto all'esecuzione delle opere necessarie per l'eliminazione delle condizioni di pericolo e la Chiesa Cattedrale veniva riaperta al culto il 29 febbraio 1992.;
• la cerchiatura dei pilastri realizzata dal Genio civile, se da un lato eliminava le condizioni di pericolo per la staticità della chiesa , dall'altro produceva l'occultamento dei fessurimetri apposti dall'architetto S. ai 10 pilastri, in modo che nei sopralluoghi successivi, gli stessi non erano più visibili, eccetto uno che, sino al crollo, non aveva palesato alcun segno di aggravamento rispetto al pilastro nel quale era stato collocato;
• contrariamente a quanto si afferma nella sentenza della Cassazione, secondo cui il S. avrebbe potuto monitorare la situazione dei pilastri della Cattedrale con i fessurimetri posizionati dallo stesso , invero il predetto, a causa degli interventi effettuati dal Genio civile, non era più nelle condizioni di poter compiere il monitoraggio a cui si allude;
• fu il S. , con nota prot. 787 del16 febbraio 1993 a sollecitare l'Assessorato Regionale BB.CC.AA: ed il Comune di Noto ad autorizzare un intervento per le opere provvisionali e per l'effettuazione di indagini preliminari alla redazione di un progetto di restauro definitivo, al fine di individuare gli interventi da eseguire;
• in seguito alla effettuazione dei lavori di cerchiatura da parte del Genio Civile, non evidenziandosi situazioni di pericolo, il crollo avvenne in modo improvviso ed imprevedibile;
• il crollo fu provocato da cause congenite risalenti alla concezione progettuale e alla tecnica costruttiva e dall'improvviso aggravarsi delle lesioni cagionate dal terremoto del 1990 e dunque il S. , nell'ambito delle proprie competenze svolse il proprio obbligo di conservazione prima e di vigilanza poi .
In punto di diritto , la difesa del convenuto ha osservato, in via preliminare, che nel caso di specie si è dinanzi ad un finanziamento spontaneamente erogato dallo Stato per la ricostruzione di un bene privato, di proprietà della Curia, per il quale difettano i presupposti del danno erariale diretto o indiretto.
Sempre in via preliminare, la difesa ha eccepito la prescrizione, osservando che il termine iniziale, nel caso in esame, non può che farsi decorrere dalla data del crollo della Cattedrale Duomo ( 13 marzo 1996) e della contestuale comunicazione effettuata alla Procura contabile che iniziò l'istruttoria contabile già nel marzo del 1996; l'azione sarebbe egualmente prescritta ove, per individuare il fatto dannoso, si volesse aver riguardo al momento in cui si è realizzato un pregiudizio economico , concreto ed attuale per l'erario, ossia nel momento in cui l'appalto è stato aggiudicato in data 2 giugno 1999 ed il relativo contratto è stato stipulato in data 8 ottobre 1999.
Soggiunge la difesa che certamente non applicabile appare il disposto di cui all'art. 2947,comma terzo c.c.. alla luce di un chiaro e pacifico orientamento giurisprudenziale.
Peraltro, ha osservato ancora parte convenuta, nel caso di specie, la Procura regionale della Corte dei Conti era a conoscenza dei fatti, in ordine ai quali delegò il Comando CC tutela patrimonio artistico di Palermo ad effettuare gli accertamenti necessari e, facendo seguito alle predette indagini, sempre la medesima Procura con nota n. 93508/CR/2877 del 15 maggio 1996 inviò il rapporto informativo relativo ai fatti in parola all'Autorità Giudiziaria di Siracusa: da quella data la Procura era a conoscenza dei fatti e da quella data è cominciata a decorrere la prescrizione, ai sensi dell'art. 1,comma 2, legge 14 gennaio 1994.
