Consiglio di Stato Sez. VI n. 6794 del 29 novembre 2018
Beni Culturali.Attività di vigilanza sull’attività edilizia su beni vincolati

Anche con riguardo ai beni culturali, l’attività di vigilanza sull’attività edilizia è demandata al Comune, e nell’ambito di esso, tale attribuzione viene esercitata da Dirigenti, come risulta dalla piana interpretazione: sia dell’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, Il legislatore ha previsto una competenza alternativa tra il Comune e l’Autorità preposta al vincolo in materia di repressione degli abusi perpetrati in zona vincolata, dandosi al contempo carico di evitare la sovrapposizione del concreto esercizio del potere demandato alle due Amministrazioni competenti mediante la prescrizione della previa comunicazione all’Autorità che deve salvaguardare il vincolo, la quale può eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa



Pubblicato il 29/11/2018

N. 06794/2018REG.PROV.COLL.

N. 03788/2012 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 3788 del 2012, proposto da:
VITTORIO DE NITTO, GIULIO DE NITTO, MARIO DE NITTO, FRANCESCO DE NITTO, rappresentati e difesi dall’avvocato Sergio Como, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Como-Luponio in Roma, via G. Antonelli, n. 49;

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Giacomo Pizza, Antonio Andreottola, con domicilio eletto presso lo studio Grez s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, n. 5334 del 2011;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Sergio Como, G. Pafundi, per delega dell’avvocato Giacomo Pizza, e Paola De Nuntis dell'Avvocatura Generale dello Stato;

Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.– Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, i signori De Nitto Giulio, De Nitto Mario, De Nitto Francesco, De Nitto Vittorio – proprietari di un appartamento sito in Vico Cappella Vecchia n. 31, all’interno del fabbricato denominato “Palazzo Sessa”, soggetto a vincolo monumentale – impugnavano la determinazione dirigenziale del Comune di Napoli n. 678 del 20 giugno 2005, recante, ai sensi dell’art. 37, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi e di pagamento di sanzione pecuniaria (pari ad € 1.032,91), per l’abusiva realizzazione, nel suddetto appartamento, di lavori consistenti; - nel rifacimento degli intonaci, della pavimentazione e nell’impianto idrico; - nonché nell’apertura di un vano d’accesso con porta in ferro e di un vano interno. In particolare, l’atto impugnato motivava che, trattandosi di interventi riconducibili alla categoria normativa del restauro e del risanamento conservativo, gli istanti avrebbero dovuto preventivamente richiedere l’autorizzazione edilizia e quella dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Sul presupposto di avere richiesto in data 29 aprile 2004 ed ottenuto il successivo 20 maggio, il favorevole parere della Soprintendenza per gli interventi in contestazione, i ricorrenti lamentavano svariati vizi di violazione di legge (segnatamente: dell’art. 50 d.lgs., n. 267 del 2000, delle leggi della Regione Campania n. 65 del 1981 e n. 10 del 1982, dell’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, del combinato disposto degli artt. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 4 d.lgs. n. 42 del 2004, dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 14 della legge n. 47 del 1985, degli articoli 1 e 4, della legge 10 del 1977, degli articoli 21 e 149 del d.lgs. n. 42 del 2004), nonché l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto d’istruttoria.

2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 5334 del 2011, respingeva il ricorso.

3.‒ I signori De Nitto hanno quindi proposto appello avverso la predetta sentenza di primo grado, chiedendone la riforma.

Nel primo motivo di appello l’appellante contesta il capo della sentenza impugnata secondo cui l’accertamento fatto dal tecnico comunale per descrivere lo stato dei luoghi costituirebbe un atto pubblico dotato di fede privilegiata quanto al suo contenuto, e che la mancata presentazione della querela di falso avrebbe reso inoppugnabile la realizzazione ex novo del vano porta.

Con il secondo motivo di appello, viene riproposta la censura incentrata sul difetto di motivazione, in quanto le opere contestate non avrebbero richiesto alcuna autorizzazione.

