Cass. Sez. III n. 2292 del 22 gennaio 2020 (UP 25 ott 2019)
Pres. Sarno Est. Di Nicola Ric. Romano
Urbanistica.Lottizzazione confisca e prescrizione del reato
Il giudice del dibattimento può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio e, a tal fine, deve, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, la prescrizione), proseguire nell’istruttoria dibattimentale, differendo, qualora l’imputato non abbia maturato una causa di proscioglimento nel merito, la declaratoria di non punibilità all’esito del giudizio e disponendo invece la confisca urbanistica sempre che, come più volta ricordato, sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva almeno colpevole.
RITENUTO IN FATTO
1. Salvatore Romano ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Napoli ha rigettato l’appello cautelare presentato avverso il provvedimento con il quale il tribunale ordinario aveva, a sua volta, respinto l’istanza di dissequestro del bene sottoposto a vincolo preventivo per il reato di lottizzazione.
2. Il ricorrente, tramite il difensore di fiducia, affida il ricorso ad un unico complesso motivo con il quale deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e di norme giuridiche delle quali si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale nonché per omessa e manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale) in relazione agli articoli 129, 513 e 525, comma 2, del codice di procedura penale e dell’articolo 30 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Premette di aver proposto istanza di revoca del sequestro preventivo rilevando che essendovi stata la mutatio del giudicante, in conseguenza del mancato consenso all’utilizzabilità degli atti assunti innanzi al precedente giudice monocratico, era maturata la prescrizione di tutte le contravvenzioni urbanistiche in contestazione, dovendosi proseguire l’istruttoria dibattimentale solo per il reato di cui all’articolo 349 del codice penale (contestato, tra l’altro, soltanto a Mario Polverino, Carlo Polverino e Giuseppe Romano, limitatamente all’immobile di loro pertinenza e non anche a carico dell’istante, Salvatore Romano).
In conseguenza della maturata prescrizione del reato, aveva chiesto, pertanto, ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere per estinzione dei reati, con conseguente dissequestro delle opere, ed il Giudice aveva rigettato la richiesta sostenendo che l’istruttoria fosse strumentale all’accertamento della presunta lottizzazione in conseguenza di una possibile confisca dei beni.
Il ricorrente sostiene che il Tribunale del Riesame abbia rigettato l’appello cautelare facendo proprie le deduzioni del Giudice con una motivazione illogica e distorsiva quanto alle interpretazioni delle pronunce avutesi in materia sia da parte della Consulta con la sentenza n. 49 del 26 marzo 2015, che da parte della Corte di cassazione.
Osserva che, nella citata sentenza, la Corte Costituzionale, al fine di chiarire in punto di diritto la compatibilità della confisca rispetto al principio di legalità sancito anche dalla CEDU, aveva evidenziato che la disposizione della confisca “... non rappresentava una violazione del diritto del cittadino nei casi in cui la stessa fosse stata ordinata anche per ipotesi di prescrizione del reato, in tutte le ipotesi in cui vi era stato un accertamento del fatto”.
La Consulta avrebbe quindi posto come condizione per il rispetto del principio di legalità il presupposto che vi sia comunque stata una attività istruttoria volta all’accertamento del fatto.
Nel caso esaminato dalla Corte costituzionale, e riportato nella motivazione dell’ordinanza impugnata, si faceva quindi esplicito riferimento ad un fatto già accertato con sentenza emessa dal giudice di primo grado e prescrizione maturata nel corso del giudizio di appello.
Obietta il ricorrente come, invece, il Giudice abbia, nel caso in esame, disposto la prosecuzione di un giudizio, in violazione della norma di cui all’articolo 129 del codice di procedura penale, al solo scopo di accertare un fatto già prescritto per poterne poi disporre la confisca.
La giurisprudenza di legittimità sarebbe invece ferma nel ritenere che il maturare della prescrizione del reato preclude al giudice il compimento di ulteriori accertamenti, se l’imputato non rinunci alla causa estintiva.
Nel caso di specie, non solo la causa estintiva era già maturata ma la stessa era stata invocata dalla difesa, la quale aveva evidenziato al Giudice di merito l’impossibilità di dare inizio alle attività istruttorie essendo già estinti i reati ascritti per decorso del tempo.
Il principio di legalità imponeva, dunque, che venisse revocata la misura cautelare ancora in atto, essendo i reati posti a fondamento dell’applicazione della stessa estinti prima che si desse inizio all’attività istruttoria.