La difesa del convenuto ,infine, ha rilevato che il comportamento del S. sicuramente non può configurare una condotta antidoverosa o un'inescusabile negligenza o superficialità e ha concluso , in linea assolutamente subordinata , perché vengano tenute in considerazione tutte le circostanze oggettive e soggettive per un'ampia riduzione del danno addebitabile. .
All' odierna udienza dibattimentale le parti intervenute hanno ulteriormente sviluppato le argomentazioni compendiate negli atti scritti.
DIRITTO
In via preliminare quest'organo giudicante deve darsi carico di scrutinare la preliminare doglianza mossa dal convenuto, secondo la quale, nel caso di specie, si sarebbe innanzi ad un finanziamento spontaneamente erogato dallo Stato per la ricostruzione di un bene privato, di proprietà della Curia, per il quale difetterebbero i presupposti del danno erariale diretto o indiretto.
Giova al riguardo rammentare, con un rapido excursus storico e normativo, che già nell'Italia preunitaria quasi tutti gli Stati avevano emanato norme più meno organiche sulla tutela delle antichità, delle opere d'arte e dei beni archeologici.
Soltanto , però, lo Stato della Chiesa poteva vantare la più antica
tradizione di norme volte ad impedire la distruzione e la dispersione dei capolavori e delle testimonianze che si raccoglievano a Roma, più che in ogni altro luogo.
Con legge 12 giugno 1902 n. 185, recante disposizioni circa la tutela e al conservazione dei monumenti ed oggetti aventi pregio d'arte e o di antichità , fu stabilito un vincolo di inalienabilità.
La legge 364 del 1909 confermò il vincolo di inalienabilità.
A tale legge fece seguito il regolamento di esecuzione approvato con RD 30 gennaio 1913 n. 363, il quale , all'art. 26 ( tuttora in vigore, ai sensi dell'art. 73 legge 1039 ed ora dlgs. N. 490/99) confermò che le cose di cui all'art. 1 della legge 364/1909 di fabbriceria , di enti morali ecclesiastici di qualsiasi natura sono soggette alla tutela ed alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione .
Il Concordato del 1929 non conteneva alcun riferimento ai beni culturali religiosi, ma stabilì che lo Stato e la Chiesa fossero, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Soltanto nel 1939, con le leggi 1089 e 1497, si registra il primo ed
importante tentativo di dare struttura organica e sistematica alla normativa sul patrimonio culturale e paesaggistico italiano.
L'art. 8 della citata legge n. 1089 ha stabilito che allorché si tratti di cose appartenenti ad enti ecclesiastici , il Ministro… procederà per quanto riguarda le esigenze di culto d'accordo con l'Autorità ecclesiastica
Tali norme avevano un duplice obiettivo: tutelare e valorizzare
i beni e le attività culturali, soprattutto grazie a sovvenzioni e all'uso del credito agevolato, anche se ancora le disposizioni volte a garantire la fruizione e la valorizzazione di detti beni restano in secondo piano rispetto a quelle, ancora predominanti, volte ad assicurare la conservazione, la tutela e l'imposizione di limiti alla circolazione.
Con la Costituzione Repubblicana l'azione dello Stato, tesa a tutelare e a promuovere la cultura, assurge a principio fondamentale della Repubblica.
L' art. 9 non parla di “tutela” dei beni culturali, ma stigmatizza in modo chiaro la “funzione culturale” dello Stato e la salvaguardia degli “interessi inerenti i beni culturali.
La riserva contenuta nell'art. 9 della Costituzione obbliga lo Sato a tutelare il patrimonio artistico della Nazione.
La grande novità della legislazione più recente è segnata però dal passaggio da una normativa sostanzialmente vincolistica (come era quella del 1939), alla configurazione di un ruolo dinamico della politica dei beni culturali,che vuole assicurare la più ampia fruibilità del valore culturale di cui il bene è testimonianza.
Per la prima volta il legislatore accolla allo Stato le spese di
restauro, qualora il proprietario del bene non sia in condizione di sostenerle(legge 1552/1961).
