Cass. Sez. III n. 3583 del 28 gennaio 2021 (CC 10 dic 2020)
Pres. Marini Est. Semeraro Ric. Polizia
Beni culturali.Installazione dehors

Le pubbliche piazze, vie, strade, e altri spazi urbani, laddove rientranti nell’ambito dei Centri Storici, ai sensi del comma 1 e del comma 4, lettera g), dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004, sono qualificabili come beni culturali indipendentemente dall’adozione di una dichiarazione di interesse storico-artistico ai sensi degli articoli 12 e 13 del Codice. Ai sensi dell’art. 21 comma 4, del d.lgs. 42/2004, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su tali beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. L’esecuzione di opere di qualunque genere su tali beni culturali, perché ricompresi nell'art. 10 d.lgs. 42/2004, in assenza di autorizzazione, è pertanto punita ex art. 169 d.lgs. 42/2004, salvi gli effetti del cd. decreto rilancio (fattispecie relativa ad installazione di dehors)


RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza del 6 agosto 2020 il Tribunale del riesame di Benevento ha rigettato l'appello proposto da Polizia Gianmarco junior avverso l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento del 6 luglio 2020 con la quale rigettò l’istanza di revoca del sequestro preventivo della struttura esterna installata negli spazi antistanti all'esercizio commerciale Paisà, in Benevento alla via Odofredo n.3.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, quale legale rappresentante dell’esercizio commerciale.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di violazione di legge, per la motivazione assente o apparente sulla sussistenza del fumus dei reati di cui ai capo a) e b) e l’erronea applicazione degli art. 172, in relazione all’art. 45 del d.lgs. 42/2004, quanto al capo a), e dell’art. 169 in relazione all’art. 21 del d.lgs. 42/2004.
Non sarebbero stati valutati i motivi di appello fondati su altra ordinanza del Tribunale del riesame di Benevento che, con riferimento ad altro indagato, ha annullato il decreto genetico di sequestro preventivo ritenendo insussistente il fumus dei reati contestati ex art. 172, in relazione all’art. 45 del d.lgs. 42/2004 e 169, in relazione all’art. 21 del d.lgs. 42/2004 poiché, essendo la struttura realizzata in una strada del centro storico, la strada stessa non sarebbe bene culturale in sé ma richiederebbe la definizione del procedimento amministrativo di verifica dell’interesse pubblico ed il provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale ex art. 12 e 13 d.lgs. 42/2004.
In particolare, si invoca l’applicazione dell’art. 12 comma 1 del d.lgs. 42/2004, si richiamano i principi di Sez. 3, n.42899 del 18 novembre 2008 con i quali il Tribunale del riesame non si sarebbe confrontato, e si afferma che la strada de quo, via Odofreo non avrebbe i caratteri di particolare pregio artistico risalenti ad autori e personaggi di sicuro talento, non sarebbe bene vincolato né ricadrebbe nella zona di cui alla lett. g) dell’art. 10 comma 4 del d.lgs. 42/2004
Mancherebbe poi la motivazione sul fumus del reato sub a) ex art. 172 in relazione all’art. 45 del d.lgs. 42/2004.
Non sussisterebbero nel caso de quo le prescrizioni di tutela emanate dal Ministero e non sarebbe stato seguito il procedimento previsto dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. 42/2004.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge con riferimento alla sussistenza del periculum in mora.
Il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente applicato l’art. 181 comma 3 del d.l. 34/2020, come modificato dall’art. 109 del d.l. 104/2020 che sarebbe applicabile anche ai dehors installati prima dell’entrata in vigore della norma, posto che altrimenti si avrebbe una disparità di trattamento.
La validità della deroga stabilita dalla norma richiamata alla necessità delle autorizzazioni di cui agli art. 21 e 146 del d.lgs. 42/2004, in vigore fino al 31 dicembre 2020, renderebbe insussistente la attualità e concretezza del periculum in mora; inoltre il Tribunale del riesame non avrebbe valutato che il dehor sarebbe legittimamente sussistente in base all’art. 181 comma 3 del d.l. prima indicato.
2.3. In sede di conclusioni scritte il difensore ha richiamato due sentenze di questa Corte su fattispecie analoga.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato.
1.1. Va premesso che questa Corte si è già occupata dei dehors realizzati nel centro storico di Benevento con più sentenze, fra cui quelle richiamate dal ricorrente.