Diversamente ragionando non solo si avrebbe una violazione dell’articolo 129 per omessa pronuncia circa l’immediata declaratoria della causa estintiva del reato, ma anche una violazione dell’articolo 513 del codice di procedura penale a tenore del quale, in mancanza di esplicito consenso, sono vietate le letture dei verbali precedentemente resi in udienza.
Né tantomeno può attribuirsi rilievo alle deduzioni del Tribunale territoriale il quale, per valutare la sussistenza del reato lottizzatorio, ha richiamato la pronuncia dello stesso Tribunale sul decreto genetico di sequestro, adducendo la formazione del giudicato cautelare perché non era stato proposto ricorso per Cassazione.
Al netto dell’errore di diritto, quanto alla precedente affermazione, osserva il ricorrente che la maturazione della causa estintiva del reato prima dell’accertamento giudiziale del fatto non poteva essere surrogata né dalla esistenza di una pronuncia sul sequestro genetico avutasi in sede di riesame, né tantomeno da una istruttoria celebrata in contrasto con i principi di cui agli articoli 129 e 513 del codice di procedura penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. La Corte di cassazione – sulla scia degli orientamenti già in precedenza espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 15126 del 2017, dep. 2018, Settani, non mass.; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi, Rv. 270646 – 01; Sez. 3, n. 15888 del 08/04/2015, dep. 2016, Sannella, Rv. 266628 – 01; Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe, Rv. 255112 – 01; Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta, Rv. 243630 – 01) e pronunciati a seguito degli interventi del Giudice europeo in materia di confisca urbanistica nelle cause Sud Fondi contro Italia (Corte Edu, 20/01/2009, Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia; Corte Edu, 10/05/2012, Sud Fondi e altri c. Italia) – ha chiarito che, in tema di reati edilizi, il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturato nel corso del processo non osta, sulla base di una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata, alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che il suddetto reato venga accertato, con adeguata motivazione, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, atteso che l’obbligo di accertamento imposto dal giudice per l’adozione del provvedimento ablativo prevale su quello generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità ex articolo 129 del codice di procedura penale (Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017, Martino, Rv. 272791 – 01).
Questo arresto, apparso in linea con i principi in seguito espressi dalla Corte Edu nella causa Giem s.r.l. contro Italia, è stato pertanto convalidato dalla giurisprudenza successiva la quale ha sottolineato come, in tema di lottizzazione abusiva, il giudice del dibattimento non sia tenuto all’immediata declaratoria della causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nel corso del giudizio ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, dovendo proseguire l’istruttoria per accertare il reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi al fine di disporre la confisca urbanistica del bene sottoposto a sequestro (Sez. 3, n. 43630 del 25/06/2018, Tammaro, Rv. 274196 – 02; Sez. 3, n. 22034 del 11/04/2019, Pintore, Rv. 275969 - 01), con la precisazione, per quanto qui interessa, che il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturata nel corso del processo non osta, alla luce della pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, alla conferma della confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che la relativa decisione abbia accertato l’esistenza del reato e la responsabilità dell’imputato, garantendo il diritto di difesa secondo i parametri di cui all’articolo 6 CEDU (Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Alessandrini, Rv. 275756 – 05; Sez. 3, n. 5936 del 08/11/2018, dep. 2019, Basile, Rv. 274860 – 01).
3. Si tratta, dunque, di principi diametralmente opposti a quelli declinati dal ricorrente e ciò sarebbe già sufficiente per sanzionare il ricorso con la declaratoria d’inammissibilità.
Tuttavia, proprio la pronuncia della Grande Camera, nella causa Giem contro Italia, offre spunto per ribadire una ricostruzione che, in tema di confisca urbanistica, si giova di un virtuoso dialogo, instauratosi tra le Corti, attraverso il quale si è registrata la piena compatibilità tra ordinamento sovranazionale e ordinamento interno.
3.1. La Corte costituzionale, nella storica sentenza n. 49 del 2015, ha ricordato come la Corte di Strasburgo avesse ritenuto, già con la sentenza 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. e altri contro Italia, che la confisca urbanistica costituisse sanzione penale ai sensi dell’articolo 7 della CEDU, potendo pertanto essere disposta solo nei confronti di colui la cui responsabilità fosse stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti, con la conseguenza che la valutazione circa l’applicazione della confisca urbanistica, pur in assenza di una sentenza di condanna, essendo decorso il termine per la prescrizione del reato, non poteva prescindere dalla linea tracciata dalla giurisprudenza della Corte Edu in materia di colpevolezza.