Il carattere centralistico del sistema di tutela del patrimonio artistico storico è emerso , con riferimento ai beni culturali di interesse religioso, anche in occasione dell'attuazione dell'Accordo del 18 febbraio 1984 di revisione del Concordato Lateranense.
Ai sensi dell'art. 12 degli accordi di revisione, la Santa Sede e la Repubblica Italiana , nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico artistico .
L'intesa, alla quale è stata data esecuzione da parte italiana con il d.p.r 26 settembre 1996 n. 571 previde forme di collaborazione tra le due parti, a due livelli.
L'intesa ha dunque preso atto di quanto risultava già dall'assetto interno della Repubblica, ossia che i beni culturali di interesse religioso sono soggetti alla tutela dell'Amministrazione statale.
L'accordo del 1984 è inequivocabile laddove, facendo riferimento all'applicazione della legge italiana, riconosce l'assoggettamento anche di questa species al regime di diritto amministrativo di tutto il genus beni culturali .
Successivamente, il legislatore è intervenuto con un nuovo importante provvedimento introducendo il Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo 490/99), che inserisce, nei procedimenti di costituzione del vincolo, i meccanismi di garanzia e le procedure previste dalla legge 241/90.
Con il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, entrato in vigore il 1 maggio 2004, che sostituisce il Testo Unico D.L.490/90, si vengono ad attuare importanti innovazioni in un 'ottica di revisione di tutta la materia legislativa sui beni culturali disciplinando in maniera organica e sistematica la tutela del patrimonio culturale, patrimonio costituito dall'insieme dei beni aventi caratteristiche storico artistiche e di quelli costituenti espressione dei valori di pregio del paesaggio italiano.
Alla luce di tale breve excursus, non è revocabile in dubbio che i beni culturali, che rivestono anche carattere religioso, costituiscono una particolare species la cui disciplina è determinata dalla rilevanza dell'interesse religioso di cui sono oggetto.
Ai sensi della normativa richiamata ( cfr. DLGS 490/99) , quando si tratti di beni culturali ad interesse religioso , appartenenti ad Enti o istituzioni della Chiesa cattolica, il Ministro e per quanto di competenza le Regioni provvedono , relativamente alle esigenze di culto ,d'accordo con le rispettive Autorità.
In altri termini, tale previsione normativa è intesa a soddisfare , in tema di edifici di culto aventi rilevanza storica ed artistica, un'esigenza di composizione di interessi paraordinati di rilievo costituzionale, quali il reciproco riconoscimento di indipendenza e sovranità tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica e la libertà di culto, da una parte, e la tutela dei beni culturali dall'altra aventi rilevanza costituzionale
Nel caso in specie, fino al 1999, la materia della tutela delle cose di interesse artistico e storico trovava la sua disciplina fondamentale nelle citata legge 1089 /1939.
Disponeva l'art. 6 della predetta normativa che i beni mobili ed immobili di interesse artistico , storico , archeologico, o etnografico, di proprietà pubblica e privata erano soggetti alla vigilanza del Ministero per l'Educazione nazionale (successivamente per la Regione Siciliana l'Assessore ai Beni culturali) .
Precisava l'art. 8 della predetta legge che, qualora si fosse trattato di cose appartenenti ad enti ecclesiastici , il Ministro, limitatamente alle esigenze di culto avrebbe provveduto d'accordo con l'Autorità ecclesiastica.
Specificava ancora l'art, 9 che i Soprintendenti potevano in ogni tempo procedere ad ispezioni, per accertare lo stato di conservazione e custodia delle cose, anche di proprietà privata.
Aggiungevano gli articoli 14 e 15 che il Ministro aveva facoltà di provvedere direttamente alle opere necessarie alle opere necessarie per assicurare la conservazione d impedire il deterioramento dei beni in oggetto.
Poste tali premesse, la prospettazione attorea, a mente della quale l'assoluto ed indiscusso valore storico, architettonico ed artistico del bene de quo, danneggiato dal crollo parziale, ha reso necessario l'intervento dello Stato, appare pienamente recepibile.
Non può , per converso, accettarsi , in quanto non conforme ai criteri ermeneutici di logicità e sistematicità, l'interpretazione delle norme in esame data dalla difesa del S., in base alla quale lo Stato aveva facoltà di provvedere.
Conclusivamente,non può dirsi certo spontaneo l'intervento prestato dallo Stato, nella fattispecie, costituendo, infatti, un atto imprescindibile,obbligatorio e necessario per realizzare il recupero di un gioiello architettonico che sicuramente, per le sue caratteristiche, costituisce un bene unico per l'intera collettività nazionale e per il patrimonio dell'Umanità.
Il Collegio deve ora darsi carico, in via preliminare, di esaminare l'eccezione di prescrizione formulata dal convenuto.
È necessario premettere che, ai sensi dell'art. 1 comma 2 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 (come modificata dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639), il diritto al risarcimento del danno si prescrive <> in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.
La locuzione <>, espressamente introdotta dalla legge 639/96, nel suo significato letterale è equivalente all'avverbio sempre, ed esclude che nella materia possano trovare ingresso disposizioni intese a introdurre termini estintivi diversi da quello quinquennale (in terminis Corte conti sezione terza 14 febbraio 2005 n. 76).
Per completezza espositiva , si osserva, infine, che è inconferente, con riferimento al caso di specie, il terzo comma dell'art. 2947 cod.civ., come evocato dalla Procura - che prevede che “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga , questa si applica anche all'azione civile”.
Sul punto, giova rilevare che, da un canto, in considerazione della sua specialità, la disciplina della prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa dettata dall'art. 1, L. 20/1994 deve considerarsi prevalente sulle disposizioni del codice civile in materia di prescrizione, e, dall'altro, l'art. 2947, terzo comma, cod.civ., si applica, com'è dato evincere dalla lettura coordinata con i precedenti commi primo e secondo, al diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito e, pertanto, all'azione di responsabilità aquiliana, sicchè, evidentemente, l'invocata disposizione normativa non sarebbe, comunque, applicabile all'azione di responsabilità amministrativa, che derivando dalla violazione degli obblighi di servizio, è riconducibile al genus della responsabilità contrattuale.
Ma v'è di più.
Si osserva, infatti, che “ abolito l'art. 3 del codice di procedura penale e introdotta la regola della separazione dell'azione penale e dell'azione di risarcimento ( salvo le ipotesi della costituzione di parte civile nel processo penale e quelle previste dall'art. 75, comma 3, c.p.p.), l'unicità e l'unitarietà giuridica dell'illecito civile e del reato, almeno per gli aspetti qui esaminati, sono venute meno, poiché, non solo l'accertamento giudiziale del fatto può ora essere compiuto, di regola, dal giudice del risarcimento indipendentemente dall'accertamento penale e senza necessità di sospendere il giudizio innanzi a lui pendente, ma anche, e soprattutto, per quanto qui particolarmente interessa, l'oggetto dell'accertamento penale non prevale più sull'accertamento effettuato dal giudice civile (salvi, ovviamente, gli effetti del giudicato penale ex art. 651 ss. C.p.c.) .
Non v'è più ragione, dunque, per continuare a mantenere l'unicità del regime giuridico nel caso di fatto illecito costituente reato e la conseguenziale disciplina giuridica prevista dall'art. 2947, comma 3, c.c..che ha ormai perduto in sostanza il suo significato originario” (In terminis, questa stessa Sezione con sentenza n. 1177/2005 del 20 maggio 2005 ed ancora Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana n. 74/A/2005 del 21 marzo 2005 e n. 31/A/2006 del 20 febbraio 2006 ; n. 89/2006 del 10 aprile 2006; n. 133 del 3 maggio 2007 ; C. Conti, Sez. III, 14/02/2005, n.76).
Ciò premesso, si osserva che i fatti contestati ai fini del giudizio di responsabilità sono gli stessi che spinsero la Procura della Corte dei conti a delegare, con nota n. 93508/Cr/1651 del 20 marzo 1996, il Comando CC tutela patrimonio artistico di Palermo ad effettuare gli accertamenti necessari ed a trasmettere, con nota n. 93508/CR/2877 del 15 maggio 1996, il rapporto informativo all'Autorità Giudiziaria penale di Siracusa.
Pertanto, da tale momento, secondo parte resistente, sarebbe iniziato a decorrere il termine di prescrizione per l'azione di competenza del P.M. contabile.
Orbene, nella fattispecie il danno erariale si è concretizzato ed è divenuto attuale soltanto a seguito dell'assunzione da parte dello Stato , dell'onere finanziario della ricostruzione dell'edificio e della effettiva erogazione dei pagamenti per lo stato di avanzamento dei lavori necessari al ripristino integrale della Cattedrale.
Si tratta dunque di una fattispecie in cui il crollo della cattedrale ha sì recato un danno effettivo all'erario pubblico, costretto ad un intervento assolutamente imprescindibile per la ricostruzione e, tuttavia, il termine prescrizionale dell'azione di responsabilità amministrativa non può farsi decorrere dall'evento naturale o dalle mere opere di ripristino, ma da un momento diverso, posto che il pregiudizio economico per l'erario è divenuto concreto ed attuale in coincidenza con i vari pagamenti dei lavori di ricostruzione del bene danneggiato realizzati nel tempo.
Dalle relazioni trasmesse alla Procura si ricava che la maggior parte dei lavoro e dei connessi pagamenti sono stati effettuati nel quinquennio antecedente alla data di notifica dell'invito a dedurre.
Orbene, non può questo Collegio esimersi dal ricordare che di recente, con sentenza n. 5/2007/QM, le Sezioni Riunite di questa Corte dei conti sul punto dell'esordio del termine prescrizionale, in ipotesi di delibere che comportino pagamenti periodici protratti nel tempo, ha osservato che la giurisprudenza di questa Corte è stata ( rectius, è ) sostanzialmente oscillante fra tre soluzioni:
1) il termine comincerebbe a decorrere dalla data di adozione della delibera (Sez. III, n. 34 del 2006; Sez. d'appello Sicilia n. 66 del 2006); 2) il termine decorrerebbe per l'intero danno dal primo pagamento (Sezioni Riunite n. 3/2003/QM); 3) il termine decorrerebbe autonomamente per ciascun rateo di pagamento effettuato (Sezioni Riunite n. 7/2000/QM).
Ha ricordato ancora che “la giurisprudenza del tutto prevalente - che appare la più consona ai principi di diritto della materia, oltre che la più aderente alla lettera delle norme sopra richiamate - ha, invero, osservato, sotto la vigenza della legge n. 142/1990, che il “fatto”, rilevante per la decorrenza della prescrizione deve essere considerato nel momento in cui viene a compimento la fattispecie illecita costituita dal “fatto colposo” e dal conseguente “evento dannoso”; e ciò in quanto anche in materia di responsabilità amministrativa, affinché il sistema mantenga una sua logica coerenza, non può non valere la regola generale recata dall'art. 2935 cod.civ., secondo cui “la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. In effetti, una lettura che colleghi l'endiadi “commissione del fatto” al mero dispiegarsi della condotta trasgressiva, senza alcun riferimento alle conseguenze dannose che ne sono derivate, condurrebbe all'esito assurdo di dover ritenere che, nella materia della responsabilità amministrativa, la prescrizione inizi a decorrere in un momento in cui, per non essere ancora concreto ed attuale il danno, non sarebbe azionabile alcuna pretesa risarcitoria e la domanda giudiziale in ipotesi proposta dovrebbe essere respinta per insussistenza dell'elemento oggettivo della responsabilità. Quindi, anche sotto la vigenza della legge n. 142 del 1990, doveva affermarsi - come, in effetti, è stato affermato dalla giurisprudenza assolutamente prevalente - che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale decorre dal momento in cui, con il concretizzarsi del danno, viene a completamento la fattispecie illecita produttiva del danno stesso.