Con il terzo motivo di appello, gli appellanti ripropongono le doglianze sollevate al primo e secondo motivo del ricorso di primo grado, ossia che il Comune non sarebbe potuto intervenire per reprimere abusi commessi su un bene vincolato e che, in ogni caso, il provvedimento sanzionatorio non era di competenza dirigenziale.

4.– Il Comune di Napoli e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo si sono costituiti in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.

5.– Con ordinanza n. 282 del 2016, la Sezione ha ritenuto di dover disporre una verificazione, ai sensi dell’art. 66 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 finalizzata ad accertare lo stato dei luoghi antecedente la realizzazione dei lavori, ritenuti abusivi dal Comune di Napoli, ma per i quali è stata, sia pur successivamente, rilasciata autorizzazione dalla Sovrintendenza in data 20 maggio 2004, n. 12775, onerando di tale incombente lo stesso Soprintendente per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia.

5.1.– Con successiva ordinanza n. 4154 del 2017 – rilevato che, in ordine alla verificazione nel frattempo effettuata dalla Soprintendenza di Napoli, «entrambe le parti del giudizio eccepiscono di non essere state avvisate dello svolgimento delle operazioni» – ne ha disposto la rinnovazione.

6.‒ All’udienza del 20 settembre 2018 la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.– I signori De Nitto, proprietari di un appartamento sito in vico Cappella Vecchia, n. 31 – all’interno del fabbricato denominato “Palazzo Sessa”, bene culturale soggetto a vincolo monumentale –, hanno impugnato la determinazione dirigenziale del Comune di Napoli, direzione centrale VI, riqualificazione urbana, n. 678 del 20 giugno 2005 con la quale (accertata la realizzazione di opere consistenti nel rifacimento di intonaci, pavimentazione ed impianto idrico; apertura di un vano di accesso con porta in ferro e di un vano interno) è stato disposto il ripristino dello stato dei luoghi, perché l’intervento, a giudizio del Comune, integrava l’ipotesi di restauro e risanamento conservativo, per il quale avrebbero dovuto essere preventivamente acquisiti il titolo abilitativo edilizio e quello posto a tutela del vincolo.

2.– In ordine logico, va scrutinato preliminarmente il terzo motivo di appello (sviluppato nei primi due motivi del ricorso introduttivo in primo grado) con cui gli appellati ripropongono la censura di incompetenza del dirigente che ha adottato l’atto impugnato: questi non sarebbe titolare delle funzioni delegate in materia di tutela di beni culturali ed ambientali, che rientrerebbero invece nella competenza delegata al Sindaco ai sensi della legge regionale n. 10 del 1982; inoltre, con particolare riguardo alla tutela dei beni culturali, le funzioni in materia di tutela del patrimonio culturale sarebbero rimaste esclusivamente in capo all’Amministrazione statale alla luce dell’art. 4 del d.lgs. n. 42 del 2004.

2.1.– Il motivo di gravame non può essere accolto.

Anche con riguardo ai beni culturali, l’attività di vigilanza sull’attività edilizia è demandata al Comune, e nell’ambito di esso, tale attribuzione viene esercitata da Dirigenti, come risulta dalla piana interpretazione: sia dell’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui: «il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n.490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n.490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662»; sia dell’art. 107, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000, secondo cui sono riservati alla competenza dei dirigenti: «tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale».

Come correttamente affermato dal giudice di prime cure, il legislatore ha dunque previsto una competenza alternativa tra il Comune e l’Autorità preposta al vincolo in materia di repressione degli abusi perpetrati in zona vincolata, dandosi al contempo carico di evitare la sovrapposizione del concreto esercizio del potere demandato alle due Amministrazioni competenti mediante la prescrizione della previa comunicazione all’Autorità che deve salvaguardare il vincolo, la quale può eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa.