In tale ottica era stata letta la sentenza Varvara (Corte Edu, II sezione, sentenza Varvara c. Italia, del 29 ottobre 2013) laddove statuiva che l’applicazione di una pena non fosse possibile «quando la responsabilità di chi la subisce non sia [stata] legalmente accertata», espressione questa - secondo il significato datone dalla stessa Corte costituzionale – «linguisticamente apert[a] ad un’interpretazione che non costringa l’accertamento di responsabilità nelle sole forme della condanna penale, ben [accordandosi] sul piano logico con la funzione, propria della Corte Edu, di percepire la lesione del diritto umano nella sua dimensione concreta, quale che sia stata la formula astratta con cui il legislatore nazionale [abbia] qualificato i fatti», con la conseguenza che «nel nostro ordinamento, l’accertamento ben può essere contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo in mala fede acquirente del bene».
Su questa scia, non sarebbe di per sé «escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato» e, in tal senso, la motivazione non costituirebbe una facoltà del giudice, «ma un obbligo dal cui assolvimento dipende la legalità della confisca».
In considerazione di ciò, la Corte costituzionale ha allora osservato come fosse proprio l’accertamento della responsabilità a costituire premura per il giudice europeo, puntualizzando che «nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità».
3.2. Il Giudice europeo (Corte E.D.U., Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. c. Italia), pronunciandosi dopo la sentenza Varvara della Corte Edu e dopo la sentenza n. 49 del 2015 della Corte costituzionale, ha, tra l’altro, osservato (§ 252) che, sebbene la dichiarazione di responsabilità penale richiesta per l’adozione della confisca urbanistica sia spesso contenuta in una sentenza penale che condanna formalmente l’imputato, ciò non costituisce, in ogni caso, «una norma imperativa», puntualizzando che «la sentenza Varvara [della Corte Edu] non permette di concludere che le confische per lottizzazione abusiva devono necessariamente essere accompagnate da condanne penali ai sensi del diritto nazionale. Da parte sua, la Corte [Edu] deve assicurarsi che la dichiarazione di responsabilità penale rispetti le tutele di cui all’articolo 7 e derivi da un procedimento che soddisfi le esigenze dell’articolo 6».
3.3. Sulla scorta di ciò, è possibile trarre la seguente conclusione: la confisca urbanistica, sulla base degli orientamenti espressi (in applicazione degli Engel criteria) dalla Corte Edu, rientra nella “materia penale”, con la conseguenza che il giudice comune deve, nel fornire una interpretazione convenzionalmente orientata della disposizione interna che la prevede, assicurare il rispetto di tutte le garanzie convenzionali.
In altri termini, la Corte di Strasburgo può attribuire, a condizioni esatte, la qualificazione penalistica a materie che, per il diritto interno, non rientrano stricto iure nel perimetro assegnato al diritto penale e che siano perciò sprovviste della relativa qualifica penalistica, al solo fine di estendere ad esse l’ambito di applicazione dello statuto penale delle garanzie convenzionali.
Ciò consente di ritenere che, assicurata una determinata materia allo statuto penale garantistico convenzionale, quella stessa materia, qualora alla stregua del diritto interno sia sprovvista della qualifica penalistica, deve essere considerata estranea al relativo paradigma, dovendo perciò essere governata dalle norme nazionali che, secondo la qualificazione giuridica ad essa attribuita dal diritto interno, la disciplinano.
Ne consegue che la nozione di materia penale, secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza della Corte EDU in applicazione delle norme della convenzione, non è coincidente, o può esserlo solo parzialmente, con la nozione di materia penale datane dal diritto interno.
Gli orientamenti della Corte costituzionale relativi alla materia penale appaiono chiari in tal senso.
E’ stato infatti affermato che l’attrazione di una sanzione amministrativa nell’ambito della materia penale in virtù dei c.d. criteri Engel trascina con sé tutte e soltanto le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni della CEDU, come elaborate dalla Corte di Strasburgo. Rimane, invece, nel margine di apprezzamento di cui gode ciascuno Stato aderente la definizione dell’ambito di applicazione delle ulteriori tutele predisposte dal diritto nazionale, in sé e per sé valevoli per i soli precetti e le sole sanzioni che l’ordinamento interno considera espressione della potestà punitiva dello Stato, secondo i propri criteri. In altre parole, ciò che per la giurisprudenza convenzionale ha natura “penale” deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la “materia penale”; mentre solo ciò che è penale per l’ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presìdi rinvenibili nella legislazione interna. Ciò corrisponde alla natura della CEDU e del sistema di garanzie da essa approntato, volto a garantire una soglia minima di tutela comune, in funzione sussidiaria rispetto alle garanzie assicurate dalle Costituzioni nazionali (Corte cost. sent. n. 43 del 2017, Rv. 0039634).