A non diverse conclusioni conducono le disposizioni recate dall'art. 1, comma 2, della legge n. 20/1994 che, anzi, proprio per dirimere i dubbi interpretativi indotti dalla formulazione della legge n. 142/1990, nell'individuare il termine di decorrenza del computo prescrizionale abbandona il riferimento alla “commissione del fatto” per riferirsi al “verificarsi del fatto dannoso”; del resto, nella individuazione della valenza precettiva della norma non priva di rilievo è la circostanza che la disposizione richiama espressamente l'elemento oggettivo dell'illecito, laddove prevede che, in caso di occultamento doloso del danno, la prescrizione decorre dalla data della sua scoperta”.
Hanno concluso le predette Sezioni rilevando che “- ai fini della decorrenza della prescrizione - non è sufficiente il compimento della condotta illecita ma di decorrenza della prescrizione può parlarsi solo nel momento in cui la condotta contra ius abbia prodotto l'evento dannoso avente i caratteri della concretezza e della attualità”.
In adesione alle coordinate dettate , nell'ambito della funzioni di nomofilachia assegnate dal Legislatore alle predette Sezioni Riunite, ritiene il Collegio che in ipotesi quale quella di specie, in cui il danno è la sommatoria di pagamenti frazionati nel tempo tutti risalenti ad un unico atto deliberativo o, comunque, ad un'unica manifestazione di volontà, volta al recupero del bene culturale, l'individuazione del dies a quo della prescrizione non può essere effettuata con riguardo al momento in cui è insorto l'obbligo giuridico di pagare.
L'illecito amministrativo-contabile è, infatti, l'esito di una fattispecie complessa che trova il suo compimento quando la condotta antigiuridica abbia prodotto un danno concreto e attuale.
In sostanza, in conformità anche a quanto già affermato dalle Sezioni Riunite nella decisione n. 7 del 2000, rileva quest'organo giudicante che la diminuzione del patrimonio dell'ente danneggiato - assume i caratteri della concretezza e della attualità e diviene irreversibile solo con l'effettivo pagamento; è, quindi, da ogni singolo pagamento - come sostenuto nella progettazione attorea che pienamente si condivide - che decorre il termine di prescrizione.
La prospettata esegesi appare idonea a ritenere in parte qua accoglibile l''eccezione di prescrizione dell'azione di responsabilità sollevata dal difensore del convenuto, con riferimento al pagamento (effettivamente erogato) conseguenziale all'aggiudicazione dell'appalto per la ricostruzione dell'edificio aggiudicata in data 2 giugno 1999 all'ATI società Omissis Spa OMISSIS spa e Omissis Spa .
Senonchè, come previamente osservato, dalle relazioni trasmesse alla Procura contabile, compulsate nel fascicolo processuale, si ricava che la maggior parte dei lavori e dei connessi pagamenti sono stati effettuati nel quinquennio antecedente alla data di notifica dell'invito a dedurre ( con valenza interruttiva ai fini della prescrizione).
L'intervento di ricostruzione della parti crollate e di completo ripristino della funzionalità della chiesa , ha richiesto interventi finanziari calibrati all'importanza storico artistica del plesso, alla consistenza del crollo e della difficoltà tecniche incontrate nell' autorizzazione della varie opere, alla necessità di assicurare la definitiva sicurezza statica della costruzione.
Ne consegue che , con riferimento ai diversi singoli pagamenti effettuati al fine di recuperare il bene architettonico in parola , non risulta maturata la prescrizione.