3.– I primi due motivi di appello ‒ con i quali i signori Nitto contestano la portata e la qualificazione normativa delle opere descritte nell’atto impugnato, sostenendo di avere posto in essere non già un intervento di restauro e risanamento conservativo, bensì di straordinaria manutenzione sull’esistente (consistente in pitturazione delle pareti, risistemazione dei servizi e del pavimento), «coperto» dalla autorizzazione soprintendentizia del 20 maggio 2004 e soggetto, dal punto di vista edilizia a dichiarazione di inizio attività, negando di avere realizzato ex novo “la porta in ferro” ed il “vano di passaggio” di cui si legge nell’atto impugnato ‒, vanno trattati congiuntamente e richiedono un supplemento istruttorio.

3.1.‒ Per una migliore comprensione degli abusi contestati è opportuno rimarcare quanto rappresentato nel verbale del 17 aprile 2004 (relativo al sopralluogo effettuato il precedente giorno 16 aprile 2004): «rifazione della pavimentazione, nuovo collegamento dell'impianto idrico con allacciamento alla preesistente colonna fecale per l'installazione di nuovi servizi sanitari, non ancora installati, nuovo intonaco privo di attintatura e vano di accesso con porta in ferro di sicurezza; ulteriore porta interna posta a m 2,20 dal calpestio e a m. 3 s.v. dal solaio di copertura di un’intercapedine che si apre in parte del solaio della U.I. ubicata in posizione sovrastante e con ingresso principale dal piano terzo locata all’Ente Autonomo Volturno».

Sulla base del verbale della polizia municipale ‒ il quale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c., solo relativamente alla provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti ‒ l’impugnato provvedimento n. 678 del 20 giugno 2005 ha contestato le seguenti opere: a) rifacimento intonaci, pavimentazione ed impianto idrico; b) apertura di un vano di accesso con porta in ferro (che dà sullo scalone monumentale condominiale); c) apertura di un vano interno (che mette in collegamento con altro appartamento).

3.2.‒ Il verificatore ‒ incaricato dal Collegio di accertare lo stato dei luoghi antecedente la realizzazione dei lavori, ritenuti abusivi dal Comune di Napoli, ma per i quali è stata, sia pur successivamente, rilasciata autorizzazione dalla Sovrintendenza in data 20 maggio 2004, n. 12775 ‒ ha rassegnato le seguenti conclusioni:

«I ritenuti lavori abusivi riguardano un modesto, per geometria e dimensioni, ammezzato situato tra il secondo e terzo piano del secolare palazzo Sessa. L’ammezzato è composto da una stanza di circa 15 mq configurata a poligono regolare rettangolare ed annesso locale wc di circa 5 mq. L’accesso è costituito da una porta che apre sulla rampa di uno scalone condominiale a carattere monumentale, nonostante lo stato di generale degrado dell’intero complesso. All’intero della stanza, nella parete destra, spalle all’entrata, si riscontra un’apertura (porta metallica) la cui soglia è considerevolmente sopraelevata rispetto alla quota del pavimento, detta porta era di comunicazione con l’appartamento di tipologia signorile del piano superiore (terzo) attualmente di altra proprietà.

Per quanto riguarda la legittimità di questo vano porta sia l’arch. M. Frattolillo della Soprintendenza A.BAB di Napoli che l’arch. G. Lanzuise del Comune di Napoli ritengono ininfluente procedere all’effettuazione dei saggi di verifica in forza della constatazione che detto vano porta è già riportato nel catasto del 1939 agli atti nei fascicoli delle parti (risc. All.2 verbale di sopralluogo in contraddittorio del 7.12.2017). Per l’immobile in questione questa Soprintendenza con nota prot. 12775 del 20.5.2004 ha rilasciato parere favorevole per lavori di manutenzione ordinaria. I saggi di verifica sono stati condotti (quattro) all’interno dell’unità abitativa e precisamente al vano porta battente sulla scala condominiale, accesso che il comune di Napoli ritiene abusivo, i saggi hanno interessato anche la piattabanda della porta, la strombatura della stessa e la parte di piè dritto lato destro spalle al cortile. E’ stato effettuato anche saggio alla pavimentazione scoprendo il pavimento preesistente di tipologia moderna e fattura corrente. I saggi hanno interessato anche l’intradosso del soffitto della stanza.