I ricorsi del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento sono stati dichiarati inammissibili ma si è però rilevato che il principio di diritto, posto a base delle ordinanze del Tribunale del riesame di Benevento e richiamato nel ricorso, fosse errato.
1.2. Si è infatti affermato il principio per cui (cfr. Sez. 3, n. 31760 del 21/10/2020, D'Aniello) le pubbliche piazze, vie, strade, e altri spazi urbani, laddove rientranti nell’ambito dei Centri Storici, ai sensi del comma 1 e del comma 4, lettera g), dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004, sono qualificabili come beni culturali indipendentemente dall’adozione di una dichiarazione di interesse storico-artistico ai sensi degli articoli 12 e 13 del Codice.
Tali beni appartenenti a soggetti pubblici sono, quindi, da considerare beni culturali ope legis, rispetto ai quali trovano necessaria applicazione le norme di tutela di cui alla parte II del Codice fino a quando non intervenga una espressa verifica di interesse in senso contrario ex art.12 (TAR Veneto Sez. III n, 927 del 8 ottobre 2018; Cons. Stato, VI, sent. 5934/2014; Cons. Stato, VI, sent. 482/2011; id., VI, sent. 4010/2013; id., VI, sent. 4497/2013).
1.3. È inconferente il richiamo a Sez. 3, n. 42899 del 24/10/2008, Valente, Rv. 24161801: tale sentenza ha affermato, in tema di tutela penale delle cose di antichità e d'arte, che ai fini della operatività della cosiddetta tutela «diretta» sui beni immobili, qualificati come beni culturali, appartenenti allo Stato ed agli altri Enti pubblici, la cui violazione integra il reato di esecuzione di opere illecite (artt. 10, 21 e 169, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), è necessario che siano soddisfatte tre condizioni: a) che i predetti beni siano stati realizzati da oltre cinquanta anni; b) che il loro autore non sia più vivente; c) che abbia dato esito positivo la verifica dell'interesse culturale secondo la procedura di cui all'art. 12 del D.Lgs. citato. Però tale principio di diritto si riferisce ad un immobile e non alle strade del centro storico.
1.4. Va pertanto ribadito che, ai sensi dell’art. 21 comma 4, del d.lgs. 42/2004, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su tali beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. L’esecuzione di opere di qualunque genere su tali beni culturali, perché ricompresi nell'art. 10 d.lgs. 42/2004, in assenza di autorizzazione, è pertanto punita ex art. 169 d.lgs. 42/2004, salvi gli effetti del cd. decreto rilancio.
1.5. Va altresì rilevato che effettivamente manca la motivazione sul fumus del reato sub a) ex art. 172 in relazione all’art. 45 del d.lgs. 42/2004; inoltre, il riconoscimento della tutela diretta è in contrasto con la contemporanea sussistenza della tutela indiretta, senza per altro che sia specificato concretamente in cosa sarebbe consistita la violazione.
Però, il ricorrente non ha interesse a dedurre tale omissione, perché da essa non deriva alcun effetto restitutorio, persistendo il fumus del reato ex art. 169 d.lgs. 42/2004.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. L’art. 181 comma 3 del d.l. n.34 del 2020 (cd. decreto rilancio) convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, ha stabilito che «Ai soli fini di assicurare il rispetto delle misure di distanziamento connesse all'emergenza da COVID-19, e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al comma 1, di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, purchè funzionali all'attività di cui all'articolo 5 della legge n. 287 del 1991, non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
2.2. Sia il giudice per le indagini preliminari che il Tribunale del riesame hanno affermato che la struttura realizzata, per le sue caratteristiche oggettive, non rientra tra quelle descritte nell’art. 181 comma 3 del d.l. 34/2020: hanno dunque escluso in fatto, in base ad un accertamento di merito, l’applicabilità della norma invocata dal ricorrente. Tale punto del provvedimento impugnato, relativo alla diversità della struttura realizzata rispetto a quelle descritte dalla norma, non è stato specificamente contestato con il ricorso sicché la questione dedotta, sull’ambito applicativo dell’art. 181 comma 3 del d.l. 34/2020, è irrilevante ai fini della decisione.
2.3. Il Tribunale del riesame, esclusa l’applicazione della norma, ha quindi correttamente confermato la sussistenza del fumus e del periculum in mora, già ritenuto nel provvedimento genetico ed in quello successivo impugnato.

3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/12/2020.