Esaurite le questioni preliminari , si rammenta, come si evince dagli atti processuali , che con sentenza n. 243/01 del 12 dicembre 2001, il Tribunale di Siracusa, sezione staccata di Avola, condannava il Vescovo ed il S. per il delitto previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.. per aver cagionato , con condotta colpevole, il crollo di parte della cattedrale di Noto, mentre assolveva gli altri imputati.
La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 467/03, assolveva il Vescovo e confermava la condanna nei confronti del S., condannandolo alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, per aver cagionato, per colpa consistita essenzialmente in una totale negligenza, il crollo parziale della Cattedrale di Noto.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5950/06 del 28 ottobre 2005, rigettava il ricorso proposto dal S. condannandolo definitivamente.
E' stata, dunque, definitivamente affermata la colpevolezza di S.F. in ordine al reato previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.. per aver cagionato , con condotta colpevole, il crollo di parte della cattedrale di Noto, fattispecie afferente i medesimi fatti oggetto della controversia de qua.
Orbene, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., soltanto la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento e limitatamente all'accertamento dei fatti nella loro materialità oggettiva, è vincolante per il giudice contabile e civile.
Nella fattispecie che ne occupa, essendo stata pronunciata, a seguito di dibattimento una sentenza, divenuta irrevocabile, affermativa della responsabilità dell'odierno convenuto, per il delitto previsto dagli artt. 61 n. 9, 113, 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p.., trova appunto applicazione l'art. 651 c.p.p. precedentemente evocato, a mente del quale la sentenza di condanna ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno (giudizio di responsabilità amministrativa).
Ai sensi della precitata disposizione normativa, dunque,l'efficacia vincolante del giudicato penale di condanna va considerata di portata assoluta in ordine all'accertamento della materialità dei fatti che hanno formato oggetto del giudizio e della loro valenza e qualificazione penale sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, comprensivo, quindi, della condotta, dell'evento e del nesso di causalità materiale (C. Conti Sicilia, sez. giurisdiz., 20/03/2001, n.29).
L'efficacia vincolante del giudicato penale è, quindi, limitata ai fatti (comprensivi della condotta , dell'evento e del nesso di causalità materiale) assunti a presupposto logico- giuridico della pronuncia penale, restando preclusa al giudice contabile ogni statuizione che venga a collidere con i presupposti, e le risultanze di detto pronunciamento ( C.conti, sez. I, 22 luglio 1993, n. 117).
Se così è, attesa l'inequivocabile formulazione della norma, non è contestabile che il S. debba considerarsi responsabile del danno erariale contestato.
Le risultanze processuali, peraltro, al di là dell'assorbente considerazione, non lasciano dubbio alcuno sulla responsabilità dell'odierno prevenuto per la fattispecie contestata.
La pronuncia emessa dal Giudice penale, infatti, ha messo in luce come la condotta gravemente colposa addebitata al S. non sia stata quella del mancato intervento diretto alla omessa realizzazione dei lavori necessari per evitare l'evento dannoso, ma quella di essersi disinteressato del tutto , con inerzia colpevole, di una situazione della quale era a conoscenza, sottovalutando il pericolo relativo .
Il S. infatti, proprio per l'improvviso aggravarsi della situazione statica dell'edificio della Chiesa Madre, aveva disposto nel 1992 l'apposizione dei fessurimetri alle murature e successivamente aveva avuto ripetuti incontri con i professionisti incaricati dal Vescovo, che gli avevano esternato le loro preoccupazioni, ed era certamente a conoscenza della situazione pericolosa , che preludeva al crollo.
La previsione normativa di finanziamenti per i professionisti incaricati dalla Curia, ai sensi della legge n. 433/99, non poteva certamente esonerarlo dagli obblighi derivanti dalla funzione esercitata.
Nel merito, pertanto, Collegio ritiene che,nella fattispecie,sussistano tutti i presupposti necessari per affermare la responsabilità amministrativa del convenuto.