Ne consegue, come pure è stato opportunamente segnalato in dottrina, che, nel caso di non coincidenza delle qualificazioni assegnate (rispettivamente a livello convenzionale e a livello interno) ad una determinata materia, ossia di qualificazione non penalistica alla stregua del diritto interno e penalistica alla stregua del parametro convenzionale, l’obbligo del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso convenzionalmente conforme è assolto mediante l’applicazione del solo apparato delle garanzie predisposto a livello convenzionale. Nel caso invece di coincidenza, in presenza cioè di “illeciti” suscettibili di una duplice qualificazione “penalistica”, sono applicabili sia lo statuto garantistico convenzionale che quello, in ipotesi più ampio, costituzionale.
La traccia di una tale ricostruzione, con le conseguenze che ne derivano e che saranno in seguito precisate, si rinviene nella stessa giurisprudenza costituzionale (Corte cost. sent. n. 49 del 2015) che proprio in tema di confisca urbanistica ha posto in guardia il giudice comune da una visione pan penalistica dell’ordinamento interno, chiarendo che la giurisprudenza europea sull’autonomia dei criteri di valutazione della natura penale di una sanzione, ai fini dell’estensione delle garanzie offerte dall’articolo 7 della Cedu, non è in contraddizione con la permanenza nel diritto nazionale di un doppio binario sanzionatorio (amministrativo e penale), posto che le «esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono […] nella (eventuale) tutela penale, ben potendo invece essere soddisfatte con diverse forme di precetti e di sanzioni» (Corte cost., sent. n. 447 del 1998).
3.4. L’articolo 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che il giudice penale, con la sentenza definitiva, che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca delle opere abusivamente costruite e dei terreni abusivamente lottizzati.
In buona sostanza, la confisca urbanistica, disposta in conseguenza di una lottizzazione abusiva, prescinde da una sentenza di condanna o a questa equiparata, sicché la misura ablativa è consentita nei casi in cui l’esistenza della lottizzazione sia stata semplicemente accertata.
E’ netta, infatti, la differenza terminologica e ontologica esistente tra la confisca urbanistica e le altre forme di confisca, le quali, di regola, richiedono, per essere disposte, una sentenza (o decreto) di condanna oppure una sentenza di patteggiamento.
Invece, la confisca urbanistica richiede, ope legis, soltanto l’emanazione di una sentenza definitiva che accerti che vi è stata lottizzazione abusiva.
E’ persino netta, pur nell’identità della natura giuridica degli istituti, la differenza che intercorre tra confisca di immobili o di terreni abusivamente lottizzati e la demolizione delle costruzioni abusive perché, sulla base del confronto tra le due discipline, l’articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, in materia di demolizione, fa esplicito riferimento, a differenza della lottizzazione, alla pronuncia di una sentenza di condanna, o ad essa equiparata, ai fini dell’emanazione da parte del giudice penale dell’ordine di demolizione.
Pertanto la specificità della confisca urbanistica, rispetto ad analoghe misure cosiddette ripristinatorie (demolizione) previste per i reati edilizi ed urbanistici, si coglie anche in considerazione del fatto che – prevedendo l’ordinamento, in caso di accertamento della lottizzazione abusiva, l’applicazione obbligatoria della misura ablativa con la sentenza definitiva, indipendentemente se di proscioglimento (ovviamente non di merito) o di condanna – non è stato disposto, in caso di estinzione del reato per prescrizione, alcun collegamento, quanto all’epilogo giurisdizionale, tra autorità giudiziaria ed autorità amministrativa, a conferma del fatto che, esercitata l’azione penale, il procedimento penale deve necessariamente investire anche la materia della confisca, il cui accertamento è demandato pleno iure al giudice penale (articolo 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001).
Diversamente, nel caso di opere edilizie realizzate in difformità dalle norme sulle costruzioni in zone sismiche, l’articolo 101 del testo unico n. 380 del 2001 stabilisce che la copia della sentenza irrevocabile, anche se di estinzione del reato, deve essere comunicata, a cura del cancelliere, al competente ufficio tecnico della regione entro 15 giorni da quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, competendo, nella sola ipotesi che il reato sia estinto per qualsiasi causa, alla regione di emettere, ai sensi dell’articolo 100 d.P.R. n. 380 del 2001, l’ordine di demolizione delle opere abusive ovvero a impartire le prescrizioni necessarie a renderle conformi alla normativa edilizia.
Ne consegue che la confisca urbanistica, per la sua peculiare natura, non trova la propria giustificazione nell’accessorietà ad una sentenza di condanna, o ad essa equiparata, perché la lottizzazione abusiva si configura, al tempo stesso, come illecito amministrativo e come reato, ed in ordine a tale ultima qualificazione, cioè di reato a consumazione alternativa potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest’ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708 – 01), è prevista l’applicazione non solo delle pene di cui all’articolo 44, comma 1, lettera c), d.P.R. n. 380 del 2001, la cui irrogazione è ovviamente preclusa dalla maturazione di una causa estintiva del reato, ma anche la confisca obbligatoria, la cui adozione non è altrimenti prevista, cosicché il provvedimento ablativo è disposto, secondo il meccanismo appositamente e obbligatoriamente previsto dalla legge, esclusivamente a seguito della sentenza definitiva di accertamento della lottizzazione, senza che sia previsto alcun tipo di raccordo tra autorità giudiziaria, che abbia definito il procedimento penale con l’applicazione di una causa estintiva, e l’autorità amministrativa.
Fatte salve le prerogative spettanti a quest’ultima, secondo le cadenze procedimentali disegnate nell’articolo 30, commi 7 e 8, d.P.R. n. 380 del 2001, che comunque non prevedono alcuna confisca, o sulla base dei principi generali che regolano l’attività amministrativa, l’articolo 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 – dopo aver statuito che “la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite” – prevede, pro semper, che “per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari”.
In definitiva, è la legge stessa che impone, una volta esercitata l’azione penale e di accertamento, la conclusione del procedimento penale con una sentenza definitiva, che se non di condanna o di assoluzione, sia almeno una sentenza di accertamento (o meno) della lottizzazione (Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017, Martino, cit., in motiv.), epilogo convalidato, come in precedenza evidenziato, proprio dalla mancanza di qualsiasi meccanismo di raccordo tra autorità giudiziaria e amministrativa nell’ipotesi di estinzione del reato per qualsiasi causa.
4. La natura giuridica della confisca urbanistica è stata molto discussa in passato e tuttora trova, nonostante un assestamento fatto registrare da conformi e reiterate pronunce della giurisprudenza di legittimità, soluzioni non unanimi.
In estrema sintesi, si può dire che, dalla particolarità della misura ablativa prevista dalla disciplina edilizia, è conseguita la qualificazione della stessa come sanzione amministrativa avente natura reale e non personale (Sez. 3, n. 37086 del 7/7/2004, Perniciaro, Rv. 230031), producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene ed assolvendo anche una funzione lato sensu ripristinatoria del bene giuridico offeso dal reato per ragioni di tutela del territorio, ed è perciò applicata dal giudice penale indipendentemente dall’adozione, pur obbligatoria ai sensi dell’articolo 30 d.P.R. n. 380 del 2001 da parte della pubblica amministrazione, del provvedimento di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune.
Si tratta di istituto ontologicamente diverso dall’analogo istituto disciplinato dall’articolo 240 del codice penale atteso che – pur permanendone il carattere sanzionatorio ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia; Corte EDU del 30 agosto 2007, Sud Fondi s.r.l. c/ Italia; Sez. 3, n. 36844 del 09/07/2009, Contò, Rv. 244923) – i terreni e le opere sono acquisiti al patrimonio immobiliare del comune e non a quello statale come avviene invece per la confisca codicistica, configurandosi una espropriazione a favore dell’autorità comunale in luogo di quella a favore dello Stato (Sez. 3, n. 38728 del 07/07/2004, Lazzara, Rv. 229608).
La confisca dei terreni lottizzati, la cui adozione è preclusa da tutte le cause di proscioglimento nel merito (insussistenza del fatto e mancanza dell’elemento soggettivo del reato), deve pertanto essere qualificata come sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale e si applica indipendentemente da una sentenza di condanna, sulla base dell’accertata effettiva esistenza della lottizzazione, prescindendo da ogni altra considerazione, tranne la sussistenza di un provvedimento amministrativo in senso contrario, purché non contrastante con le prescrizioni degli strumenti urbanistici. Ed invero, poiché il terreno non costituisce un bene il cui uso, detenzione o alienazione costituiscono reato, se non debitamente autorizzati, giacché è una specifica destinazione che viene considerata antigiuridica se non autorizzata, la predetta confisca non può inquadrarsi nella misura di sicurezza di cui all’articolo 240, secondo comma, del codice penale, posto che il bene in sé non ha caratteristiche intrinseche di pericolosità, ma diviene tale quando attenta all’interesse sostanziale alla tutela dell’assetto del territorio e dell’ambiente ed alla potestà di disciplina dell’uso del territorio riservata all’autorità amministrativa; né può includersi fra quelle di cui all’articolo 240, primo comma, stesso codice, in quanto la disciplina non si concilia con l’obbligatorietà della sanzione in esame, con la possibilità di irrogazione indipendentemente da una sentenza di condanna nonché con la destinazione dei terreni al patrimonio comunale invece che a quello statale e con l’impossibilità di estenderla ai non proprietari che non siano parti nel processo (Sez. 3, n. 777 del 24/02/1999, Iacoangeli, Rv. 214058 – 01).