Dall’esame e stima visiva della tessitura muraria costituita da elementi quali i tufi e i laterizi, nonché dalla tipologia della piattabanda in legno massello insistente sul vano porta contestato, si desume un riferimento cronologico all’anteguerra ultimo conflitto 1940-45 del secolo scorso».

3.3.‒ Il verificatore sembra dunque escludere che gli attuali appellanti abbiano realizzato l’apertura di un vano di accesso con porta in ferro di sicurezza (che dà sullo scalone monumentale condominiale) e un vano interno (che mette in collegamento con altro appartamento, con un ulteriore porta interna posta a metri 2,20 dal calpestio e metri 3,3 dal solaio di copertura).

3.4.‒ Ritiene il Collegio sia necessario, ai fini del decidere, che il verificatore prenda posizione sui seguenti rilievi critici, puntualmente sollevati dal Comune di Napoli con la memoria conclusionale:

- nella planimetria catastale dell’immobile del 1939, fornita al verificatore mediante consegna degli allegati 2a (planimetria catastale del 1939) e 2b (planimetria catastale del 1987), la stessa per la quale si è ritenuto acclarato che il vano interno di cui alla lettera b) preesistesse in quanto già riportato nel rilevo catastale in questione, non figurerebbe il vano che dall’appartamento dà accesso direttamente sullo scalone condominiale e neppure l’apertura sullo scalone condominiale;

- nella planimetria catastale del 1987, portata a corredo dell’istanza al catasto di aggiornamento della consistenza, non risulterebbe l’apertura che il verificatore ha invece valutato anteriore alla seconda guerra mondiale;

- nella relazione del verificatore viene posta a fondamento della sua valutazione la presenza nella tessitura muraria di tufi e laterizi, senza riportare alcuna connotazione particolare degli stessi, sebbene l’utilizzo di materiale incoerente come riempimento della muratura non sia caratteristica costruttiva tipica solo del periodo ante guerra essendo, essendo tutt’ora pratica normale usare materiale sciolto di risulta come riempimento nella realizzazione di setti murari;

- tenuto conto del fatto che i conci di tufo ed i laterizi venivano utilizzati tanto nel diciassettesimo/diciottesimo secolo quanto nell’Ottocento-Novecento, come anche in tempi recenti, moderni o contemporanei, in assenza di specificazioni da parte del verificatore su eventuali particolari caratteristiche dei tufi e dei laterizi, tali elementi non potrebbero mai portare ad un’identificazione del periodo di realizzazione del varco;

- l’utilizzo di assi in legno per realizzare «piattabande», eccezion fatta per quei vani di grandi dimensioni, sarebbe ancora oggi il sistema più facile ed economico, anche tenuto conto dalla lavorabilità ed economicità di tale elemento costruttivo.

3.5.‒ Il supplemento di verificazione sarà avviato entro il termine di 20 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza ovvero dalla sua notifica a cura della parte più diligente, ove anteriore, e si concluderà con il deposito della relazione integrativa entro il 10 gennaio 2019.

4.‒ Le spese andranno liquidate con la sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sull’appello n. 3788 del 2012, come in epigrafe proposto e riservata ogni ulteriore statuizione;

- respinge il terzo motivo d’appello, nei sensi precisati al § 2.1.;

- dispone gli incombenti istruttori di cui in motivazione;

- rinvia all’udienza di discussione, che verrà fissata dal Presidente della Sezione dopo il deposito della relazione del verificatore;

- ordina alla segreteria della Sezione di provvedere alla comunicazione della presente sentenza non definitiva, anche nei confronti del verificatore già nominato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere