Per la configurabilità del reato di cui all\'art.176 D.Lv. 42-2004, trattandosi di beni per legge appartenenti allo Stato, non è necessario che essi abbiano un interesse culturale qualificato, né che siano qualificati come tali nel provvedimento amministrativo di cui all\'art.13 medesimo D.L.vo. Pertanto per l\'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della loro natura culturale dalle stesse caratteristiche dell\'oggetto, non essendo richiesto neppure un particolare pregio. Non occorre quindi alcun provvedimento formale che dichiari l\'interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso, quando quest\'ultimo non dimostri di esserne legittimo proprietario, sicché si possa affermare, anche sulla base di adeguati elementi indizianti, che gli stessi sono stati oggetto di ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente l\'accertamento dei requisiti culturali del bene.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente - del 05/03/2008
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 00253
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 042224/2007
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) CIGNOLINI MICHELE, N. IL 06/01/1982;
avverso ORDINANZA del 07/11/2007 TRIB. LIBERTÀ di UDINE;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. AMORESANO SILVIO;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. SALZANO Francesco, per il rigetto del ricorso.
OSSERVA
1) Con ordinanza in data 7.11.2007 il Tribunale di Udine rigettava la richiesta di riesame proposta da Cignolini Michele, indagato in ordine al reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 176, avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio, disposto dal P.M. 11.10.2007, di reperti detenuti dal medesimo Cignolini. Riteneva il Tribunale che non sussistessero le eccepite nullità, in quanto il decreto di convalida era validamente motivato, anche se per relationem, e la perquisizione personale del Cignolini era giustificata dalla flagranza di reato. Assumeva poi che il sequestro probatorio era stato correttamente disposto in quanto sussisteva il fumus dell'ipotesi di reato contestata (il Cignolini era stato scoperto mentre effettuava ricerche nel sottosuolo e con un numero imponente di reperti in condizioni di scadente conservazione compatibile con il rinvenimento nel terreno) o, in ogni caso, della fattispecie di furto ex art. 624 c.p., aggravato dall'esposizione alla pubblica fede.
2) Propone ricorso per Cassazione il Cignolini, denunciando l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 125 c.p.p., art.178 c.p.p., lett. c) e art. 262 c.p.p..
Essendo stata espletata perizia tecnica, alla data di celebrazione dell'udienza davanti al Tribunale del riesame non sussistevano più le esigenze probatorie.
Con il secondo motivo denuncia l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176 e art. 624 c.p..
Il Tribunale ha ritenuto preclusa al giudice del riesame l'accertamento sul possibile esito delle indagini preliminari e quindi sulla fondatezza dell'accusa in contrasto con l'art. 355 c.p.p., comma 3, che prevede la possibilità della richiesta di
riesame anche nel merito. Il Tribunale ha omesso di valutare i risultati della perizia tecnica che ha escluso ogni rilevanza artistica dei 1091 oggetti sequestrati (tranne due ritenuti di interesse archeologico) ed ha omesso di considerare che il reato contestato sussiste soltanto in presenza di beni che rivestano un qualificato interesse archeologico, culturale, storico. Tenuto conto che la norma incriminatrice di cui al citato D.Lgs., art. 176, comma 1, tutela il patrimonio culturale economico dello Stato, i beni culturali di cui al citato D.Lgs., art. 10, comma 3, possono essere oggetto del c.d. furto d'arte solo quando siano stati qualificati come tali nel provvedimento amministrativo previsto dal successivo art. 13.
Nel caso che il bene sia stato sottratto alla verifica, il reato non resta escluso, ma deve iniziare il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale e a tal fine può essere disposto il sequestro probatorio.
L'ordinanza impugnata non contiene alcun cenno alle caratteristiche ed alla natura dei beni in sequestro, ne' motiva in ordine all'illecito impossessamento privato e quindi sul fumus del reato ipotizzato.
Anche l'attività di ricerca svolta dal ricorrente con il metal detector è, pertanto, assolutamente irrilevante penalmente per la impossibilità di configurarla come tentativo di furto d'arte. La condotta non può neppure essere ricondotta alla fattispecie contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 175, in quanto il reato di ricerche archeologiche è configurabile solo quando le ricerche vengano effettuate in un'area archeologica o di interesse archeologico (e tale non è l'area ubicata nel comune di Torviscosa). Non ricorrono i presupposti del reato di cui all'art.647 c.p. (peraltro escluso dallo stesso Tribunale).
Non è configurabile neppure il reato di cui all'art. 624 c.p. in quanto trattasi di "res derelictae" (oggetti abbandonati da tempo immemorabile da coloro che li possedevano) che si acquistano ex art.923 c.p. con l'occupazione.
Anche a voler considerare che ci si trovi in presenza di un ritrovamento non casuale ma voluto, ugualmente non sarebbe configurabile il reato di cui all'art. 624 c.p. che presuppone l'altruità della cosa oggetto di furto e la sottrazione a chi la detiene (non possono essere oggetto di furto le cose che non appartengono a nessuno o di cui non si conosce neppure l'esistenza). Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 3.1) Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, la giurisprudenza di questaCorte (cfr. in particolare sez. unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi) è orientata nel ritenere che nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una "piena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obbiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo area il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meritum causae", così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.