Ne deriva che, in applicazione dei principi convenzionali, la confisca urbanistica, rientrando nella materia penale, deve rispettare, per essere disposta, i principi di cui agli articoli 6 (processo equo) e 7 (principio di legalità in materia penale e suoi corollari) nonché il principio di protezione della proprietà di cui all’articolo 1 del Prot. n. 1 Cedu.
Assicurato il rispetto dei parametri convenzionali, la sua disciplina resta governata dalle disposizioni che l’ordinamento giuridico interno appresta per la sua applicazione secondo la previsione di cui all’articolo 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
5. Avendo la Corte EDU ormai certificato, nella sua più autorevole composizione, che la confisca urbanistica può essere disposta, nel rispetto dei parametri convenzionali, anche nei casi di definizione del processo con una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, la questione che si pone è se, maturando la causa estintiva in itinere iudicii, l’obbligo della immediata declaratoria precluda, in ogni caso, la prosecuzione del giudizio al fine di accertare (o meno) l’esistenza della lottizzazione e l’esistenza di un legame intellettuale tra il fatto (la lottizzazione) e il soggetto che l’abbia realizzata.
Al quesito ha già dato risposta la giurisprudenza di legittimità in più occasioni (Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017, Martino, Rv. 272791 – 01; Sez. 3, n. 43630 del 25/06/2018, Tammaro, Rv. 274196 – 02; Sez. 3, n. 22034 del 11/04/2019, Pintore, Rv. 275969 - 01) conducendo l’analisi sulla base dei principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite penali nella sentenza De Maio (Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008, De Maio, Rv. 240565 – 01).
5.1. Le Sezioni Unite – nel prendere atto del principio in precedenza affermato dal medesimo consesso (Sez. U, n. 5 del 25/03/1993, Carlea) secondo il quale «per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale» – osservarono come una tale affermazione dovesse essere «aggiornata», anche alla luce di un sistema processuale, che si era sviluppato attraverso molteplici modifiche legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali.
Si rilevò, in primo luogo, come l’ordinamento processuale attribuisca al giudice ampi poteri di accertamento del fatto nel caso in cui ciò si renda necessario ai fini di un pronuncia sull’azione civile, con la conseguenza che, in tal caso, si può pervenire all’affermazione della responsabilità dell’imputato, anche se nei confronti di costui sia dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, per un fatto previsto dalla legge come reato e, al contempo, giustificativo della condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Si osservò, ancora, come il comma 4 dell’articolo 425 del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2-sexies, comma 1, d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito con modificazioni in legge 5 giugno 2000, n. 144, preveda uno specifico ampliamento dei poteri del giudice dell’udienza preliminare, il quale può pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l’applicazione della confisca.
Si analizzò, infine, la legislazione speciale, come interpretata dalla costante giurisprudenza di legittimità, citandosi, ad esempio, l’articolo 301, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, sostituito dall’articolo 11 l. 30 dicembre 1991, n. 413, che, al comma 1, dispone «nei casi di contrabbando è sempre ordinata al confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto››, osservandosi come anche in tale fattispecie la giurisprudenza fosse uniforme nel ritenere che la confisca potesse essere disposta sebbene il reato venisse dichiarato estinto per prescrizione, sempre che non fosse escluso il rapporto tra la res ed il fatto di contrabbando.
Ancora più significativo risulta poi il richiamo da parte delle Sezioni Unite De Maio proprio al reato di lottizzazione abusiva e alla disposizione di cui all’articolo 44, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, secondo la quale il giudice penale dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, con la «sentenza definitiva», che «accerta che vi è stata lottizzazione abusiva», osservando come tale disposizione venisse interpretata nella giurisprudenza di legittimità nel senso che essa prevede l’obbligatorietà della confisca indipendentemente da una pronuncia di condanna, in conseguenza all’accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto (ed ora, a seguito dei principi affermati dalla giurisprudenza europea, anche nel caso di assoluzione per mancanza dell’elemento soggettivo del reato di lottizzazione).
Tutto ciò consenti alla Sezioni Unite di affermare che «rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non può affatto considerarsi in linea di principio “anomala”».
Peraltro la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 85 del 2008), come pure la sentenza De Maio non ha mancato di ricordare, ha affermato che la categoria delle sentenze di proscioglimento non costituisce un genus unitario, ma abbraccia ipotesi eterogenee, quanto all’attitudine lesiva degli interessi dell’imputato, dal momento che, accanto a pronunce ampiamente liberatorie, vi sono anche sentenze che, pur non applicando una pena, comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziale riconoscimento della responsabilità, o comunque l’attribuzione del fatto all'imputato (ad esempio, la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, conseguente al riconoscimento di attenuanti, il proscioglimento per perdono giudiziale etc.). La categoria delle sentenze di proscioglimento – a parte quelle ampiamente liberatorie perché pronunciate con le formule «il fatto non sussiste» e «l'imputato non lo ha commesso» – comprende «sentenze che, pur non applicando una pena, comportano - in diverse forme e gradazioni - un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell'imputato o, comunque, l’attribuzione del fatto all’imputato stesso» e ciò in particolare vale per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione.
5.2. L’articolo 129 del codice di procedura penale riproduce, senza sostanziali elementi di novità, la omologa disposizione di cui all’articolo 152 del codice di rito abrogato.
La dottrina, in passato, si è interrogata se ed in quali casi l’obbligo di immediata declaratoria potesse essere posposto ad altre esigenze o fosse addirittura inoperante in relazione ad un particolare stato del processo.
Le acute osservazioni svolte dalla dottrina a questo proposito sono, ad avviso del Collegio, pienamente aderenti alla struttura della fattispecie tipizzata nell’articolo 129 del codice di procedura penale, dovendosi perciò convenire che la pronuncia di cui al primo comma debba essere differita in tutti quei casi in cui sia possibile ravvisare, accanto all’azione penale tipica, gli estremi di quella che può essere definita come “azione penale complementare”, corrispondente cioè alle situazioni in cui – accanto all’ordinaria pronuncia che chiude il giudizio ed accanto ad eventuali provvedimenti collaterali, che si risolvono pur sempre in misure sanzionatorie di vario genere volute dall’ordinamento a carico dell’autore di un reato – può essere affidato al giudice il compito di adottare altri provvedimenti a carattere reattivo o ripristinatorio, nei quali si sostanzia l’esigenza dell’ordinamento di ripristinare l’ordine giuridico violato dal fatto illecito.
A titolo esemplificativo, possono ricordare, tra le varie fattispecie sparse nell’ordinamento, la confisca doganale; la confisca prevista dal codice dei beni culturali; la confisca urbanistica.
Questa azione ha in comune con l’azione penale tipica il fatto di sorgere ex lege per effetto di una certa notitia criminis, e, di regola, di sfociare nella stessa decisione che statuisce sull’asserito reato; ma rispetto a quella gode di un’autonomia successiva, collegata funzionalmente alla sua oggettività.
Infatti, mentre l’azione penale tipica è suscettibile di approdare alla declaratoria di non punibilità dell’imputato per effetto di ragioni di natura processuale, l’azione penale cd. complementare non conosce l’epilogo costituito da una pronuncia in rito, cosicché ogni qualvolta interviene nel corso del processo una causa di non punibilità l’esigenza di porre fine immediatamente al processo confligge con l’esigenza della norma speciale, che non può appagarsi di una pronuncia di rito, ma esige il completamento delle necessarie indagini o dell’accertamento in ordine alla sussistenza del reato ed alla sua attribuibilità all’imputato, reclamando perciò l’emanazione di un provvedimento atipico di mero accertamento.
E’ stato limpidamente chiarito (dalla dottrina la quale ha esplorato funditus la questione) che, siccome non è possibile frantumare il contenuto della sentenza ossia dichiarare la causa estintiva e procedere oltre per il resto, poiché il processo penale, a differenza del processo civile, non conosce il fenomeno della sentenza parziale, il giudice, in tali casi, dovrà inizialmente accordare la prevalenza al secondo imperativo derogando all’obbligo di immediatezza voluto dal primo comma dell’articolo 129 del codice di procedura penale, con la sottolineatura che tutto quanto possa risolversi in un pregiudizio per l’imputato, diverso dalla protrazione intrinseca del processo, dovrà cadere non appena si manifesta la causa di non punibilità ma la soggezione al processo, nell’attesa che questo esaurisca tutte le questioni in esso insite, non può venire meno sino alla pronuncia unitaria.
La quale perciò non patisce i successivi sviluppi della progressione processuale perché, essendosi verificato il trascinamento del rapporto giuridico principale sino all’epilogo finale, la irrevocabilità della pronuncia sulla confisca, ossia sull’azione penale cd. complementare, può scaturire, per regola di carattere generale, anche a seguito di un giudizio rescissorio che consegua a quello rescindente il quale abbia annullato le statuizioni emesse nei precedenti gradi di merito.
5.3. Per queste ragioni, successivamente anche corroborate dai principi affermati dalla sentenza della Corte EDU in causa Giem s.r.l. contro Italia, la giurisprudenza di legittimità – sulla questione circa la compatibilità di un completo accertamento oggettivo e soggettivo della responsabilità con l’obbligo imposto al giudice, in via generale, dall’articolo 129 del codice di procedura penale di immediata declaratoria di una causa di non punibilità – ha ritenuto che il riconoscimento in capo al giudice di poteri di accertamento, finalizzati all’adozione di una misura che incide negativamente sulla posizione dell’imputato (seppur nella sola sfera patrimoniale) e che presuppone l’accertamento della penale responsabilità del soggetto, rende recessivo il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato rispetto al correlativo e coesistente obbligo di accertamento.
Ciò in quanto – essendo detto obbligo di accertamento richiesto espressamente dalla legge (articolo 44, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001) e dovendo la disposizione essere interpretata da parte del giudice nazionale in senso convenzionalmente conforme ossia che, anche in presenza di una causa estintiva del reato, è necessario, per disporre la confisca urbanistica, procedere all’accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e verificare la sussistenza di profili quanto meno di colpa nei soggetti incisi dalla misura – il principio generale risulta implicitamente derogato dalle disposizioni speciali che prevedono l’applicazione di misure le quali, per essere disposte, richiedono necessariamente la prosecuzione del processo e la conseguente acquisizione delle prove in funzione di quell’accertamento strumentale all’emanazione del provvedimento finale.
Il che impedisce al giudice (dibattimentale) di ritenersi esonerato dal compiere l’attività istruttoria sulla base delle prove richieste dalle parti o, in quanto assolutamente necessarie, disposte d’ufficio; preclude allo stesso di dichiarare la causa estintiva, la cui declaratoria dovrà essere necessariamente posposta senza alcuna conseguenza negativa nei confronti dell’imputato, che non si risolva, a condizioni esatte, nella confisca urbanistica che non potrà mai più essere “cieca” ma dovrà essere rispettosa anche del principio di proporzionalità.
Al tempo stesso, impedisce tuttavia al giudice anche di disporre, previa declaratoria di estinzione del reato, la confisca sulla base degli atti sino a quel punto acquisiti e, dunque, sulla base di un accertamento della responsabilità penale dell’imputato che – parametrato esclusivamente alla confisca – potrebbe compiersi su basi probatorie parziali ed incomplete, venendo così vulnerata la presunzione d’innocenza nel suo significato più sostanziale.
La conseguenza è che, preclusa la condanna a “pene principali”, residua l’azione di accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato esclusivamente finalizzata alla confisca (urbanistica) che argina momentaneamente l’operatività della causa estintiva, impedendo tanto la immediata declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva quanto l’applicazione della confisca, fermo restando che o il giudice accerta, con la sentenza, che vi è stata lottizzazione abusiva soggettivamente imputabile ed è allora legittimato a disporre la confisca urbanistica oppure l’imputato può maturare, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, con formula assolutoria prevalente rispetto alla causa di estinzione del reato, con svincolo dei beni sequestrati e con efficacia di giudicato in altri giudizi.
Sulla base di tale quadro di riferimento, un’interpretazione convenzionalmente conforme dell’articolo 44, comma secondo, d.p.r. n. 380 del 2001, cui il giudice nazionale è tenuto, implica che, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato (nel caso di specie, la prescrizione), non ha l’obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità, con conseguente definizione del processo e revoca del sequestro dei beni.
Ne deriva che il giudice del dibattimento può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio e, a tal fine, deve, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, la prescrizione), proseguire nell’istruttoria dibattimentale, differendo, qualora l’imputato non abbia maturato una causa di proscioglimento nel merito, la declaratoria di non punibilità all’esito del giudizio e disponendo invece la confisca urbanistica sempre che, come più volta ricordato, sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva almeno colpevole.
E’ il caso di precisare che tale esegesi deve ritenersi anche costituzionalmente conforme perché in linea con le pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 49 del 2015 ed ordinanza n. 187 del 2015).
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25/10/2019