Sussiste,infatti, il danno erariale in quanto i pagamenti effettuati nel tempo per il ripristino del prestigioso bene culturale, ossia la Cattedrale di Noto, hanno costituito un ingiusto depauperamento per l'Erario.
Sussiste,inoltre,il nesso di causalità tra il comportamento del S. e il danno, risultando provato dagli atti del predetto processo penale,conclusosi con sentenza penale passata in giudicato,che costui contribuì a cagionare , per colpa consistita in una totale negligenza, il crollo parziale della Cattedrale di Noto.
Sussiste infine l'elemento subiettivo come accertato, del resto, dal giudice penale con sentenza passata in giudicato.
Alla luce della valutazioni così esposte, sussistono tutti i presupposti per l'affermazione della responsabilità del convenuto.
Passando ad esaminare quanto del danno debba essere risarcito, si osserva che l'ammontare complessivo degli accreditamenti in favore del Commissario Straordinario per la ricostruzione ed il restauro della Cattedrale S. Nicolò di Noto è stato di € 31.868.462,84, al marzo 2007, mentre i pagamenti effettuati , alla stessa epoca risultano essere pari a € 25.388.326,70.
Come peraltro rilevato dalla parte pubblica, l'entità del danno trascende ogni ragionevole capacità risarcitoria del responsabile ed impone l'utilizzo di un criterio di quantificazione equilibrato e ponderato, calibrato ai fatti contestati e alle condizioni economiche del soggetto chiamato a rispondere del danno medesimo.
In tale senso pienamente condivisibili sono i richiami operati dalla Procura alle coordinate tracciate dalla Corte costituzionale , con la sentenza n. 371 del 1988, la quale relativamente alla disciplina della responsabilità amministrativa contenuta nella legge n.. 20 del 14 gennaio 1994, ha individuato e tracciato la peculiare natura dell' istituto della responsabilità amministrativa, in linea con la nuova conformazione dell'ordinamento del pubblico impiego.
Infatti, la Corte ha evidenziato la circostanza che l'istituto della responsabilità amministrativa costituisce la combinazione di elementi restitutori e di deterrenza e corrisponde alle finalità di determinare quanto del rischio dell'attività debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico del dipendente , nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva delle responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo.
Tenuto conto di tali indicazioni ed in applicazione del potere riduttivo dell'addebito attribuito dal legislatore alla Corte dei conti previsto dagli articoli 83, primo comma, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, e 52, secondo comma, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, considerando la complessità e la difficoltà delle attività che dovevano essere svolte, e non ultimo l'efficacia concausale ed agevolativa di altri soggetti, la cui condotta è stata ritenuta esente, però, da colpa nell'ambito del giudizio penale, ritiene quest'organo giudicante che il convenuto vada condannato al pagamento in favore della Presidenza del Consiglio e, per essa , al Dipartimento della Protezione civile, della somma di € 150.000,00 ( Euro centocinquantamila ).
Alla condanna per la sorte capitale fa seguito quella ulteriore per rivalutazione monetaria ed interessi legali.
La condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti,Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, in parziale adesione alla richiesta attorea condanna il sig. S.F. al pagamento,in favore della Presidenza del Consiglio e, per essa , al Dipartimento della Protezione civile della somma di € 150.000,00 ( Euro centocinquantamila), oltre rivalutazione monetaria della medesima, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT, dalla data del suo effettivo esborso da parte della P.A. sino alla pubblicazione della presente sentenza, ed agli interessi legali sulle somme così rivalutate da quest'ultima data sino al soddisfo.
Condanna, altresì, il predetto convenuto al pagamento in favore dello Stato delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessive € 209,20 (euro duecentonove/20).
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 27 settembre 2007.
L'estensore Il Presidente ff.
F.to Guido Petrigni F.to Pino Zingale
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 8 gennaio 2008