TAR Emilia Romagna (BO) Sez. II n. 231 del 26 marzo 2012
Polizia Giudiziaria. Agenti provinciali ed attività venatoria

E' legittimo un regolamento di polizia provinciale che  vieta (ai sensi dell'art. 27 comma quinto della legge 157/92) l'esercizio venatorio, nel proprio tempo libero,   agli agenti dell'amministrazione su tutto il territorio provinciale , e non solo nella abituale zona di servizio assegnata.

N. 00231/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01354/2004 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1354 del 2004, proposto da:
Bastoni Marco ed Altri, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Scavone, con domicilio eletto presso Angelo Scavone in Bologna, via S. Stefano 43; Boninsegni Costanzo, Lodi Renzo, Magnani Loris, Piccinini Ettore;

contro

Provincia di Bologna, rappresentato e difeso dagli avv. Patrizia Onorato, Elena Giometti, domiciliata per legge in Bologna, via Benedetto X i V, 3;

per l'annullamento

del regolamento del corpo di Polizia provinciale di Bologna, approvato con delibera consigliare n. 107 in data 1° ottobre 2002, nella parte in cui amplia a tutto il territorio provinciale il divieto di praticare l'attività venatoria art. 8, comma 1, lett. A.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Bologna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2012 il dott. Alberto Pasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il ricorso è inteso all’annullamento del regolamento del Corpo di polizia provinciale di Bologna (deliberazione consiliare 1.10.02, n.107), nella parte in cui fa divieto agli agenti di polizia provinciale con funzioni di vigilanza venatoria di esercitare attività venatoria in ambito provinciale (anziché, come nel precedente regolamento, nella sola sottozona sottoposta alla vigilanza del singolo operatore secondo l’organizzazione interna del Corpo).

Resiste la Provincia.

Il ricorso è effettivamente proposto ben oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione del regolamento dall’8 al 23 ottobre 2002, ma è pacificamente tempestivo rispetto alla sua entrata in vigore nel settembre 2004, ai sensi del suo art. 14; prima di tale data, il regolamento era conoscibile ma sprovvisto di attitudine lesiva, così che i destinatari avevano si la facoltà (secondo la giurisprudenza invocata dalla Provincia) ma non anche l’onere di impugnare, sorto soltanto con l’entrata in vigore.

Pertanto va respinta l’eccezione di irricevibilità.

Le disposizioni statali invocate da entrambe le parti (art.27, comma 5, legge 157/92: «agli agenti…con compiti di vigilanza è vietato l’esercizio venatorio nell’ambito in cui esercitano le funzioni», e art.29 legge 157/92: «gli agenti …, cui sono conferite… le funzioni… di vigilanza venatoria, esercitano tali attribuzioni nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza») sono indifferenti ad entrambe le contrapposte tesi, perché mentre l’art.27 definisce l’ambito territoriale vietato in modo alquanto generico, cioè senza specificare se esso coincida con l’area di competenza della polizia provinciale, o del singolo funzionario secondo l’organizzazione interna del Corpo, l’art.29 chiaramente si riferisce all’ambito territoriale di competenza dell’ente, per evidenziare che al di fuori di questo l’incompetenza dei funzionari e degli organi dell’ente è assoluta, com’è ovvio trattandosi di incompetenza territoriale, e come è implicito nell’uso del termine “attribuzioni”, che fa riferimento, appunto, alla mancanza della norma di attribuzione del potere al di fuori del territorio, con la conseguenza che gli agenti possono essere assegnatari ed esercitare le loro funzioni solo in tale ambito (salve ovviamente le ulteriori ripartizioni territoriali con efficacia solo interna). Pertanto, l’art.29 non reca alcuno spunto interpretativo dell’art.27, che invece fa generico riferimento, peraltro con scarsa chiarezza, all’ambito territoriale in cui l’agente esercita la sua funzione per individuare la zona di divieto per incompatibilità soggettiva.

Tuttavia, ancorché la norma fosse suscettibile di una interpretazione restrittiva, nel senso cioè di un divieto limitato alla zona di assegnazione del singolo operatore (in tal senso milita, osservano i ricorrenti, il riferimento alle guardie forestali), certamente essa non precluderebbe la imposizione di un divieto più ampio da parte dell’ente locale, che sarebbe comunque legittimo ove rispettoso dei principi di ragionevolezza, in quanto espressione di discrezionalità amministrativa tendente alla migliore organizzazione del servizio di vigilanza venatoria, ed esplicantesi nell’ambito del rapporto di supremazia speciale nei confronti dei dipendenti agenti.

Ed anche se una incompatibilità per conflitto di interesse è ravvisabile soltanto in ipotesi di cumulo nello stesso operatore, e nella stessa zona di assegnazione, della posizione di controllore e controllato, non sembra affatto irragionevole, sulla base di comune esperienza, rinvenire una palese inopportunità, anche di fronte ai terzi, di un esercizio reciproco della vigilanza tra colleghi nelle zone di rispettiva e diversa assegnazione.

Inopportunità che, evidentemente, giustifica, nelle discrezionali valutazioni della Provincia di Bologna, l’estensione del divieto a tutto l’ambito provinciale, senza esporsi a censure di illogicità.

Quindi, seguendo l’ordine delle censure:

- non vi è contrasto con gli art.27 e 29 della legge statale (157/92), e perciò non viene in considerazione il principio di gerarchia delle fonti;

- sussiste una giustificazione non illogica alla estensione del divieto, che non abbisogna di esplicita motivazione, essendo previsto in sede regolamentare;

- la disparità di trattamento con altre province è solo apoditticamente e genericamente affermata, e sarebbe comunque irrilevante essendo coperta dalla autonoma potestà auto organizzativa di ciascun ente locale, a fronte della posizione di subordinazione speciale degli agenti;

- il richiamo generico al Codice di comportamento dei dipendenti (art.8 del Regolamento) è norma di chiusura che si aggiunge agli specifici divieti (tra cui quello esaminato) di seguito indicati, ed è quindi perfettamente pertinente al contesto normativo considerato;

- la violazione degli art. 3 e 97 della Costituzione è dedotta senza indicazione delle norme primarie censurate.

Il ricorso è respinto.

Spese compensate, atteso il carattere interpretativo della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Mozzarelli, Presidente

Bruno Lelli, Consigliere

Alberto Pasi, Consigliere, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/03/2012