L'accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità - di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (ex multis Cass. pen. sez. 3, n. 40189 del 2006 - ric. Di Luggo). Il limite introdotto dalle sezioni unite non restringe il potere di valutazione in diritto, ma quello di accertamento in fatto. Il Tribunale del riesame è quindi tenuto a controllare, sulla base del fatto contestato dal P.M., l'astratta configurabilità giuridica del reato, ma non può accertare la concreta sussistenza del reato medesimo ne' tanto meno accertare la colpevolezza dell'indagato. È assolutamente evidente, però, che il Tribunale non deve accettare "passivamente" la prospettazione giuridica operata dal P.M. anche quando questa appaia ictu oculi insussistente; altrimenti si attribuirebbe all'organo dell'accusa il potere di stabilire l'esistenza del "fumus" senza alcun vaglio giurisdizionale fino al processo. Una diversa impostazione porterebbe alla conseguenza che i giudici del riesame dovrebbero ritenere sussistente il fumus boni iuris anche quando difettasse l'astratta configurabilità del reato ed il P.M. potrebbe procedere al sequestro probatorio anche in presenza di una ipotesi di reato inesistente (Cass. sez. 3 n. 2635 del 13.10.2005). Il controllo non può quindi limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi conto, nell'accertamento del "fumus commissi delicti", degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive. Secondo anche la già citata sent. a sez. un. n. 23/1997, non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del c.d. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell'astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale (principi affermati più volte da questa sezione:
29.11.1996, Carli; 1.7.1996, Chiatellino; 30.11.199, Russo; 2.4.2000, P.M. c. Cavagnoli; n. 5145/2006).
3.2) Il Tribunale si è attenuto a tali principi evidenziando, correttamente, la configurabilità del fumus commissi delicti e la sussistenza delle esigenze cautelari.
Sul piano fattuale, con accertamento congruo ed immune da vizi logici, come tale non sindacabile in questa sede, i giudici hanno evidenziato che il Cignolini venne sorpreso mentre compiva ricerche su un fondo con l'utilizzo di un metal detector e di una piccozza e che nel marsupio in suo possesso, all'esito della perquisizione, vennero rinvenuti tre monete e 28 reperti archeologici e che, successivamente, presso la sua abitazione furono trovati numerosi altri reperti di età romana e di epoche anteriori (ritenuti da un primo accertamento effettuato dalla dott. Bonomi, nominata ausiliario di polizia giudiziaria, in parte di valore economico anche apprezzabile ed in alcuni casi anche di interesse culturale). Sulla base di siffatti elementi correttamente il Tribunale ha ritenuto la astratta configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 176 contestato.
Tale norma sanziona penalmente chiunque si impossessi di beni culturali indicati nell'art. 10 appartenenti allo Stato ai sensi dell'art. 91.
È vero che l'art. 10, comma 3, richiamato dal citato D.Lgs., art. 176, definisce beni culturali altresì le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico particolarmente importante......appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 (vale a dire Stato, Regioni ed altri Enti pubblici o persone giuridiche).
Risulta però chiaramente dalla norma che è richiesto un qualificato interesse archeologico, culturale, storico soltanto per i beni appartenenti a privati, ma non per quelli appartenenti allo Stato. Gli oggetti sequestrati appartengono allo Stato a norma dell'art. 91 ("le cose indicate nell'art. 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato....).
Per la configurabilità, quindi, del reato di cui all'art. 176, trattandosi di beni per legge appartenenti allo Stato, non è necessario che essi abbiano un interesse culturale qualificato, ne' che siano qualificati come tali nel provvedimento amministrativo di cui al citato D.Lgs., art. 13.
Va ribadito quindi l'indirizzo interpretativo, già formatosi sotto la vigenza dell'abrogato D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Cass. sez. 3 200347922, Petroni, RV 226870; sez. 3, 200145814, Cricelli, RV
220742; cass. sez. 3 200142291, Licciardello, RV 220626) ed anche successivamente con riferimento al D.Lgs. n. 42 del 2004 (Cass. sez. 3 n. 39109 del 2006, ric. Palombo), secondo cui per l'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della loro natura culturale dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto neppure un particolare pregio.
Non occorre quindi alcun provvedimento formale che dichiari l'interesse artistico, storico, archeologico e etnoantroppologico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso, quando quest'ultimo non dimostri di esserne legittimo proprietario, sicché si possa affermare, anche sulla base di adeguati elementi indizianti, che gli stessi sono stati oggetto di ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente l'accertamento dei requisiti culturali del bene.
Il Tribunale ha, come si è visto, ricordato che gli oggetti sequestrati, in base ad indiscutibili circostanze indizianti, debbono ritenersi appartenenti allo Stato perché ritrovati nel sottosuolo e che, dai primi sommari accertamenti, sono di interesse culturale. L'inquadramento della fattispecie nella ipotesi di reato contestato, esime dall'esame delle ulteriori prospettazioni difensive. Quanto alla cessazione delle esigenze probatorie indicate inizialmente dal P.M., i giudici del riesame hanno ineccepibilmente evidenziato che l'accertamento della dr.ssa Bonomi, ausiliario di P.&., ha i caratteri dell'urgenza e della sommarietà e che, quindi dovranno essere effettuate tutte le necessarie indagini sui reperti e sulla strumentazione rinvenuta in possesso dell'indagato al fine di acquisire elementi di prova in ordine ai fatti per i quali si procede. A parte, in ogni caso, il fatto, che i beni sequestrati appartengono ex art. 91 cit. allo Stato. Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2008